di Lello Voce
[Dal 29 luglio all’inizio di settembre LPLC sospende la sua programmazione ordinaria. Per non lasciare soli i nostri lettori, abbiamo deciso di riproporre alcuni testi e interventi apparsi nel 2012, quando i visitatori del nostro sito erano circa un quinto o un sesto di quelli che abbiamo adesso. È probabile che molti dei nostri lettori attuali non conoscano questi post. Questo intervento, precedentemente pubblicato su «il Reportage», trimestrale di scrittura, giornalismo e fotografia, n. 10, aprile-giugno 2012, è uscito il 18 maggio 2012].
A volte le città spariscono. Per un’eruzione, un maremoto, o più lentamente, avvelenate da un virus osceno che le trasforma in qualcosa che non sono mai state e che mai potranno essere. A volte le città muoiono.
Io sono arrivato a Treviso ormai decenni fa. Con la testa piena di aspettative, o se si preferisce, di luoghi comuni. «Treviso che di chiare fontane tutta ride, / e del piacer d’amor che quivi è fino» diceva Dante… Arrivavo tra le mura incantate della Marca Gioiosa, quella che aveva accolto l’Alighieri, per stupirlo con il ricordo della bellezza, tanto amorale da diventar santa, dell’ineffabile e seducentissima Cunizza da Romano, peccatrice non pentita e pur accolta in Paradiso (Cunizza fui chiamata, e qui rifulgo/ perché mi vinse il lume d’esta stella;/ ma lietamente a me medesma indulgo /la cagion di mia sorte, e non mi noia,/ che parrìa forse forte al vostro vulgo).
Treviso era dunque per me la capitale della Marca Gioiosa, tollerante, ironica, intelligentissima, indulgente come Cunizza, ma come Cunizza capace di trasformare la sua ricerca di piacere in amore per il prossimo, tolleranza, generosità per i più deboli. Era la terra di Martini e dei suoi Adamo ed Eva terragni, pietra viva che respira, segno di un legame saldo con ciò che c’è prima che l’uomo lo trasformi, come le poesie di Zanzotto e Calzavara, era la patria di Comisso e della sua languida, dolce capacità di cogliere il legame sottile tra piacere e dolore, come, ad esempio, nella sua visita alle stanze vuote dell’ultimo casino trevigiano, quella casa Dozzo che stava proprio vicino a Via Roggia, a due passi dal primo modesto albergo che mi aveva accolto in quel nevoso novembre di decenni fa…
Ero a Treviso, l’intrigante palcoscenico di Signore e Signori di Pietro Germi, la capitale dell’erotismo provinciale dello Stivale tutto, sì, ma anche la città di Carlo Scarpa. Ero arrivato a Treviso e ho iniziato subito a cercarla…
Ho vagato per giorni, nel tempo libero dal lavoro, per strade e portici, scavalcando i ponti e i ponticelli che uniscono le rive di questa città d’acque, percorsa da tre fiumi, cercando le tracce di tutto quanto avevo immaginato, e trovandone alcune qua e là, coperte da uno sfarfallio di luce e denaro, già messe in ombra da quello che allora si chiamava il miracolo del Nord Est.
Via delle Belle Gambe, via del Castello d’Amore, la chiesa di San Francesco, con le tombe di Pietro di Dante e Francesca Petrarca, Tiziano nel Duomo, Calmaggiore, Piazza dei Signori, l’Osteria Alla Colonna, dove Comisso incontrava Montale, le strade e i portici percorsi da Messer Uc de Saint Cirq, autore della maggior parte delle Vidas dei trovatori provenzali, composte probabilmente proprio qua, mentre il povero occitano attendeva che un certa nobile e bellissima dama trevigiana gli concedesse quell’udienza che mai gli concesse, tra Ca’ dei Carraresi, il Palazzo dei Trecento e la Loggia dei Cavalieri.
Era tutto lì, dove avrebbe dovuto essere. Eppure era come se non ci fosse più.
Cercavo Treviso. Ne trovavo frammenti qua e là, soprattutto nelle parole e nei racconti di Andrea Zanzotto ed Ernesto Calzavara, che ogni tanto avevano la pazienza di accogliere presso di loro un poeta più giovane e napoletano con tanta voglia di scoprire dov’era finito lui e soprattutto dove fosse andata a finire quella Treviso che lui s’era aspettato di trovare e che ahimè, non c’era più, o comunque c’era sempre meno.
Calzavara, una delle ultime volte che lo incontrai, battendomi la mano sulla spalla, con un sorriso amaro, sul vialetto d’ingresso della sua bella villa di San Pelajo, con il giardino popolato dalle sue splendide ‘piere’, come chiamava lui alcuni massi enormi, fatti portare fin lì da chissà dove, mi sussurrò: «Bada che sullo stemma di questa città c’è scritto ‘Mi no vao combater’». Che, più o meno, significa: non mi interessa; un ‘me ne frego!’ sussurrato con più grazia, ma non minore decisione.
Mi no vao combater… Come se il fatto di girare lo sguardo dall’altra parte mutasse la realtà… Ora Calzavara è morto, la sua villa è in rovina, tutta, tranne il muro di cinta, quello è stato rialzato, restaurato, rinforzato. Aveva ragione lui. Mi no vao combater…
Intanto io, ostinato, cercavo Treviso e al suo posto trovavo banche, fabbriche e fabbrichette, capannoni, belle macchine, un lusso ostentato sino alla volgarità, indifferenza per la cultura e per l’arte, quasi fosse un segno di sanità mentale e di virilità, e poi soldi, tanti soldi, troppi soldi, massa schej, almeno fin quando il miracolo del Nord Est è durato. Cercavo Treviso e mi rendevo conto di vivere, invece, a Legaville, capitale nordestina del leghismo.
Le guardie padane che passeggiavano per la città, inquietanti, gli immigrati trattati da schiavi, ridotti a dormire nei vecchi forni di un mattonificio, o addirittura in tenda, nei giardinetti lungo le mura di Fra Giocondo, costruite ai tempi della Lega di Cambrai, per proteggere dall’Europa Cattolicissima più o meno al completo quest’avamposto della Serenissima e dei suoi commerci con l’Infedele, e ora avamposto di una supposta Razza Piave, più pura, più onesta, più bella, più virile, più tutto.
Gli immigrati sempre scacciati, cercati al mattino per il lavoro, perseguitati a sera, addirittura aggrediti, donne e bambini compresi, quando si erano accampati per protesta sul sagrato del Duomo. Gli immigrati che nemmeno da morti possono entrare nei cimiteri “padani”, che non hanno diritto a una moschea e pregano per strada. Che hanno colpa di essere poveri, miseri, sudati, affamati, troppo grassi o troppo magri, malvestiti, che stanno male, che sono infelici. Che sono neri, o gialli, o grigi. Che sono ladri, stupratori, assassini, truffatori, fannulloni. Tutti.
E i poveri, scandalosi, con quel loro rimestar tra le immondizie, o in fila ad aspettare la carità di un pranzo alla finestrina del convento di San Francesco, i mendicanti che lo sfarfallio accecante delle luci nascondeva agli occhi meno attenti, ma che erano lì, mescolati agli zingari, gli zingani, guardati con sospetto se solo si azzardavano a metter piede in centro.
Com’era possibile che nella città di Comisso “governasse” un Tizio chiamato il Scerifo, che insultava gli omosessuali, dandogli del frocio, insieme alpino e leghista, simpatizzante di Forza Nuova, ma pronto a mettersi sull’attenti, se quel giorno gli garbava, davanti alle targhe commemorative dei partigiani, interprete emerito del celodurismo spesso declinato in chiave razziale, prepotente, roboante, presuntuoso sino al ridicolo?
