Il sogno di un’altra politica
Si parla della crisi, senza il coraggio di dire cos’è in crisi. I partiti vogliono uscire dalla crisi con la crescita. Sembra una cosa ovvia e invece è una scelta molto complicata. Bisogna crescere per mantenere un certo tenore di vita. I governi ragionano come se fossero individui. La politica si sta riducendo sempre più alla manutenzione dell’egoismo. Ho molti amici di sinistra a cui parlare della necessità di inumare il capitalismo pare una follia. Quello che una volta era il conflitto di classe adesso è diventata la guerra delle vanità contrapposte: si preferisce contestare il vicino di casa, si preferisce parlare male delle persone che abbiamo intorno, piuttosto che organizzare la lotta ai padroni del mondo. Questi padroni a volte vanno in disgrazia, vedi Berlusconi, e la sinistra non sa approfittarne per provare a costruire una democrazia senza padroni.
Il capitalismo è intimamente morto, ma prima di morire ha stordito anche la sinistra. E allora ci troviamo in una stagione con gli occhi chiusi. E l’occidente sta diventano una macchina della decomposizione. Una macchina che mostrando ogni giorno i suo effetti ha il potere di far pensare che non c’è spazio per nient’altro. E invece bisogna dire ogni giorno che la felicità e il capitalismo sono forze antitetiche. I mercati finanziari non contano più dei mercati rionali; un ragazzo che si iscrive all’università dovrebbe prima frequentare una bottega per imparare a fare qualcosa con le mani; ci vorrebbe un reddito di cittadinanza garantito per tutti, ma più alto per chi vive nei paesi; i giovani che ne fanno richiesta dovrebbero poter disporre di un pezzo di terra. Alle prossime elezioni ci vorrebbe un partito che facesse proposte di questo tipo. Un partito che candidi non chi sa parlare, ma chi sa guardare. Un partito che consideri le elezioni e il governo solo un aspetto della sua azione. Un partito che lavori sui concetti, sulle proposte, sulle tecnologie del buon governo, ma che lavori anche per stimolare un pensiero poetico collettivo. È il sogno che si sposa alla ragione. Dove sta scritto che la politica deve essere unicamente estenuante mediazione per comporre interessi diversi? Questo è sicuramente un ferro del mestiere, un ferro insufficiente senza un lavoro radicale proteso a costruire uomini che siano fuori dalla logica sviluppista, dalla visione del mondo come una cava da sfruttare. C’è sempre il rischio di agitare vaghezze e misticismi e narrazioni inconcludenti, ma una politica che non sa correre rischi è completamente inutile e non a caso è tutta sottomessa ai poteri economici.
È ora di rivedere questa storia che il potere corrompe e che uno scrittore dovrebbe stare lontano da ogni forma di potere. Nell’Italia dell’autismo corale non è la passione civile il cuore della faccenda, ma le passioni incivili. Alcuni stanno molte ore al giorno davanti al computer e al telefonino e non si sognerebbero mai di entrare in una sezione di partito: la politica viene fatta con qualche mi piace su facebook, c’è un interesse molto superficiale alla vita pubblica. Sicuramente nei prossimi mesi ci sarà più partecipazione, ma senza impeti rivoluzionari non succede niente, non solo nella vita politica, anche in quella personale. Ecco la novità della nostra epoca: l’estremismo e il rigore non sono una scelta tra le tante, sono l’unica scelta possibile. La rivoluzione non è una cosa per conquistare un palazzo. Più semplicemente è il modo migliore di consumare il tempo che passa. Allora o si è rivoluzionari o non si è niente. Non ci sono vie di mezzo, non ci sono indugi tollerabili. Bisogna fare tutto e subito, bisogna cercare l’impossibile e quando lo abbiamo trovato cercarlo ancora. Alle prossime elezioni sarebbe bello se ci fosse un partito che avesse la rivoluzione nel suo nome. E se non c’è, nulla è perduto. Cercatevi qualche amico, qualche luogo dove la rivoluzione si lascia fare comunque. È assurdo davanti a una prospettiva come questa disquisire tra i partiti esistenti e quelli che stanno arrivando. Bisogna immaginare che possa esistere questo ed altro. La politica che c’è ha bisogno di una sola cosa: la politica che non c’è.
[Questo articolo è uscito sul «manifesto»]
*
aggiornamenti sul familismo amorale
il posto il favore le mani sui coglioni
accompagnare con la macchina i figli a scuola
leggere il giornale sportivo sul frigo del bar
gettare le carte per terra
organizzare con cura la cresima dei figli
fare e ricevere regali orrendi
andare a messa senza crederci
dimenticare i morti
votare gli imbroglioni
uscire alle feste patronali e le sere di agosto
parlare male di chi fa qualcosa di buono
e così via
furiosamente lontani dalla dignità
dalla poesia.
[Immagine: Matthias Heiderich, Colour Studies (gm)].
ah, la poesia sulla piccola borghesia letta ierisera a locorotondo!
(che belle cose le coincidenze che creano ricordi)
Ci saranno meccanismi troppo complessi dietro che questo articolo-pamphlet un po’ vago e idealistico, sia pure in buona fede, non cerca di comprendere. A quando proposte circoscritte e concrete, praticabili? nessuna parte politica cambia modo di fare politica perché legge un pezzo che lo illumina; allora, chi sappia si organizzi per creare una forza veramente antagonista, radicalmente altra. C’è bisogno di esempi e proposte concreti, non di vaghi proclama. Chi scrive di politica dovrebbe anche farla, o esserne personalmente coinvolto, per conoscerne i meccanismi e i potenziali modi per corroderli da dentro. Il problema, poi, non è dei padroni, è di un meccanismo di cui i presunti padroni in carne e ossa sono epifenomeni, sintomi, non certo cause.
L’articolo è suggestivo, tuttavia mi soffermerei su un paio di aspetti. In primis: l’accostamento politica-poesia, anche se seducente e proprio perché tale forse, non mi convince; si tratta di un accoppiamento superficiale, solo declamato e mai approfondito, risultato di una retorica che rischia di diventare tendenziosa. Possiamo tentare di spiegare a quali esigenze profonde risponda il binomio riandando alla metafora platonica della tessitura, rintracciabile nel “Politico”: “Quella scienza, invece, che governa tutte queste e si prende cura delle leggi e di tutti gli affari della città e che TESSE insieme tutte le cose nella maniera più corretta, comprendendo la sua funzione con la denominazione propria di ciò che è comune, potremmo chiamarla del tutto giustamente, come sembra, ‘politica’”.
La politica è dunque l’arte di prendersi cura di ciò che è comune, della comunità (polis), un’arte dell’intreccio di soggettività e capacità diverse; dunque la comunità è trama e ordito opportunamente intrecciati, è unità solo come coordinazione della pluralità.
La citazione risulta preziosa non tanto perché possiamo derivarne l’ovvia constatazione che alle radici della retorica della “politica poetante”, e in genere delle altre forme che assume il disagio, giace la percezione di un’assenza di comunità; il suo vero pregio è quello di farci intuire che l’assenza di comunità deve essere ricondotta all’omologazione spersonalizzante, non alla disgregazione diversificante, come si sarebbe orientati a pensare. Quello che si è smarrito (“senso di comunità”) non è dovuto all’inasprirsi delle differenze (che sul piano materiale sono palesi), ma sul radicarsi della predisposizione culturale a non percepirle, quindi all’omologazione nella cecità (di cui Pasolini, Fortini e Calvino hanno spiegato la genesi). Quindi per tessere i mille fili della comunità, compito primo della politica per Platone, bisogna riprendere coscienza della pluralità e della differenza; questo si traduce, in prima istanza, nell’ operazione di restaurazione di terminologie percepite come desuete, ma cariche di nuova validità e verità come quelle di “classe”, “conflitto di classe”, “proletariato”, “borghesia industriale”, “oligarchia finanziaria” mandando simultaneamente in soffitta “ceto medio”, “banche”, “imprenditore”. In seconda istanza condannerei il termine “narrazione” perché lyotardiano e postmoderno, dunque figlio di una tradizione culturale che ci fa dimenticare la materialità del mondo illudendoci di vivere dentro grandi racconti, spesso connotati di tonalità quasi metafisiche, in cui gli eventi, le soggettività e dunque le differenze scompaiono.
In conclusione: bene restaurare il represso rivoluzionario, bene nuova facoltà poietica (in primis linguistica) della politica, ma sempre tenendo conto dello strumento che ci permette di cogliere la diversità come natura intima della comunità, ovvero l’ideologia.
