Per la prima volta, un dirigente del Pd chiede apertamente di votare subito. Da tempo si parlava di tensioni dentro il partito, di posizioni che volevano chiudere in anticipo l’esperimento Monti. Ma tutto era rimasto sempre sul terreno delle voci, smentite con costanza da un gruppo dirigente che, contrariamente al passato, si è mostrato piuttosto coerente nelle prese di posizione pubbliche. Poi all’improvviso Stefano Fassina, responsabile Economia e Lavoro della Segreteria Nazionale, sostenuto da Bersani, in primo piano nello scontro sull’articolo 18, chiede senza mezzi termini di andare a votare in autunno.
La sua richiesta dà voce a una posizione sempre più diffusa, in questi ultimi giorni. La richiesta di voto anticipato, prima più presente negli ambienti del centrodestra, ora circola abbondantemente a sinistra. Il governo Monti ha fallito, si dice: non riesce a portare il paese fuori dalla crisi finanziaria, pur avendo imposto provvedimenti pesantissimi che penalizzano soprattutto i gruppi sociali più deboli, e quindi, elettoralmente, la sinistra; non è capace di promuovere reali politiche di crescita economica; è stato sconfitto in alcune riforme, come le liberalizzazioni, che avrebbero potuto colpire gruppi privilegiati; è bloccato nella sua iniziativa politica, perché non riesce a promuovere altre riforme come i tagli dei costi della politica, le leggi contro la corruzione, ecc.; è ostaggio di un Pdl litigioso e pronto a far saltare il banco, che blocca la riforma elettorale con pretestuosi progetti di riforma costituzionale. Dall’altro lato, il centrodestra è alla bancarotta elettorale, mentre il centrosinistra in qualche modo resiste. Un voto a breve permetterebbe quindi alla sinistra di intercettare i voti che si spostano verso la protesta, astensionismo o Movimento 5 Stelle, proponendo un programma di politica economica antiausterità, per lo sviluppo, con una tassazione sui grandi patrimoni e la correzione degli eccessi liberisti del governo Monti (vedi riforma delle pensioni).
Il Pd ha prontamente smentito le dichiarazioni di Fassina, e si è ricompattato intorno a un piano di marcia che prevede, in autunno, le primarie, in vista di elezioni alla fine naturale della legislatura. Il disagio però è sempre forte, perché i partiti in Parlamento danno pessima prova di sé (vedi nomine Agcom e caso De Gregorio), e il governo fa fatica a riprendere l’iniziativa. Nei salotti televisivi, ora, è normale discutere di date: si vota in autunno o si vota l’anno prossimo?
Se si guarda la situazione con lucidità, queste discussioni sembrano condotte in una dimensione onirica, del tutto staccata dalla realtà. La scelta di votare subito è suicida, per la situazione economica del paese, in generale, e per la sinistra in particolare. Vediamo perché.
1. In primo luogo, votare in autunno significherebbe entrare adesso in campagna elettorale e bloccare del tutto la già debole iniziativa del governo. Questo vorrebbe dire lasciare a metà le riforme intraprese per riordinare la finanza pubblica. Nello specifico, la revisione di spesa verrebbe definitivamente accantonata. Ora, tutti strillano che paghiamo troppe tasse, ma l’unico modo per diminuire la pressione fiscale è ridurre la spesa, facendolo però in maniera intelligente, non con i tagli lineari alla Tremonti, che hanno solo creato disservizi nella scuola, nell’università e nei trasporti pubblici, per citare tre esempi. Anche i piani programmati di investimenti in infrastrutture verrebbero bloccati, così come qualsiasi tentativo di semplificazione amministrativa. Conseguenza: avremmo un bilancio e un debito di nuovo del tutto fuori controllo, e subiremmo ben più di adesso la pressione dei mercati finanziari. La minima libertà di azione, rispetto a questi, che ci siamo ritagliati da dicembre, sarebbe ridotta a niente.
2. Tutti sanno che la crisi economica e finanziaria degli stati europei non può essere affrontata a livello nazionale. Nessuno stato europeo riesce a condurre una politica anticiclica senza finire sotto gli attacchi della speculazione finanziaria. Perché, come ripetuto infinite volte, il male è strutturale: la moneta unica non è sostenuta da un debito pubblico europeo e da una unione politica. Il governo Monti ha, anche grazie al sostegno di Hollande e di Obama, iniziato un percorso che può portare a una maggiore integrazione. Ma in questo momento il nostro governo ha una qualche capacità di azione; se andassimo a elezioni saremmo all’improvviso tagliati fuori, nell’attesa di vederne l’esito. La possibilità di costruire una politica economica comune di investimenti e di protezione dei debiti pubblici sarebbe rinviata, mentre siamo in una delle fasi più acute della crisi. L’Italia si aggiungerebbe alla Grecia come sorvegliato speciale e potenziale elemento di destabilizzazione.
