di Franco Arminio
Caro Livio,
…………………una volta si diceva che il privato è politico. Adesso se ne dicono tante, ma questa frase non si sente più.
Oggi che è il tuo diciassettesimo compleanno ho pensato di scriverti in pubblico una letta privata, una lettera politica.
Ti considero il mio interlocutore più prezioso. Non sei un mio amico, sei mio figlio. E sei molto diverso da me. Sai bene che il figlio che mi somiglia di più è tuo fratello. È lui che come me abita l’orlo, è lui che scivola tra gli esseri e le cose in un’implacabile irreperibilità.
Tu hai la densa attenzione agli esseri e alle cose che ti viene da tua madre. Da lei ti viene un fondo di verità e di forza e l’assenza di vanità e un senso naturale di compostezza.
È un grande dono di ogni giorno averti nella nostra casa. È bello che a volte mi accompagni nei miei giri. Hai accompagnato le mie immagini dell’Irpinia con la tua musica. Questa collaborazione è la cosa di cui vado più fiero. So che posso farti leggere le cose che scrivo, so che posso ricevere buoni consigli. Mi piace vederti leggere, vederti suonare, vedere come senti il falso che c’è nel mondo che si ritiene progredito, accompagnare l’ardore che ti viene contro gli estremisti della moderazione.
Guardo alla tua vita con grande speranza e non ho paura di svolgere in pubblico il mio esercizio di ammirazione. Lo faccio stando nel sud del familismo amorale: ci siamo presi questa stupida etichetta da un americano e purtroppo ce la teniamo stretta.
Spesso nei miei giri parlo del fatto che tu hai un modo di vivere questi luoghi che mi piace molto. Essere attento alle migliori espressioni artistiche in giro per il mondo e nello stesso tempo andare da tua nonna e imparare a fare la pasta a mano. Hai imparato presto, come hai imparato a fare i dolci. Se guardo le figure di una tua giornata trovo tante cose belle: correre, studiare, suonare. Hai un tua vita che fila, ma questo non ti impedisce di restare accordato al luogo, di frequentare gli amici del paese senza intellettualismi, senza fare la parte del giovane speciale. Alla tua età per me era diverso. Nella nostra cultura i genitori non usavano fare complimenti ai figli. Prevaleva su tutto la cultura del rimprovero e del lamento, eri sempre in debito: una volta mia madre mi chiese a che serviva tutto quel mio stare chino a scrivere se poi non uscivo mai alla televisione. Mio padre mi considerava un po’ pazzo, inaffidabile. Lui non sapeva che era come me e io non sapevo che ero come lui. In fondo sto continuando il suo lavoro.
Nel tuo caso è inutile chiedere cosa farai da grande. Quello che farai lo stai già facendo. La tua ricerca è perfettamente fusa nella tua vita. Non hai le mie fragilità, le mie paure, la mia impaziente ricerca di attenzione. Io non ho fatto nulla per farti diventare ciò che sei. Non ti ho seguito, lungamente sono stato distratto dalle mie ansie. Ci siamo raggiunti e ritrovati in un luogo non stabilito, il luogo della poesia.
So bene che esiste la congiura dei deboli, dei mediocri, so bene che il confine tra esposizione e immodestia è molto sottile, ma io sono una creatura di confine, è inutile rimanere al coperto sotto le coperte della falsa modestia. Credo che uno dei mali del sud sia l’incapacità di ammirazione verso i luoghi e le persone vicine. Il sud si è fatto convincere che il buono è altrove. E alla fine tutto il mio lavoro è nel provare a scalfire questo abito di gesso che portiamo da millenni e che dopo l’unità d’Italia è diventato un abito di piombo.
Tu hai un peso che io non ho. Puoi rompere insieme ad altri ciò che io, da solo o assieme ad altri, ho solo scalfito. Vai avanti, continua a suonare la tua rivoluzione!
Franco Arminio, 3-06-2012
[Immagine: Dušan Lazić, Guardians of Taste (2010) (gm)].
Franco, mi hai profondamente commosso.
E’ una delle tue pagine più belle e più vere: radicalmente emozionale e, per ciò stesso, visceralmente politica.
Ci sono secoli di parole taciute, mai dette e mai scritte, che emergono dal solco fertile che scavi nello spazio di poche righe: parole gravide di futuro.
Un abbraccio a te e un augurio dal cuore a tuo figlio.
fm
Un vero regalo.
ieri, 3 giugno, era anche il mio 40esimo compleanno, e ho potuto guardare, osservare, le differenze tra me e i miei figli (uno ha solo un anno di meno di Livio) anche tramite queste tue parole, aspettando la terza fra pochi giorni
un caro saluto
g
Che bella lettera
Ma soprattutto, fortunato Livio
TI CONOSCO, MASCHERINA!
Lettera di uno scrittore fu-meridionale e vecchio
a uno scrittore neo-meridionalista e giovane
OH, PARROCCHIETTA DEL SUD
… chioccia, teca di vetro, covo,
dove con gracili corpi, poco e male conosciuti, stemmo infanti,
in tanti, reclusi in dolce, stupefacente persino, serraglio!
Oh, figurine colorate di madonne, occhi in su,
col serpente, occhi chiusi sotto il candido piedino!
(E. Abate, Immigratorio)
Caro Franco,
se non provenissi io pure da lì (Baronissi, Salerno), non avessi seguito con tormento *quel che resta della “questione meridionale”* (era il titolo di una mia riflessione sul n. 3 di POLISCRITTURE, NOVEMBRE 2007 dedicato al Sud)[1 ]e non m’irritasse più l’insistenza con cui tu (ma non solo tu) proponi, anche qui su LPLC, una visione *pettinata* della gente del Sud, avrei lasciato correre anche questo tuo ultimo post e mi sarei tenuto nel cassetto le mie critiche.
Non mi piace prendere di petto un giovane scrittore emergente, fargli la ramanzina, passare per invidioso. Tanto più che tu, per dissuadere dalla critica tipi come me, hai collocato in una posizione strategica del tuo scritto un eloquente avvertimento di sapore nicciano contro la fastidiosa «congiura dei deboli, dei mediocri», che non sanno volare alto e, da signori, liberarsi dal complesso di «rimanere al coperto sotto le coperte della falsa modestia»!
