di Tomaso Montanari

Firenze teme di non essere abbastanza ‘contemporanea’: l’assessore alla cultura – per esempio – lo è anche ‘alla contemporaneità’, naturalmente con effetti tragicomici. Ma Firenze si sbaglia: non c’è città più capace di interpretare gli autentici valori del nostro tempo, primo fra tutti l’assoluto e totalizzante culto del denaro.

Per capirlo basta passeggiare per Via Tornabuoni: il ‘salotto di Firenze’, come si dice con un’espressione di sconfinata volgarità. E la volgarità sta nel fatto che si pensa che l’eleganza sia legata alle grandi griffes che hanno progressivamente espulso da quella strada alcuni luoghi cruciali della socialità fiorentina, imponendo una ferrea omologazione ai precetti di un lusso mondiale che rende i nostri desideri (anche se non i nostri mezzi) identici a quelli degli oligarchi russi o dei principi sauditi. Scarpe, cinture, cravatte: Firenze è questo. E a questo riduce, fortissimamente, tutto il poco che resiste.

In quel poco ci dovrebbe essere anche il suo straordinario patrimonio storico e artistico: un patrimonio che l’ultima dei Medici, l’Elettrice Palatina, volle lasciare ai cittadini di Firenze, e che i fiorentini di oggi considerano alla stregua di un ‘quartierino in centro da dare in fitto’.

Se vuoi un paio di stivali di Gucci devi pagare mille euro; se vuoi noleggiare gli Uffizi, basta pagare qualche migliaio di euro: Madonna l’ha fatto una domenica di giugno.

Così la popstar ha potuto vedere i quadri del popolo italiano senza la noia del popolo italiano tra i piedi, e col vantaggio di noleggiare contestualmente anche la soprintendente di Firenze, Cristina Acidini, che le ha fatto da guida di lusso. Il giorno dopo, sul «Corriere Fiorentino», si è letto: «“Mi è parsa molto interessata soprattutto al periodo della Firenze di Lorenzo il Magnifico – ha detto Acidini –, alle opere del Botticelli, ma anche a tutte le spiegazioni che accompagnavano i dipinti dove si intersecano i miti pagani e il sacro”. “Era molto attenta a tutto ciò che è filosofia e morale”, ha concluso la soprintendente. Dopo gli Uffizi, attraverso il Corridoio Vasariano, Madonna è uscita nel giardino di Boboli, e ha chiesto di visitare la Galleria Palatina, prima di rientrare in hotel». Hotel dove Madonna si è fatta cambiare la tazza del cesso, perché turbata all’idea di poggiare le natiche su uno smalto promiscuo: «Era molto attenta a tutto ciò che è filosofia e morale». Insomma: è Madonna che metabolizza gli Uffizi, privandoli della loro funzione sociale e culturale, non gli Uffizi a lasciare un segno su Madonna, che ovviamente non cambia di mezzo millimetro.

Il giorno dopo Madonna, ancora gli Uffizi a noleggio. Lo stilista Stefano Ricci organizza due sfilate nel Corridoio di Ponente: una la fa aprire da una tribù di Masai, che corrono brandendo scudi e lance di fronte al Laocoonte di Baccio Bandinelli, sotto lo sguardo incredulo dei ritratti cinquecenteschi della Gioviana. Per la gioia di un Occidente narcisista che balla sull’abisso, tutto è merce, tutto è in vendita: gli abiti griffati, il museo e perfino i Masai, portati a Firenze come bestie da serraglio e numero da circo.