ESAME DI MATURITA’ RIVOLUZIONARIA
ANNO SCOLASTICO 2011-2012
PROF SAMIZDAT
CORREZIONE DEL COMPITO
DELLO STUDENTE FRANCO ARMINIO
(Le annotazioni al testo sono in maiuscolo non essendo stato fornita dal Ministero della P.I. la matita rosso e blu)
Il sogno di un’altra politica
Si parla della crisi, senza il coraggio di dire cos’è in crisi. DILLO TU O VOI (SE CHI SCRIVE E’ PIU’ DI UNO) I partiti vogliono uscire dalla crisi con la crescita. E TU-VOI? CON LA DECRESCITA O ALTRO? Sembra una cosa ovvia e invece è una scelta molto complicata. Bisogna crescere MA COSA DEVE CRESCERE? per mantenere un certo tenore di vita. I governi ragionano come se fossero individui. FALSO. I GOVERNI RAGIONANO DA GOVERNI La politica si sta riducendo sempre più alla manutenzione dell’egoismo. LA POLITICA LIBERISTA NON DA IERI HA PER FONDAMENTO L’EGOISMO (RIPASSARE ADAM SMITH) Ho molti amici di sinistra a cui parlare della necessità di inumare il capitalismo pare una follia. DETTA COSI’ E’ UNA FRASE AD EFFETTO Quello che una volta era il conflitto di classe adesso è diventata la guerra delle vanità contrapposte: si preferisce contestare il vicino di casa, si preferisce parlare male delle persone che abbiamo intorno, piuttosto che organizzare la lotta ai padroni del mondo. FALSO. I CONFLITTI VERI, MATERIALI, STRATEGICI CONTINUANO. LE GUERRE VERE CONTINUANO. ANCHE SE CIRCOSCRITTE. I MIOPI VEDONO SOLO GLI SCAZZI CHE GLI PASSANO SOTTO IL NASO E LI CONFONDONO PER GUERRE Questi padroni a volte vanno in disgrazia, vedi Berlusconi ASPETTA E FORSE AVRAI QUALCHE SORPRESA , e la sinistra non sa approfittarne per provare a costruire una democrazia senza padroni IMPOSSIBILE. LA SINISTRA E’ FATTA DAI PADRONI DI SINISTRA.
Il capitalismo è intimamente morto FALSO. IL CAPITALISMO VIVE E RICRESCE CON LE CRISI. RIPASSARE MARX, ma prima di morire ha stordito anche la sinistra. LA SINISTRA SI E’ STORDITA DA SOLA A PARTIRE DALLA BOLOGNINA. E allora ci troviamo in una stagione con gli occhi chiusi. FALSO. LI ABBIAMO APERTI, MA TV STAMPA E INTELLETTUALI VENDUTI HANNO SPENTO LE LUCI PIU’ CHE MAI E NOI NON VEDIAMO LE COSE CHE STANNO DECIDENDO E FACENDO. E l’occidente sta diventano una macchina della decomposizione. L’OCCIDENTE E’ UN CONCETTO ASTRATTO E SOLO CULTURALE. L’OCCIDENTE E’ IL CAPITALISMO DEI PAESI OCCIDENTALI AGGREGATI DAGLI USA ATTORNO ALLA NATO E AGISCE NELLA CRISI CONTRO ALTRI CAPITALISMI CONCORRENTI(RUSSIA, BRIC, ETC.) Una macchina che mostrando ogni giorno i suo effetti ha il potere di far pensare che non c’è spazio per nient’altro. NOMINARE QUESTO “ALTRO”, SE NO RESTIAMO NELLE NUVOLE. E invece bisogna dire ogni giorno che la felicità e il capitalismo sono forze antitetiche. FELICITA’ E CAPITALISMO SONO ENTITA’ ANTITETICHE MA INCOMPARABILI. TROVARE QUALCOSA CHE POSSA CONTRASTARE FISICAMENTE IL CAPITALISMO. LA FELICITA’, DA SOLA, NON REGGE LO SCONTRO. MOLTI LA TROVANO PERSINO NEL CAPITALISMO… I mercati finanziari non contano più dei mercati rionali DA DIMOSTRARE; un ragazzo che si iscrive all’università dovrebbe prima frequentare una bottega per imparare a fare qualcosa con le mani NON SIAMO PIU’ NEL MEDIOEVO. QUESTA E’ SOLO NOSTALGIA. E POI ANCHE SE USO IL PC USO LE MANI; ci vorrebbe un reddito di cittadinanza garantito per tutti L’OBBIETTIVO DEL REDDITO DI CITTADINANZA NON E’ NUOVO, MA NON PARE RISCUOTERE GRANDE ATTENZIONE. PERCHE’? RIVOLGERSI A BERSANI E CAMUSSO, ma più alto per chi vive nei paesi; i giovani che ne fanno richiesta dovrebbero poter disporre di un pezzo di terra.ALTRA NOSTALGIA E SCAPPATOIA ROMANTICA. UN PEZZO DI TERRA SENZA UNA RETE ECONOMICA E DI SAPERI CHE PERMETTANO DI GESTIRE LA PRODUZIONE E DI FINALIZZARLA A UNO SBOCCO DI MERCATO DIVENTA UN GHETTO Alle prossime elezioni ci vorrebbe un partito che facesse proposte di questo tipo.LE PROSSIME ELEZIONI SI FARANNO PROBABILMENTE A OTTOBRE 2012 O GIU’ DI LI’. NESSUNO DEI PARTITI REALI FARA’ UNA PROPOSTA DEL GENERE. C’E’ QUALCUNO CHE RIESCE A IMPROVVISARE UN PARTITO DEL REDDITO DI CITTADINANZA DURANTE LE VACANZE ESTIVE? CONTROLLARE I DESTINATARI DELLE PROPRIE PAROLE Un partito che candidi non chi sa parlare, ma chi sa guardare. Un partito che consideri le elezioni e il governo solo un aspetto della sua azione. Un partito che lavori sui concetti, sulle proposte, sulle tecnologie del buon governo, ma che lavori anche per stimolare un pensiero poetico collettivo. È il sogno che si sposa alla ragione. SIAMO AL SURREALISMO DI MASSA (FORTINI). O ALLA SCOPIAZZATURA TARDIVA E FUORI TEMPO DELL’”IMMAGINAZIONE AL POTERE” DEL ‘68. STUDIARE LA STORIA DEGLI ANNI SESSANTA-SETTANTA Dove sta scritto che la politica deve essere unicamente estenuante mediazione per comporre interessi diversi? PER COMPORRE INTERESSI DIVERSI? QUESTA E’ LA FACCIATA DEMOCRATICA. LO STATO E’ ANCORA COMITATO D’AFFARI DELLE LOBBY PIU’ POTENTI CHE SONO IN GRADO DI FARE I PROPRI INTERESSI POLITICI, CIOE’ COMBATTERE PER L’EGEMONIA Questo è sicuramente un ferro del mestiere, un ferro insufficiente senza un lavoro radicale proteso a costruire uomini che siano fuori dalla logica sviluppista, dalla visione del mondo come una cava da sfruttare. NON C’E’ BISOGNO DI NESSUN “LAVORO RADICALE” DI QUESTO TIPO. CI PENSA GIA’ IL CAPITALISMO E IL GOVERNO MONTI A COSTRUIRE CON LA CRESCENTE DISOCCUPAZIONE GLI UOMINI (E LE DONNE) CHE DEVONO APPUNTO STARE FUORI C’è sempre il rischio di agitare vaghezze e misticismi e narrazioni inconcludenti, GUARDARE LA TRAVE NEL PROPRIO OCCHIO, PER FAVORE ma una politica che non sa correre rischi è completamente inutile e non a caso è tutta sottomessa ai poteri economici. LA POLITICA DI MONTI ( SOTTOMESSA AI POTERI ECONOMICI FORTI) I RISCHI LI CORRE TUTTI E TROVA LA VIA SPIANATAPERCHE’ MANCA OGNI OPPOSIZIONE REALE
È ora di rivedere questa storia che il potere corrompe e che uno scrittore dovrebbe stare lontano da ogni forma di potere. CHI L’HA DETTA QUESTA BARZELLETTA? DA QUAGGIU’ SI VEDONO SOLO SCRITTORI CHE ARRANCANO PER ACCRECERE POTERI O POTERINI Nell’Italia dell’autismo corale non è la passione civile il cuore della faccenda, ma le passioni incivili. Alcuni stanno molte ore al giorno davanti al computer e al telefonino e non si sognerebbero mai di entrare in una sezione di partito MA SE LE SEZIONI DEI PARTITI SONO STATE CHIUSE DA TEMPO E GLI STESSI DIRIGENTI E FUNZIONARI (DAL MASSIMO D’ALEMA IN GIU’) SONO OGNI GIORNO DAVANTI AL COMPUTERE E AL TELEFONINO? COSA CI SI VA A FARE IN UNA SEZIONE DI PARTITO, AMMESSO CHE SIANO APERTE ANCORA IN QUALCHE PAESINO?: la politica IN REATA’ SI TRATTA DI “TIFO POLITICO” viene fatta con qualche mi piace su face book O, APPUNTO, TIFANDO PER GLI OSPITI INVITATI DA LERNER, FAZIO E SANTORO, c’è un interesse molto superficiale alla vita pubblica DA PARTE DEI PARTITI DI GOVERNO E DELLA FALSA OPPOSIZIONE, QUESTO E’ VERO. Sicuramente nei prossimi mesi ci sarà più partecipazione, ma senza impeti rivoluzionari E DALLI CON LO “STURM UND DRANG”! non succede niente, non solo nella vita politica, anche in quella personale. OTTIMO! FACCIAMO UNO “STURM UND DRANG” TASCABILE ADATTO ALLE VITE PERSONALI! Ecco la novità della nostra epoca: l’estremismo e il rigore non sono una scelta tra le tante, sono l’unica scelta possibile. AHI NOI! LENIN DICEVA “L’ESTREMISMO