[Le precedenti uscite di questi Assiomi si possono leggere qui: 1, 2, 3 e 4. Gli assiomi sono un esperimento di scrittura critica pensata per la rete. L’argomentazione è minima per ridurre uno dei problemi più forti della comunicazione su internet, la sua tendenza a dividersi in sottoinsiemi che diventano, di messaggio in messaggio, sempre più esili e dispersivi. Lo scopo è anche quello di definire obiettivi concreti, e non solo astrattamente plausibili, all’interno di una concezione del ‘fare letterario’ che vorrebbe confrontarsi con alcuni fondamenti dell’archeologia del sapere contemporaneo].
1. Sin dall’antichità, il tragico e il comico sono stati considerati espressioni di precise condizioni sociali: il superamento di entrambe queste categorie da parte di Dante è stato un atto rivoluzionario per poter ampliare all’infinito, nel Paradiso, il campo del dicibile in letteratura.
2. Ma che il tragico e il comico costituiscano modalità condivisibili di rappresentazione dell’inconscio è chiaro almeno dalla svolta freudiana in poi.
3. Al tragico moderno, non essendo possibile attribuire i conflitti a una lotta di tipo religioso, se non in senso lato, è stato attribuito lo scopo di reificare forme di angoscia altrimenti intollerabili.
4. “Ultima metamorfosi dell’angoscia di fronte al Super-Io mi è sembrata l’angoscia di fronte alla morte (o di fronte alla vita), l’angoscia di fronte alla proiezione del Super-Io nelle forze del destino” (Freud, Inibizione, sintomo e angoscia).
5. L’esibizione dei processi dell’angoscia, peraltro ancora ben poco chiari da un punto di vista clinico, ha comunque prodotto un loro depotenziamento: possiamo indicare cause ed effetti della fenomenologia dell’angoscia (traumi, sensi di colpa, fobie ecc.) senza che questo produca alcun tipo di maggiore conoscenza dell’interiorità.
6. La letteratura continua a riusare le manifestazioni angosciose (o angoscianti) per ottenere un supplemento di senso: alcune forme di postmodernismo avevano preso atto di questo alibi, e avevano iniziato un processo di eliminazione del tragico con una superfetazione del comico-ludico-parodico. Ciò ha costituito una risposta debole a una richiesta forte di riformulazione del problema.
7. Molte delle psicopatologie affrontate dalla psicanalisi si stanno rivelando non perenni ma storicamente circostanziate: perenne è invece l’implicita necessità di rendere significativo il proprio esistere prima della morte, a causa della consapevolezza di quell’esito.
8. Una conoscenza più profonda della posizione dell’io nel mondo può derivare adesso dalla demistificazione delle mitologie consolatorie: l’arido vero, ora, è che nelle patologie del singolo non risiede alcun senso importante.
9. Così, per estrapolazione, la ricerca di un senso da attribuire a eventi ingiustificabili, se avviene invocando complotti, poteri oscuri, forze del male ecc., appartiene alla mitologizzazione tranquillizzante. La moda del poliziesco, esplosa a partire dagli anni Settanta, si riduce a una secolarizzazione paranoica della quête per antonomasia, portando agli estremi un processo già intuito da Kracauer.
10. Alla letteratura resta il compito di indagare l’angoscia inevitabile, quella biologica della fine come cessazione del movimento, ovvero come incompiutezza del proprio streben. Per fare questo, ovvero per continuare il suo compito più importante, ogni grande opera letteraria sarà portata a superare ogni fenomenologia parziale per interrogarsi sull’angoscia di fronte alla morte (o di fronte alla vita).
[Immagine: Pink Floyd, The Wall (gm)].
concordo pienamente con queste considerazioni. Ma l’angoscia di fronte alla morte, o alla vita, unita alla demistificazione delle ideologie consolatorie, al movimento sul margine dell’ “arido vero”, rischia di condurre al silenzio. è un rischio che solo la narrazione può rendere produttivo, ma la lotta per un senso si condanna alla constatazione del non-senso. Cosa rimane?
Ringrazio intanto quelli che mi stanno leggendo e preciso subito che il mio intento non è riproporre questioni esistenziali, ma riflettere sui limiti che attualmente introiettiamo riguardo ad alcune condizioni biologiche, che possono diventare patologiche ma anche, eventualmente, oggetto della o spinta alla creazione artistica e in particolare letteraria. L’interpretazione novecentesca, basata sulla psicanalisi, non sembra più sufficiente a intercettare le modalità in cui si estrinseca il fenomeno che, del tutto imprecisamente, chiamiamo angoscia. Eppure questo fenomeno è fondamentale in gran parte della letteratura del secolo scorso, anche se il postmodernismo aveva tentato di ‘spostarlo’. Il problema, come ne caso del luogo comune della nostra totale ‘inesperienza’ (rinvio ad Assiomi 4), mi sembra quello di capire meglio di cosa può parlare oggi la letteratura che non sia riconducibile a forme ormai sclerotizzate di addomesticazione dell’angoscia.