A quest’ultimo punto si potrebbe obiettare: la politica economica europea è necessaria, ma facciamola da sinistra, non con questo esecutivo di pseudo unità nazionale che colpisce solo i più deboli. Quindi votiamo subito e mandiamo al governo un’alleanza di sinistra che proponga una politica europea anticiclica, che colpisca i redditi più alti e le rendite finanziarie. Insomma, facciamo come in Francia, si dice. Bella idea, certo, ma piuttosto irrealizzabile in Italia adesso, per le ragioni che seguono (e che aggiungo alla lista).
3. La situazione elettorale italiana è estremamente frammentata, lo ha dimostrato abbondantemente il voto amministrativo. Anche supponendo una vittoria del centrosinistra, oggi le elezioni politiche porterebbero nel migliore dei casi a una Camera conquistata per un pelo con il premio di maggioranza, e a un Senato ingovernabile, dato che lì il premio di maggioranza è regionale. Inoltre, votare con questa legge elettorale, a liste bloccate, magari con l’intenzione malcelata di sfruttare il meccanismo dei premi di maggioranza per portare il centrosinistra alla vittoria, aggraverebbe pericolosamente l’odio contro la politica dei partiti, ci sarebbe molta astensione e molto voto “punitivo”, certamente a favore del Movimento 5 Stelle. Tutto il contrario di quello che si vuole, dal punto di vista della politica interna. E dal punto di vista della politica economica europea, saremmo di nuovo tagliati fuori da ogni decisione, in questo marasma.
4. La paralisi dell’azione di governo non è dovuta al governo stesso, ma ai partiti, è sotto gli occhi di tutti. Sono i partiti che si sono suddivisi ignominiosamente le cariche dell’Agcom, e stanno per lanciare l’assalto alla diligenza del Consiglio di amministrazione Rai; sono i partiti che hanno salvato De Gregorio dalla richiesta di arresto; sono i partiti che continuano a rallentare provvedimenti che dipendono interamente da loro, come la riforma elettorale o la legge anticorruzione. Allora a che cosa serve andare a elezioni anticipate in queste condizioni? A consegnare il paese a forze politiche che si muovono irresponsabilmente per i loro interessi di bottega, invece di farsi carico dell’emergenza nazionale. Al contrario, bisognerebbe costringere i partiti a entrare nell’esecutivo Monti, e a governare l’emergenza, invece di lavarsene le mani e sostenerlo come per sbaglio, anzi vergognarsene.
5. Altra grave controindicazione. Il quadro tracciato al punto precedente presuppone ingenuamente che il centrosinistra (nella formula Pd-Idv-Sel, detta “della foto di Vasto”) possa andare al voto unito e vincente. Questo perché si tratta dell’opinione dominante tra quanti propongono le elezioni subito. Pia illusione. La sinistra, oggi, è divisa su quasi tutto. Non a caso l’Idv fa sistematicamente opposizione in Parlamento. Non si vede come si possa, in poche settimane, costruire una proposta elettorale unitaria, se non con equilibrismi poco credibili, destinati a far crescere ulteriormente la cosiddetta “antipolitica”. E tutti si chiederanno: questo centrosinistra senza centro politico sarà capace di governare? L’esperienza del 2006-2008 ha lasciato il segno per sempre, ricordiamolo.
A tutto questo si risponderà: nel frattempo, mentre ci teniamo questo governo che fa politiche di austerità e resta in parte sotto il ricatto del Pdl, il populismo si rafforza sempre più, la protesta diventa sempre più antipolitica e premia i grillini. Ma, come abbiamo visto sopra, anche le elezioni anticipate possono avere questi risultati, e a breve. Rispondo quindi con queste ultime considerazioni.
