Dopo Bambini bonsai (Ponte alle Grazie, 2010), romanzo d’esordio che ha raccolto ampi consensi, Paolo Zanotti ritorna alla scrittura saggistica (si ricordino, almeno, Il modo romanzesco, Laterza, 1998, e Il giardino segreto e l’isola misteriosa, Le Monnier, 2001). Dopo il primato. La letteratura francese dal 1968 a oggi (2011) esce nei «Penultimi. Viaggio nelle letterature d’oggi», serie diretta da Gabriele Pedullà e ospitata nei «Manuali Laterza». La menzione della collocazione editoriale non è pura curiosità per bibliofili, perché la collana risponde ad un programma preciso e chiaramente delineato, tanto da essere ribadito in un breve manifesto che apre tutti i volumi della serie, ovvero indagare «in che direzione è andata la letteratura negli ultimi quarant’anni, grosso modo dopo lo spartiacque del 1968». Ogni volume della collana (oltre a questo di Zanotti, per adesso è uscito Letteratura russa contemporanea. La scrittura come resistenza di Mario Caramitti, 2010) è dedicato ad una delle letterature contemporanee più significative, esplorata negli ultimi decenni, col fine da un lato di informare il lettore italiano sulla produzione più recente, dall’altro di sistematizzare, e classificare, una materia fluida, che il tempo non ha ancora ridotto a canone. Se il primo intento è divulgativo, il secondo comporta uno sforzo storiografico che può essere utilmente messo a frutto dalla stessa letteratura critica dei Paesi, e delle lingue, presi in esame. A questo duplice intento risponde perfettamente il libro di Zanotti, capace sia di permettere al lettore italiano, magari innamorato della «grande» letteratura classica francese, autentiche scoperte, sia di regalare all’esperto accademico interpretazioni acute e originali di opere note.
Non è ovviamente possibile, né utile, ripercorrere in questa sede la dettagliata rassegna di autori, correnti, opere: nelle pagine di Dopo il primato sfilano centinaia di nomi, da Alain Robbe-Grillet a Emmanuel Carrère, da Claude Simon a Bernard-Marie Koltès, da Georges Perec a Jonathan Littell, da Marguerite Yourcenar a Michel Houellebecq. Basterà discutere alcune delle caratteristiche distintive della ricostruzione di Zanotti.
Intanto, a cominciare dal titolo del libro, si parte da una constatazione: nella coscienza del lettore non francese la letteratura dell’Esagono sembra aver perso quel «primato», quella fama di letteratura per eccellenza, e di vera e propria fucina di Premi Nobel, che per lungo tempo tutto il mondo è stato disposto a concedere. Addirittura, fuori di Francia essa è ormai vista con sospetto, sinonimo di intellettualismo, formalismo, snobismo: un trittico capace di scoraggiare il lettore meglio intenzionato. Il pregiudizio è ormai talmente forte da avere esiti paradossali: così, il Nobel nel 2008 a Le Clézio, un autore importante, ampiamente apprezzato in Italia solo pochi anni fa, ha colto sostanzialmente di sorpresa la nostra comunità letteraria; mentre un libro come La Place di Annie Ernaux (1983), considerato in Francia quasi un classico, e comunque testo cardine degli ultimi decenni, non è mai stato tradotto in italiano (Zanotti ricorda diversi casi simili, altrettanti rilevanti, ed ecco un’altra possibile funzione di Dopo il primato: fare scouting per editori italiani alla ricerca di inediti misconosciuti). In tutta la sua ricostruzione, Zanotti tiene sempre presente tale pregiudizio («il lato altezzoso della letteratura francese», p. 233), spesso smentendolo, altre volte più inaspettatamente in qualche modo confermandolo (un capitolo è intitolato Minimalismi vari e la famigerata «écriture blanche»: l’aggettivo non ha bisogno di commenti): quello di Zanotti non è il canto celebrativo e acritico di una vicenda letteraria, ma un’analisi onesta, che non nasconde limiti anche quando rintraccia eccellenze.
Il libro propone una periodizzazione, scandita in un Prologo (dedicato agli anni 1958-1967) e in tre Parti: Gli anni del «tout théorique» (1968-1980), Gli anni del «tout culturel» (1981-1994), Gli anni del «tout mondialisé» (1995-2011). Ogni ‘epoca’ è introdotta da un capitolo di contestualizzazione storica ed è illustrata da puntuali analisi dei libri considerati più significativi del periodo: Venerdì o il limbo del Pacifico di Michel Tournier e Della grammatologia di Jacques Derrida (per il Prologo), Piccolo Blues di Jean-Patrick Manchette e La vita istruzioni per l’uso di Georges Perec (Parte prima), Vite minuscole di Pierre Michon, Nella solitudine dei campi di cotone di Bernard-Marie Koltès e Trilogia della città di K. di Agota Kristof (Parte seconda), Le biondone di Jean Echenoz, Dora Bruder di Patrick Modiano, Aspettando il voto delle bestie selvagge di Ahmadou Kourouma e Le particelle elementari di Michel Houellebecq (Parte terza). Zanotti è assai puntuale nell’isolare gli sviluppi politici, economici e sociali più significativi. Costante è l’attenzione ai fenomeni culturali non prettamente letterari, con particolare attenzione all’industria editoriale, oltre che, meno inaspettatamente, al cinema e al fumetto. Nello specifico letterario, per ogni epoca sono rintracciate le tendenze caratterizzanti. Così, gli anni che precedono immediatamente il 1968 vedono l’affermarsi a livello mondiale della grande saggistica: esordiscono o pubblicano libri capitali Pierre Bourdieu, Claude Lévi-Strauss, Michel Foucault, Roland Barthes, Gérard Genette, Guy Debord, Jacques Derrida. È il trionfo dello strutturalismo. Tra fine anni Sessanta e Settanta si sviluppa la letteratura di genere (con l’affermarsi del polar e del néopolar) mentre ritorna di attualità il soggetto e la scrittura autobiografica. Seguono l’affermazione in grande stile dell’autofiction e della fiction biographique, generi tipicamente francesi, descrivibili grosso modo come autobiografie e biografie ‘(re)inventate’. Infine, negli ultimi decenni si collocano il successo delle scritture minimaliste, la valorizzazione delle scritture francofone, l’esordio di scrittori, come Houellebecq e Littell, capaci di rendere nuovamente esportabile in tutto il mondo la letteratura francese.