Come era accaduto che nella città di Cunizza a farla da padrone fosse un individuo che con malcelato razzismo proponeva di accogliere solo extracomunitarie giovani, belle e abbastanza povere da essere disponibili, per far da ‘nave scuola’ ai giovani virgulti trevigiani? Era mai possibile che nella città di Calzavara, che tutte le lingue mescolò al suo dialetto bellissimo, a comandare fosse il medesimo Tizio, roboante e volgare, che dava del ‘sudicio sudista’ al povero poeta emigrato che ero io e solo perché m’ero inalberato contro i suoi programmi di apartheid Razza Piave?
E soprattutto che c’entrava Treviso, il Veneto tutto, con i Lumbàrd? Con i Piemôntès? Non erano stati loro a privare dell’indipendenza le terre del Leone di San Marco, in nome del Savoia? E dunque, come facevano oggi a esserne alleati? Che c’entrava Goldoni con Bossi, Casanova con Stiffoni, Baffo con Gobbo, Sarpi con Zaia?
Non capivo: ma Treviso già non c’era più, si stava trasformando in Legaville, la capitale del razzismo leghista, giorno dopo giorno. E più la crisi mordeva, più Legaville si mangiava Treviso, la divorava a morsi, se ne impossessava, la trasformava. All’indulgenza di Cunizza subentrava il moralismo più bigotto, l’odio del diverso, il puritanesimo perverso del ‘tutto di nascosto e niente in piazza’, petrarchesco in pubblico e boccaccesco in privato, che vezzeggiava l’alcolismo, ma inorridiva per una canna, una società tanto aperta e tollerante che un suo figliolo sorpreso a fare con una prostituta quello che il Scerifo si augurava facesse, per la vergogna, s’impiccò con la cinta dei pantaloni all’albero di fronte casa.
La risposta dei politici trevigiani era stata immediata, in verità: si istituì un numero verde per aiutare psicologicamente i clienti delle prostitute a superare il senso di colpa e la vergogna. Le prostitute, intanto, continuavano a fare le schiave, sfruttate da magnaccia senza scrupoli tra strade e piazze della periferia cittadina. Mi no vao combater…
Intanto i suoi giovani si stordivano di alcol, di più, sempre di più, addirittura era il Comune stesso a tirar su per tutti un’indegna sbornia collettiva, l’Ombralonga, con un seguito triste di coma alcolici, vomiti, gente che cadeva nei canali, berci, urla, rutti. Intanto i suoi giovani, spesso sbronzi, o impasticcati, sfrecciavano su strade da carriaggi con auto potenti, veloci, sempre più veloci. E morivano: sempre di più, sempre più veloci, sempre più soli.
Poi un brutto giorno, non ricordo esattamente quando, Treviso è sparita del tutto. Nella nebbia, tra un coro celtico e un altro. O nel nulla, come quando, a volte, la vedo deserta, completamente deserta, nei pomeriggi estivi, afosi, schiettamente padani. È rimasta solo Legaville.
Ora so dove vivo. Ora lo so.
E qui a Legaville, ora che c’è crisi, la miseria fa ancora più paura, sembra che possa ricordare ciò che si era un tempo, al tempo della pellagra, della miseria, dell’emigrazione in Brasile, in Uruguay, in Canada, in Germania, in tutto il mondo. O ciò che si può ridiventare, già domani.
A Legaville ognuno è padrone a casa sua, i neri stanno al loro posto, nessuno calpesta le aiuole, gli unici clandestini tollerati, come preconizzava il Scerifo, sono le centinaia di prostitute che popolano le strade che escono dal centro, verso Venezia, o Conegliano, ma nonostante questo, nonostante l’ordine, la sicurezza, la pulizia, nonostante le prostitute, le ‘visitatrici’, come le avrebbe chiamate il Mario Vargas Llosa del Pantaléon, nonostante si sia padroni a casa propria, qua a Legaville poi la solitudine si taglia a fette, come la nebbia. E quando si è soli ci si arrangia come si può. Come con la bambola della Stazionetta…
Fin quando è stato aperto, il Bar della Stazionetta, lungo i binari della ferrovia, appena fuori Porta Santi Quaranta e il quartiere di Città Giardino, dove un ricco industriale indigeno ha fatto ricoprire un marciapiedi con pezzi di costosissimo cotto veneto con sopra incisi i versi di poeti famosi (che buon gusto, vero?), fin quando è stato aperto, dicevo, quel bar è stato meta di un pellegrinaggio assolutamente unico.
A qualcuno, un qualche giorno, deve essere venuta in mente un’idea bislacca: mettere seduto su una sdraio un manichino dismesso, trovato chissà dove, che riproduceva le fattezze di un’affascinante bionda. L’ha rivestito alla bell’e meglio e l’ha lasciato lì, sulla sdraio, come fosse una cliente qualsiasi.
Sembrava una goliardata come un’altra e invece è successo l’inimmaginabile.
In tanti, maschi per la quasi totalità, giovani soprattutto, arrivavano lì, più o meno brilli, con in mano un regalino per la ‘Bambola’, si sedevano al suo fianco e iniziavano a parlarle. Di più, sempre di più…
È diventata amica di mezza città, quella bambola, l’amica di tutti, in una città in cui quasi nessuno riusciva più a essere amico con qualcun altro.
Fiori, vestiti, ‘ombre’ di bianco, cappelli. Tutti alla Stazionetta, a vedere come che a va coa bambola! A portarle un regalino, a scambiare quattro chiacchiere con qualcuno che sappia ascoltarti.
Poi hanno chiuso il bar e la Bambola l’hanno buttata in qualche discarica, insieme ai dolori e alle malinconie di tanti. In raccolta differenziata, naturalmente. A Legaville si ricicla molto, con disciplina, a volte si riciclano persino i sentimenti.
Di Treviso, qui a Legaville, è rimasta ormai solo la parte Nera, quella degli ordinovisti, di Ventura, di Freda, delle bombe sui treni e a Piazza Fontana. Quella c’è sempre stata e ancora c’è. Passata indenne anche attraverso la grande metamorfosi, anzi ancor più amata a Legaville di quanto già non lo fosse ai piani alti di Treviso.
La Treviso Nera fascista in parte s’è riscoperta Verde leghista, senza imbarazzo, con assoluta naturalezza. E si è seduta alla destra dei Siori e delle Siore.
Chi non l’ha fatto, e si ostina ancora a vestir di nero, ha comunque qualche privilegio, se non altro quello del lacchè in casa del suo padrone. La città Nera ostenta la sua presenza, è evidente a ogni angolo, tanto evidente da incontrare banchetti dei neonazisti anche in centro, un giorno sì e l’altro pure.
I Neri qua sono tranquillamente accettati dalla società civile, al punto che quando, alcuni mesi fa, in occasione delle manifestazioni di “Occupy Wall Street”, alcune associazioni di base hanno richiesto di poter manifestare davanti alla Banca d’Italia, in Piazza Pola, dalla questura hanno risposto: no! Quella, ha fatto sapere il questore, è storicamente una piazza di destra, una provocazione del genere non poteva essere permessa.
Insomma la piazza è di Forza Nuova e lì ci manifestano solo loro, che peraltro lo fanno spesso, impadronendosi parassitariamente del cippo dedicato ai Caduti delle Foibe e facendo le loro marcette e i loro caroselli a braccio levato, benedetti dai Verdi e da una certa assessora regionale che se ne va tranquillamente in giro con una celtica di brillanti al collo e che non teme di farsi fotografare con i nostalgici della Repubblica di Salò, visto che, a parer suo, non è scritto da nessuna parte che l’Italia sia una Repubblica antifascista.