6. Il voto amministrativo (e anche in parte il voto in Grecia) ha punito molto di più la cattiva politica che la politica di austerità. Altrimenti il Pd, che è in definitiva è stato il più onesto sostenitore della politica di emergenza e di correzione dei conti, sarebbe stato punito duramente, e così non è stato. L’Italia, per il momento, e nonostante i sacrifici fatti, ha pagato molto meno di altri paesi che hanno subito la crisi finanziaria. Da noi non si è arrivati a tagliare gli stipendi dei dipendenti pubblici, a fare licenziamenti in massa nella pubblica amministrazione, ecc., come si è fatto in Grecia, Spagna e Portogallo. Questo perché, nonostante il ritardo, il nostro governo è intervenuto prima che accadesse il peggio, e poi anche perché è un governo di coalizione nazionale, che dà stabilità politica. Invece, da quando, negli ultimi due mesi, questa stabilità si è indebolita perché i partiti (soprattutto il Pdl), guardando solo al loro tornaconto elettorale, cercano di smarcarsi da quello che fa il governo, la situazione del nostro debito pubblico è peggiorata. Tutto questo mostra che il populismo non si combatte con fughe in avanti destinate a cadere nella propaganda del centrodestra, che attizza lo scontento contro le tasse per definizione, perché è la base di consenso del suo elettorato. Il populismo si combatte in primo luogo con la buona politica e rimettendo in sesto la struttura dello stato. Inoltre, abbiamo capito ormai che quello che viene chiamato populismo non è solo tale: in Italia il Movimento 5 Stelle esprime anche un grande bisogno di cittadinanza, di partecipazione politica. Se si trattasse solo di mal di pancia contro la politica di austerità, in forma di ripiegamento populista e identitario, la Lega ne avrebbe tratto vantaggio, invece le ha prese di santa ragione.
Quindi, in conclusione, che fare? Una sinistra non autolesionista dovrebbe darsi questo programma di lavoro: perseverare nella lotta contro l’emergenza finanziaria ed economica, mantenendo una politica di rientro del debito pubblico e controllo della spesa pubblica; promuovere una Unione Europea Federale; cercare di contribuire al riordino del sistema politico italiano.
Più in dettaglio, questo significa: una campagna contro gli sprechi nell’amministrazione pubblica, e in particolare della politica; sostenere e rilanciare una politica europea di sviluppo, rafforzando il governo Monti in questo senso; su questo terreno, mirare a un rafforzamento delle istituzioni europee, e mettere al centro un progetto di Unione Europea Federale, con un Parlamento con vero potere legislativo, l’unico modello possibile per garantire stabilità all’Europa nel futuro; colpire con durezza la corruzione politica, accogliendo senza ambiguità le istanze che vengono dalle forze politiche collocate più a sinistra e dalla società civile (questo è il più grave limite del Pd, non sapere accogliere queste richieste); puntare a razionalizzare il sistema politico a sinistra, identificando le aree di convergenza tra Pd, Sel e Idv in vista delle elezioni, e, una volta individuate le aree di divergenza, semplificando il quadro (perché a sinistra del Pd devono esistere n tendente a infinito partiti che hanno tutti più o meno le stesse idee?); sostenere tutti, a sinistra, con forza, la riforma delle legge elettorale con un sistema uninominale a doppio turno.
Nel complesso, in questa fase di transizione, bisogna riaffermare l’idea che siamo in un momento di emergenza nazionale, che richiede la collaborazione di tutti. Pensare che stiamo attraversando una crisi politica qualunque, e che ogni forza politica possa semplicemente muoversi secondo le sue coordinate tradizionali, è una follia. È proprio questo che distrugge la politica e fa dilagare il qualunquismo. Eppure proporre a cuor leggero le elezioni anticipate vuol dire ragionare così. L’emergenza c’è, questa crisi finanziaria è come una guerra. A novembre già si sentiva parlare del timore per i risparmi, i lettori dei giornali economici scrivevano ai siti e alle redazioni chiedendo se fosse sicuro continuare a tenere i propri soldi in banca. Dopo ci siamo sentiti più sicuri. Ma adesso in Grecia sta succedendo proprio questo: i risparmiatori ritirano i soldi dalle banche. E si parla di un rischio simile anche per la Spagna. Dove vivono quelli che propongono, come se potessimo permettercelo, di votare subito? Dove tengono i soldi?
(Torino, 7-9 giugno 2012).
[Immagine: Aula di Montecitorio (gm)].
Piccoli appunti di logica:
Se un governo peggiora le condizioni di vita generali, e quelle dei “proletari” in particolare, essere di sinistra vuol dire opporsi a detto governo. Tutto il resto, sono sofismi di chi non riesce a prendere atto che il suo posizionamento politico non ha niente a vedere con l’essere di sinistra.