Le cronache permettono di capire che il vero tema della serata non erano gli abiti, né tantomeno la storia dell’arte, ma il lusso come valore assoluto. Ancora dal «Corriere Fiorentino» si apprende che il parterre comprendeva «Roberto e Eva Cavalli, Ermanno Scervino, Patrizia Pepe, Wanda Ferragamo e poi il sindaco Matteo Renzi e la sovrintendente al polo museale fiorentino Cristina Acidini insieme ad uno stuolo di clienti danarosi arrivati per l’occasione dai cinque continenti, molti dei quali hanno dovuto ripiegare sull’aeroporto di Pisa per ‘parcheggiare’ il loro jet privato. Spettacolare anche l’after show, con una cena per pochi intimi approntata sulla terrazza degli Uffizi dallo staff dell’enoteca Pinchiorri (nella carta firmata da Annie Feolde: crema di pomodoro crudo con mozzarella di bufala e basilico, crespella alla fiorentina con salsa al Parmigiano reggiano e pinoli tostati, e quaglia farcita ai funghi porcini con fagioli al fiasco), durante la quale è stato presentato anche il vino “Stefano Ricci”, appositamente selezionato da Giorgio Pinchiorri».

Una nota comunica che, in questo trionfo della sobrietà, l’obolo pagato per ‘privatizzare’ i pubblici Uffizi è stato davvero risibile: 30.000 euro.

Pochi giorni fa, il Louvre ha accolto un pacchianissimo ricevimento di Ferragamo. Nemmeno quello è stato un bel segnale, ma i francesi hanno tenuto la sfilata fuori dalle sale del Museo, ben alla larga dalle opere (tutto si è svolto nel Peristilio Denon): e ciò nondimeno hanno ottenuto «alcuni milioni». Come dire: se si arriva a vendere il decoro pubblico, almeno che lo si venda caro.

Ma il punto non è questo. Gli Uffizi che Madonna e Ricci noleggiano a ore, appartengono oggi al popolo italiano. Che li mantiene con le proprie sudatissime tasse non perché siano ‘belli’, ma perché sono un potentissimo strumento di educazione alla cittadinanza e di innalzamento spirituale. L’articolo 3 della Costituzione affida alla Repubblica il compito di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Il patrimonio storico e artistico della nazione (menzionato – caso unico al mondo – sempre tra i principi fondamentali della Carta, pochi articoli dopo) è precisamente uno degli strumenti che permettono alla Repubblica di rimuovere quegli ostacoli, e di rendere effettiva la libertà e l’eguaglianza dei cittadini.

Ma se gli Uffizi diventano lo sfondo della «quaglia farcita ai funghi porcini con fagioli al fiasco»; se gli Uffizi diventano una location dove ostentare e celebrare l’onnipotenza del lusso, la diseguaglianza sociale ed economica e il trionfo del denaro di pochi; se gli Uffizi diventano la prosecuzione delle scarpe e delle borse con altri mezzi; se gli Uffizi vengono risucchiati da questo turbine di volgarità e ignoranza provinciali; se non è più possibile distinguere tra gli Uffizi e il Billionaire, ebbene, la Repubblica italiana prende un potentissimo strumento di educazione e di eguaglianza, che mantiene a caro prezzo con i soldi di tutti, e lo trasforma deliberatamente in un altrettanto potente mezzo di diseducazione e discriminazione.

Uscito da una messa in cui aveva sentito predicare gli atti di misericordia corporale, il piccolo Luigi Pirandello tornò a casa seminudo perché aveva rivestito del suo abito un bambino che aveva visto coperto di stracci. Ma, una volta a casa, egli venne aspramente rimproverato: e comprese, una volta per tutte, che nessuno prendeva sul serio il cristianesimo. Allo stesso modo, tutte le prediche sul valore culturale dei musei sono vanificate dal noleggio degli Uffizi: il messaggio è chiarissimo, l’unico valore che conta è quello del denaro, tutto il resto non va preso sul serio.

È per questo che non si devono organizzare sfilate ed eventi mondani agli Uffizi. Per capirlo, e per farlo capire anche ai cultori della moda, dovrebbe bastare quel che diceva, nel Seicento, Jean de la Bruyère echeggiando secoli di riflessioni sul ‘decoro’: «Le cose belle lo sono meno se fuori posto: la perfezione dipende dalle convenienze e le convenienze dalla ragione. Talché è inconcepibile una giga in cappella e un’enfasi teatrale in una predica; non si vedono immagini profane nei templi, un Cristo, per esempio, e il giudizio di Paride in uno stesso santuario, né si confanno a persone consacrate alla Chiesa la pompa e il seguito di un cavaliere».

