di Flavio Santi

[È uscito da poco per l’editore Scheiwiller Mappe del genere umano, il nuovo libro di poesia di Flavio Santi nato dalla stratificazione di due plaquettesViticci (Stamperia dell’Arancio 1998) e Il ragazzo X (Ed. Atelier 2004) -, parzialmente riscritte e accorpate con altri testi, editi e inediti. Queste cinque poesie sono tratte dalle ultime due sezioni del libro, intitolate La clonazione altrui e Batteri (un’altra vita è possibile?) (mg)].

Tolstoj ad Astàpovo

(a Mauro Martini, mai conosciuto, sempre amato)

Sono venuto qui al gelo
da altro gelo, ma mi avrai,
finalmente, non ti angustiare,
ti prego. E non piangere.
Non è stato un caso la stazione
piccola, verme inutile, che non
mi riconosce, il fumo nero,
i miei polmoni. Non ti angustiare,
tu che mi hai teso agguati,
mio signore di brine e genziane,
di cose malate e di quelle vane,
signore dei vecchi e a volte
dei giovani, spariti abbracciati
nelle macine del grano o rosi
dal colera, finalmente mi avrai.
Tu sei senza un’anima vera,
lo so, che non hai mai pena
di un vecchio più vicino
a te che all’uomo.
A me non resta che pregare la tua ombra.
E voi ferrovieri non state a guardarmi,
c’è un uomo a terra, raccoglietemi.
Morire tra braccia straniere
è quanto di più dolce
mi sia successo.

*

Osservo la foto
di Felice e Franz
i loro gesti ridicoli immobili.
Il bianco e nero deve aver
ceduto in qualche angolo
e di lì, a foce, essersi
diffuso sul naso, fronte,
mento, piedi – nascosti.
Felice ha ancora il senso riavuto da poco,
è incassata su se stessa, i lembi
dei labbri sono incalcinati.
Kafka invece
ha il solo urto della sagoma,
una finta sospensione.
Si stanno amando.
Felice ha voglia di una casa.
Franz ha gli occhi spiovuti,
ha il pensiero della pioggia,
che può entrare dal tetto.

*

Erano due scarpette

Ma erano due scarpette
naik, tenute a casa
in un armadio,
sotto canfora,
una striscia verde
di cometa sul cuoio, e la sensazione
di camminare su
un lenzuolo, la sera poi per strada.
«Dovrò essere più severa con me»
diceva «la vita farla
più che pensarla
o la mia speranza sarà nera.»

*

Mi hanno preso di sorpresa:
finito l’ultimo giro di piattelli,
le canne raffreddate,
la svolta dei pallini ancora nell’aria,
hanno proclamato il barrage,
sofisticata tecnica di trappola
e scuse: consiste nell’allinearsi
e sparare a turno.
Chi colpisce rimane,
chi sbaglia… (una volta si diceva: paga!).
Ma mi dovevano almeno dire che stavano rovistando
qui dentro – e infatti mi sentivo
come un granchio avvizzito
nella ghiacciaia –
dovevate dirmelo, che
i dischetti li centrano appena appena
i veri tiratori (… quando li centrano).

*

No logo

Quella foto di Bertold Brecht
sigaro in bocca, giacca di cuoio:
cosa dice? dove va?
Che il proletariato è morto?
Che siamo incapaci di rivoluzioni?
Non saprò mai come è andato
a finire quel mio sogno su io
che sono partigiano ma ho paura,
imbraccio il fucile col senso di morte
ma scappo tremando, mi pare di ricordare.
Ma se abbiamo paura della morte in sogno,
questo sembra sussurrare Brecht,
dal cartone ingiallito della stampa,
vita assassina come farò
a chiamarti bellissima?

[Immagine: Bertolt Brecht (mg)].

5 thoughts on “Cinque poesie da “Mappe del genere umano”

  1. Tutta la prima poesia, Tolstoj ad Astapovo, poteva essere racchiusa negli ultimi cinque versi, molto belli, ma quelli che li precedono ne offuscano un po’ la bellezza

  2. L’autore è un narratore talentuoso prestato alla poesia, un poeta dialettale prestato alla poesia italiana, e uno snob intellettuale (nel senso che disprezza più o meno dichiaratamente la cultura di massa). Considerando questi tre aspetti è addirittura prodigiosa la riuscita letteraria della sua raccolta Mappa del genere umano, molto bella, originale e fantasiosa, con il dono della chiarezza anche se non sempre con quello della sintesi. Ottima lettura.

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