Se poi per “sinistra” intendiamo anteporre gli “interessi nazionali” a quelli dei “proletari”, allora non sono di sinistra. Tutto il resto, in questo caso, sono sofismi di chi è intenzionato a gestire la società continuando a peggiorare le condizioni di vita generali, e quelle dei “proletari” in particolare.
La crisi è la crisi è la crisi è la crisi. La sinistra cos’è?
La sinistra avrebbe, o dovrebbe avere, un unico obiettivo: uscire dalla crisi economica del liberismo con ricette di sinistra (diritti, concertazione, patrimoniale, redistribuzione etc).
La borghesia italiana, che è la borghesia più visceralmente reazionaria del mondo, teme un governo trainato dall’attuale dirigenza del PD, che nonostante tutte le rassicurazioni centriste è considerata legata a doppio nodo con il sindacato CGIL, più di ogni altra cosa. Più del caos, più dell’emergenza, più dell’anarchia e più della dittatura.
Il governo Monti è già stato un colpo di mano per evitare che delle elezioni anticipate portassero al governo una coalizione fortemente condizionata dalla sinistra (con un PD cardine, il cui responsabile economico è il filo-FIOM Fassina, della sinistra interna) e con una sinistra esterna consistente.
Il lancio del movimento di Beppe Grillo da parte di Corriere, Repubblica, La7 e a seguire di tutte le principale testate giornalistiche italiane (un lancio avvenuto sotto forma, iniziale, di attacco funzionale alla legittimazione del M5S come “unica opposizione”; le dichiarazioni pubbliche del Presidente Napolitano coronano l’operazione) risponde alla medesima volontà: onde evitare un effetto “greco”, con una Syriza alle stelle, meglio far defluire il voto di protesta in un generico movimento qualunquista con impostazioni economiche del tutto neutrali e conservative del sistema.
Seguono, all’orizzonte, due progetti specularmente ostili alla dirigenza del PD: il progetto Montezemolo, che intende cavalcare l’antipolitica con ricette economicamente confindustriali e sovrastrutturalmente innovative (vedremo se avverrà un’alleanza con il gruppo Casaleggio-Grillo) e il duplice progetto De Benedetti, che con la sponda di Veltroni intende da una parte fondare un nuovo movimento populista forse guidato da Saviano e dedicato alla società civile e al popolo viola, anch’esso caratterizzato da un’innovazione sovrastrutturale e da una conservazione di struttura, dall’altra parte appoggiare prepotentemente un anti-Bersani alle primarie del PD e (parole di De Benedetti) “scalare il partito” come se si trattasse di un’azienda.
Il ruolo di Monti o di alcuni suoi ministri non è ancora specificato e probabilmente sarà determinato dai sondaggi dei prossimi mesi. Se godranno di fiducia potranno entrare nel progetto Montezemolo o in quello De Benedetti, altrimenti torneranno ai loro lavori di finanzieri e consulenti.
Con un Corriere della Sera e Sole24Ore determinati ad appoggiare prepotentemente l’operazione Montezemolo, con il gruppo Repubblica/L’Espresso e La7 intenzionati ad appoggiare prepotentemente l’operazione di De Benedetti, con la totalità dei mezzi di comunicazione e delle istituzioni che ha deciso di legittimare esclusivamente il M5S come “opposizione” e Il Fatto quotidiano che ne è diventato l’organo bene o male dichiarato (entrambi fanno parte del gruppo Casaleggio), con il Capitale e l’intera borghesia italiana che preparano tutti i modi possibili per far fuori qualunque tipo di struttura-partito che possa in qualche modo rispondere al sindacato e non solo ai grandi patrimoni, al Capitale e alla finanza, non è possibile attendere un solo giorno di più e occorre passare all’attacco.
Questo è il discorso di Fassina (e di Vendola, il cui progetto è stato messo all’angolo dal Governo Monti e da Napolitano), che mi pare l’unico possibile da fare oggi in Italia.
Restare a guardare, in un governo di centro-destra (l’attuale), la formazione di alternative di centro-destra, non credo sia o debba proprio essere interesse della sinistra.