Legaville vede, ascolta e fa finta di non vedere e di non sentire… Mi no vao a combater… Mi no me intrighe… È quest’impasto, oggi, Treviso, un impasto che si indurisce ogni giorno di più, sfigurando la storia di una città nobile che un brutto giorno di decenni fa si è trasformata in Legaville e che oggi, quando forse la truffa leghista si fa evidente ai più, ancora fatica a riscoprire una sua nuova identità. Una città da rifare, dalle fondamenta, che ha bisogno assoluto di sfuggire a questo presente, di essere capace di ricordare ciò che è stata e di cominciare di nuovo a sognare.
Fino ad allora non credete a chi vi propone di andare a Treviso: Treviso non esiste più.
[Immagine: Virna Lisi a Treviso, durante le riprese di Signore e Signori, di Pietro Germi (1965) (mg)].
Salve, gradirei commentare quest’articolo in quanto da cittadino trevigiano mi sento di dissentire dalla visione straziante di polo culturale decaduto pittorescamente descritta qui.
Ovviamente distaccandomi dalla lega da forza nuova cosí come da ogni altra pretenziosa illusione politica, posso dirti che con tutti i suoi difetti la sua ignoranza il suo razzismo e aspetti negativi Gentilini ha sempre combattuto per la propria cittá e per quello che crede si agiusto per essa, spero ti renda conto di quanto questo sia raro per un personaggio politico.
É anche grazie a queste tanto denigrate amministrazioni che Treviso ad oggi é una delle cittá col tenore di vita piú alto d’Italia e dove si vive meglio, é pulita, é sicura, é la zona dove si ricicla di piú in Italia.
Per quanto riguarda la cultura il tuo discorso mi sembra un pó miope, al tempo di Comisso e piú recentemente di Calzavara siamo sicuri che la cultura avesse tutto questa presa?? Forse che l’arte era compresa da molta meno gente rispetto ad ora e appunto per questo veniva valorizzata di piú anche dalla gente povera umile ed ignorante in quanto cosciente della propria condizione? A me sembra che chi é ancora in vita di quelle generazioni non trasudi né buongusto né spirito estetico.
La cittá artisticamente é molto viva, e lo dico dal punto di vista di un ragazzo di 21 anni che ha giá visto qualche altro posto nel mondo. Che poca gente si interessi davvero alla cultura infatti é un problema che c’é sempre stato ma il fatto che oggi ci sia molta piú disponibilitá economica non significa che chi ce l’ha la sfrutti per avere accesso ad arte e cultura, solo che la condizione di ignoranza ed umiltá non é piú tanto conscia come lo era in tempi di vera povertá.
Lungi da me dire che questa cittá non ha problemi e che non vi siano questioni di degrado culturale in corso ma il punto é che la cultura non interessa a tutti, anzi non interessa quasi a nessuno, e la democrazia sappiamo bene come funziona, questo a prescindere da partiti politici che cavalchino onde populiste o meno. Se non si capisce questo si ha una visione alquanto offuscata a mio parere. L’immagine sognante con cui veniva dipinta negli anni addietro era un illusione, o meglio solo uno degli aspetti di Treviso, e chi ci vive qui da generazioni lo sa bene.
AS
HO PAURA KE TU SIA STATO IN UN’ALTRA CITTA’ XKE TREVISO NN è COME L’HAI RACCONTATA O SOLO IN MINIMA MINIMA PARTE….
È un bellissimo pezzo, e sono patetiche le “difese” d’ufficio di trevigiani che, già dal modo in cui scrivono, inconsapevolmente ne confermano la verità.
Per come la vedo io, da Trevigiana, è una descrizione abbastanza calzante, anche se forse un po’ di maniera. Che non coglie però alcune logiche di fondo profondamente radicate in Treviso e nei Trevigiani.
Ogni trevigiano ha un avo che ha fatto la fame, e che ha affrontato la povertà, o è stato costretto a emigrare. E ogni trevigiano sa che nel pensiero comune il benessere non è un privilegio, ma un dovere, perché chi non ce la fa – evidentemente – non si è impegnato abbastanza. C’è, infatti, un altro adagio spesso ripetuto nella Marca: “muso duro e bareta fracada”. Perché se siamo dei rozzi Trimalcioni, forse è per esorcizzare il niente da cui siamo partiti, e nel quale temiamo di ripiombare, come la peggiore onta e la più insostenibile sconfitta. Pla lega è stata brava: ha fatto leva sull’orgoglio di chi sa di essersi conquistato tutto con sacrificio e fatica, e ha saputo cavalcare (o, forse, alimentare) la xenofobia. Nell’immigrato povero il trevigiano vede quello da cui è scampato (e che vuole negare, rimuovere, dimenticare), e quello che non vuole diventare. Nell’immigrato che riesce a trovare una propria dimensione, vede forse un rivale.
Ma Legaville non è Treviso.
L’altra Treviso non è morta: magari è un po’ nascosta, o costretta al silenzio da chi fa la voce grossa. Sotto sotto, e sottovoce, Treviso esiste ancora, e io ne sono testimone.
Almeno c’è da apprezzare il professor Guido Lorenzon che smascherò i nazisti di piazza Fontana i quali, se sono ancora lì, è da brivido…
Preg.mo Sig. Lello Voce
Ho letto con molta umiltà il suo articolo, che tuttavia nel mio modesto parere rischia di scadere in un banale qualunquismo che non si addice alla levatura di questa rubrica. Sono nato a Treviso e sono cresciuto in questa città per 22 anni e posso dire di non aver mai visto episodi di razzismo, pur avendo come migliori amici proprio ragazzi extracomunitari. Anzi posso dire di più, avendo vissuto esperienze in altre città, ho notato come siano molto più integrati qui (a tal punto da imparare e parlare spontaneamente il dialetto meglio di molti trevigiani!) che in altre metropoli dove invece tendono ad essere ghettizzati.
Un’altra nota contrastante riguarda la descrizione dell’imprenditoria locale, di cui si sottolineano solo gli aspetti più frivoli e di ostentazione, tralasciando però di dedicare qualche riga ricordando tutti “i paroni” che hanno scelto di togliersi la vita perchè non riuscivano più a sopportare l’onta di non essere più in grado di provvedere agli stipendi dei propri dipendenti. E poi che colpa ne hanno Treviso e il Veneto ad essere assieme ad altre regioni virtuose la locomotiva economica di questo paese? Sembra quasi ci sia una sadica felicità nel vedere il fallimento di queste aziende e del sogno del nord-est, che sarebbe invece da adottare come paradigma per molte zone d’Italia.
Per quanto concerne l’aspetto culturale sembra che la città sia pervasa da un alone di totale ignoranza e disinteresse verso l’arte: eppure non leggo citate le esposizioni a Ca’ dei Carraresi (Monet, Van Gogh…) invidiateci da tutto il mondo.
Credo che l’autore di questo articolo sia stato deluso da questa splendida città proprio perchè non è riuscito a cogliere a tutto tondo la vera Treviso, ma è rimasto incatenato anch’egli negli stessi pregiudizi che condanna.
Cordialmente,
Un Trevigiano
Gentilini ha chiuso l’ente lirico, ha dichiarato di essere stato “svezzato” in una casa chiusa ed è alcolizzato….però in compenso ti aggiusta la stradina dietro casa, toglie un po’ di alberi per farci parcheggiare più larghi, chiude il pattinodromo (sempre per parcheggiare più comodamente, appena fuori dalle mura). Io non so dove sia tutta questa cultura qui, la storia non basta: se Venezia è diventata un parco-giochi per turisti, Treviso rimane il salottino borghese ed una città per vecchi, cosa offre questa città a noi giovani pieni di idee e sogni??
« Cercavo Treviso e mi rendevo conto di vivere, invece, a Legaville, capitale nordestina del leghismo» ( Voce)
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Questo pezzo di Lello Voce a me pare uno sfogo letterario ad effetto, tardivo e magari consolatorio per gli affronti da «povero poeta emigrato» subiti, ma fiacco politicamente, anche se di politica tratta .