E’ LA MALATTIA INFANTILE DEL COMUNISMO”. ADESSO CI DOVREMO SORBIRE L’ESTREMISMO SENZA OBIETTIVI O GRANDI NARRAZIONI SULLO SFONDO. MA NON CI SONO GIA’ I GRILLINI? La rivoluzione non è una cosa per conquistare un palazzo. AH, FRA’, QUESTA E’ VECCHIA! RISALE AL GIORNO DOPO L’OTTOBRE SOVIETICO! SIAMO NEL 2012! Più semplicemente è il modo migliore di consumare il tempo che passa. ECCO IL FLANEUR DELLA RIVOLUZIONE! FARE UNA RIVOLUZIONE COSÌ, TANTO PER PASSARE IL TEMPO! GENIALE! NEPPURE NIETZSCHE L’AVEVA PENSATA! Allora o si è rivoluzionari o non si è niente. NO,GRAZIE! A UNA RIVOLUZIONE A QUESTE CONDIZIONI E’ PREFERIBILE IL NIENTE! QUESTA E’ UNA RIVOLUZIONE DA NIENTE O DA NULLAFACENTI! Non ci sono vie di mezzo, non ci sono indugi tollerabili.SIAMO ALL’ORA X! SCUSI CHE ORA E’? Bisogna fare tutto e subito TE LO DICEVO! QUESTO E’ UN DELIRIO DI SESSANTOTTISMO IN RITARDO! CHIAMATE BALESTRINI O GASPARAZZO! SONO GLI UNICI A POTERLO RABBONIRE!, bisogna cercare l’impossibile e quando lo abbiamo trovato cercarlo ancora. CHIAMATE, HEGEL! CGHE GLI SPIEGHI ALMENO IL CONCETTO DI CATTIVA INFINITA’! Alle prossime elezioni sarebbe bello se ci fosse un partito che avesse la rivoluzione nel suo nome. PROPOSTA: “PARTITO RIVOLUZIONARIO DEI NULLAFACENTI” E se non c’è, nulla è perduto. LA FEDE NE PROGRESSO E’ ILLIMITATA Cercatevi qualche amico, qualche luogo dove la rivoluzione si lascia fare comunque.LA RIVOLUZIONE SI SA (LO DICEVA ANCHE MARINETTI) E’ DONNA. SI LASCIA FARE.. MA PERCHE’ L’AMICO? È assurdo davanti a una prospettiva come questa disquisire tra i partiti esistenti e quelli che stanno arrivando. Bisogna immaginare che possa esistere questo ed altro. INFATTI. AL PEGGIO NON C’E’ MAI FINE, DICEVANO I VECCHI.. La politica che c’è ha bisogno di una sola cosa: la politica che non c’è. GRAZIE, MONSIER LA PALISSE!
[Questo articolo è uscito sul «manifesto»] STANNO COSI’ MALE ANCHE QUELLI DEL “MANIFESTO”?
*Giudizio finale.
Lo studente, oltre a padroneggiare a sufficienza la lingua italiana dal punto di vista grammaticale e sintattico, dimostra altresì una appassionata volontà di trattare argomenti orecchiati in un’area politica di ascendenza ex-sessantottina e cattocomunista. Si attarda, però, su una concezione tardo-romantica e ormai obsoleta di rivoluzione, confondendo poesia e politica in modi paradossali e a volte grotteschi. Per un approfondimento della materia lo invito almeno allo studio di un buon manuale di storia del Novecento e la lettura quantomeno di *Insistenze* di Franco Fortini, di “Poesie 1993-1956” di Bertolt Brecht e di qualche brano antologico de *Il Capitale* di Karl Marx. Si consiglia anche un periodo di astinenza dagli aforismi di Nietzsche in modo da evitare che, nella fase calante del delirio tardo-sessantottesco, scambi il filosofo tedesco per Beppe Grillo.
A – Tu che ne dici?
B – Sono perplesso.
A – Cosa ti perplime?
B – Una lingua che non si addice alla materia.
A – Ma Arminio è uno scrittore quotato.
B – Vuoi dire che in quota di qualcuno?
A – Solo che vola ad alta quota …
B – E’ una lingua un po’ frettolosa, non è la parola giusta per aprire «un’altra politica», la quale presuppone una parola messa di traverso; qui è tutto così … così ben levigato, sembra quasi di essere dentro certe pagine di quotidiano …
A – E infatti questo articolo è stato pubblicato dal Manifesto.
B – Davvero? Allora io sono Napoleone. Sì, è vero, ho anche il cappello triangolare …
A – Non capisco la logica.
B – Dell’articolo o di fingermi un matto che si crede Napoleone?
A – E’ una domanda perfida.
B – La mia lingua è perfida: ma lo faccio a fin di male. Se questo articolo è utile, io dichiaro che sono un matto che crede di essere Napoleone; e che così facendo posso rinunziare all’innocenza e dire, con una sorta di dolcezza malata, dire: questo articolo è ‘na strunzata.
A – Sono curioso, lo sai; vorrei sapere i tuoi motivi.
B – Giusto, giusto; è sempre bene motivare il proprio sputo. Sai che sono bravo a sputare a distanza? Raggiungo i 3 metri in orizzontale e, se il vento è propizio, i 2,40 in verticale.
A – Ma hai delle opinioni su questo articolo?
B – Se stabiliamo che io sono Napoleone, se accettiamo questa piccola convenzione, allora vado in biblioteca e fornisco le prove; sebbene, lo ammetto, questa prospettiva mi fa imbestialire, giacché l’articolo contiene in se stesso il suo statuto di inutilità. Ma procediamo.
A – Ecco, è meglio; altrimenti arriva Poli[…] e invoca la querela.
B – Prendiamo il primo capoverso. Un obiettivo, anche se solo accennato, c’è: una democrazia senza padroni. Dimmi, tu che sei studiato, dimmi-dimmi: è possibile una democrazia senza padroni? E dimmi inoltre dimmi: ma la democrazia – o meglio, questa forma di democrazia, che poi è l’unica esistente, e dunque è legittimo ritenerla la democrazia tout court – ma la democrazia, dimmi, può ostacolare i giochi di lingua e di pensiero e di azione del capitalismo? E la detta democrazia – detta e non contraddetta – non era proprio ma proprio la forma ideale di gestione del potere dello stesso capitalismo? Ogni capitalista è un sincero democratico. E il capitale – come forma sociale – ha tatuato sulla fronte – e dovrei dire meglio: sulla carta moneta – la democrazia come scusa per nascondere la sua propria indolenza. Insomma, per dirla da parrucchiere: il primo capoverso dimostra l’assoluta confusione dell’autore, o per lo meno la sua confusione sulle cose della politica. Capisci che, trattandosi di un articolo che suggerisce – nientemeno! – «il sogno di un’altra politica», a me che sono Napoleone un po’ mi viene sonnolenza.
A – Il sogno sarà «il sogno di una cosa»?
B – Non esageriamo, per favore; quello che scrive è Arminio, mica Fortini.
A – Che sia allora un modo di riprendere il «Bisogna sognare!» di Lenin?
B – Guarda che sono io Napoleone, non tu. Te lo vedi Arminio girare per le terre del Sud sventolando il «Che fare?»? Credidi, io ho confidenza con i pazzi. In questo articolo, logica e tipografia, capogiri e frittelle, tutto, insomma, si allontana da quei «sogni» antichi; e tutto ruota attorno a una distinzione forzata tra ciò che è il pensiero del singolo – qui anagraficamente declinato in Arminio – e la realtà del costituito. Se non credi a me, credi a Napoleone: il mercato finanziario conta di più dei mercati rionali. Chi scrive il contrario sta mettendo davanti a tutto solo se stesso e il proprio delirio. Ma dimmi: che differenza c’è tra chi afferma una cosa del genere e io che dico di essere napoleone?
A – Nessuna. Però il tuo cappello è più bello.
B – Grazie. L’ho rubato a un artigiano di paese; sono andato «a bottega» per apprendere l’arte – manuale, perché scrivevo a penna – della truffa sulla fatturazione. Questo mantello, invece, l’ho sottratto al contadino che mi ha concesso l’usufrutto d’un pezzo di terra; ad un certo punto, il maramaldo, mi ha chiesto di pagargli gli strumenti e i sementi. Ma come?, ho detto io, nell’articolo di Arminio questo non c’era!
A – Ti prego, smettila! Dai la sensazione di irridere tutto e tutti.
B – Sono un pagliaccio cattivello, lo ammetto. Anzi, sai che ti dico? Da oggi sono Giulio Cesare. Ecco, diamo a Cesare quel che è di Cesare …
A – Ventitré pugnalate.
B – Sei sveglio, amico.