Eppure stavolta quel che penso della tua «Lettera a Livio» te lo dirò e pubblicamente. Perché mi ha colpito il suo stile untuoso. È lo stesso che da ragazzo imbrillantinava i discorsi dei miei coetanei di Azione Cattolica e di liceo, che poi son diventati perlopiù cattocomunisti e che ora votano o s’affollano attorno al PD di Bersani o in SEL di Vendola (magari senza prendere tessera, per apparire più “indipendenti” e “autentici”). E poi perché nel modo di porti in pubblico – non dissimile da quello di Saviano, La Gioia, Policastro e vari altri “nuovi giovani scrittori meridionali” gettonati e rampanti – ritrovo, pur con i tic che vi distinguono, una medesima aria di famiglia: avete i tratti perbene, il piglio ironico e saputello della piccola o media borghesia intellettuale (e non solo del Sud) sempre odiosamente scattante e pronta all’arrembaggio dei primi banchi: a scuola e in chiesa ai miei vecchi tempi; nei partiti “democratici” o “di destra”, nei giornali e nelle case editrici o nel Web oggi.
Il tuo testo – te lo dico pacatamente – per me è una patacca studiata per un pubblico che non vuol più pensare alla realtà e alla storia. Che vuole togliersi ogni senso di colpa e sentirsi dire che il «familismo amorale» è solo una «stupida etichetta». E tu glielo dici.[2] Che non vuol più sentire piagnistei sulla disoccupazione giovanile al Sud.[3] E tu li aiuti a volgere il delicato capino altrove. Via l’economia, “scienza triste” per eccellenza. Avanti con le belle parole, suadenti, eleganti e vacue. Solo quelle oggi destano i gridolini di ammirazione da SMS («un vero regalo», «che bella lettera» ) sotto ogni tuo post.
E quest’ultima trovata dell’«esercizio di ammirazione», capita a fagiolo. Sembra venire da uno studio di Pubblicità Progresso ed è destinata a mio parere ad essere ripresa e diffusa dall’intera macchina massmediatica, quasi come i predicozzi postmoderni di Saviano. Pensa, in un Paese (e non solo nel suo Sud) che sta affondando e viene preparato ad esercizi di disperazione, tu – oplà! – ribalti la parola.
E cosa ammiri o inviti ad ammirare?
Non un qualsiasi, sia pur idealtipico, giovane meridionale di belle speranze dell’era Monti, ma un vero dio dell’antica Magna Grecia. Anzi un Colosso di Rodi, che s’innalza su una minuscola folla di avi meridionali boriosi o briganti e sta: con un piede nel locale (perché trova il tempo di «andare da [sua] nonna e imparare a fare la pasta a mano» o i dolci) e uno nel globale (di cui contempla le «migliori espressioni artistiche in giro per il mondo»).
A sentirne tessere le qualità l’anima (piccolo borghese) finalmente gode: il giovanotto accompagna il padre “paesologo” nei suoi vagabondaggi videoletterari per l’Irpinia; gli dà addirittura «buoni consigli»; è contrario agli «estremisti della moderazione» (intuisco siano i politici del PD o mi sbaglio?); e poi fa «tante cose belle: correre, studiare, suonare»; e non frequenta cattive compagnie ma amici «senza intellettualismi» e «senza fare la parte del giovane speciale».
Eccoci finalmente “oltre il Novecento” dei giovani Törless, degli Agostino, degli inetti!
Non posso fare una doccia fredda a questo mitologico (e per me inesistente) giovane, ma all’«esercizio di ammirazione» in pubblico del padre e alla enfasi miracolistica delle sue affermazioni, sì!
A parte il fatto che l’ ammirazione non nasconde, nel caso in questione, un bel complesso di Crono, per cui l’ammiratore è angustiato dal non aver ricevuto lui dai suoi genitori ai suoi bei tempi di diciassettenne i complimenti che ora somministra in abbondanza al figlio, se te l’ammiravi, non dico in privato ma in disparte, il tuo figlio reale, forse alcune domande terra terra, ancora utili per ragionare sulle cose di questo mondo, te le saresti fatte. Del tipo: tutto qua l’interesse del giovanotto per il Sud e tutto là l’interesse per il mondo? quanti sono i giovani meridionali che fanno le belle cose che fa Livio? O, ancora più prosaicamente: chi lo mantiene ‘sto figlio? rientra o no in quel 48,3% di disoccupati? Perché non vorrei che stesse pure lui nella categoria dei cocchi di papà, che ogni tanto inventano (per sé) qualche Rinascimento (speriamo non più bassoliniano) ma li attribuiscono disinvoltamente a tutti i “giovani del Sud”.
E poi, ti rendi conto del miracolo di cui stai parlando? Non è il solito, quello arcaico e premoderno che si ripete annualmente con San Gennaro, ma uno nuovo, postmoderno che ha spezzato una catena secolare di continuità. Fino a qualche decennio fa, infatti, tu e tuo padre vi somigliavate come due gocce d’acque. Oggi la continuità tra te e tuo figlio s’è spezzata! E il tuo giovane virgulto, questo Efebo del Sud, nato da una materna Eva ovviamente del Sud, vede coincidere in Sé futuro e presente («Quello che farai lo stai già facendo»). È fuso con la Vita!
E tutto è accaduto per miracolo. Perché – me lo garantiscono le tue parole – tu, suo padre, appartenente al Vecchio Mondo novecentesco (e letterario) dei giovani tormentati da fragilità, paure, impaziente ricerca d’attenzione e ultimo anello della vecchia catena, non hai fatto proprio nulla per far diventare il figlio ciò che oggi divinamente è! Meno male, verrebbe dire. Perché, non avendolo seguito il figlio (distratto com’eri dalle ansie della vecchia epoca), il miracolo risulta più straordinario. Siamo di fronte a un caso inedito di «eclissi del padre» positiva. Da segnalare subito a Zoja e a Balicco (http://www.leparoleelecose.it/?p=833) e da spiattellare sotto il naso di Recalcati (http://www.leparoleelecose.it/?p=4919), che ripropone invece la vecchia solfa dei figli bisognosi di padri. Al Sud l’eclissi del padre ha fatto il miracolo e ha creato un dio! L’assenza ha funzionato meglio della presenza. Il figlio è venuto su meglio che se il padre si fosse dato da fare a *mazz’e panelle* o con il permissivismo più o meno temperato dei padri imbevuti di Summerhill, Marcuse e libertarismo da ‘68. Varrebbe la pena di suggerire quest’esemplare di miracolo ai politici: in assenza dello Stato-Padre (toh, diciamo anche dello Stato sociale) i figli-la gente se la cavano meglio. E vedete! – i due (è vero, a questo punto non si capisce se trattasi di due figli, visto che un padre assente potrebbe essere un figlio ad adolescenza prolungata) si raggiungono e si trovano, sempre per la felicità dei lettori del ceto medio colto (gli autori dei post) o semicolto (i commentatori) di LPLC, «in un luogo non stabilito, il luogo della poesia», quello che Simonetti tanto fatica oggi a individuare…
Concludo. Non so se le mie parole riusciranno a scalfire l’abito di gesso o di piombo che tu ti sei costruito addosso scrivendo, ma t’inviterei a tornare alle cose (e non solo del Sud) e a trovare altre parole per dirle.