Come si fa a parlare di una città di oggi ( Treviso in questo caso, ma potrebbe essere Milano, Roma, Parigi, etc.) avendo in mente una visione tutta letteraria e libresca del suo passato? Come si fa ad assumere questi toni da «Dante reazionario» nei confronti della «gente nuova e i sùbiti guadagni»?
Pensa Lello Voce che, se uno andasse a Napoli avendo in mente Di Giacomo o a Milano con in mente Manzoni e Carlo Porta, non resterebbe deluso? E poi da dove viene, perché si pone nella posa del finto tonto? Non vive da tempo in Italia? Quando mai l’Italia è stata il Bel Paese?
Se la questione è la presa della Lega su Treviso e i danni umani del “modello veneto” in disfacimento, vanno bene le denunce precise che egli fa, ma le faccia senza ricorrere a Dante, Cunizza o a Zanzotto. Anche perché anche ai loro tempi mica erano fiori, rose e cultura e i poveracci se la passavano male lo stesso.
E accanto alla Lega, che non è un fenomeno recente, denunci il PD o la sinistra, che sbarazzandosi di tutta una visione del mondo contrapponibile, al leghismo hanno fatto ponti d’oro.
Non è che «Treviso non esiste più». È che non esiste più una politica che raccolga la sua ( di Voce e dei trevigiani non leghisti) delusione e indignazione e stia «dalla parte del torto»; e che non faccia semplicemente «sognare» i suoi seguaci, ma li organizzi per agire contro i distruttori di Treviso e dell’Italia.
Quanti giovani a difesa di una città che è tutta apparenza .. forse anche queste sono difese di apparenza. io la trovo fastidiosamente pretenziosa nel voler sembrare bella, bella e senza anima aggiungerei.
Forse io e Lello Voce abbiamo avuto la fortuna e la sfortuna di vedere lo stesso squarcio che stra facendo sanguinare a morte questa città .
Solo il tempo ormai ci dirà chi aveva ragione
@Abate
Sono assolutamente d’accordo con quanto scrive. Grazie per il suo intervento.
“treviso che di chiare fontane tutta ride…” non è Dante. E’ Fazio degli Uberti, Dittamondo. giusto per puntualizzare solo sugli aspetti didascalici. forse è un po’ esagerato questo pezzo…
“Se la questione è la presa della Lega su Treviso e i danni umani del “modello veneto” in disfacimento, vanno bene le denunce precise che egli fa, ma le faccia senza ricorrere a Dante, Cunizza o a Zanzotto.»
@Abate, la prego, lasci che ognuno organizzi il suo discorso come meglio crede e citi chi vuole. Questo di Voce è un pezzo di memoria che corrisponde bene al sentimento della città come è stato passato non solo al giovane poeta immigrato, ma a chiunque abbia vissuto da quelle parti fino a una trentina di’nni fa. Il luogo comune della Marca Gioiosa e lo sconforto per il suo decadimento è sempre stato fortissimo in chi guardava la città attraverso la lente letteraria, Zanzotto per primo, e non si capisce perché non dovrebbe usarla Voce. Mi pare un impulso alla castrazione, il suo, prima che una critica à la Fortini, è troppo automatico.
Bel pezzo, Voce, sono posti che conosco, ricordo l’estrema miseria e l’ottusità della ricchezza che ha coperto finalmente l’ansia della fame, dell’immigrazione e della malattia. C’è da dire che dalla Marca Gioiosa il massimo godimento lo hanno tratto quelli che nell’estrema miseria non vivevano, ma è una banalità, è così sempre.
d’anni, non di’nni, scusate, ho il refuso facile.
Bellissimo pezzo che insieme ai commenti completa l’immagine della nostra povera città avvolta nella malinconia di cio che poteva essere e non è stata capace di diventare. Grazie Lello!
Io, a differenza di Lello Voce, a Treviso ci sono nato e vissuto per 25 anni, poi sono andato via e adesso dopo 11 anni ci sono tornato per aprire un’attività, scusate la parola, culturale (dove per inciso non vedo passare tutti questi amanti della cultura a Treviso..). Quindi non ho problemi di delusione o sguardi al passato.
Credo che i problemi di questa città siano molto più profondi (ricordo a tutti che stanno per mettere le cancellate alle strade semiprivate in centro…cioè siccome abbiamo svuotato la città, distrutto il verde pubblico, mandato via i residenti non ricchi dal centro storico e quindi non ci abita più nessuno etc etc siccome adesso se non cè gente la città pare morta e fa paura ci rinchiudiamo dentro…tanto per dire cosa vuol dire guardare al futuro con la nuca..), e a mio avviso è sbagliato continuare a vedere nel blocco Lega e destra il problema…la maggioranza dei trevigiani non sa assolutamente niente di quello che accade in città..semplicemente non viene informata e non si infomra di come vengono buttati i soldi o del perché si fanno le operazioni edilizie di un certo tipo completamente in perdita ( avete presente la parola riciclaggio…no?).
Il problema siamo noi che ci riteniamo diversi e forse non lo siamo abbastanza..conosco persone degnissime che però passano il tempo in osteria a ridere di quello che succede, persone che come qualcuno diceva qui sopra ritengono che la cultura non sia importante (ma la cultura è due cose prima di tutto: scelta e cura di se stessi nella condivisione altrimenti non è..e la cultura è un’aspetto civile della società..non una cosa astratta…) ma anche persone che si ritengono di cultura ma hanno la stessa visione culturale da operatori culturali del quartierino che ha distrutto l’Italia intera negli ultimi vent’anni e la perpetrano.
Noi siamo lo specchio di Treviso, singolarmente e tutti insieme, e nessun poltico ha potere se non siamo noi a riconoscerglielo. Se i trevigiani vorranno continuare così, compresi coloro che qui si definiscono intellettuali o resistenti ma poi sono solo un chiacchericcio tra i tanti, Treviso farà la fine che deve fare come ogni cosa e nessuno ci potrà far niente.
Treviso ha un inquinamento da polveri sottili pari a Milano, un tasso di alcolismo fuori dalla norma semplicemente perchè non cè nulla da fare, una speculazione edilizia che perdono ai ventenni che hanno qui parlato di non conoscere assolutamente ma che quando dovranno cercarsi un casa capiranno… e via dicendo altre mille problematiche ambientali e sociali…ma potenzialmente ha tutto per essere una perla di Italia sia culturalmente che socialmente. Sta a noi la scelta, non tra molto tempo. Ma chiedo a chi dice che a Treviso si sta bene di vivere prima da qualche altra parte e non solo di andare in vancanza a berlino o a new York o a barcellona..perché i trevigiani hanno questo di particolare..credono che quelle città cha amano tanto siano fatte da loro che ci vanno in vacanza..non da quelli che ci abitano tutti i giorni e si impegnano a farle vivere in un certo modo quotidianamente.
Poi ci sarà anche chi sta benissimo così a Treviso e di sicuro c’è un sacco di gente che solo a pensare di uscire dal comune si sente male, ma sincermanete quello è un problema loro, non mio. E aggiungo anche di non confondere la città e il comune con il territorio della provincia, che è più simile a come lo descrivono i giovani che qui hanno descritto la città.
E ora mi fermo perché le chiacchere stanno a zero dopo due anni di discussioni e lavoro..quindi torno a lavorare.
“la tua miseria come architrave della costruzione romanzesca [?]. Ma una volta la sinistra non doveva occuparsi della maggioranza delle persone ? Non doveva prima di tutto capirle e poi addirittura amarle, e condividere il loro destino ?” [W. Siti, Siete voi che non vedete, Alias, 16/9/06]
Sono tornata a Treviso 4 anni fa, dopo aver assecondato la forza repulsiva di questa città con un moto centrifugo.