A – Però, ammettilo, almeno Arminio ha delle idee.
B – Giusto; io invece ne sono sprovvisto. Io sono solo un professore di Nulla, del tutto insignificante, e sebbene mi occupi delle idee altrui, non ho mai preteso di averne di mie. D’altra parte, uno che prima dice di essere Napoleone e poi, di colpo, solo per un capriccio, dice di essere Giulio Cesare, che idee vuoi che abbia? Ecco, mai e poi mai mi periterei di dipingermi nel cervello l’intento, alquanto kitch, di un partito che sappia «stimolare un pensiero poetico collettivo». Preferisco dimenticare tutto; non brillo né in logica né in morale, e tutto considerato mi annoia l’idea di una politica «poetica». Ai versi, preferisco le cannonate.
A – Attento a Bruto.
B – Forse dovresti dirlo ad Arminio. Il potere è il potere è il potere …
A – Ti riferisci all’ultimo capoverso?
B – Tu che puoi, prova a usare la logica. Il capitalismo esiste, ed è la forma dominante. Che tipo di potere si è costruito? O si crede alla stronzata della neutralità delle istituzioni, o le istituzioni democratiche sono espressione diretta di chi, anche da taciturno, gestisce i fili del reale. Nel primo caso, non vale spendere parole: sono più credibile io che dico di essere Napoleone; nel secondo, il potere non ha che un’unica ipotesi plausibile, chiunque sia a gestirlo: amministrare l’esistente nel modo migliore per continuare a fare affari. Rimpiango la vecchia «canna del fucile»; almeno chi agiva quel «sogno» non si faceva illusioni sull’animo umano.
A – L’equivoco, dunque, è nel ritenere la persona più affidabile di una solida organizzazione.
B – Attenzione! Arminio non parla di una persona qualsiasi; non cita la famosa «cuoca» di Lenin … No, Arminio parla della categoria degli «scrittori» … Intendi? Gli scrittori!
A – Cosa c’è di disonorevole a essere degli scrittori?
B – Dipende da cosa scrivono, of course. Se uno scrive cose del genere, che credibilità politica vuoi che abbia?
A – Sì, effettivamente il nistrito di un cavallo è un pensiero più regale.
B – Senti la mancanza di una coda?
A – Preferisco cambiare argomento. Ecco, credo che ci siamo annoiati abbastanza. Tanto, come scrive Arminio, non abbiamo nessun palazzo da conquistare …
B – E allora nessun genio filmico girerà la corazzata a nostro favore …
A – La rivoluzione di Arminio non è che un passatempo …
B – Preferisco Andry Birds …
A – Ops! Hai digitato male. Non è «Andry», bensì «Angry».
B – Giusto rilievo.
A – Sarà il senso di colpa per preferire un giochino stupidino alla rivoluzione di Arminio?
B – Intanto, Angry Bird è un passatempo geniale; e poi quella di Arminio non è che una parola indossata male. Ma tieni conto anche di ciò: Angry Bird è un’allegoria della rivoluzione, di quella che davvero servirebbe.
A – ??????
Sono un po’ esterrefatto. Arminio, la rivoluzione è una cosa seria, sai? Chi la predica, al momento giusto dovrà farla… Sorrido solo al pensiero… Ma di che parli? Una retorica così ridicola non mi era capitato, sinora, di ascoltarla mai… Eppure, ne ho avuti a scuola di professori sessantottini
Quanto ad Abate… Non c’è nessuno nel blog che possa consigliargli uno psicanalista? Ha un problema con Arminio: Arminio è uno scrittore affermato, scrive sul Manifesto e pubblica con Laterza. Abate invece non se lo filano neppure i lettori di “polliscritture” (le due elle sono volute, prevengo il professorino con la penna rossa), ma lui non ci sta proprio…
@ Gabriele Pepe
Se lei è il Gabriele Pepe a cui ho scritto nel giugno 2005 questa lettera (http://immigratorio.blogspot.it/2012/06/su-gabriele-pepe-parking-luna.html)
forse lo psicanalista attende lei non me.
Da W. Siti, Il Contagio:
“Ho imparato, intanto, a non distinguere il bene dal male – tutto è lecito perché ci si sente creditori di un’ingiustizia infinita, perché il detentore della legge è lontano e merita di essere ingannato, perché in questo labirinto siamo talmente peccatori che non ci rimane che peccare di più. Nessuno ci ha mai posto seriamente il problema delle regole: né il padre, che non aveva la forza, né la madre perché le sue erano regole ridicole. Ho imparato a considerarmi libero da qualunque responsabilità: non siamo noi i custodi di nostro fratello, nessuno ci ha chiesto il parere e a nessuno dobbiamo rispondere. I destini collettivi non sono affar nostro, dovremmo preoccuparci soltanto se ci riconoscessimo della tribù. Ho imparato a soddisfare i desideri più immediati e basilari (mangiare scopare comprare) e a scegliere come unico giudice l’illusione – la vita come un’orgia velleitaria e casuale, dove maschio e femmina non fanno differenza e dove conta l’immaginario (soprattutto l’immaginario proibito), non il fatto. Ho imparato a non oppormi alla corrente: sostituire l’inerzia alla volontà significa non darsi troppa importanza, organismo tra gli organismi anzi ingranaggio tra gli ingranaggi. Abbandonarsi al flusso, con qualche debole lamento o cigolio se il corso si restringe – annullare con amatriciane a mezzanotte ogni effetto di dieta, leggere i giornali dal barbiere o i libri capati random tra quelli in omaggio, in base ai colori della copertina. […] L’incontro con Marcello ha prodotto una lenta contrazione dei miei tentacoli culturali, che si atrofizzavano uno ad uno per difetto di funzionalità: non volevo più conferenze, film, non studiavo più – l’infinito colore dei piaceri intermedi si riduceva a uno solo: il possesso, la penetrazione. Ho spesso paragonato l’influenza pedagogica di Marcello a un potente diserbante (“una secchiata di napalm”); ma lo sterminio dei virus culturali dovuto all’antibiotico che si chiama barbarie ha causato in me devastazioni più estese che nella mente della mia guida. Per Marcello, in fondo, si trattava di eliminare poche colonie mal acclimatate: la religione, o per meglio dire il catechismo, coi suoi dogmi oscillanti tra il terroristico e l’assurdo; alcune nozioni di scienza e medicina semi-digerite a scuola; certe informazioni generiche circolanti tra gli amici, su come svolgere determinati lavori o come comportarsi in situazioni di galateo. Una parodia di cultura che poteva essere spazzata via da un appetito anche superficiale, stupidotto, collettivo. Io invece ci vivevo da cinquant’anni nella città della cultura, solitario ma integrato a mio modo, passeggiando in un intrico di strade coi nomi che si sostenevano e si completavano a vicenda. Per fare di quella città un ammasso di macerie è stato necessario un anelito iperbolico e quasi folle, che Marcello mi ha ispirato lasciandomi poi sul bordo di quel disastro, a cavarmela da solo.
E’ inutile che tenti di riproiettarmi, come su uno schermo, quelle vecchie facciate – ormai lo so che dietro non c’è nulla, almeno per me. L’unico riparo tridimensionale era il corpo di Marcello, ma gli spiragli si sono rivelati illusori anche se un’abile pittura a trompe-l’oeil ne mostrava l’oro, le ingioiellature abbaglianti. La sua totale passività lo rendeva imprendibile – Marcello si limitava a essere, e l’essere non si può possedere. Per insolenza, per sfregio, ripenso ai Guermantes sottolineati a matita, sul prato in declivio di un lago finlandese; il romanzone di Littel rubato alla libreria dell’Auditorium, ventiquattro euro risparmiati più i venticinque dello spettacolo di Baricco in platea, ingresso gratis per conoscenze – cinquanta euro equivalgono a zero settanta di coca, oltre alla polvere entra in circolo il gusto della rozzezza e della profanazione. Non compatitemi: lo sfratto mentale ha i suoi incanti – non coltivo opinioni, né nutro pretese. Non voglio nemmeno più amici, voglio vegetare povero e solo: rovinarmi la vita è il minimo che gli devo.”
C’è più rivoluzione nella retorica di Walter Siti che in quella di Arminio.
Viene da dire che i poeti del giorno di oggi, pur di non fare i poeti, sono disposti a tutto, anche a fare la politica. Peccato che le cose che propone Arminio, apprendistato in bottega per i giovani (gratis?), salario di cittadinanza, ritorno al lavoro della terra (alle origini) sono da sempre parte del programma delle cosiddette nuove destre, oppure, se si preferisce, dei rossobruni. Oh, capiamoci bene: anche io sono stato educato ad avercela con il capitalismo, però trovo delirante avercela con un sistema capitalista che distribuisce male le risorse, ma prima di tutto le produce, per passare a forme di sussistenza, se non peggio. Da persona di sinistra – che esiste ancora! – penso che le persone preparate, scrittori compresi, dovrebbero battersi affinché i governi investano almeno dieci volte tanto in ricerca, architettura, arte (che diventa bene comune solo dopo che è stata prodotta dagli artisti…). Altro che impeti rivoluzionari e pensiero poetico collettivo…
prima bozza di una nota d’avvio a un libro prossimo venturo….