Samizdat
NOTE
1. Con testi anche di Marcella Corsi, Donato Salzarulo, Ottavio Rossani, Piero Bevilacqua e Romano Luperini.
2. Figurati se va a controllare sui libri “per vecchietti” che significato ha il termine usato da Banfield negli anni Cinquanta del Novecento studiando il fenomeno a Chiaromonte in Basilicata e ripreso da Paul Ginsborg che a pag. 186 del suo *L’Italia del tempo presente* si dilunga in una complessa spiegazione!
3. Eppure la notizia si trova facilmente anche cliccando in Google:
http://denaro.it/blog/2012/06/01/sud-disoccupazione-giovanile-al-483-in-campania-il-tasso-piu-alto-196/
Nuovo record della disoccupazione giovanile al Sud. Il tasso dei giovani tra 15 e 24 anni senza lavoro raggiunge nel primo trimestre del 2012 il 48,3 per cento con un picco del 51,8 per cento per le donne. E’ quanto emerge dai dati provvisori sugli occupati e disoccupati diffusi dall’Istat. A livello nazionale la disoccupazione giovanile si attesta al 35,9 per cento contro 29,6% del primo trimestre dell’anno precedente. Nella classe tra i 20 e i 24 anni il tasso di disoccupazione si attesta al 32,7% (era 26,9% nel primo trimestre 2011).
non ho studiato niente. ho scritto una lettera a mio figlio. l’ho scritta di getto. è arrivata qui perché gezzi l’ha notata su facebook.
non scrivo cose pettinate sul sud, basti leggere un libro feroce come “nevica e ho le prove”. mai un critico mi aveva fatto un appunto del genere.
sentiamo la lingua in maniera troppo diversa. tu ti definisci scrittore, ma io non sento nella tua lingua nessuna luce, una lingua così inerte che non mi ha prodotto alcun turbamento.
la cosa che mi colpisce è che ci si rivolge a me come a uno che fa soldi con la sua scrittura e invece faccio il maestro elementare e vivo a bisaccia. se davvero la mia fosse una lingua pettinata avrei ben altre remunerazioni oltre quelle di ricevere straordinarie recensioni e di avere un piccolo ma affezionato nucleo di lettori.
Franco,
non c’è bisogno che ti giustifichi: la luce non lo fa con la materia inerte.
Caro Arminio,
Le dò un consiglio: le lettere private le tenga private e le lettere pubbliche le metta in pubblico. Ci sono dei limiti, direi ontologici, tra pubblico e privato che, evidentemente Lei ha dimenticato. Farebbe bene a ricordarsene, anche perché delle sue questioni private tra Lei e il suo pargolo non veda come possano interessare le altre persone private. Non vorrei che altri milioni di padri e di madri decidessero di sbartterLe in faccia altre milioni di lettere private ai loro rispettivi pargoli. Ritengo che ci siano questioni di decenza che differenziano la decenza dall’indecenza della esibizione del privato in pubblico.
@Linguaglossa
se le dessimo ascolto non dovremmo leggere nemmeno la “Lettera al padre” di Kafka.
Caro Franco,
la tua lettera con i suoi modi e il suo stile quasi privato spinge alla riflessione, se non altro ad interrogarsi come noi abbiamo visto e pensato il Sud, il legame tra “locale” e “globale” rispetto ad un ragazzo di oggi. E la nota di Ennio credo che vada proprio in questa direzione, al di là dello spirito polemico. Mi piacerebbe che intervenisse tuo figlio o un ragazzo della sua età per esprimere le sue opinioni. Lui ha solo diciassette anni ma fra non molto probabilmente sarà costretto ad emigrare e sicuramente la sua mentalità muterà profondamente. In fondo noi giustamente nutriamo l’illusione che i nostri figli sappiamo fare meglio di noi. E noi abbiamo fallito? Forse; però di certo non ci siamo solo lamentati. Abbiamo cercato, tra l’altro, di spezzare il nostro isolamento, la subalternità del sud “arretrato” nei riguardi di un nord più “sviluppato”. Da giovane ho viaggiato ma poi ho scelto di ritornare nel sud, pagando caro in termini di isolamento il prezzo di questa mia scelta. Oggi la situazione del nostro mezzogiorno è completamente diversa da quella della nostra adoloscenza e della nostra giovinezza (anni sessanta/settanta), però tuttora molti sono costretti a fuggire da questoi luoghi.
Francamente non comprendo l’acidità di alcuni commenti. Cioè comprendo che la scelta di pubblicare una lettera privata può non piacere (non piace per certi versi neanche a me), ma bisognerebbe comunque avere rispetto. Rispetto di cosa? Di un padre e delle sue parole che, per quanto “untose” “pettinate” ecc, sono VERE ( di quella verità che esiste anche solo in virtù del legame genitoriale).
C’entra ben poco la letteratura, lo stile, la politica e tutte le altre cose intelligenti con le quali sono state alimentate alcune critiche.
“In un Paese che sta affondando e viene preparato ad un esercizio di disperazione , tu – oplà – ribalti la parola”.
Caro Arminio , sicuramente Ennio Abate avrebbe voluto sentire la parola “ribaltante” , quella della della sana incazzatura argomentata ( più prosaicamente rabbia civile ) estesa a un figlio e alle sue – pur non certo inerti – modalità di rapportarsi ad una situazione che ben conosciamo .