Oltre alle puttane e ai puttanieri, alla discriminazione dei neri e alla legalizzazione di altri neri, alla gamma di umanità ristretta tra verde Lega e verde Benetton, ho aperto gli occhi e visto c’è un humus quiesciente, pronto a germinazioni più prolifiche. E che gli steccati non sono così netti come la facile ideologizzazione con cui è stata schiacciata la città in questi anni ha abituato a reiterare anche in contesti in cui la complessità delle sfumature potrebbe avere una sua evidenza conoscitiva.
Sottoscrivo le parole di Ennio Abate: una «visione letteraria e libresca», dicotomica e passatista, non è un contributo costruttivo né alla memoria, né al futuro. La “cultura che c’era” è un bozzetto vago e impreciso: circoli letterari, artistici, intellettuali (anche una “succursale” della Comunità Olivetti) c’erano, ma qual era il grado autentico di integrazione con il tessuto sociale? Smettiamola di idealizzare cenacoli elitari. Ad essi semmai va invidiata la possibilità di scambio che arricchiva una rete intellettuale e i suoi nodi.
Nel tempo ci è stata sottratta questa possibilità: si è mirato consapevolmente a spezzare i legami associativi e a sgretolare il tessuto connettivo di una comunità non solo intellettuale. Attraverso mosse lente o a volte strappi dalle imprevedibili conseguenze: basti pensare allo smantellamento dei centri di aggregazione, infrangendo il dialogo e il confronto; o si registri la politicizzazione di ogni questione sociale, una dinamica che istituisce solchi in una comunità frammentata in “nemici” e quindi estromessa da un dialogo costruttivo a più voci. Rivitalizzare la Cultura a Treviso non può prescindere dall’assumere un atteggiamento politico e sociale basato sul rispetto reciproco e sulla coesione sociale, abbandonando comportamenti bellicistici. Un monito che va a tutto l’arco della rappresentanza politica.
La cultura a Treviso, nella varietà delle sue accezioni, esiste in condizioni di resistenza ed attesa. Lo testimoniano Xyz, Dirtmor, Pelodrilli, Fumetti in Tv, Enzimi, l’Arsenale, Cineforum Labirinto e altri senza nome. Lo stesso Lello Voce è stato mentore di gruppi scolastici che si sono esposti ad esperienze letterarie interessanti e innovative. Tra tutte il poetry slam ha avuto un contagioso successo grazie anche al carisma del giovane Abe, che ci ha privati della sua vita. Altri giovani meno violentemente se ne vanno: un musicista di punta come Lorenzo Tomio, un pittore in questi giorni esposto a Ca’ dei Carraresi come Giuseppe Gonella, una performer acclamata all’estero come Silvia Costa; e la lista è molto lunga e ogni spunto è un segno di abbandono di un terreno refrattario. Gli spazi culturali, come il Pelodrilli o il Paraggi, aprono e chiudono lasciando la nostalgia per esperienze alternative, non per questo necessariamente radicali.
Manca una sorta di “incubatore” che le tuteli, le potenzi, le divulghi; le faccia acquisire, insomma, come posizione consolidata e non come esperienza di frontiera. Per “incubatore” non si intende solo uno spazio fisico ma innanzitutto uno spazio mentale che veda in ciò non l’alterità come eversione pericolosa, ma come soddisfazione di bisogni intellettuali in divenire e come completamento di un’offerta culturale che non può assestarsi ad libitum sul già noto.
Non è una visione passatista e nostalgica che ci salverà – con tutto il rispetto per lo spessore culturale di ciò che c’è stato – ma un’analisi sistematica e puntuale dei problemi strutturali (amministrativi, gestionali, finanziari) e delle loro soluzioni operative, senza istituire il presupposto che una certa tipologia espressiva sia un appannaggio politico.
A Treviso non servono “sogni” generici, ma strumenti per realizzare quelli che già cova.
Ma per piacere. Sul serio, per piacere: possiamo gentilmente smetterla di denigrare il lavoro dei trevigiani limitandoci a descriverli come depravati, razzisti, alcolisti ed ignoranti?! Sono trevigiana di nascita, lavoro a Treviso, e ho avuto la fortuna di girare per il mondo per studio e lavoro conoscendo altre realtà. Non sono di “primo pelo”, insomma.
La città descritta nell’articolo NON è Treviso, o, quantomeno, non è TUTTA Treviso. Ci siamo dimenticati delle associazioni culturali, dei cittadini che vogliono migliorare la città, di chi quotidianamente lavora e si sbatte per questo centro storico, perchè AMA la propria città e vuole vederla crescere. Se non volete vedere queste persone, il lavoro che fanno, lo sforzo immane nel creare cultura e rinnovamento in un periodo di stallo come questo, e li unificate ad un’ipotetica massa ignorante, allora non meritate di godere dei frutti del loro lavoro.
Treviso ha tanti difetti, e sicuramente è cambiata molto negli ultimi 20 anni, e per questo io dico GRAZIE! Grazie perchè quando andavo al liceo non potevo camminare per il centro al sabato pomeriggio senza essere stalkerizzata da masse di delinquenti, grazie perchè per lo stesso motivo non era possibile uscire alla sera da sole, grazie perchè era una città sporca, degradata e lasciata a se stessa, grazie perchè PER FORTUNA non è più la stessa di 20 anni fa (e qua, signori miei, dovete ringraziare anche la tanto odiata Lega che ha amministrato la città, perchè io, 20 anni, fa, avevo PAURA ad uscire da sola la sera)!
Il cambiamento è NECESSARIO per migliorare, e il cambiamento porta a commettere errori, dai quali si impara e si migliora. Lamentarsi e basta, senza fare nulla, è il cancro della società, e conseguentemente di Treviso.
Personalmente, mi sento offesa da un articolo che non fa altro che gettare ombre su una città che ha difetti, ma anche moltissimi pregi. Chiudersi in un passato, che, lo dice la parola stessa, è PASSATO, senza dare importanza al presente e cercare di migliorare il futuro, porta solo a questo: sterili lamentele di nostalgici giurassici.
Ricordatevelo, la prossima volta che assisterete ad un concerto in piazza, a quando visiterete un museo di sera, alla prossima conferenza a cui andrete, alle mostre di quadri, agli spettacoli teatrali: Treviso non è solo razzismo, alcolismo, e negatività (difetti che sono presenti ovunque nel mondo), ma anche voglia di cambiare, rinnovare, crescere e migliorare. Chiudere gli occhi di fronte al lavoro di queste persone significa uccidere i loro sogni.
Buongiorno prof, sono trevigiano da sempre seppur nato a Milano, sono fiero di questa città così come sono orgoglioso di averci portato in visita la mia ragazza e di averla trovata così pulita ed ordinata. Amo ancor piu Treviso da quando l’ho lasciata per lavorare a Parigi. Ho studiato nel “suo” liceo, ho vagabondato per i vicoli della città sin da piccolo e nel suo centro storico vi ho vissuto prima di trasferirmi nella zona “rossa” della citta, Fiera. Bè io il razzismo che manifesta non l’ho vissuto, forse perchè non sono meridionale, ma certamente posso dire che non tutti i trevigiani sono razzisti. I poveri extracomunitari non hanno la moschea mi sembra sbagliato, pregano al Palaverde e se per questo ci manca anche la sinagoga, eppure Treviso ai tempi che fù accoglieva un ghetto ebraico.. Allora siamo doppiamente intolleranti?