Concordo in generale con quanto sostiene Davide qui sopra. A Mauro mi limito a obiettare che, stando alla sua analisi, anche votare nel 2013 sarebbe un errore… Perché non dare un’ulteriore proroga alla “unità nazionale” e al governo Monti? Naturalmente si tratta di un paradosso, perché oltre il limite della legislatura non si può andare… Però alla pavidità del Pd tornerebbe comodo superarlo, quel limite, anziché prendersi le proprie responsabilità. Il percorso delle cosiddette primarie appare insensato, non si può aspettare ottobre per iniziare a ragionare di una coalizione di centrosinistra; la riforma della orrenda legge elettorale (nella versione più coerente, quella del doppio turno nei collegi) non avverrà, e non ci sarà anzitutto perché non andrebbe bene a Casini, principale punto di riferimento della proposta di Bersani; intanto, con una politica economica depressiva come quella del governo Monti, le condizioni di vita di tante persone peggioreranno ancora, e si rafforzeranno il qualunquismo e nuove, o vecchie, formazioni populistiche… Tutto ciò potrebbe essere fermato solo con una immediata e rapida iniziativa del Pd. Che invece temporeggia.
Non so se l’articolo di Piras sia solo una raccolta di sofismi, né se siano effettivamente in atto tutte le manovre, le dislocazioni di schieramenti di cui parla Davide – questo forse solo per mia disinformazione o scarso interesse. Mi pare che però il fiducioso appellarsi alla “soluzione europea” per risolvere la crisi, e in particolare la crisi italiana, sia un po’ troppo ottimista: perché non è chiaro in che cosa possa essere diverso un capitalismo europeo da uno solamente nostrano nel cercare di risolvere le “sue” crisi – e questa è una tipica crisi capitalista – e poi perché viene espressa una fiducia in una democrazia europea (che non esiste, per lo meno non esiste ancora) laddove invece esiste un’egemonia di fatto della Germania, che è esercitata al limite della rottura con il più grande alleato dell’Europa e convitato di pietra in tutti i conciliaboli economici europei di una certa importanza. E questa è una situazione che non vedo come possa cambiare, essendo i rapporti di forza europei quelli che sono. A parte questo, l’osservazione di Rino Genovese è tutt’altro che peregrina: è interesse dei grandi poteri economici tenere alta la guardia – cioè proseguire in un perenne stato di emergenza – fintanto che non si regoleranno i conti definitivamente con quello che rimane dell’esperimento socialdemocratico dei “favolosi 30 anni” e del suo prodotto più importante, il Welfare State – oltre che con i sindacati. Anche se questo sembra in contraddizione con quello che sta diventanto il modo comune di percepire le cose, cioè che l’esperimento neoliberista sia sostanzialmente fallito: è vero, è fallito nella sua forma classica, ma al suo posto si sta profilando un tipo di mega-capitalismo che si allea con lo Stato, in un’inedita versione moderna di potere oligopolistico (questo lo dice meglio di me il sociologo e “political scientist” inglese Colin Crouch). Per cui lo stato di emergenza e l’unità nazionale potrebbero tranquillamente essere riproposti anche dopo le elezioni del 2013 (a meno che qualcuno non si assuma la responsabilità di rovesciare il tavolo e scompaginare le carte – ammesso che glielo lascino fare). Questo per l’ottima ragione che “fa prendere tempo” per spezzare meglio le ginocchia alle opposizioni sociali. È ancora da dimostrare che quelli che contato ci stiano perdendo in questa situazione, e i tedeschi non ci perdono di sicuro – ma ci perde di sicuro la democrazia e una certa idea di cittadinanza, oltre che il tenore di vita della gente comune.
La sinistra (categoria sempre più difficile da definire) – per lo meno una certa sinistra – dovrebbe avere a cuore questo e non solo argomenti inerenti alla gestione dell’emergenza, dovrebbe evitare di contribuire al varo di riforme abborracciate fatte qua e là in modo da non scontentare troppo lobbies, consorterie, conventicole e cacicchi vari, ma che mettono in difficoltà (e non poco) i lavoratori. Dovrebbe capire che qui è in gioco la democrazia “tout court” a scala ancora più grande che quella delle singole nazioni. Dovrebbe non avere paura di disturbare i padroni del vapore, come tutto sommato ha fatto sino adesso proprio quel PD di cui parla molto Piras, che ha spesso assunto atteggiamenti ambigui se non cerchiobottisti in merito a problemi di conflitto tra padronato e lavoratori (vedi tra tutte le posizioni assunte rispetto alla Fiat). Probabilmente non è il caso neppure di assumere posizioni incendiarie – anche se in fondo ragionevoli – per questioni di pura tattica politica, visto che ieri, tanto per fare un esempio, Scalfari su la Repubblica invocava già le dimissioni di Fassina, che è notoriamente uno che sta sullo stomaco all’ala liberista e centrista del partito: qualcuno non aspetta altro.