Queste parole non ci sono state , non ( credo ) per via di una linea “morbida” o peggio “supina” , ma semplicemente perchè sottintese , consustanziali al diverso “passo” di un diciassettenne che con i fatti dimostra una capacità di reazione non da poco : opporre alla negatività l'”umano” che ci hanno fottuto in questi ultimi beceri vent’anni . E’ una risorsa a cui guardare con rispetto .
In ogni caso attendiamo una lettera di riscontro del figliolo ; credo sarebbe gradita e utile a tutti .
leopoldo attolico –
In ogni caso attendiamo una lettera di riscontro del figliolo ; credo sarebbe gradita e utile a tutti .
leopoldo attolico –
mio figlio non ama la rete, ma gli propongo di scrivere.
a me pare che scrivere in pubblico una lettera a un figlio conteneva dei rischi che il testo ha felicemente schivato. c’è chi ci rimprovera la felicità di certi esiti, bisogna farsene una ragione.
Franco, sottrai te stesso e tuo figlio al ricatto di questi maestrini del cazzo che non sanno fare altro che ripetere come un mantra la stanca caricatura di se stessi: i “testimoni di geova” della terza internazionale. Oppure fatti dare una lista aggiornata delle opere d’ingegno e delle azioni sul campo (“politiche”, “di sinistra”) con cui hanno illustrato e riscattato la cultura e la società meridionale.
Che pena! Totalmente incapaci di uscire dai loro schemini mandati a memoria per decenni, senza i quali sono persi, smarriti per sempre: impossibilitati finanche a gioire della constatazione umanissima, elementare che, per fortuna, possono anche esistere dei ragazzi ai quali non frega niente non solo del grande fratello ma anche dei loro mondi di carta e delle loro rivoluzioni affidate a “versi civili”, carichi di sdegno, coi quali si addossano tutto il dolore degli umiliati e offesi della storia.
Ma non provare a chiedergli di lasciare le loro “sudate carte”, di andarli a cercare davvero gli “ultimi” della terra, proprio là dove muoiono deprivati di diritti e di dignità; oppure, di riempire le piazze, di difendere un campo rom, di abbattere un cie: nel vivo delle contraddizioni e dei conflitti reali – quelli sì *politici* – non li troveresti mai: ma sono già pronti a dirti, manuali alla mano, dov’è che sbagli, perché non hai capito niente, cosa dovresti fare….
E non preoccuparti: hanno una poesia già pronta per denunciare tutte le ingiustizie e le violenze del potere: quei versi che non leggerà mai nessuno, tanto meno i destinatari, sono il bagno lustrale nel quale sciacquano e purificano le loro coscienze *rivoluzionarie*.
fm
Quando diluvia anche le fm si possono sciacquare la bocca
Abate, scusa, ma te la sei presa? E perché mai? Tu non sei mica un “maestrino”, no, tutt’altro, tu sei un semplice commissario del comintern – fuori tempo massimo, ma vuoi mettere?
Piuttosto che perdere tempo a mandarmi a sciacquare nel diluvio (a proposito: una bella ripassatina non farebbe male nemmeno a te e ai tuoi interventi, magari si scioglie un po’ della patina di ridicolaggine autoreferenziale che vi accompagna), prepara una decina di link-pronti-all’uso: se il ragazzo dovesse davvero risponderti, sei già pronto a fargli l’esame di ortodossia e, all’istante, a rimandarlo ai sacri testi (i tuoi, beninteso) sui quali imparare le uniche verità che contano (le tue, beninteso).
Inutile dirti che ciò vale anche per qualche tuo letteratissimo compagno (sic!) di merende.
fm
io continuo a pensare che è una questione di sentire la lingua. alcuni vogliono essere scrittori ma la lingua non la sentono, tutto qui. non è un problema non sentire la lingua, ci si può comunque appassionare alle idee, si può comunque fare un lavoro intellettuale, che senso ha definirsi scrittori, volerlo essere a tutti i costi?
Franco, ma ‘sta lingua cos’è? Me la sento in bocca anch’io come te!
Piuttosto ci sono scrittori che si compiacciono fin troppo della propria lingua e scrittori critici anche della lingua (propria e altrui).
E poi ci sono quelli che la usano a vanvera.
La lingua non è proprietà dei primi o dei terzi. La lingua è di tutti.
Chi fa un “lavoro intellettuale” è scrittore, se scrive. Quanto il poeta o il romanziere (che usano di solito anche l’intelletto, se no non riuscirebbero neppure a mettere cinque parole in fila).
E la bellezza della lingua di Galilei ( o di Gramsci) non è inferiore a quella di un lirico.
Se pensiamo alla varietà di usi della lingua (anche solo scritta) e delle sue funzioni (Jakobson), questa tua subdola distinzione tra scrittori e non, tra alcuni che “vogliono essere scrittori”, non ci riescono e ssarebbero solo in grado di “appassionarsi alle idee” o di “fare un lavoro intellettuale” e altri che lo sono (per natura, per genio, perché Mammà o Dio li ha fatti così) viene meno. Appare miope difesa del bottegaio della scrittura. Ristabilire una gerarchia (politica) in contraddizione con i tuoi afflati democraticismi ( ma un po’ di Gramsci, oltre a Nietzsche l’hai letto?).
È in fondo la vecchia distinzione crociana tra poeti (lirici) ridotti a rabdomanti dell’intuito e scrittori ruminatori, costruttori di strutture cervellotiche e “inutili” (come quel poveretto intellettualoide di Dante ad es.). Ma siamo nel 2012, scrittore mio! E il Sud o l’Italietta di Croce non c’è più!
Se non prendessi subito come un’offesa personale ogni critica, se ne potrebbe discutere
da adulti e in pubblico senza suscitare temporali e far venir fuori dalle tane le fm.
O addirittura permettere che si ventili una mobilitazione dei figli a favore dei padri, che sfiorerebbe il ridicolo. Il mio intento è oggi puntare a una scrittura fortemente “politica”, che metta al centro *la polis che non c’è* e non l’ammirazione o l’autoammirazione dell’IO. E perciò, da “traditore del Sud”, ho tirato in ballo anche i “nuovi scrittori meridionali” come te ed altri e la piccola borghesia.
qui hai cambiato tono e allora potresti dire che il tono del primo tuo commento era totalmente sbagliato, anche dal tuo punto di vista, in questo non sei uno scrittore, nel senso che alla fine non riesci a dire bene le cose che vuoi dire. tutto qui
il linguaggio brunettiano liquidatorio intimidatorio del Sig. fm lo rivela per quello che è: un povero di spirito (per dirla con Gesù).