Lei si dice emigrato qui da dieci anni.. Ma se tutto quel che ha visto in 10 anni è decadenza, assenza di cultura e Legaville, perchè non se n’è andato? Lo dico semplicemente perchè la sua resistenza qui è un po’ fare la lotta ai mulini a vento se fosse vero il suo punto di vista, e se lo fosse in senso assoluto così come posto nell’articolo. Eppure lei è ancora qui.. Noi qui a Treviso propagandiamo la cultura dell’ordine e del riciclaggio che nel 2012 forse valgon piu all’atto pratico della cultura dantesca, petrarchesca o boccaccesca, ma è pur sempre una forma di cultura non trova? Si chiama educazione civica, così come esiste l’artistica per esempio.
La prostituzione poi non sembra un caso isolato trevigiano ed addirittura è stato votato un sistema atto a marginare il fenomeno, vedasi le varie centinaia di euro che fioccherebbero come multe.. E l’ombralonga poi.. L’ombralonga, già spogliata della sua originaria ed elegante missione già da anni non si fa piu.
Non siamo un popolo di gente ottusa, questo lei non capisce. Quello che con fastidio lei definisce razza Piave, che vuole semplicemente identificare un tipo di razza autoctona figlia del Piave non come fiume ma come immagine di forza, quel Piave capace di far fuggire lo straniero, ha come sola immagine negativa l’accezione che il fascismo ci ha insegnato ad attribuirgli.. La parola razza diventa negativa. La chiami dunque tribù se preferisce. Ma la razza Piave combatte ed ama il suo territorio, l’ha sviluppato credendovi ed oggi fatica a credere che tutto ciò che di bello ha creato stia cadendo per colpa di una crisi mondiale, ma non si arrende e questo lei non può saperlo perchè trevigiano non è. Io sono partito all’estero per crearmi una nuova prospettiva ma non rimarrò a lungo distante dalla mia terra. Quel che io imparerò dalla Francia lo porterò a casa mia per insegnarlo ai miei figli. Renzo Piano in merito alla fuga dei ragazzi dall’Italia disse: “andate e vedete il mondo, imparate quel che vi insegna e tornate per metterlo in pratica a casa vostra”. La terra dove io sono nato ha in sé una poesia molto piu bella della poetica così come lei la intende, o delle persone illustri che l’hanno visitata. È la poesia di mani ruvide e gambe affaticate che hanno lavorato la terra dicendo sempre “si paron”, è una terra schiava del lavoro, noi lavoriamo perchè crediamo piu al lavoro che all’amore direbbe qualcuno.. Abbiam metodo “striaco”, siamo inquadrati ed organizzati. Siamo vinti dalla razionalità la stessa con cui Montebelluna è diventata da nulla un polo industriale mondiale. Ora il mondo ci mette in difficoltà, alla prova con la crisi con le maldicenze con uno stato italiano (volutamente in minuscolo) che non sa guidare il suo popolo.
Se è vero che il tempo dirà la sua, stia a vedere che Treviso come una fenice risorgerà dalle sue ceneri, Legaville per cortesia, è un fenomeno che durerà al massimo un’altra decade. I figli che oggi studiano nelle scuole elementari già sono piu coscienti di noi in merito ad un mondo plurietnico e i loro figli lo vivranno per normale.. Al modo in cui per alcuni trevigiani, oggi, i “teroni” devono stare a casa loro e i neri in Africa.. Ma io sono trevigiano e non sono razzista. E come me altri 100 quindi Legaville non soppianta Treviso. Vince solo per un po’, come un maratoneta doppato, poi muore se persevera con la droga. Diamo il tempo al tempo. E non traiamo conclusioni immediate.
La prima reazione, spontanea, dopo aver letto questo cumulo di stonzate, sarebbe quella di cliccare sulla “X” … ma si, chi se ne frega, nel web c’è di tutto e c’è anche questo qui che spara le sue … Poi però … col cacchio, mi vien da dire no! No! Non va bene che, siccome lui ha il “buon tempo” per scrivere scemenze e io ho da fare, ( per pagare le tasse a uno stato ladrone che sperpera le risorse in stipendi buttati a caso) … siccome lui può dedicarsi a spiattellare le sue inutili sensazioni e io non ho tempo, allora lui scrive, io leggo e tiro via?! No, col cavolo, non tiro via stavolta. E non me ne frega niente di Treviso in particolare, quello che mi fa imbestialire è che ho mandato i miei figli a scuola (infame, ignobile squola pubblica fucina di pecoroni). Ho pagato perchè i miei figli venissero intortati da questa sottospecie di predicozzi da quattro palanche al chilo.
No, non clicco, ma non tiro nemmeno via e lascio una invocazione:
San Default, pensaci tu! Che tu sia di destra o di sinistra non importa, fa il tuo dovere!
RIEPILOGO E CONTROCANTO PROVVISORIO
“Treviso ha tanti difetti, e sicuramente è cambiata molto negli ultimi 20 anni, e per questo io dico GRAZIE! Grazie perchè quando andavo al liceo non potevo camminare per il centro al sabato pomeriggio senza essere stalkerizzata da masse di delinquenti, grazie perchè per lo stesso motivo non era possibile uscire alla sera da sole, grazie perchè era una città sporca, degradata e lasciata a se stessa, grazie perchè PER FORTUNA non è più la stessa di 20 anni fa (e qua, signori miei, dovete ringraziare anche la tanto odiata Lega che ha amministrato la città, perchè io, 20 anni, fa, avevo PAURA ad uscire da sola la sera)!
[…] Personalmente, mi sento offesa da un articolo che non fa altro che gettare ombre su una città che ha difetti, ma anche moltissimi pregi. Chiudersi in un passato, che, lo dice la parola stessa, è PASSATO, senza dare importanza al presente e cercare di migliorare il futuro, porta solo a questo: sterili lamentele di nostalgici giurassici.”
(Elisabetta)
“Lei si dice emigrato qui da dieci anni.. Ma se tutto quel che ha visto in 10 anni è decadenza, assenza di cultura e Legaville, perchè non se n’è andato? Lo dico semplicemente perchè la sua resistenza qui è un po’ fare la lotta ai mulini a vento se fosse vero il suo punto di vista, e se lo fosse in senso assoluto così come posto nell’articolo. Eppure lei è ancora qui.. Noi qui a Treviso propagandiamo la cultura dell’ordine e del riciclaggio che nel 2012 forse valgon piu all’atto pratico della cultura dantesca, petrarchesca o boccaccesca, ma è pur sempre una forma di cultura non trova? Si chiama educazione civica, così come esiste l’artistica per esempio”(Guido Fermi)
“No, non clicco, ma non tiro nemmeno via e lascio una invocazione:
San Default, pensaci tu! Che tu sia di destra o di sinistra non importa, fa il tuo dovere!” (Alberto Veneziano)
Quando si dice che manca la politica!
@ Elisabetta
Mi scusi, ma se si è passati da una Treviso ( o Milano o Torino, ecc.) ««sporca, degradata e lasciata a se stessa» ( era proprio così prima? non è che ora storce il bastone troppo dalla parte opposta?) a una città dove lei si sente sicura di uscire la sera etc., vuole anche chiedersi quanti e quali ceti che l’abitano si sono avvantaggiati dal mutamento e quanti ci hanno perso qualcosa o anche più di qualcosa? E poi ha mai pensato che spostare o tenere a cuccia certi delinquenti palesi può essere una semplice operazione “di facciata” e magari significa dare spazio a delinquenti in doppio petto e dall’aria benevola?
@ Guido Fermi
Maperché lei avrebbe il diritto di spostarsi per lavoro o turismo dove vuole e Lello Voce, vedendo una Treviso che non gli pare abbastanza civile, dovrebbe tacere o andarsene altrove? E perché criticare sarebbe «fare la lotta ai mulini a vento» e non un modo di riconoscere i problemi irrisolti per affrontarli con chi davvero li vuole affrontare?