Dovrebbe smettere di essere un Lemure e uscire dalle tenebre e dallo stato di confusione in cui versa – a iniziare dal suo partito più rappresentativo.
Caro stan,
la politica molto spesso non coincide con la logica. Comunque, anche a voler essere logici, non si capisce perché i “proletari” non dovrebbero vedere tutelati i loro conti in banca e i loro risparmi. Inoltre, tutto il ragionamento presuppone che noi potessimo scegliere, a novembre, tra questa soluzione e un’altra. Ne sono poco convinto. E intervenire subito ha evitato costi molto più alti.
Caro Davide,
che la borghesia italiana abbia così paura del Pd e della Cgil mi sembra poco credibile. Così come sono del tutto inverosimili tutti quegli scenari di complotti organizzati al solo fine di tenere il Pd lontano dal potere. E’ vero invece che questo è timido, forse ha quasi paura di governare: ma ci sono ragioni oggettive, visto che la sinistra in generale è divisa e litigiosa, e il Pd non governerebbe certo da solo.
Secondo me la cosa è molto più semplice e trasparente: o si pensa che i rischi finanziari che abbiamo corso e che stiamo correndo esistano oppure si pensa che non esistano o siano di poco conto. Nel secondo caso si pensa che si è stati privati del voto, e che bisogna andare a votare velocemente per dare il potere alle sinistre. Dopodiché bisogna vedere se la si sa costituire, una sinistra vincente e capace di governare, per di più senza riformare la legge elettorale. E non si può neanche dire “prendiamo esempio da quelli che la crisi l’hanno affrontata andando al voto”, perché: la Spagna ha votato, ha vinto la destra, e sta infliggendo ricette di destra ben più pesanti delle nostre; la Grecia ha votato, ed è finita nel casino più totale, e non è vero che Syriza sia alle stelle, figuriamoci, le ultime notizie sono che sta negoziando una coalizione con il Partito socialista per rimanere nell’euro, anche con l’appoggio di Nuova Democrazia. Questa si chiama coalizione di unità nazionale. L’unico esempio che tiene è la Francia, perché è uno stato forte, non è sotto la speculazione finanziaria, e ha un sistema politico che funziona. La sinistra deve darsi questi obbiettivi.
Caro Rino,
per la mia risposta all’analisi di Davide, vedi sopra.
Non è vero che la mia posizione implica che alla fine non si deve votare mai. Per tutto c’è una scadenza. E’ un suicidio anche proporre l’unità nazionale nel 2013. La mia posizione è: fin da novembre, TUTTA la sinistra doveva fare proprio un programma di ricostruzione del sistema politico e di riforma del sistema elettorale, nonché di sostegno all’iniziativa internazionale del governo per risolvere la crisi sul piano europeo. Abbiamo già perso tempo, perché ognuno guarda solo i propri piedi (cioè i voti dei propri elettori). Ma questi obbiettivi sono ancora realizzabili, nella prospettiva del voto in primavera. Se si vota in autunno, no. Se poi non si fa niente neanche per la primavera 2013, amen, si vota comunque, si vedrà. Ma se non si affrontano questi problemi non si risolverà niente, né ora né tra dieci anni.
Caro Alberto,
il problema non è il capitalismo europeo, è la democrazia europea. L’economia globale è fuori dalla portata degli stati nazionali europei, mentre può ancora essere in qualche maniera ricondotto in politiche economiche nazionali da stati molto più grandi e potenti: la politica anticiclica di Obama ha funzionato, alla fine, nonostante tutte le critiche iniziali, sia delle destre che delle sinistre; nel 2012 gli Stati Uniti hanno ricominciato a creare posti di lavoro. Se un solo stato europeo provasse a fare una politica del genere, collasserebbe sotto gli attacchi speculativi al proprio debito sovrano. Se l’Europa avesse un unico debito pubblico, questo sarebbe impossibile. Ma un solo debito pubblico è possibile solo se si creano istituzioni politiche europee forti, democraticamente legittimate. Allora l’Europa potrebbe spostare a livello sovranazionale il controllo sull’economia che a livello nazionale non funziona più. E’ questo il problema che dobbiamo affrontare, e non serve a nulla pensare che questa situazione sia frutto di un complotto, e non di meccanismi sistemici, come invece penso io: qualunque sia l’origine, se vogliamo salvare l’idea di democrazia sociale, dobbiamo farlo spostandoci sul piano europeo e globale. La sinistra deve avere come progetto una Europa politica e sociale, non chiudersi nella nostalgia dello stato nazionale. E, tra parentesi, la Germania sta iniziando a capire che in prospettiva anch’essa ci perde: la Merkel ha iniziato a parlare di rifare i trattati per rafforzare l’unione politica. E’ questa la via, il resto è rifiuto della realtà.