Le schede dedicate all’analisi di opere significative ne ricostruiscono le premesse storiche, psicologiche, linguistiche e culturali, offrendo interpretazioni non banali: si ricordi almeno il caso del «sistema Houellebecq», giudicato, nella sua attenzione sociologica per la banalità dell’individuo atomizzato occidentale, incapace di generare trame e pertanto costretto a «rincarare i temi», fino a corteggiare, o cercare, lo scandalo.
Spesso, sono sufficienti poche righe, quando non un solo aggettivo, per riassumere il senso intero di un’esperienza letteraria: Pierre Michon è «uno scrittore così anacronisticamente letterario, così cieco nella sua fiducia in una Lingua e in una Letteratura con la l maiuscola da sembrare a tratti un fou littéraire, un ingenuo ma geniale cultore di reliquie» (p. 155), quella di Patrick Modiano è una «mistura di temi angosciosi, atmosfera rétro, storie misteriose e indecidibili» (p. 266), mentre Emmanuel Carrère è ossessionate da «tutto ciò che sfugge alla media» (p. 310).
In questo sforzo critico e storiografico, Zanotti non dismette mai lo stile spigliato, a tratti colloquiale, richiesto dalla collana, evidente sin dalla prima riga dell’Introduzione: «Ammettiamolo, è quello che pensano in molti, non di rado persino nella stessa Francia: la letteratura francese di oggi è anemica, intellettualistica, chiusa in se stessa, ci sono certo molti saggisti degni di essere letti e meditati, ma, suvvia, la letteratura…» (p. 3: i puntini di sospensione e l’anacoluto appartengono al testo). Uno stile che non disdegna l’ironia, spesso benevola («nella lettura dei suoi testi scientifici [Forest] dà l’idea di un accademico intelligente e gran lavoratore ma, come spesso succede, un po’ pomposo e tragicamente mancante d’ironia», p. 313), a volte più puntuta, specie quando è piegata a smontare luoghi comuni («dall’estetica del frammento a quella del Bacio Perugina il passo non è mai stato troppo lungo», p. 237; «tra gli scrittori acclamati della sua generazione Duras è quella che più spesso ha superato i limiti del buon gusto», p. 238»). D’altra parte Zanotti, quando c’è bisogno, non è uno che le manda a dire, senza timori reverenziali («finalmente dismesso il suo stile un po’ marmoreo, questa tardiva trilogia è una delle opere maggiori di Yourcenar», p. 99), tanto quanto non disdegna rimettere in discussione conoscenze acquisite e lanciarsi in operazioni al limite del temerario, come nel capitolo Intermezzo lirico e testualista, che tenta di stilare un canone della poesia francese contemporanea, un’impresa che la critica d’oltralpe si è per adesso ben guardata dall’affrontare.
Un altro elemento rende la lettura particolarmente utile e agevole, ed è il continuo confronto, a volte esplicito, altre volte lasciato sotto traccia, fra la situazione francese descritta e quella italiana, alla ricerca di analogie, differenze e, a volte, goffi tentativi di imitazione (generalmente, purtroppo, sul versante italiano). Per inciso, questo autentico filo rosso del volume consente, quasi fossero parentesi che valgono da sole il prezzo di copertina, interpretazioni critiche del tutto originali anche per le nostre Lettere, come nel caso di Alessandro Baricco, la cui ispirazione ‘francese’ lo distanzierebbe dalla media degli scrittori italiani, generalmente più influenzati dai romanzieri americani. O come nella spiegazione del successo straordinario nel nostro Paese di Agota Kristof, recepita quale scrittrice non appartenente alla letteratura francese (ciò che in realtà è: ed è possibile, ipotizza Zanotti, che lo stile «semplice e perfido», p. 204, della Trilogia della città di K. sia spiegabile con la tardiva acquisizione della lingua francese da parte dell’esule ungherese), ma a quella dell’Europa dell’Est, grazie al suo nome e al sentore ‘kafkiano’ del titolo adottato arbitrariamente dall’edizione Einaudi.
Soprattutto, il confronto agevola la comprensione, riconducendo lo sconosciuto al già noto, oppure al contrario aprendo prospettive inaspettate al lettore italiano, che scopre, un po’ sconcertato e scoraggiato, che può esistere un Paese ad economia avanzata che osa investire massicciamente nella cultura, che la pubblicazione di un romanzo può riorientare la politica estera di una potenza nucleare, che la classifica dei libri più venduti può essere dominata da libri ‘veri’ invece che da raccolte di ricette o barzellette. E sono le pagine in cui la garbata ironia di Zanotti sconfina volentieri nel sarcasmo.
[Immagine: Michel Houellebecq (gm)].
Ma che cos’ha Houellebecq in faccia in questa foto? Non riesco a capire.
La zampa sinistra di Duffy Duck, mi sembra chiaro.