Sono partito dalla percezione del corpo, perché il corpo mi dava pensieri, il corpo faceva salire alla testa pensieri più che sensazioni. Queste pensieri si posizionano in un’area della testa che potremmo definire area dell’apprensione. Nel mio caso il disperare del mio corpo, il sentirlo incapace di avvenire. Ogni corpo ha una sua idea di avvenire. Nel mio caso era un’idea bruciante, pochi mesi, pochi giorni, poche ore. Questa immaginaria salute precaria s’incrocia con le reale salute precaria dei luoghi in cui vivo. E allora la ricognizione dei luoghi è il frutto di uno spostamento d’attenzione, dal sintomo del corpo al sintomo del luogo, dall’ipocondria alla desolazione. Facendo uno spostamento ulteriore, mettendo sul palmo della mano il mondo intero, vengono fuori altre parole: sfinimento, autismo corale. La mia scrittura non ha il rigore della scienza, non vuole e non può essere attendibile. Il primato della percezione sul concetto, del particolare sull’astrazione.
Questo non deve trarre in inganno, la mira è comunque altissima e non ho bisogno di concordare con nessuno il bersaglio. La paesologia non vuole fare riassunti o postille al lavoro altrui. In un certo senso è una disciplina indisciplinata, raccoglie le voci del mondo, sente quel che vuol sentire, dice quel che vuole dire. Un lavoro provvisorio, umorale. Un lavoro letterario.
La vicenda si complica quando si pronuncia la parola politica. In questo caso la fragilità non è più una forza ma un qualcosa che dà i nervi. Perché la politica è o dovrebbe essere un’elaborazione collettiva. Il problema e l’opportunità è che al punto in cui siamo arrivati anche la politica appartiene alle discipline dell’immaginario. Non si sa che strada prendere e allora si fanno arabeschi, congetture. La modernità finisce ogni giorno e ogni giorno prolunga la sua esistenza con una magia collettiva che occulta ciò che è in piena evidenza: non crediamo più alla nostra avventura su questo pianeta. Non abbiamo nessuna religione che ci tiene assieme, nessun progetto da condividere. La paesologia denuncia l’imbroglio della modernità, il suo aver portato l’umano dalla civiltà del segno alla civiltà del pegno. Navighiamo in un mare di merci, e intorno a noi è tutto un panorama di navi incagliate: le nazioni, gli individui, le idee, tutto è come bloccato in un presente che non sa rivolgersi la sua fronte né avanti né indietro.
In uno scenario del genere l’unica politica possibile è la poesia. La poesia non è il fiore all’occhiello, ma è l’unico abito che possiamo indossare, ma prima di indossarlo dobbiamo cucirlo e prima di cucirlo dobbiamo procurarci la stoffa. La poesia ci può permettere di navigare nel mare delle merci lasciandoci un residuo di anima, la poesia è la realtà più reale, è il nesso più potente tra le parole e le cose. Quando riusciamo a radunare in noi questa forza possiamo rivolgerci serenamente agli altri, possiamo scrivere, possiamo fare l’oste o il parlamentare, non cambia molto. Quello che conta è sentire che la modernità è una baracca da smontare, e una volta che la baracca è smontata mettersi a guardare la terra che c’è sotto e costruire in ogni luogo non altre baracche, ma case senza muri e senza tetto, costruire non la crescita, non lo sviluppo, costruire il senso di stare da qualche parte nel tempo che passa, un senso intimamente politico e poetico, un senso che ci fa viaggiare più lietamente verso la morte. Adesso si muore a marcia indietro, si muore dopo mille peripezie per schivarla o per cercarla la fine. E invece c’è solo il respiro, forse ce n’è uno solo per tutti e per tutto. Spartirsi serenamente questo respiro è l’arte della vita. Altro che moderno o postmoderno, altro che localismo o globalità. La faccenda è teologica. Abbiamo bisogno di politica e di economia, ma ci vuole una politica e un’economia del sacro. Ci vuole la poesia.
“un mediatore-intrattenitore, che seduce e che non spiega” (Zinato)
Date, per favore, un’occhiata al post ” Alessandro Baricco e lo Zeitgeist” (qui: http://www.leparoleelecose.it/?p=5644) e ai commenti di Zinato.
Fatte le debite distinzioni e contestualizzazioni, sta parlando anche di Franco Arminio, cioè di una tipologia di scrittore-intellettuale à la page nella sinistra (residua).
Arminio, dopo essersi esibito in qualche post fa in un “esercizio di ammirazione” ne compie un altro di “arrampicata sugli specchi”.
Con la stessa simpatica sicumera di un fanciullino irresponsabile.
Sostenere che “in uno scenario del genere [quello che lui descrive sempre e solo per metafore fulminanti e vuote] l’unica politica possibile è la poesia” è per me un’oscenità.
Non si passa dalla poesia alla politica gonfiandosi di se stessi come la rana della favola.
La poesia è una cosa seria e la politica è altrettanto una cosa seria.
Così le riduce entrambe a macchiette.
Possibile che Arminio – che scrive benissimo e benissimo si fa capire – non capisca a sua volta che no sviluppo, no modernità, no crescita, no merci, nostalgia per la religione come collante sociale, nostalgia addirittura del sacro in politica, è un percorso politicamente reazionario?
larry possiamo parlarne, possiamo provare a capirci. so che le mie tesi sono arrischiate, magari quando leggerà l’intero libro le sembrerà meno reazionario, intanto scriva ancora e più diffusamente il suo pensierio. mi interessa.
Io credo che Arminio incisti su una diagnosi smaliziata (ormai consolidata almeno dai tempi della Scuola di Francoforte) un’infilata di stereotipi critici – non dico letterari – molto riposanti e un po’ attardati: il corpo di Foucault, la lingua che si sente o no, Barthes Blanchot, l’autonomia della poesia reimbellettata come engagement (questa la più oscena e acrobatica, perché fraintende e volgarizza le altissime riflessioni di Adorno, Benjamin, Fortini), ma va anche un po’ più indietro nella reazione, pescando qualcosa da Pound e perfino da Platone (torniamo a zappare la terra, gli scrittori al potere). Mi creda Arminio, non ho nulla contro di lui, i suoi libri ho provato a sfogliarli ma sono stato preso da soprassalti di noia; purtroppo io la sua lingua la sento: ma è opaca, oltre di essa non vedo alcun paesaggio, né un pensiero lucido – figurarsi politico! – oltre quel paesaggio.
Fa caldo, vero?
Il problema è, caro Arminio, che la politica è un’arte, e come tale non la può maneggiare chiunque; se lei è libero di scrivere cosa e come crede, la politica funziona diversamente: il «come» e il «cosa» sono sempre finalizzati a un obiettivo. Nel primo caso, il corpo *singolare*, creativo e libero, è il punto di partenza e il punto di arrivo del processo; nel secondo il corpo è lo strumento del *collettivo*, e dunque legato e apparentato: uscendo da se stesso trasforma ciò che gli sta intorno. La politica, insomma, non appartiene al campo «dell’immaginario», bensì a quello della «scienza». E quindi il suo aflatto in favore della poesia – lo dico in tutta franchezza: per me reazionario – è del tutto fuori-tema, giacché non tiene conto di cosa sia effettivamente la politica. Ma reazionaria è anche la sua visione della poesia come unico ambito dove all’umano è permesso astrarsi dal «mondo delle merci». Questa sua idea non è niente di diverso dall’antico separarsi del poeta dalla cose del mondo, grossolanamente definita «torre d’avorio». Così come è reazionaria la sua visione anti-moderna. Vede, Arminio, ci sono popoli nella terra che trarrebbero giovamento dal nostro modello di sviluppo; popoli che vivono nella fame, ai quali farebbe piacere disporre di pomodori transgenici o anche solo degli scarti della nostra crescita; cosa vuole che importi, a questi popoli, della poesia? Lei trova piacere ad abitare il tempo in attesa della morte, per quelle popolazioni, invece, il tempo è già morte, non avendo scampo da una forma di indigenza che li uccide quotidianamente. Per chi ha la pancia piena è facile parlare di poesia. Sì, la poesia è reale; ma lo è ancora di più il capitalismo, il quale può essere superato solo facendolo andare avanti, sviluppandolo, appunto, e non vagheggiando «case senza muri e senza tetto»; il capitalismo può essere superato solo portando a compimento la contraddizione antica tra le sue immense capacità di soddisfare i bisogni e i freni imposti dai «rapporti di proprietà» (il problema non è lo sviluppo, ma proprio il non pieno sviluppo del capitalismo). Per questo compito la poesia non serve a nulla. Vede, Arminio, se lei non avesse avuto l’ardire di sottotitolare questo suo scritto «il sogno di un’altra politica» nessuno avrebbe storto il naso; il suo articolo sarebbe stato letto come un apporto personale, di scrittore giustamente indignato per la ferocità dei tempi. Solo che lei è uscito dall’ambito letterario, facendo indossare alle sue parole un abito pericoloso: la «rivoluzione» non è «un pranzo di gala», e non è neppure la «spartizione serena del respiro» – è separazione, interesse particolare che vuole diventare generale, è rottura violenta – violenta, sì – dell’ordine costituito. Non abbiamo bisogno di un’organizzazione di letterati, mi creda; abbiamo bisogno … Ecco, questo è l’ambito di una politica «altra» oggi: capire di cosa abbiamo bisogno per portare il capitalismo al suo sviluppo superiore, in modo tale da farlo diventare inutile. Trattasi – ne converrà, spero – di un compito immane, talmente immane da rendere del tutto inservibile la poesia. Abbiamo bisogno di una «scienza» della rivoluzione: Einstein in luogo di Pound …
@Stan
La scienza della politica a somiglianza della fisica?