Linguaggio liquidatorio? Direi proprio di sì, visto il modello ispiratore (simil-pizzino):
“Le dò un consiglio: le lettere private le tenga private e le lettere pubbliche le metta in pubblico. Ci sono dei limiti, direi ontologici, tra pubblico e privato che, evidentemente Lei ha dimenticato. Farebbe bene a ricordarsene, anche perché delle sue questioni private tra Lei e il suo pargolo non veda come possano interessare le altre persone private. Non vorrei che altri milioni di padri e di madri decidessero di sbartterLe in faccia altre milioni di lettere private ai loro rispettivi pargoli. Ritengo che ci siano questioni di decenza che differenziano la decenza dall’indecenza della esibizione del privato in pubblico.”
E, comunque, sempre meglio la *tana* e la *povertà di spirito* che la questua quotidiana nei blog, vestiti di tutto punto da alternativi dei mie coglioni, alla ricerca di *accrediti* (mal dissimulati, tra l’altro) presso *color che contano e che sanno*. Peccato che qui, a quanto sembra, il *circolino* dei *coloro* è a numero chiuso ed esclusivamente per inviti (censura preventiva dei commenti e pubblicazione di indirizzi mail privati compresi nel decalogo istitutivo del club).
E la *corenza*, o mio eccelso critico di pataccari delle lettere? A puttane, a quanto pare: molto più facile fare il processo a un giovanotto e apostrofare padre e figlio con irridenti *cotanto genitore* e *creatura divina*.
Sì, siete semplicemente indecenti.
Addio, giuggioloni.
fm
la letteratura è questione di intonazione. io non mi sognerei di prendere in mano una chitarra. certi scrivono come io potrei suonare la chitarra….
quanto a fm
caro giorno
a me la sua lingua pare ben accordata a quello che voleva dire. tu puoi non convenire
ma cose si fa a dire che è la lingua di un povero di spirito? ecco, in una riga, ancora una volta un uso maldestro della scrittura
Franco ha fatto bene a pubblicare la sua lettera al figlio, altrimenti non saremmo qui a discutere, però per semplice spirito polemico si rischia di allontanarsi dai temi affrontati. Se lui vuole assegnarle un valore letterario è libero di farlo, ma io non mi ritrovo nelle sue idee. “Sentire la lingua” non deve significare l’affermazione di una visione idilliaca e distorta della realtà e della storia, anche se occorre ripensare l’idea che avevamo noi della “questione meridionale”. Tanto per fare un sempio: io ho tre figli sparsi per l’Italia e per il mondo che ritornano spesso in Calabria ma se per quelli della mia età emigrare significava vivere ed affrontare un evento traumatico oggi per loro emigrare assume un valore anche positivo perchè hanno la possibilità di conoscere altri paesi, altre culture, ecc. ecc.
PROCESSO 2012 A UN “NON SCRITTORE”
con appendice 2006
ESAMINATORE – Lei è uno scrittore?
SAMIZDAT – Beh, sì…
ESAMINATORE – E perché?
SAMIZDAT – Oh bella, perché scrivo.
ESAMINATORE – Non basta. Lei scrive di getto o no?
SAMIZDAT – A volte di getto, a volte no.
ESAMINATORE – Non basta. Gezzi le cose che lei scrive le ha notate o no?
SAMIZDAT – Gezzi? No, lui no. Ma qualcun altro sì.
ESAMINATORE – Non basta. Lei sente la lingua?
SAMIZDAT – Beh, si. Come farei a scrivere senza sentirla?
ESAMINATORE – Ma nella sua lingua c’è una qualche luce o la sua lingua è inerte?
SAMIZDAT – No capisco bene la domanda. Io nella mia lingua cerco di metterci buoni pensieri e di adeguare le cose alle parole.
ESAMINATORE – Non basta. Ha mai prodotto qualche turbamento in Franco Arminio?
SAMIZDAT – Beh, sì. Non di quelli a lui graditi, però, come i gridolini di godimento dei suoi fan.[*]
ESAMINATORE – Non basta. Ha mai ricevuto straordinarie recensioni? Ha un piccolo e affezionato nucleo di lettori?
SAMIZDAT – ‘Straoridinario’ non è un aggettivo che amo o mi s’addice. Un po’ di lettori pensanti ce l’ho però.
ESAMINATORE – Non basta. Ha mai scritto una lettera a un figlio?
SAMIZDAT – Sì, anzi molte.
ESAMINATORE – Ma in pubblico e schivando felicemente i rischi di tale operazione?
SAMIZDAT – Per carità. Questi rischi ambigui li lascio ad altri.
ESAMINATORE – E allora non basta. Lei non può definirsi scrittore, anche se vorrebbe esserlo a tuttti i costi. Lei può essere un semplice appassionato di idee e un travet dell’intelletto. Non ha superato l’esame per essere dichiarato scrittore.
– Ma lei chi è ? Kafka, Joyce, Proust, Pessoa…?
ESAMINATORE – No, non bastano neppure loro. Bisogna essere approvati da Franco A…. io, io, io!
NOTA [*]
Nel 2006, scrissi un “trenta righe” per POLISCRITTURE su una recensione dI Gilda Policastro a *Il circo dell’ipocondria* di Arminio.
Ero ancora in contatto mail con lui. Che mi chiedeva di leggere i suoi libri in bozze per avere un parere anche da un “non scrittore” come me. Fu così “turbato” da quelle mie “trenta righe”, che gli avevo anticipato, che per non dispiacergli troppo e dimostrargli la mia amicizia, allora non le pubblicai.
Lo faccio adesso, nel 2012, che ha editorialmente le spalle più coperte e fans a sufficienza; e certe punture non dovrebbero più turbarlo. [E.A.]
P.s.
Una mia riflessione più approfondita sul medesimo libro è leggibile qui:
Su Franco Arminio, Circo dell’ipocondria, Le Lettere, Firenze 2006
http://immigratorio.blogspot.it/2011/07/su-franco-arminio-circo-dellipocondria.html
***
TRENTA RIGHE 2006
Poeta paesologo, ancora un salto!
di Ennio Abate
Bersagli s’intitola la rubrica di *Alias* N. 48 del dic. ’06, dove Gilda Policastro presenta il libro appena uscito di Franco Arminio, *Circo dell’ipocondria*.