Ma dopo che il patrimonio storico e artistico della nazione italiana è stato costituzionalizzato c’è una ragione più grande, per non farlo. E la dice benissimo, anche se in modo meno aulico, il comico americano Bill Hicks: «Piantatela di mettere il maledetto segno del dollaro su ogni fottuta cosa di questo pianeta»:

Il novanta per cento della nostra fatica quotidiana, ventitré ore delle nostre ventiquattro, nove decimi delle nostre città, la quasi totalità dei nostri desideri e del nostro immaginario sono asserviti al potere del mercato e del denaro. Se pieghiamo a questo stesso, unico fine anche il poco che resta libero e liberante ci comportiamo esattamente come il Re Mida del mito e delle favole: ansiosi di trasformare tutto in oro, non ci rendiamo conto che ci stiamo condannando a morire di fame.

[Immagine: La sfilata di Stefano Ricci agli Uffizi (gm)].

19 thoughts on “Pessimi Uffizi

  1. Grazie per questo articolo, che andrebbe fatto circolare. La cosa più allucinante sono i Masai usati come soprammobile.

  2. Concordo in pieno; se gli Uffizi, così come Pompei o i Fori imperiali, diventano lo sfondo e non lo scopo stesso di una visita, siamo davvero alla frutta. Il manifesto per la cultura lanciato dal Sole 24ore è molto importante per la valorizzazione che si dà alla cultura in un Paese naturalmente culturale come il nostro (e non per nostro merito); diventa meno importante quando invoca l’intervento dei privati sul patrimonio culturale…se questi sono i privati, ecco che Madonna o un Ricci sono pronti a svilire questi luoghi sacri, come la nave da crociera che passa tronfia sul Canal Grande perché pensino, i crocieristi, che palazzo Ducale sia lì per loro…e no, cari miei, questi monumenti sono là perché noi, che li abbiamo ricevuti per grazia, senza merito ripeto, ce li meritassimo e dunque meritano il massimo rispetto, non possono e non devono far da sfondo a simili pagliacciate!

  3. Sante parole! Che volgarità, lasciare insigni monumenti in balia di questi bifolchi arricchiti, che si permettono di offendere con la loro presenza inopportuna e le loro “pacchianissime” cene questi fondamentali templi della cultura. I monumenti devono essere accessibili, unicamente, alle allegre scolaresche e ai simpatici gruppi di pensionati over-65 (…anzi, meglio over-75, vds. riforma Fornero), da far entrare rigorosamente gratis a spese dei ricchi pescicani e dei fastidiosi e indesiderati turisti stranieri. Ma la cosa migliore sarebbe tenerli, i monumenti, assolutamente sbarrati e inaccessibili, lontani da occhi profani che non siano degni di certe bellezze. A Oplontis e a Pompei, per fortuna, ci siamo ormai quasi riusciti…