La borghesia italiana non ha paura del Pd in generale ma, in *questo* momento di crisi economica, non vuole *questa* dirigenza del Pd (legata a sinistra interna ed esterna), per il semplice motivo che non vuole patrimoniali e difese sindacali tra i piedi.
Per quanto D’Alema faccia veramente di tutto per dimostrare la propria svolta centrista, ciò non basta.
Si era chiesto al PD di rompere con la Cgil (era il progetto Veltroni) e ciò non è avvenuto.
La politica di concertazione ed equidistanza tra capitale e lavoro (la linea Bersani) è troppo poco per chi pensa di poter (e di dover) avere tutto.
Sulla Cgil sarei meno ironico e inviterei a tenere a mente che cosa sta accadendo nelle fabbriche in termini di rappresentanza. Penso che il mondo del lavoro sia una sempre valida cartina di tornasole per capire cosa la borghesia tema o non tema.
Piace poco alla gente di sinistra sentirselo dire, ma i numeri sono numeri: in questo paese è sempre stato 60 centrodestra 40 centrosinistra. L’unica maniera di vincere le elezioni con coalizioni di centrosinistra – appena più sopportabili di quelle di centrodestra – è quella di dividere il campo avversario (così avvenne nel ’96, quando il centrodestra prese più voti del centrosinistra, ma Lega e partito dell’amore non riuscirono ad allearsi, e Di Pietro, che è tendenzialmente di destra, fu cooptato nell’Ulivo dal nemico del popolo… Massimo D’Alema… Se no non c’era partita…).
Le elezioni anticipate non si possono fare, perché non c’è accordo tra i partiti. Per il centrosinistra e per il suo cinico leader (il capo di Bersani) è necessaria un’alleanza con il partito di Casini, il quale non sarà Che Guevara, ma più a sinistra della setta 5 stelle e dei suoi fanatici seguaci è anche lui. Solo che Casini non vuole allearsi con la destra giustizialista di Di Pietro… del resto il modesto Vendola se si alleasse con Casini sparirebbe… Insomma, il solito troiaio, dovuto al fatto che la sinistra, proletaria o meno, i numeri per governare non li ha. Fossi il PD mi rassegnerei a fare l’opposizione insieme ai rimasugli di sinistra (40%…) Ma in questo caso il liberale Bersani dovrebbe farsi da parte per lasciare il posto al più socialproletario Enrico Rossi… All’opposizione si fa vita meglio e si guadagnano voti coi quali dominare il Parlamento – obbligando il governo a concertare qualunque decisione – e governare abbastanza decentemente in numerose città e regioni. Se facesse questa scelta, il PD (e, sopra di tutto, togliesse totalmente i fondi alla cultura, che hanno originato il peggior clientelismo, nonché devitalizzato quasi del tutto il mondo delle arti), lo voterei anche io.
Ps: nel 2013 si vota per il Presidente della Repubblica. La vera partita da vincere è quella, se non ci si vuol trovare B al Quirinale… e si capisce meglio perché è necessario un accordo elettorale con Casini…
Proprio stamattina scrivevo, nel nostro blog Nuova Officina Italiana, di come sia improrogabile che questo governo Monti si presenti in Parlamento, per come questo è stato sciaguratamente ridotto da tutte le forze politiche che han pensato di ingessare le loro posizioni di privilegio e di potere ingessando parimenti la possibilità per il Paese di essere rappresentato e tutelato tutto, e chiedere, a fronte di un’agenda politica seria e non ragioneristica e raffazzonata qual è stata finora, un voto di fiducia ad un programma per i prossimi 9 mesi di governo. Così verifichiamo se la maschera sul viso l’hanno soltanto i partiti oppure anche i rappresentati finanziari di questo governo che insieme con i primi si spartiscono le poltrone… paro paro. Perchè finora mi pare che questo stia, con maggiore evidenza, emergendo, e ovvero che esiste un patto di non aggressione fra una certa politica e l’assetto di potere finanziario italiano e internazionale. Un’alleanza forse a breve termine… ma che sta uccidendo il Paese reale. Anche quello borghese che a così tanti sembra dispiacere dopo esserlo divenuti a pizza margherita ogni sabato sera e mercoledì dopo il cinema d’essai.
