di Fabrizio Bajec

Paesaggio con avvoltoi

Meglio ammirare una via come questa di notte,
dove ora nessuno passa e a ragione,
né le macchine circolano per vantarsi
dei loro modelli. A quest’ora la città è sfinita,
s’innamora del vuoto e del cemento abbandonato
perché è buio e nessuno chiede di coprirlo.
Ma di giorno chi tiene i vivi in casa, così pigri
verso i loro guadagni? Radunati in cucine sporche,
davanti allo schermo, commentano il mondo,
teneramente ritratti dal contagio della strada.
Lasciano i figli abusare di gelati,
sostituendo un’altra fame, alle sei,
quando s’accende rosa e bianca la città.
I vivi si osservano come a mezzogiorno,
scheletri di automezzi rilucono al sole impietoso.
Qualche gatto s’arrampica su un muretto ombroso,
dove si vedrebbe uno zingaro piegare i suoi ricami
e prendere sonno. Presso il fontanile, sulle panche
dei vecchi, parlano gli amerindi scamiciati e lontani
dalle loro donne grasse, acute nella voce e nel giudizio.
Presto scenderanno gli avvoltoi a spolverare qualche piazza,
o moriranno stanchi di non prendere, caduti dai leoni granitici,
scambiati per vivi dalla carne compromessa.
Anche i turisti lamentano la chiusura dei commerci:
un po’ di merce ben esposta, per rallegrare l’aria.
Dispiace constatare questo debito.

***

Lubiana

Vedo più alberi che case,
più fiumi che uomini,
e salendo immagino
le bestie crescere,
produrre a sazietà.
Dopo il cartello di Lubiana
la pubblicità esce dai quadri:
qui il braccio di un modello
prosegue per il cielo.
Hanno fatto salti sulla modernità.
Eppure tutto tace e vive
tra pietre e travi.
Quando usciamo da Lubiana
il cuore un po’ ne muore:
« quanto viene una stanza?
han bisogno di insegnanti? »
La nebbia risale alle curve,
e non vediamo, io non vedo
come arrivare al villaggio che rammenta
la Nascita. Solo una chiesa, una scuola,
e fra le gocce la campana a tener l’ora.
Qui ci nascono bambine
presto maritate e frugoli
cresciuti a marmellate.
Qui ti danno ciò che possono
e vanno fieri del nuovo casinò.
Se vogliono bene non lo scordano,
se odiano è uguale.

***

Prendere l’abito

Andar soli come i rinoceronti,
vedere la Senna gialla come il Gange,
dimenticarla dietro i cantieri,
le palizzate degli hotel Ibis,
trovare una strada malgrado l’età
giusta per sposarsi, dover guadagnare
il doppio e sopravvivere alle nostre piante.
Nascere rinoceronti, fiutarne altri
con i quali poter infine pascolare
nella stessa vallata. Belli quelli
che hanno osato una volta imitare
l’elefante solo nella foresta.

***

Paesaggio

Le balle di fieno sono il tuo riferimento
nei campi gialli d’agosto,
ogni elemento riposa
nell’ordine del paradiso.
Ti vedi sbucciare una banana,
una gamba sull’altra,
come un pastorello in pausa
che dimentica la causa.
E il tempo è mite fra due piogge.
Più facile essere del quadro
che vedersela con gli altri.

***

Theravâda

Il bhikkhu immobile sotto il banano in foglie,
un’arpa al fianco, il pappagallo su una spalla
a suggerirgli di restare nella foresta,
il bhikkhu dal cranio rasato mette un panno
giallo dopo il bagno. L’alta cascata è dura
quanto la scelta di non essere altro che
un animale spirituale senza poter mai
udire la parola “amare”, calarsi
nei propri bisogni, stare in piedi sotto
la grande pioggia mentre in fondo alla caverna
giace un altro bonzo, spento. Meglio dunque
camminare spostando lunghi serpenti
sulla giusta via, piuttosto che marcire in
dieci metri, coi vetri opachi, senza lavoro.

[Queste poesie sono tratte da Entrare nel vuoto, con-fine edizioni, 2011].

[Immagine: Avvoltoio (gm)].

6 thoughts on “Cinque poesie da “Entrare nel vuoto” (2011)

  1. Testi interessanti. Un “modo” poetico disincantato, fatto di semplici impressioni, ma forte e vivo, nella tensione volta a cogliere l’attimo della vita.
    Grazie per la segnalazione.

  2. Fabrizio è cresciuto, senza nulla perdere in curiosità e freschezza. E la sua poesia con lui.

  3. La poesia come crinale sottile… che “divide” l’invisibile.. incrina il visibile d’invisibile… Ho seguito i tuoi esordi (correggimi se sbaglio) sul quadrimestrale Pagine, ricordo ancora la poesia su San Sebastiano.
    I tuoi versi mi affascinano molto, grazie.

  4. “Paesaggio” è quella che preferisco in assoluto. Si entra in un quadro veramente, con l’anima intendo, ci si siede e si sta bene…si ritrovano sensazioni provate e non si vorrebbe più andarsene.
    Ci leggo una voglia di leggerezza che spesso provo.
    Grazie

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