Che, come sostiene la Policastro, sia davvero «malato, ossessivo, paranoico» il personaggio Arminio e l’autore sospettabile di essere suo «stretto parente» è un’ipotesi da prendere più o meno seriamente in considerazione. Ma perché io, eventuale lettore del libro, potrei, anzi, *dovrei* essere – sempre a detta della Policastro – simile al personaggio o all’autore?
Andiamoci piano. In quanto lettore, posso non dico sentirmi sano, ma almeno rivendicare altre malattie, altre ossessioni, magari altri tipi di paranoia: un po’ di pluralismo in campo psichiatrico mi pare doveroso, anche se oggi Basaglia è stato dimenticato.
E, pensando ad Abu Ghraib o ad altre macellerie quotidiane, sorrido amaramente del terribilismo di chi mi sussurra minaccioso dalle sue pagine: «ti potrebbe capitare di passare le ultime ore della tua vita guardando una mela e una bottiglia d’acqua sul comodino». Volesse il cielo, direbbero tanti irakeni e palestinesi; e magari anch’io!
Non scorgo nulla di «affratellante» nella scrittura di Arminio che avrebbe (beato lui!) «due soli ma grossi problemi e cioè il primo è che potrebbe morire da un momento all’altro, il secondo è che prima o poi morirà». Una banalità così ben travestita da paradosso e da pensiero nobilmente negativo cosa ha di «anticonvenzionale»?
La cosa che più stupisce nella recensione della Policastro è il salto che fa affermando che chi «si accanisce, con ossessivo e patologico ripiegamento egotico, a cercare in un universo asfittico le proprie risposte al senso della vita» diventa un «paesologo» (cioè – credo di capire – un esperto di paesi, come un teologo lo è di dio e uno psicologo della psiche) e arriva persino a «un fondato discorso di avvicinamento sociale» (più banalmente – intendo io – ad accorgersi degli altri attorno a lui).
Ora dopo aver letto il libro due sono le cose: o la “paesologia” di Arminio è una semplice prosecuzione della sua personale ipocondria. Oppure la sua ipocondria per vie traverse e sfuggenti aggredisce (nel senso di ‘accostare’, ‘avvicinare’) una ipocondria sociale, quella dei paesi del Sud terremotati.
In questo secondo caso, la faccenda si fa interessante. Se Arminio (personaggio/scrittore ipocondriaco) riesce a fare della sua personale ipocondria o tanatofobia un veicolo che apre alla comprensione della “malattia” dell’Irpinia «friabile», la terra da cui proviene, aggiunge ai «due soli ma grossi problemi» anche quelli degli altri e delle altre (altrettanto grossi): come la disoccupazione, il disastro ambientale, ecc., sui quali Agostino Pelullo, suo compaesano, ha richiamato l’attenzione sul n. 1 di «Poliscritture». E allora può darsi che entrambi – lui e i paesi – si guardino negli occhi. Arminio chiederà ancora: «Voi non li avete questi problemi? Oppure li avete ma non pensate sia il caso di parlarne?». E (credo, spero) i paesi gli controbatteranno: «Ma tu *questi problemi* (ricerca di un lavoro, provvedimenti per rendere meno «friabile» l’Irpinia e la condizione della sua gente, ecc.), non li vedi? Oppure li vedi ma pensi che non sia il caso di parlarne?».
L’ipocondria di lui, dei paesi terremotati (e forse un po’ anche nostra) si scioglierà e diventerà dialogo, argomentazione politica meno estetizzante di quella che pare d’intravvedere attraverso il filtro della recensione di *Alias*.
al Sig. fm,
Il Suo frasario: “alternativi dei miei coglioni”, “mio eccelso critico di pataccari delle lettere”; “A puttane”; “vestiti di tutto punto da alternativi dei mie coglioni”, le ripeto, lo rivela per quello che è. Lei utilizza l’insulto perché privo di argomenti. E se non sa distinguere il “pubblico” dal “privato”, questo è un problema Suo. Il Suo maldestro linguaggio brunettiano è consustanziale al Suo livello intellettuale. Il Suo linguaggio lo rivela, ho detto, quale «un povero di spirito» (in senso evangelico).
che MALE ha detto fm? nessuno. fm ha detto bene. anzi: ha detto il bene. e il bene non parla bene. (e Bene avrebbe parlato anche *peggio* di così).
un figlio, anzi un nipote, risponde già. parla alla fine di Più luce, padre di Buffoni: parole più *sante* delle parole dello Zio letteratissimo occidentalissimo universatissimo ecc.