Magari sarebbe prima interessante capirci su cosa sia la scienza, e poi che genere di scienza potrebbe mai essere la politica se non a partire da una serie di dogmi?
Sarebbe chiedere troppo quantomeno che essi fossero chiaramente enunciati?
A me sembra invece che la politica sia parte della filosofia, e quando sento che qualcuno la vuole sottrarre a questo ambito fondamentale, mi allarmo, mi pare un modo un po’ truffaldino (il modo truffaldino, non il soggetto, ovviamente), per impedire un dibattito a tutto campo, come un volere porre i paletti dei propri personali dogmi a protezione delle proprie personali convinzioni.
Mi permetterei di dire a Stan che sento nella sua abbastanza giusta analisi anche un po’ di aggressione alla persona (può darsi che mi sbagli, o che sia anche un’autocritica). Resta il fatto che il paziente e dialogico Arminio è contro il capitalismo che mercifica tutto, ma vuole che il governo capitalista stimoli la crescita…. di un pensiero poetico collettivo… vuole che gli scrittori si rendano finalmente utili, e producano profitto sociale, in forma di passione civile. Insomma, Arminio, non la faccio troppo lunga: il governo e la politica possono fare solo una cosa, per la poesia e l’arte in genere, starne il più possibile alla larga (e viceversa); lo stesso ritengo che se governanti e politici fossero più intelligenti investirebbero di più sulla produzione artistica attraverso processi impersonali (non con i finanziamenti ai singoli artisti, che generano più che altro corruzione); perché produrre arte rende, in tanti sensi, ma prima di tutto in termini economici, visto quello che rappresenta il turismo in Italia.
Un ultima cosa – e qui ha di nuovo ragione Stan -: cercando di rendersi politicamente utile, Arminio, svalorizza il suo lavoro di scrittore e poeta, che apprezzo anche se lo conosco ancora poco (ma qui dico come Troisi, che secondo me manca più di Pasolini: voi siete tanti a scrivere, io so’ uno solo a leggere….)
http://accademia-inaffidabili.blogspot.it/2010/11/epistola-terza-agli-editori.html
@ Vincenzo
allarmati pure, libero di farlo; tieni però presente che in molti, in passato, hanno inteso la politica come superamento della filosofia. Questa corrente non è neppure minoritaria, ed è ben rappresentata dalla famosa XI Tesi su Feuerbach di Marx:«i filosofi hanno soltanto interpretato il mondo, si tratta invece di trasformarlo». La filosofia, in fondo, come dimostra in maniera indubitabile il Novecento, è sempre «in ritardo» rispetto alla scienza; le elaborazioni filosofiche più recenti sono tutte figlie delle scoperte della fisica quantistica, ad esempio. La politica punta a «governare» le leggi che regolano i fenomeni sociali; a tal fine, usa lo stesso metodo della scienza: per approssimazioni successive, giunge a conoscere la realtà «attraverso l’osservazione e l’esperimento» – ma, a differenza della filosofia, non fa di queste conoscenze (il pensato e il pensabile) il suo oggetto d’attenzione , no: ciò che gli preme è la «prassi», ossia come la conoscenza può modificare il comportamento collettivo. Proprio in quanto scienza, la politica non ha dogmi; al limite teorie da sottoporre a verifica continua – come la scienza, per l’appunto. Sì, lo ribadisco: da Marx in avanti, la politica è la negazione della filosofia in favore di una scienza nuova: la scienza della politica. Riportare la politica alla filosofia è negare gran parte del miglior pensiero Otto-Novecentesco.
@ Larry
amico, dove avrei aggredito la persona? Le mie parole sono dei fendenti diretti all’Arminio-Testo, più che pistolettate dirette verso l’Arminio-Persona. Ma la differenza è minima, lo so bene; e soprattutto mi pare che nella scrittura di Arminio la dimensione del «testo» non possa essere presa separatamente da quella della «persona». E allora ammetto che la percezione possa cogliere in un fendente la pistolettata …
@Stan
E lo sapevo che il problema sta nella stessa concezione della scienza.
A questo punto, avrei ben pochi dubbi sul fatto che tu non ti occupi di scienza sperimentali, al contrario di me che, proprio perchè ci sono dentro, posso assicurarti che non esiste scienza senza alcuni postulati senza cui non si può dare scienza. Lo sviluppo della filosofia della scienza nel secolo scorso ha definitivamente, io credo, eliminato alcuna possibilità di conferire alle scienze uno statuto specifico. Dai limiti del linguaggio, poichè non solo la filosofia si esprime in un linguaggio, ma la stessa cosa si fa nelle scienze, se ne deduce che non può esistere alcun fondamento epistemologico.
Comunque, il discorso andrebbe troppo lontano.
Ti vorrei solo ricordare che Marx nasce da filosofo e tutt’oggi non sono pochi coloro che lo considerano tale, e che soprattutto lo valorizzano proprio sotto questo aspetto, sostenendo che certe evoluzioni del suo pensiero rispetto al Marx giovane vadano criticate. Anche qui, purtroppo, il discorso ci porterebbe troppo lontano, e così mi fermo qui.
@ Cucinotta (e stan)
So che risulterò palloso, specie in un post di Franco Arminio, ma mi sono assunto seriamente il compito di esserlo come correttivo alla sua “leggerezza insostenibile dell’essere” e procedo.
Sulla politica tirata da un braccio dai filosofi e da un lato dagli scienziati *in illo tempore* quando alcuni scalmanati si azzannavano ancora sulla *crisi del marxismo* si parlò a lungo.
Oggi solo un eretico può pensare ancora di tirarla dalla parte della scienza.
Ma la partita è ancora aperta…
Qualcuno ha mai preso sul serio la diatriba Preve-La Grassa a proposito del Marx filosofo o del Marx scienziato o si ricorda dei discorsi “archeologici” sul Marx ”giovane” dei *Manoscritti economico-filosofici del ‘44* e sul Marx “vecchio” di *Das Kapital**?
Chi volesse avere un’informazione “veloce” potrebbe leggersi quest’articolo, che avevo – credo- già segnalato: Il ritorno di Marx in Italia di Oliviero Calcagno e Gianfranco Ragona (http://www.sinistrainrete.info/marxismo/2077-ocalcagno-e-gragona-il-ritorno-di-marx-in-italia.html).
Chi volesse approfondire può leggere: Marcello Musto, *Ripensare Marx e i marxismi*, Carocci, Roma 2011
P.s.
Proprio per i volenterosi stralcio questi due passi dell’articolo, dove si accenna rispettivamente alla riflessione di Preve:
Il lettore filosoficamente interessato troverà invece sempre nuovi spunti in quella sorta di opera a dispense periodiche che sul rapporto tra Marx, il marxismo e la filosofia viene conducendo da oltre un ventennio Costanzo Preve.20 Se il limite di una lunga tradizione di studi, anche di autori trattati in quest’articolo, è di valorizzare Marx anche contro la filosofia, la posizione di Preve è per contro quella di valorizzare la filosofia anche contro Marx, senza per questo rompere con il lascito marxiano – con cui infatti conduce un inesausto confronto – ma al più con la vulgata marxista, non senza eccessi polemici. Partito da premesse in qualche modo ‘althusseriane’ per il rifiuto di un Soggetto della storia (soprattutto se individuato nella classe operaia), Preve è attualmente giunto ad una ridefinizione in chiave antropologica del comunismo come erede della forma-pòlis greca classica, la cui natura comunitaria renderebbe possibile un’elaborazione veritativa dell’esistenza umana attraverso l’inesauribile veicolo del dialogo filosofico. Il confronto con Marx verte perciò sul congedo di quest’ultimo dalla filosofia tradizionalmente intesa, interpretato dialetticamente come cedimento al paradigma utilitaristico della modernità, ma al tempo stesso come condizione per la nascita di quella nuova disciplina che è la critica dell’economia politica, al cui centro sta l’unione inscindibile di teoria del valore e dell’alienazione, cioè di riduzione economicistica della natura generica dell’essere umano (Gattungswesen) ad ente fornitore di prestazioni quantificabili. Gli accenti heideggeriani di questa disamina vengono radicalizzati in una decostruzione della genealogia filosofica convenzionale – che faceva perno sulla categoria di materialismo, qui debitamente smontata – culminante nella connotazione di Marx come «idealista naturalista», indagatore di una natura umana reale in cerca dell’incontro col suo concetto, e perciò terzo e ultimo nella lista dei grandi idealisti tedeschi, dopo Fichte e Hegel.