  4. Non c’entra nulla la valorizzazione del nostro patrimonio culturale – ma capitalizzazione, in senso anche simbolico, sarebbe parola più opportuna. Ho piuttosto il sospetto che, oltre all’orrore estetico-culturale di Madonna fotografata tra Renzi, i Masai e Masaccio, qui si sia consumata con spensieratezza una pesante ingiustizia sociale. Non so come funzionino gli Uffizi, il Polo Museale Fiorentino eccetera, che tipo di vincoli e autonomie vigano nell’amministrazione del patrimonio cittadino; ma com’è possibile, legalmente, che Madonna li abbia potuti “noleggiare” per intero, a discapito di tutti gli altri privati cittadini? Si lascia intendere che chiunque abbia qualche decina di migliaia d’euro da buttare (e credo che nel mondo, se non in Italia, ce ne siano di persone capaci) può accaparrarsi per un giorno l’esclusiva di un museo pubblico? Oppure ciò è possibile, peggio ancora, perché si tratta di Madonna, popstar circonfusa da un alone semidivino, griffe personificata, vera e propria industria ambulante capace di trasformare in oro tutto ciò che luccica? Il sospetto è che sia stata commessa in pieno giorno, e per di più pubblicizzata con barbara leggerezza, un’ingiustizia – non l’affitto di alcuni locali di un museo a scopo “artistico-promozionale” ad un artista, ma un omaggio d’eccezione a un monarca straniero in visita, per cui le regole vigenti per i comuni cittadini mortali, di origini non divine, vengono gentilmente sospese. In entrambi i casi, sia per denaro, sia per concessione alla dèa fama, è stata fatta una discriminazione chiara e netta tra Madonna, cittadina del mondo globale di serie A++ (secondo le agenzie di rating più accreditate), e i cittadini italiani e stranieri di serie B, universitari scolaresche coppie di anziani, comitive di turisti tedeschi, giapponesi in polaroid eccetera. Se poi piuttosto che il denaro (“almeno vendiamola cara, ‘sta pelle”), è stata proprio l’aureola della fama, l’adorazione religiosa in salsa pop, la lusinga della visitazione ad aprire le porte degli Uffizi alla Vergine Immacolata, questo dimostra ancora una volta l’improntitudine, il provincialismo, la viscida vocazione italiana a genuflettersi alla bandiera del potere, di una larga parte della nostra classe dirigente. Qualcuno mi risponda, per favore, se lo sa: com’è stata possibile questa discriminazione, in termini di diritto? Si sono almeno peritati di giustificarla in qualche modo?

  5. Anch’io ringrazio oer l’articolo di Montanari, mi sembra? che ho appena sentito leggere da Nicola La Gioia a Radio 3. Non so se dirci stupidi o incoscienti, se non ci accorgiamo che siamo diretti a morire di fame quando avremmo davanti una tavola imbandita!

  6. Per .dp.

    Mi risulta che gli Uffizi siano stati affittati da Madonna oltre l’orario normale di apertura.
    Possibilità che è consentita a chiunque voglia visitarselo senza ‘mescolarsi’ con altri e sia disposto a coprire per intero le spese.
    Da questo punto di vista penso di poterti rassicurare.

    (Il che naturalmente non sposta di un millimetro il senso dell’articolo di Montanari)

  7. Pare proprio che qualcosa stia saltando.
    Il sovrano del pianeta, il capitalismo finanziario, vacilla. Fa da sé: divorato tutto, si autodivora.
    (A me dispiace la delusione del piccolo Pirandello, disillusione che ho condiviso).
    Ma non dobbiamo disperare perché, nonostante, e a prescindere, la scolarizzazione di massa, le vacanze di massa, il benessere di massa, i bisogni di massa, la cultura di massa… l’unica cosa veramente “senza limite”, nella storia umana, è il Peggio.
    Sono curioso di vedere le prossime volgari e, certamente, violente nuove imprese.

  8. Ricordo spesso Lucio Dalla in giro per musei e mostre in programma a Firenze, e nessuno potrà dire che non fosse una figura riconoscibile. Arrivava presto o a fine orario, osservava intensamente i quadri e non chi aveva d’intorno e stava a guardare lui, era gentile con tutti ma risoluto nel seguire il proprio programma di visita. Con le medesime modalità, vestita in maniera sobria e senza tanti schiamazzi forse anche Madonna avrebbe potuto suscitare un qualche briciolo di quel rispetto che Lucio Dalla sapeva così ben incutere grazie al suo sincero interesse per l’arte.