Mi permetto un consiglio: se quelli che si affidano troppo ai meriti della cultura umanistica («dantesca, petrarchesca o boccaccesca» ma può arrivare fin quasi ad anni recenti, quando l’umanesimo non aveva perso troppi colpi…) farebbero bene a vederne anche i limiti, lei provi a vedere quali sono i limiti della «cultura dell’ordine e del riciclaggio». (Disponibile a darle una mano nella ricerca…)
@ Alberto Veneziano
No, non si affidi ai santi e a santi così moderni! Già San Precario non è che aiuti molto i giovani senza lavoro… Ci pensi con la sua testa e assieme a quelli che hanno voglia di discutere e fare.
@ Ennio Abate
Mi affido ai santi come oneste figure carismatiche prodotto dell’umano pensiero e delle umane azioni.
San Precario, bonario e indulgente, che ci ricorda, nella nostra arroganza positivista, che la vita è precaria, le risorse scarse e l’economia pratica meritoria.
San Default, con la spada, che punisce l’insipienza degli ignavi e la protervia dei parassiti.
Io penso con la mia testa, non si incomodi, ma non “assieme” a quelli che hanno buon tempo per discutere. Non si può pensare con la propria testa e contemporaneamente assieme a qualcun altro se non dopo aver portato il cervello all’ammasso. D’altra parte, proprio perchè la scuola di stato fa bene il suo lavoro, l’ammasso dei cervelli sta funzionando a meraviglia e produce le “perle” che si possono leggere qui sopra.
[Mi scusi, ma se si è passati da una Treviso ( o Milano o Torino, ecc.) ««sporca, degradata e lasciata a se stessa» ( era proprio così prima? non è che ora storce il bastone troppo dalla parte opposta?) a una città dove lei si sente sicura di uscire la sera etc., vuole anche chiedersi quanti e quali ceti che l’abitano si sono avvantaggiati dal mutamento e quanti ci hanno perso qualcosa o anche più di qualcosa? E poi ha mai pensato che spostare o tenere a cuccia certi delinquenti palesi può essere una semplice operazione “di facciata” e magari significa dare spazio a delinquenti in doppio petto e dall’aria benevola?]
Carissimo @Ennio: sì, Treviso era proprio sporca, degradata e lasciata a se stessa. Ricordo benissimo la sporcizia che troneggiava per le vie quando andavo alle elementari in Via dei Mille, le mura di Treviso in condizioni pietose, piene di siringhe usate dai drogati che vi si accampavano e vietate a noi bambini (per ovvi motivi), decadenti e pericolose, la stazione che evitavo accuratamente anche di giorno, per non parlare dei giardinetti di S. Andrea, di Villa Santa Margherita e di molti (troppi) altri posti che mi erano preclusi per ragioni di sicurezza. QUESTA Treviso me la ricordo benissimo: non ho idea di dove lei abbia vissuto, ma posso assicurarle che la nostra città, 20 anni fa, era presa così, se non peggio. Quindi non mi dica che esagero, perchè nessun cittadino che abbia più di 30 anni non può chiudere gli occhi di fronte alla città che era.
E poi, per piacere, cadere così banalmente nel complottismo tirando in ballo i ceti alti che mettono a tacere i ceti medio/bassi sviando l’attenzione in modo così subdolo… Se anche fosse? Mettiamola così, che quello che dice lei sia vero: davvero lei preferirebbe una città pericolosa, sporca, nella quale non può lasciar giocare i suoi figli nei parchi, nella quale sua moglie/fidanzata non può passeggiare da sola nè di giorno nè di sera senza sentirsi minacciata, e via dicendo? SUL SERIO lei preferirebbe una città del genere?
Ripeto, mi reputo offesa da un articolo che non dà il giusto merito a chi la città la costruisce giorno per giorno, e il fatto che lei abbia ribattuto al mio commento il siffatto modo (con complottismi assurdi e ignorando la situazione di Treviso di 20 anni fa) porta a trovarmi d’accordo con @Alberto: evidentemente la scuola pubblica sta facendo un lavoro così esemplare che i risultati sono visibili agli occhi di tutti.
@ Elisabetta
Gentile Elisabetta,
non è buon segno la sua replica. Ma tento ancora di farmi capire. Ammetto senza difficoltà che nella sua esperienza vissuta la Treviso d’oggi sia migliore di quella di ieri.
Ma, quando lei mi chiede (con foga eccessiva, che tradisce un partito preso):« lei preferirebbe una città pericolosa, sporca, nella quale non può lasciar giocare i suoi figli nei parchi, nella quale sua moglie/fidanzata non può passeggiare da sola nè di giorno nè di sera senza sentirsi minacciata, e via dicendo? SUL SERIO lei preferirebbe una città del genere?» è come se abbassasse una saracinesca e riducesse il Mondo a quello che lei ha sperimentato.
Qui c’è un errore, secondo me.
Ed è per difendere questo errore che lei non solo stuzzica il mio (in parte sano) egoismo ( chi non vuole per sé e per i “suoi cari” il meglio?), ma elude le mie domande. E ricorre a un parola magica e di moda: «complottismo», che è un “concetto ripostiglio” per bloccare ogni discussione e in cui oggi ficchiamo ciò che non sappiamo o non vogliamo sapere).
Se lei si togliesse questi occhiali scuri, riconoscerebbe facilmente che « tirando in ballo i ceti alti che mettono a tacere i ceti medio/bassi», ho solo voluto spostare – in modi niente affatto subdoli – l’attenzione sua e di chi frequenta questo blog verso i conflitti reali che ci sono in tutte le società d’oggi e in ogni città. E che sono un problema.
Il mio invito era a non limitarsi a vedere le cose solo dalla parte dell’ ‘io’ o della propria esperienza personale. Che può essere un inizio di discorso, ma non tutto il discorso. Il mio invito era/è a ragionare in modo politico, come ‘noi’.
E qui devo precisare: come un ‘noi’ reale, a seconda di come uno/a è e pensa il mondo ( e confrontando le parole mie e sue e quelle di Voce e d’altri si possono capire le differenze…).
Ma anche come un ‘noi’ possibile, che forse si va costruendo dalla disgregazione e riaggregazione delle varie identità (culturali, politiche, religiose, ecc.) “lavorate” dalla crisi.
Quindi non s’offenda per il punto di vista di Lello Voce o per il mio. E continuiamo, se possibile, ad approfondire i problemi.
Per la verità c’è anche chi si sente offeso dal nauseante afrore di orgoglio marcio e di identitarismo razzista che promana da tanti esteriorismi in forma di commento…
E non parlo solo di quelli del leghista d’oc che si è “fatto” da solo qua sopra, tutto “io pago le tasse – stato padrone – scuola in mano ai fannulloni inculcatori e comunisti”: quello, penedizione del dio Sele alla mano, non fa altro che il suo “mestiere”…
Certo che quest’articolo deve aver urticato non poco gli anfratti più interni delle zone dove non batte il sole, proprio lì dove l’orgoglio localistico si forma e si addensa pronto all’uso…
Una curiosità: scomparsi i *drogati* (sic!) che tanto spaventavano le bambine, che ne è dei *froci*, possono camminare liberamente durante il giorno o debbono uscire solo in determinati orari, e scortati? E della caccia al *negro* con le doppiette che ne è stato? Si è conclusa definitivamente o l’avete solo momentaneamente sospesa?