e a quella di La Grassa:
Una prospettiva originale sul nesso tra critica dell’economia politica ed emancipazione sociale viene da Gianfranco La Grassa, che, con modalità e tempi analoghi a Preve, da molto tempo va conducendo un’impegnativa opera di ‘decostruzione’ del marxismo (senza riverenze neppure per il padre fondatore), ora approdata, dal modello interpretativo del «capitalismo lavorativo», a quello del «conflitto strategico». Ne Gli strateghi del capitale32 e in Due passi in Marx,33l’Autore ricapitola meriti e (soprattutto) limiti di un’impresa teorica di cui intende riconoscere i caratteri della scientificità (inclusi fallibilità e superamento), a partire da due punti critici. Il primo, che per Marx il modo di produzione capitalistico sarebbe strutturalmente fondato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, quando invece il suo nucleo andrebbe cercato non nell’elemento giuridico della proprietà, e neppure in quello economico della superficie mercantile, ma nell’articolazione del processo produttivo, nelle dinamiche di processi di lavoro che riproducono in forma storicamente specifica ruoli dominanti e subordinati. Il secondo, consequenziale, che Marx avrebbe inteso fondare «l’intera dinamica sociale sulla teoria del valore, sulla mera acquisizione da parte dei dominanti […] del pluslavoro dei dominati, pur nella forma specifica del plusvalore», rivelando così di essere ancora prigioniero di un’impostazione finalistica per cui la dinamica strutturale avrebbe polarizzato la società tra una classe parassitaria e numericamente sempre più esigua ed una di lavoratori collettivi cooperativi divenuti sempre più consapevoli e pronti ad integrare anche quel patrimonio di conoscenze impiegate nella produzione definite general intellect. Al di fuori di quest’illusione finalistica, non esisterebbe alcun limite naturale alla multiforme accumulazione capitalistica, né alcuna formazione endogena di un soggetto rivoluzionario; da cui una rivalutazione della posizione leniniana sulle potenzialità rivoluzionarie aperte dalle lotte tra gruppi di potere dominanti. In generale, l’Autore intende riqualificare criticamente la tessitura ‘politica’ del discorso marxiano, ben sintetizzata nell’affermazione che «il capitale non è una cosa, ma un rapporto sociale» discutendo l’apparente primato dell’economico, in forma di determinismo nella Prefazione del 1859 a Per la critica dell’economia politica e di sostanzialismo nella teoria del valore monetario come «lavoro incorporato». La proposta in positivo di una teoria del conflitto strategico per la supremazia su scala mondiale presenta peraltro due difficoltà: sul piano teorico, la tendenza a sfumare la specificità storica del modo di produzione capitalistico, una volta semplicemente sostituita, e non variamente articolata, la centralità della categoria di merce con quella di riproduzione di rapporti sociali subordinati; sul piano politico, la resa all’amara diagnosi della non-rivoluzionarietà delle classi dominate, le cui pur legittime lotte di resistenza potrebbero avere esito rivoluzionario soltanto se favorite o addirittura promosse da scontri tra i soggetti sociali dominanti.
[* nel copia/incolla sono saltate le note, ma poco importa]
la mia scrittura procede per immagini, per scatti umorali. scrivo col corpo, scrivo dal corpo. mi pare che negli interventi che leggo qui ci sia una passione per i grandi panneggi teorici, per le astrazioni. io amo i percettivi e in questi commenti leggo solo opinionisti.
Arminio, ieri si era dimostrato così aperto… se ora mi dà dell’opinionista mi offendo un po’. Comunque, il corpo, nella sua scrittura, nel suo pensiero poetico, si sente, ma se il corpo produce nello stesso tempo opinioni che sono scientificamente reazionarie, perché non dovremmo amichevolmente farglielo notare? Io, e penso Stan, le stiamo semplicemente dicendo che il percettivo che lei ama non si avvantaggia dal produrre opinioni su categorie come la scienza politica delle quali mostra di non aver alcun controllo (e non c’è nulla di male).
Abate, Costanzo Preve quello che se vivesse in Francia voterebbe il Front National, come ha spavaldamente dichiarato? Contento te…
I “percettivi” imparino dagli “opinionisti”. E viceversa.
No ai ghetti.
Forse per Lei, caro Arminio, la parola AUTISMO è un termine “trendy” che serve a rendere il Suo articolo più accativante ed elevato…per noi genitori di persone autistiche è una dura realtà contro cui lottiamo ogni giorno.
Sarebbe assai gradito che scegliesse altri vocaboli per “figheggiare” nei Suoi scritti. Grazie.
opinioni scientificamente reazionarie…
ma come parlate?
io non voglio avere alcun controllo della scienza politica, non ce l’ho neppure sul mio corpo….
figheggiare…
non mi pare un termine adeguato e invalida completamente il suo intervento.
Io leggo qui e nei commenti presenti di un tizio che ha voglia, sente il bisogno, di volgere lo sguardo da un’altra parte. Indietro, avanti, a destra o a sinistra, non è importante. Altrove. Punto.
E una manica di gente che ha paura anche se lo fa (volgere lo sguardo) qualcun altro. Incerottati dietro categorie e paroloni vuoti e inutili. Non pronti alla vita. La politica è la gestione della vita. La poesia è creazione di vita “altra”. Politica e poesia, in mondo senza paura, stanno insieme.
Ho letto. Ho sprecato il mio tempo.
Cristo santo, Arminio e Chiappanuvoli, ma non vi rendete conto che la vostra è cattiva retorica? Gli altri saranno pure degli opinionisti, con i loro panneggi teorici e le loro magre astrazioni, ma nelle vostre parole da profeti di campagna, oltre un qualche impiccio o gravame che le impasta e che vi piace chiamare corpo o vita, si sente risuonare il vuoto.
COME PARLATE?!!! MA CHE SIAMO IN UN FILM DI NANNI MORETTI?!!! Arminio, quando leggete la parola scienza brandite amuleti e cornetti, e poi Vi risentite se Vi si appella di reazionari? Scientificamente reazionario vuol’egli dire che sottoponendo gli enunciati da Voi prodotti in questo articolo e in questo thread alla verifica scientifica (quella della COMUNITA’ intellettuale) essi risulteranno inequivocabilmente reazionari. Siccome Voi, Arminio, scrivete benissimo e benissimo Vi fate capire, avete qui scritto così: ” Altro che moderno o postmoderno, altro che localismo o globalità. La faccenda è teologica. Abbiamo bisogno di politica e di economia, ma ci vuole una politica e un’economia del sacro ” Per me questo passo rafforza le cose ” reazionarie ” contenute nell’articolo, che già Vi sono state fatte notare; per me significa che sognate di uscire dal caos della modernità tecnico scientifica per rientrare in un tempo armo(i)nico classico teologico spirituale. Siete di destra? Ditelo, non c’è nulla di male. Ma se leggo Manifesto penso alla sinistra, e mi incazzo pure, perché mi sarei rotto di fare spazio a intellettuali di destra che stanno a sinistra perché in Italia non c’è una vera destra (il legge e ordine Roberto Saviano, l’esaltatore dei poveri imprenditori Edoardo Nesi, il giustiziere montanelliano Marco Travaglio, lo ieratico Massimo Fini, il mischiatore Antonio Pennacchi, l’ammazzatutti Beppe Grillo ecc). Oppure volevate dire un’altra cosa e Vi siete spiegato male? Non credo. Anche io penso, magari sbagliando, che dalla dicotomia modernità-postmodernità bisogna prima o poi uscire, ma sarà un casino, perché la modernità aveva portato i diritti alla povera gente (anche l’accesso alle merci…), che difficilmente ci rinuncerà a favore dell’economia del sacro… Quindi bisogna uscirci passando prima di tutto dal giuridico, ridefinendo i diritti sociali inviolabili per davvero considerarli SACRI. E bisogna superarla, questa modernità che tanto Vi schifa, portandosi appresso la scienza e la tecnica (anche politiche). Se poi Voi volete continuare a pensare che la modernità va superata con la teologia e la poesia, fate pure. Ma non vi offendete se Vi si dice, così, a titolo di opinione, privi di una qualunque AUTORITA’, che non solo non ci sono più le mezze stagioni, ma nemmeno i fieri reazionari di una volta.
Ps: avverto chi volesse eventualmente infierire sul vergatore di questo intervento che la locuzione POLLAIO OCLOCRATICO, ricorrente a un termine dispregiativo spesso adoperato nei circoli intellettuali di destra, già fu usata.
Credo solo che sia quel “vuoto” che spaventa.
La parola AUTISMO è stata da VOI usata unicamente per inserire un termine attraverso il quale rendere più accattivante, elevato, sofisticato…il VOSTRO scritto. Ci sono altri termini che possono essere usati con altrettanta efficacia. Mi meraviglio di VOI, visto che della parola scritta avete fatto la VOSTRA ragione di vita.