  9. @ Mariateresa, @ Berto:
    L’indignazione ha i suoi pregi, ma credo che il punto non stia nel ripristinare il valore cultuale e la religiosa distanza da ciò che abbiamo in eredità. La battaglia qui si combatte su un terreno diverso: i monumenti e i musei sono avvicinati e accessibili, in linea di massima, ma come ha scritto .dp. poco sopra, “qui si sia consumata con spensieratezza una pesante ingiustizia sociale”. Non ne farei una questione di volgarità: quello che continua a succedere è che, mentre da un lato si apre alla possibilità che l’accesso ai luoghi della cultura sia libero, ma chi paga adeguatamente è più libero di accedervi degli altri, dall’altro con questa stessa azione si inibisce continuamente qualunque possibilità di ottenere qualcosa dal passato che non sia mero sfondo, contorno, condimento. Non credo sia volgarità (o meglio: non soltanto), è il tentativo di ripristinare una situazione “cortigiana” in una forma che non si significa più, ma al limite è allusione, occhieggiamento, ritardo del senso all’infinito. Il che ha più o meno, credo, l’effetto di tappare alla storia i suoi sfiatatoi.

  10. Vogliamo “affittare” il simbolo della sublimazione umana? OK………ma facciamolo pagare tanto ,tanto ,tanto,tanto tanto e ancora di più .Reinvestiamo il tutto in quel patrimonio artistico che per incuria si sta distruggendo.

  11. Ma cos’è tutto questo scandalizzarsi e strapparsi le vesti per una riccona che s’affitta gli Uffizi e si fa mostrare le opere d’arte prodotte dagli artisti del passato per altri ricconi?
    Ma quando mai le “masse” in fila davanti ai musei o ammucchiati davanti a qualche quadro hanno goduto dell’arte?
    Delle briciole semmai!
    L’ultimo commento ( di Serena), poi, a me pare sveli, sia pur volendo giocare sul paradosso, che si è nella stessa logica di chi ha condotto in porto l’operazione: facciamoci pagare di più, così reinvestiamo..
    Ma chi reinvestirebbe in difesa del “patrimonio artistico” (dei potenti e dei ricchi)? Non vedete che ci sono delle “priorità” e che, se si reinveste, lo si fa innanzitutto nelle spese militari, come comanda il Presidente della Madonna che ha visitato i “vostri” (?)Uffizi?
    E poi coi chiari di luna che corrono… Ci stanno svendendo l’intero Paese alle politiche del FMI e della BCE e nessun si scandalizza di questo?
    Ahi serva Italia…

  12. Questo articolo è importantissimo. Grazie a Montanari; anche per averci informato del raccapricciante scenario razzista in cui, proprio agli Uffizi, si è consumata la sfilata di moda da colonialismo “coatto” – come si dice a Roma – in mezzo ai Masai: le foto sono molto simili a quelle scattate dai nostri connazionali all’epoca della guerra d’Etiopia. Solo questo dettaglio, in un paese civile, renderebbe plausibili le dimissioni di soprantendenti, direttori e assessori. Quando poi, nei commenti, .dp parla di capitalizzazione simbolica del patrimonio culturale, ha molta ragione. Mi è tornato in mente, come avvilentissimo termine antitetico di contrasto, uno dei film più belli degli ultimi dieci anni, Russkij Kovčeg (Arca russa), 2002, di Aleksandr Sokurov. Quel film, che come è noto è un intero e unico piano sequenza di più di novanta minuti – dunque di realizzazione difficilissima: ha richiesto il lavoro di quasi cinquemila persone – è stato girato all’Ermitage il 23 dicembre 2001, nel giorno di chiusura al pubblico del museo.

  13. Mi faccio due risate ad immaginare montsnari direttore degki uffizi che si oppone a richieste simili avanzate dalla acidini di turno o dal sindaco …e..prima protesta r poi si dimette? Fatemi il piacere…

  14. Solo 30.000 euro? A Firenze affittano e vendono a peso d’oro anche le cucce dei cani! Saranno diventati buoni…..

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