Soggiorno da alcuni anni nel paese di Bisaccia a seguito di un evento sportivo che mi ha consentito di conoscere il paese e la sua gente, infatti ho un figlio giovane calciatore ex FG calcio che ha eserdito in eccellenza Bisaccese. Sono di origini familiari bracciantile di padre e montanaro di madre(savignano), genitori che hanno buttato sangue per tutta la vita per vivere(che significava allora mangiare). Sono il loro primogenito , lasciato in custodia ad una famiglia signorile(per dire) del posto(orta nova) presso cui mio padre offriva le sue 14 ore di lavoro sotto il sole cocente della capitanata. Presso questa famiglia ho conosciuto la biblioteca di un loro antenato,che mi stupiva e che desideravo saper cosa dicevano della vita degli uomini in privato e in società).Ho proseguito gli studi grazie al loro interessamento, perchè allora il figlio di un bracciante non doveva proseguire gli studi; ho conosciuto la vita privata dei signori, ho conosciuto la vita privata e sociale dei miei parenti a savignano con gli animali in casa e il cesso sulla ripa(dove c’era la fame!).Sono emigrato a Milano , lavorando per poche settimane presso importanti studi di architettura, poi a seguito del disprezzo smascherato rispetto a quello dei signori di Orta Nova, sono ritornato nel mio paese convinto di impegnarmi a contribuire alla crescita della mia terra ed ho iniziato ad esercitare la professione di geometra. Eletto poco dopo consigliere comunale dell’allora pci di Berlinguer, mi sono dedicato anima e corpo allo studio(interdisciplinare , come era allora abitudine) e alla lotta per la trasformazione democratica della gestione della cosa pubblica ;ho fatto per breve periodo l’esperienza di amministratore nel campo della casa e della sanità ;dopo di che le dimissioni da consigliere e il dissenso organico e generalizzato sul degrado della Sx. Partecipo dopo 10 anni alla ricostruzione del pc., divenendone presidente provinciale:fine anche di questa deludente esperienza. Ora sono pensionato, potrò continuare a leggere i tanti libri acquistati al posto dei vestiti e a confortarmi,nutrirmi e confrontandomi con i tanti intellettuali, ormai dispersi e senza più egemonia e ruolo nella progettazione del futuro. Qui, in bisaccia, vengo avvicinato da Arminio, incuriosito della mia presenza anonima e tranquilla davanti ad un Bar, chiedendomi chi fossi e che ne pensassi di Bisaccia. Avrò fatto qualche descrizione immediata sia sul paesaggio urbano e territoriale sia su quello umano, ricevendo il suo apprezzamento per la fotografia. Ora sto cercando di meglio conoscere l’ intellettuale Arminio(premetto che sono stato affascinato da Silone,Gramsci,Pasolini,ecc.ecc.) che tanto odio e amore prova per la sua terra e per la sua gente. Non ho ancora gli elementi sufficienti per farlo, però credo che i suoi concittadini non meritano un giudizio così sprezzante da parte di uno che si definisce intellettuale:non è costume morale e civile di un uomo di cultura attribuire alle genti la responsabilità del loro modo di essere; un intellettuale deve denunciare i veri responsabili storici di tali condizioni antropologiche, deve avere il coraggio di mettere sotto severa critica la chiesa del suo paese, oltre che la politica democristiana! E poi la pedagogia del padre assente(come me):che dire! Che cerca con una lettera di stabilire un legame d’amore(anche intellettuale) con il figlio. No ,alla morte di mio padre che non mi ha mai una dato una carezza in vita, ho scoperto quanto mi ha dato come esempio di vita senza quelle parole che l’Arminio sa usare. Attenzione, però, ho frequentato per anni Niki Vendola:il poeta della politica,da quando ha conquistato non conosce più nessuno dei vecchi compagni che tanti sacrifici personali e familiari lo accompagnavano nella lotta per una società migliore:è rimasto solo un racconto! Mi fermo qui perché come ho detto l’Arminio merita attenzione e riflessione:ci sono aspetti personali di sofferenza che meritano rispetto e mi auguro facciano bene alla sua scrittura . Condivido le critiche, ammeso che li sopporta,fatte da ennio Abate(che non so chi sia).Però attenzione: La Sinistra che non c’è più e che dovrà ripartire, dopo una severa autocritica ed analisi della nuova realtà,credo che non può affidarsi a poeti e scrittori come l’Arminio, che sono alla ricerca di qualcosa di non ancora definibile con se stessi e con il mondo. Ne credo faccia bene a lui, quale scrittore, accettare le lusinghe di un PD alle ricerca di facce nuove.
Gentile Antonio,
quando ho letto questo suo commento mi sono ricordato di Danilo Montaldi.
Avendolo conosciuto, me ne sono occupato qui: “Danilo Montaldi riletto nel 2006. Elogio di un compagno periferico”:
http://www.backupoli.altervista.org/article.php3?id_article=50&var_recherche=danilo+montaldi
Me ne sono ricordato, perché sarebbe piaciuto anche a lei. Fu autore di un libro straordinario, “Militanti politici di base”, dove raccolse le storie ragionate di tanti militanti del PCI già delusi dal togliattismo degli anni Cinquanta.
Le sarebbe piaciuto, perché lui la gente con storie vere come la sua la FACEVA PARLARE, RACCONTARE senza sovrapporvi, come oggi fanno soprattutto molti giovani autori “impegnati”, la propria immagine.
Prima ancora aveva fatto un altro libro, “Autobiografie delle leggera”, raccogliendo le testimonianze vivissime degli “emarginati” della sua zona, il cremonese, al momento del passaggio dell’Italia da paese agricolo a paese industriale.
Le sarebbe piaciuto, perché faceva, appunto, una cosa strana (oggi): l’inchiesta.
E con un suo metodo che chiamò ‘conricerca’: lui, l’autore del libro e il suo interlocutore, il testimone che si raccontava, si riconoscevano pari dignità, riflettevano insieme su una storia comune e costruivano il libro incontrandosi e parlandosi a lungo, registrando con il magnetofono, ricontrollando la trascrizione, ecc.
A suo tempo ho cercato invano di suggerire al suo bisaccese “paesologo” questo metodo. Ha fatto orecchie da mercanti. Ma forse lui, avendo fiuto (editoriale), ha capito che fare oggi conricerca non lo avrebbe fatto apprezzare dal ceto medio semicolto e dagli editori che vogliono altre storie, quelle con la “luce” dentro.
Mi piacerebbe, comunque, raccogliere io la sua storia come faceva Montaldi. Se è interessato, può farsi dare il mio recapito mail dalla redazione di Le parole e le cose e così ne parliamo. O lasciarmi un messaggio a: poliscritture@gmail.com
Comunque, da vecchio a vecchio – lasci perdere i Vendola, Rifondazione e il PD.
Da lì non ripartirà nessuna sinistra.
Per Antonio:
Caro Antonio, da vecchissimo a vecchio, lasci perdere… lasci perdere tutto… e si affidi a Ennio: ENNIO ABATE, e vedrà che si troverà bene, le dirà dove sbaglia e perchè e perchè e dove, e dove e perchè e quando… non si aspetti tuttavia un elogio alla sua esemplare lettera, a ciò che essa dice, senza mediazioni… non me ne voglia Ennio. Un’altra cosa Antonio, quando incontra Franco ci parli ancora, sa ascoltare, mi creda.
Per Franco: fai gli auguri a Livio da parte mia.
Adelelmo
Mentre sulla pars destruens siamo grossomodo tutti d’accordo, la pars construens e’ davvero complicata. Gli scritti di Arminio, tuttavia, hanno una giustificazione comunitaria e una forma propria, il che non e’ poco: ce n’e’ sia per le cose che per le parole. Saluti. GiusCo
Per Il fu GiusCo:
Ha mille volte ragione, la pars construens è complicata, e quando mai non è stato così, ma da qualche pars toccherà cominciare. Confidare allora nelle giovani generazioni, crederci, mi sembra un passaggio fondamentale. Lo dico da vecchio e da padre. Un cordiale saluto Adelelmo Ruggieri
@ Adelelmo
No, stavolta te ne voglio per il piccolo strale maligno che mi lanci. Certo, l’amicizia ha le sue gerarchie e posso capire che stai dalla parte di Franco. Ma dipingermi come un saccente a caccia di adepti è sciocco ed è una tua proiezione.