Relativamente al termine “figheggiare”, mi permetto di suggerirVI la consultazione di qualche neologismo che probabilmente l’aiuterà a svecchiarsi un po’.
Saluti.
@ Arminio
lei ami pure i percettivi, e ami pure chi vuole; pensi che io amo le frittelle e i pagliacci. Però non dimentichi una cosa: anche chi ama i «grandi panneggi teorici» scrive col corpo; non lo sa che la mente, e dunque la nostra capacità di astrazione, è nel corpo? Insomma, pur se scrittore «umorale» non può esimersi dall’usare le parole in modo appropriato. E’ il minimo che si chiede a uno scrittore. Dopodiché, tolgo il disturbo e la lascio alla sua ricerca d’una società anteriore …
@ Chiappanuvoli
il suo commento trasuda confusione. Per chi parla di politica, la direzione che si prende non è indifferente; anche un «altrove» è da qualche parte. Tutte le parti sono uguali?
@ Vincenzo
Sai che ho l’impressione che, se ne avessimo modo, alla fine ci intenderemo? Ma è discorso che esula da questo post. Una cosa sola: Marx non è un filosofo, bensì un rivoluzionario. Ha usato anche la filosofia, così come ha usato l’economia; ma inquadrarlo sotto questa o quell’altra categoria ne svilisce l’essenza.
@ Abate
Costanzo Preve? Ma davvero dai credito a quel personaggio? E ti parla uno che di Preve ha, in casa, una ventina tra libri e opuscoli. Preve smette di dire cose interessanti, per aprirsi alla confusione, anche politica (nota la sua simpatia per certa estrema destra), dopo la pubblicazione di quello che resta il suo libro più interessante: «La teoria in pezzi» … Ma anche qui usciamo dal seminato …
@ Larry
quando ci vuole ci vuole! Condivido ogni tua parola dell’ultimo commento.
@ Tutti
Io credo che sia sacrosanto l’intento di cercare «un’altra politica»; e credo che sia evidente la sua necessità. Uno degli imperativi etici per chi si pone, coi mezzi suoi propri, in questo solco, uno di quegli imperativi su cui non si può barare, è l’uso appropriato dei concetti. Quando parliamo di politica, non possiamo farlo «per scatti umorali»; la politica implica sempre la relazione con l’«altro» e ogni frase, ogni singola parola persino, si porta dietro un comportamento preciso. A chi giova l’imprecisione concettuale? Ecco, quello che alcuni, qui, hanno scambiato per «astrazioni» o «panneggi teorici», sono in realtà solo e solamente precisazioni. Si preferisce parlare «alla cazzo di cane»? Liberi di farlo, purché non veniate a dire che state cercando un’altra politica: siete tutti dentro il grande chiacchiericcio odierno. Politico è anche l’uso della lingua.
dal pomeriggio e fino al primo luglio sono impegnato nella scuola di paesologia e non potrò fare altri commenti. allora diciamo che questo è l’ultimo.
se gli altri usano toni aggressivi ti dicono che vogliono dialogare.
se lo faccio io divento permaloso…..
la questione è veramente solo nelle parole: non le sentite, non solo quelle che usano gli altri, ma pure quelle che usate voi. e non c’è niente da fare, ognuno fa quel che sa fare….
@ stan
Io credito a Preve non ne ho dato. Osservavo il paesaggio dove c’erano quelli ( prima in tanti ora in pochissimi) che parlavano di Marx filosofo/Marx scienziato e ci notavoanche lui (non è l’ultimo pirla no, se fino a un certo punto l’hai letto) anche lui. Del resto ho stralciato i pezzi-documentazione dal libro di Musto. Semplice apparato bibliografico le lettori volenterosi.
Se vuoi sapere cosa penso delle attuali posizioni teoriche di Preve, leggiti questa lettera che è stata pubblicata su vari siti. Ti do un link: http://www.sinistrainrete.info/marxismo/1951-ennio-abate-su-comunismo-e-storia-lettera-a-preve.html
@ Massino
Fra chi mi sceglie Monti e chi mi sceglie la Le Pen che dire? Siamo nell’ordine del discorso del vecchio Brecht:
«È più criminale fondare una banca o rapinare una banca?»
Comunque, vale quanto appena detto, a Stan.
E poi si discuteva di “panneggi teorici” mica di bassa politica senza poesia.
Arminio e’ un valido scrittore (dotato di forma propria) leggermente in anticipo sui tempi (il disastro dei paesi e’ una distopia verosimile che preannunica il disastro della comunita’ nazionale), dunque da seguire. Nessuno sta scrivendo che e’ un grande scrittore, ne’ tantomeno che e’ un grande politico… la difficolta’ della vita quotidiana ne annacqua spesse volte i messaggi in internet, ma la polpa resta valida, relativamente a questi anni Dieci del secolo XXI in Italia. Raggiunto un accordo su questo, si puo’ procedere con i commenti.
Anche gli adolescenti amano rimasticarsi in mente le parole delle proprie poesie, se le sentono, se ne commuovono, se ne fanno difesa. Qualcuno di loro s’illude di essere un grande scrittore, e magari col tempo e la maturazione del talento, con un faticoso cammino di autocritica, con l’uscita da quell’autismo giovanile fatto di false rivelazioni e false autoconferme (mi perdoni Autism Mother, che stimo molto: qui uso il termine in senso etimologico e non patologico), qualcuno riesce perfino a diventarlo. Non credevo che Arminio fosse così indifeso. Mi si perdoni l’aggressività.
Suggerirei ad Arminio, che da ora in poi sarà impegnato nella sua scuola di paesologia e non potrà seguire i commenti , di ritagliarsi una pausa di riflessione su questi due “Assiomi” appena pubblicati da Casadei nel post a puntate:
“4. “Ultima metamorfosi dell’angoscia di fronte al Super-Io mi è sembrata l’angoscia di fronte alla morte (o di fronte alla vita), l’angoscia di fronte alla proiezione del Super-Io nelle forze del destino” (Freud, Inibizione, sintomo e angoscia).
5. L’esibizione dei processi dell’angoscia, peraltro ancora ben poco chiari da un punto di vista clinico, ha comunque prodotto un loro depotenziamento: possiamo indicare cause ed effetti della fenomenologia dell’angoscia (traumi, sensi di colpa, fobie ecc.) senza che questo produca alcun tipo di maggiore conoscenza dell’interiorità”
Credo che l’Arminio vi dovrebbe ringraziare per l’importanza che gli state dando, perchè dalle Vostre critiche c’è tanto da riflettere. La sua gente,-per quanto ignorante,accidiosa, povera,sottomessa, complice,opportunista,bizzoca,ecc.ecc.- ha rinunciato e non ne vuole parlare, non so perchè, ma credo che meriterebbe maggiore rispetto in genere da uno scrittore e in particolare da chi si propone come pensiero nuovo della sx(sarebbe discendente di Gramsci?). Chi ha delle sofferenze interiori può produrre grandi opere culturali o miserabili racconti o poesie (ne ho letta una che mi ha disturbato :credo si chiamasse “paolina”, spero non fosse il suo vero nome!). Dimostra più rispetto(amore) per la natura fisica che per quella umana, più per la morte che per la vita. Spero di sbagliarmi, non ho le certezze adeguate, altrimenti il mondo e la vita mi diventerebbe più insopportabile e perderei quel poco di ottimismo che mi è rimasto .Non me ne voglia Arminio, che a sua differenza, nonostante tutto , sono innammorato del suo paese (comprese le persone senza storia e poesia) , in cui ci vivo da qualche tempo in contemporanea con Chioggia e Orta Nova. La presente Per amore della libertà e della democrazia, che non è appannaggio solo degli intellettuali ,che hanno padronanza delle parole, ma anche della gente comune.
Che commentario si è sviluppato intorno a una riconnessione del sacro e del profano, Bocca di Rosa.
Insisto: se non è dalla separazione che dobbiamo ripartire. Con le analisi e le conseguenti sintesi.
Se non è tracciando una nuova linea interpretativa del capitalismo (come lo conosciamo oggi nella sua forma dominante e totalizzante) più che come modalità di produzione e consumo delle merci, invece come struttura di conservazione del potere. Di un potere.
Che poi le crisi siano l’evento di rielaborazione del capitalismo stesso, e la democrazia come forma civile organizzata del suo potere come colei che meglio di altre forme di governo della realtà riesca a ridefinire il senso della sua solidità come forma di governo possibile, è evidente. E’ come parlare dell’acqua che scorre. Soprattutto se non lo si fa con la poesia.
Ma certamente le parole, soprattutto se sono quelle di tutti, possono venire “utili” allo scopo di prendere consapevolezza della distanza che corre fra noi e le cose, e dello sforzo che compiamo per nasconderci questo “bere” dalla distanza un senso che il più delle volte resta inafferrabile. E non condiviso.
Per questo sia Arminio che Stan hanno entrambi ragione da dare alla lettura delle nostre esistenze, così miseramente abbandonate alla deriva della parola impronunciata.