Se Monti ha veramente a cuore questo Paese, e non vuole limitarsi alle gestioni contabili, chieda ai parlamentari il voto di fiducia su poche ma indispensabili riforme che avviino subitaneamente, la ripresa del lavoro e della sostenibilità dei redditi. Se non ha fantasia, può tranquillamente rivolgersi a passati “borghesi” dell’Italia repubblicana post-guerra. Altrimenti, rimetta il mandato e lasci pure decidere gli italiani da chi vogliono essere governati. Perchè qui l’errore che si compie è quello di offendere le intelligenze degli elettori, che forse stanno cominciando a capire che 4 fessi impreparati e inesperti peggio di questi che invece si professano tecnici o esperti in materia di allocazione delle risorse non potrebbero fare.
Ora, che la sinistra, come qui viene attribuita essere colei che occupa solo gli scranni a sinistra dell’emiciclo del Parlamento, voglia rendersi complice della deriva reazionaria e antidemocratica dell’Italia, a me che sono soltanto un cittadino, non mi sta bene. Come non mi starebbe bene lo faccia anche la destra.
Se uscissimo per un po’ dagli esercizi strutturalistici e tatticistici, diverrebbe molto più semplice ed immediato comprendere che o questi ci sono (e quindi è bene che vadano in sabbatico) o questi ci fanno (e quindi è ancora più bene questi non ritornino affatto più).
Sempre se ancora le Parole e le Cose (chissà se il libro di Foucault è mai stato letto!) contano qualcosa.
Caro Piras,
forse le sfugge il fatto che le manovre del Governo Monti, oltre che essere penalizzanti per i “proletari”, sono recessive e incapaci, in se stesse, di affrontare la crisi (che è una classica crisi da sovraproduzione, dunque sistemica). Alla fine della fiera, i “conti in banca” e i “risparmi” dei “proletari” saranno più leggeri e per nulla “tutelati”. Lei può anche trovare qualche artifizio retorico per dimostrare che non è così, o che sarebbe stato peggio senza Monti, però la realtà è impietosa e se ne sbatte delle frasi: provi a dare un’occhiata ai dati resi pubblici ieri e potrà notare che i salari dei “proletari” (diretti e indiretti) sono gli unici a calare costantemente. Ma la sinistra, un tempo, non doveva preoccuparsi delle condizioni di vita dei “proletari”? Anche guardando tutto con occhio strategico, il Governo Monti non potrà che peggiorarne le condizioni di vita, per altro contribuendo, anche culturalmente, a bloccare un serio cambiamento di prospettiva. Rispetto all’attuale panorama politico, io sono ormai senza speranza, da tempo; riesco a vedere solo «un’amministrazione compiaciuta dell’esistente». Ho un’unica certezza: la crisi ci condurrà, prima o poi, a una selvaggia «guerra urbana». Ma, in fondo, citando Badiou: meglio il disastro che il deserto …
Sulla borghesia italiana io mi tengo a Cajumi: «Ora, senza una borghesia istruita, che a tempo perso sappia scombiccherare un sonetto, o incuriosirsi di un problema storico, a gustar la pittura o un romanzo, una nazione è squilibrata, e rischia di diventar acefala: molte delle nostre crisi sono avvenute per mancanza di quella che si definirebbe meglio classe pensante, che dirigente.
La formazione e la restaurazione di una classe borghese media è il gran problema. Per tutti i paesi. Altrimenti, le distruzioni della democrazia demagogica sono alle porte». La borghesia italiana è “istruita”?
Mauro , condivido quasi tutto di ciò che dici . L’articolo è un’ analisi lucida della situazione attuale , quella che in tanti , in troppi , non vogliono accettare .
E la crisi corre… In una settimana dalle tue riflessioni “siamo di nuovo sull’ orlo del baratro ” ( Monti
ieri ) sia per la complessità della situazione economica , ma anche perchè in Italia , chi ha responsabilità agita le acque , ma in pratica lascia tutto come si trova .
Particolarmente felici le tue proposte per l’ Europa : quello è il nucleo per la solidità .
Unità economica , politica , legislativa , federale .
Ma a quando e con chi ??
Il PD è partito organicamente neoliberista. Se un cambiamento avverrà, avverrà nelle piazze. Non certo nelle aule parlamentari. Politicaglia e basta. O, se preferite, politicantume (bassa politica mafiosa).