Ho letto questo articolo con un’emozione crescente. Ho vissuto a Treviso per diciotto anni. Vi ero arrivata da giovane insegnante siciliana. Ho visto e sentito crescere, negli anni, il decadimento e il disagio di cui lei parla. Non mi stupisce che i trevigiani si sentano offesi e criticati: capisco benissimo. Li inviterei, però, a considerare che la città dell’articolo è la città vista con gli occhi dello “straniero” arrivato con certe aspettative e costretto a notare anche altro. Una città non si distingue molto dai suoi cittadini: va bene, dunque, che i trevigiani non avvertano quanto vede l’occhio estraneo. Io ho dato moltissimo, a questa città, in termini professionali. Quando sono andata via, nel confronto con altre realtà sempre del nord, ho capito di essere sempre stata “straniera”. Treviso e il trevigiano saranno anche Marca gioiosa, ma sicuramente non sono luoghi del cosmopolitismo. Ogni città ha la sua impronta. Lo straniero la percepisce.
L’articolo di Voce, lo trovo un po’ retorico, ma è interessante leggere lo scambio di opinioni che ha scaturito. Queste forse maggiormente restituiscono un’immagine più complessa e veritiera della città. Tengo a fare una piccola precisazione: 20 anni fa avevo 15 anni e iniziavo le mie prime sortite serali, ricordo perfettamente che, oggi come allora, la città era sicurissima, stazione compresa. Fra i commentatori c’è addirittura chi scrive di mura infrequentabili e vietate ai bambini… io ricordo benissimo invece le passeggiate d’autunno a raccogliere le castagne matte da portare a mia nonna contro il raffreddore… siringhe ce n’era qualcuna, è vero: cambia la città, cambiano i trevigiani e cambiano le droghe….
Inserirmi nella battaglia dei ricordi non posso: di anni ne ho meno di trenta, e sono, per lo più, coneglianese e non trevigiano. Mi permetto, però, due parole al riguardo, più che altro perché, a leggere qui sopra, non si può non restare sbigottiti davanti a certa tendenza “partitica” insita nella discussione. Mi pare che un po’ di mediazione potrebbe giovare agli uni e agli altri; e dato che l’unico che ci si provi mi pare l’Abate, che spesso apprezzo, qui su LPLC, per i suoi adagi pacati ma pungenti, mi permetto di portare acqua al suo mulino.
Quel che più mi spaventa, nell’articolo di Lello Voce, è il taglio politico. La sua è una posizione reazionaria – a ciò alludeva il mio intervento precedente – che trasuda elitarismo da tutti i pori. Mi chiedo: davvero, in Italia, certa sinistra è ormai pronta a essere più realista del re, ovvero più conservatrice dei conservatori?
Sono cresciuto nel boom del Nord-Est; ho visto campagne intere finire lottizzate dagli amici di Zaia; ho percepito lo sfarinamento della società trevigiana, e ho rimpianto all’infinito – complici i miei studi, e un dottorato in Lettere in dirittura di arrivo – la generazione dei Comisso e degli Zanzotto. Ma l’avversativa, come spesso accade, non manca.
Ho avuto la disgrazia, o forse la fortuna, di nascere in una famiglia assai modesta, dove ancora negli anni 70 non poche, tra le cose che la mia generazione precaria e disgraziata dà per scontate, sembravano irraggiungibili. Mia nonna, con la terza elementare, la sera leggeva Dante come me e Lello Voce; ma, per tirare su le figlie, lei non ha mai messo il naso fuori Venezia, né andava all’Opera ogni mese, come faccio io, a sognare sulle note del suo Puccini.
Ora, cadere nell’amarcord non giova a nessuno. Però mi chiedo, e chiedo a voi: davvero è giusto anteporre una nostalgia che in gran parte è letteraria a ogni conquista civile, anche la più indubbia? Le nonne del Veneto di oggi vanno a Parigi e a San Pietroburgo; magari con la boria delle siorete del Nord, non lo nego; ma ci vanno. Dobbiamo chiuderle in casa nel nome del buon gusto? Sputare sugli schei che ci permettono, se lo vogliamo, di crescere circondati di libri, con un piede a Londra e l’altro a Parigi? Io sono orgoglioso di mio padre, che mi ha dato questa possibilità, e nonostante la pochezza culturale del Veneto di oggi – si badi bene: in termini di grandi nomi, che uno Zanzotto o un Meneghello non li abbiamo più; perché, quanto a mostre o musei, non farei a cambio con troppe regioni d’Italia – malgrado ciò, dicevo, non sono affatto sicuro che si stesse meglio quando si stava peggio.
La mia non vuole essere una serie di domande retoriche, ma un tentativo di dialogo tra partiti apparentemente inconciliabili. Che queste “conquiste” siano spesse equivoche, rigate di certo razzismo leghista, nessuno lo mette in dubbio; ma che in Veneto si reciclino solo i “sentimenti”, come pare emergere dall’articol di Voce – quando a Treviso si recicla due volte più che in Svezia, e tre volte più che in Germania – mi pare un’asserzione sciovinista.
Vi propongo un aneddoto. Un lunedì sera, a Zoppé, in una perduta frazione del coneglianese, mi capitò di assistere a un duello tra Saviano e il padre di un mio amico, leghista doc. La tivù passava “Vieni via con me”; Saviano vi parlava di rifiuti, e dell’emergenza Napoli. Complice la sua retorica, che non è certo delle migliori, Saviano formulò una frase involuta e a effetto, il cui tenore era pressapoco questo: a Napoli ci sono i rifiuti perché ce li spediscono dal Nord.
Ora, io che muovo da una certa consapevolezza, compresi che Saviano parlava, in realtà, dei rifiuti tossici delle aziende di Mestre e Marghera, che come sappiamo finiscono effettivamente al Sud via criminalità organizzata. Ma vi assicuro che il pressapochismo tipico dell’oratore, e un certo populismo spicciolo che gli è proprio – due dati messi in croce, e poi giù con la solita tiritera della mafia a Milano, di Gentilini sceriffo, dei negri oltraggiati per la strada – aveva trasformato il quadro. Ecco camion e camion partire da Treviso e Venezia, carichi di non meglio precisata monnezza del Nord, e rendere Napoli – dove la raccolta differenziata è ai minimi europei – quella che è.
Il padre del mio amico, in quel mentre, lavava nel lavello i barattoli dello yogurt. Parliamo, sia chiaro, di un uomo che ha un conto in banca a tanti, tanti zero; ma che, in nome di un localismo discutibile, ma anche meritorio – paroni a casa nostra vuol dire pure: noi ci facciamo carico di questa casa – era zozzo fino al polso di pezzi di pesca e budino al cioccolato.
L’uomo del Nord brandì fieramente il barattolo Danone, e lo scagliò sullo schermo al grido: “Teròn de merda!”
Io non vorrei che Lello Voce, certo con le migliori intenzioni, finisse poi per recitare da Saviano di turno. Siamo già divisi su tutto, e non possiamo permettercelo. Quando io sono stato a Napoli, o in Sicilia, per vacanza o per lavoro, mi è successo di peggio che smarrire il vero volto delle città per un’amminisitrazione discutibile: pile di immondizia sotto le finestre (e lezzo conseguente), truffe e tentati furti, occhiatine e raggiri alla prima parola detta, complice il mio accento del Nord.
Se però andassi in giro vociando sulla pessima realtà di fatto della terra di Sciascia e Bufalino, e non adempissi invece al compito proprio dell’intellettuale – che è quello di comprendere le cose in profondità, di coglierne le sfumature e i sensi più veri e nascosti, evitando di scendere nell’arena politica a basso costo, specie sul fronte reazionario – mi ritroverei a gridare pure io “Teròn de merda”. Certo con le mie buone ragioni; ma non credete che, dal momento che ne discutiamo su un blog come LPLC, la nostra cultura ci imponga una visione un poco più sottile?
Treviso che di chiare fontane tutta ride, / e del piacer d’amor che quivi è fino viene dal Dittamondo di Fazio degli Uberti… non mi pare proprio di Dante… per non dire altro…