Il mio elogio ad Antonio Staffiero è implicito nelle cose che gli ho scritto. E non l’ ho certo invitato a togliere il saluto a chicchessia.
Io non sento il bisogno di infilare un complimentuccio sotto ogni post come voi fate o fare “esercizi di ammirazione” a pie’ sospinto *inter vos*.
Le mie critiche (innanzitutto *politiche*) a Franco sono dialoganti e argomentate. Potrebbe controbattere ed entrare nel merito. Ma preferisce fare lo struzzo o rispondere per aforismi laconici e alteri. S’è scelto brutti maestri e forse anche brutte compagnie. E sono uno dei pochi (o forse il solo) che fa la fatica di dirglielo.
Un saluto ringhioso a te e a lui.
Per Ennio:
Caro Ennio, il mio non era uno strale, non era un ringhio, ma quando ho letto come chiudevi: lasci perdere etc etc mi è venuto, di getto, quanto ho scritto. Il rapporto di quantità fra le parole è qualcosa di molto importante. Se io dico venti parole per dire ciò che so dire, e tu ne dici mille succede qualcosa che non si capisce. E “il dialogo” salta a quel punto. E non ho scritto quel breve commento sopra per stare dalla parte di Franco o dalla parte di non so chi. L’ho scritto, questo sicuramente, per stare dalla parte di chi è giovane oggi, in cui la regola, non l’eccezione, è che arrivi a quaranta anni e ancora è tutto incerto.
Per noi non è stato così. Io non ho detto che tu sei a caccia di “adepti”, parola francamente difficiele a leggere, è una tua proiezione. E non ho detto che hai invitato a togliere il saluto a chicchessia. Ho detto ad Antonio che Franco sa ascoltare. Perchè penso che è così. Il mio non è un “esercizio di ammirazione” “inter nos”. E infine non mi piacciono per niente le parole: “gerarchie”, “brutti maestri e brutte compagnie”. E ora sono dispiaciuto di avere scritto più parole di quante ne hai scritte tu appena sopra. Ma non saprei quali togliere. So solo aggiungere un cordiale saluto per te, buona giornata, Adelelmo
Non credo che ci siano persone capaci di dirmi ciò che è giusto e ciò che è sbagliato! Quindi eliminate queste considerazioni che fanno disonore a chi le avanza. Non sapete quante persone intellettualmente attrezzate ho conosciuto nella mia vita e quanti lavoratori ho ascoltato. La sx , anche quando era egemone e aveva punti di incontro per decidere il che fare, ha sempre trascurato e strumentalizzato il rapporto umano, il disagio vero delle persone; capisco che la politica guarda oltre, ma credo che si debba iniziare dal basso a costruire un’alternativa di società umana, fondata sul rispetto , sulla comprensione e sulla concreta solidarietà (onesta, vera). Ho scoperto ora che di Abate ho letto qualcosa su Sinistrainrete, sito interessante per il livello e la pluralità degli interventi. In sintesi Non si può accettare di sostituire il potere economico(padronale) con il potere Culturale o quello burocratico. Bisogna che la cultura si metta a servizio della comunità e non a suo dominio! Avast.
Per quanto a me non volevo assolutamente dirle ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. E quali sarebbero le affermazioni che fanno disonore – accidente che parola, come dire, un po’ forte – a chi le avanza? Nel mio caso ho detto solo, dentro un dialogo, come penso sia essere questo, che il suo commento mi era apparso esemplare per quanto diceva, senza mediazioni. Questo ho detto. E poi mi sono rivolto a Ennio, tutto qui. E Ennio ha detto delle cose, e io gli ho risposto. Il suo commento non c’entrava più. Resta il fatto che se giudica improprio che io mi sia rivolto a lei, tanto cordialmente, per me non c’è davvero problema a togliere i due commenti appena sopra. Un cordiale saluto. Adelelmo Ruggieri
Le mie critiche (innanzitutto *politiche*) a Franco sono dialoganti e argomentate….
caro abate definire in questo modo il tuo primo intervento è un’altra prova che non sai scrivere. perché se volevi fare questo dovevi scrivere in un altro modo. riprovaci e discuto con te volentieri.
adelelmo ruggieri è persona cordiale e poeta notevolissimo.
Si potrebbe sintetizzare in questi termini: uno scrittore affermato (Arminio), che gode di solito, forse perché “paesologo” (e dunque “altro” per definizione), di un consenso pressocché automatico qualunque cosa scriva, incorre in un errore umano, comprensibile per chiunque sia papà: pubblica sul sito una lettera familiare, una sorta di sapiente biglietto di auguri a suo figlio. Dopo qualche reazione di prammatica (i soliti omaggi), qualcuno inizia a esprimere dubbi: ma siamo certi che un blog – per giunta un blog come questo – sia il posto adatto per scrivere ai propri figli? Non è che adesso ogni collaboratore prende spunto per scrivere alla fidanzata, alla nonna o magari alla buonanima del padre?
Si inserisce nel dibattito l’ineffabile Abate. Che di tempo da perdere deve averne parecchio – beato lui –, visto che sta sempre a commentare, correggere, stigmatizzare. Non c’è banalità sentenziosa che gli sia estranea, non c’è ambito di pensiero in cui non ritenga di dover esprimere il suo prezioso verbo. Gli altri, alla fine, preferiscono non replicare per stanchezza e, soprattutto, perché è un po’ quel che accadeva da piccoli, quando c’era il bambinone che voleva avere sempre ragione: si finiva per dargliela, purché smettesse di frignare…
gentile gabriele, io sono uno dei redattori di questo blog, ma non ho mai postato nulla, perché non ho capito come si fa.
la lettera mi ha chiesto di metterla gezzi che l’aveva vista altrove. e a me ha fatto molto piacere, perché mi fido di gezzi.
BOLLA ARMINIANA
Ut demostratum sit scriptor esse
omnis antistes [1] subscribere debet
totas ineptias [2] scriptas cotidie
ab Pontifice Arminio
*Note a cura di Samizdat
[1] Sta per ‘sovrintendente’, ‘sommo sacerdote’
ma qui più semplicemente per ‘Abate’
[2] In lat. volgare ‘coglionates’