di Stefano Dal Bianco
[A dieci anni da Ritorno a Planaval, pubblichiamo queste nuove poesie di Stefano Dal Bianco, da Vedute sul paesaggio].
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Teoria della neve
a A.Z.
La neve scende bianca
sulla profondità opalina dello sfondo,
una teoria del niente-dopo-niente
che ci ruba l’azzurro
mentre la nostra mente si sottrae
alla sagra del mondo e si fa incline
a risonare di sé, a rispecchiare in sé
la perfezione della neve.
È di ora lo sforzo di inchinarla
al niente-dopo-niente, di allargare
lo spazio di dolore, ma sì, senza affezione
coinvolgerlo nel bianco
dove ogni cosa muore, si trasforma.
.
Veduta con signore
Un signore che mai conosciamo abbastanza oggi si è affacciato,
abbiamo visto che ha visto qualcosa
per un momento alla finestra,
qualcosa che tremava nella valle sottostante,
che respirava senza vento, con il suo solo potere,
ed era il bosco occupato dal non bosco,
indistinguibile nella foschia,
che respirava senza vento, era il legame
fra esistente e non esistente
e tutto intorno niente.
Allora venne il desiderio, il primo seme della mente,
e quel signore purtroppo si appagò,
divenne un passato remoto,
si volse indietro alla stanza
e cominciò a discorrere con noi
del più e del meno
mentre il legame intrasentito scompariva
e così i nostri confini, che per un po’ di tempo
erano stati i suoi.
.
La luce del cielo
Si è coperto in un attimo il cielo della Val di Merse
e ora piove, uno squarcio rileva
le zone salienti del bosco d’autunno,
il fascio di luce si muove veloce.
Niente di ciò che sta accadendo
sollecita un commento.
Ciò che si muove nel corpo
segue le stesse leggi:
respiro, peristalsi,
una ghiandola per un castagno,
per ogni organo un leccio,
e uno e due e tre
e quattro e cinque e sei e sette.
Ciò che conta è il cielo
e quella luce che ci fa evidenti.
Tutto sta sotto la luce.
Tutto si muove in noi con quella luce dentro.
Alla mia stufa, alla fatica
Per poterla riattizzare presto la mattina dopo
e trovare anche la stanza meno fredda
ogni sera faccio in modo che si crei un bel letto di braci
per il ciocco che vi depongo
prima di chiudere la presa d’aria.
Questa sera le braci sono molte, anzi moltissime:
una vera montagna incandescente
con tutte le valli, a ombrìo e a solatìo
e con torrenti e fiumi e laghi rossi
e neri sbuffi e feste di paese…
Io mi sono fermato incantato
davanti al frutto di tanta mia accortezza
e anzi ho creduto di vedere anzi ho veduto
ho veduto ho veduto
una cosa che poteva assomigliare ad un rubino
un rubino vermiglio di un sangue
che poteva soltanto essere il mio,
di tutte le volte che carico la stufa
e trasporto la legna nei giorni di sole
nelle notti di neve e ogni parola acquista un peso
che la fa quasi onnipresente una letizia
di accorgersi di sé
e una veduta sul mondo reale
che dura poco ma la lascia raggiante
e pronta e sofferente
per una nuova nuovissima fatica.
bellissime, stefano. davvero belle. ho contato e ricontato i numeri dell’armonia, e ci sono tutti :)
belle, grazie-
Nella”sagra del mondo” , queste vedute di Stefano aprono voragini, provvisorie, di nitida oggettività. Hanno la purezza abbagliane e l’incanto mentale di un cristallo.
Molto belle secondo me. Ci sono di quelle visioni senza spiegazioni che nel silenzio dicono tutto e che cerco solo nella buona poesia.
Per poterla riattizzare presto la mattina dopo
e trovare anche la stanza meno fredda
ogni sera faccio in modo che si crei un bel letto di braci
per il ciocco che vi depongo
prima di chiudere la presa d’aria.
Questa sera le braci sono molte, anzi moltissime:
una vera montagna incandescente
con tutte le valli, a ombrìo e a solatìo
e con torrenti e fiumi e laghi rossi
e neri sbuffi e feste di paese…
Posso dissentire in modo impertinente?
Cos’è questo tepore casalingo montagnolo arcadico di fronte allo sconquasso del mondo?
[* Alla redazione
Aspetto sempre una rispostina per il mio “Il Tarlo della Libia”…]
A Ennio Abate
I lampi della magnolia
Vorrei che i vostri occhi potessero vedere
questo cielo sereno che si è aperto,
la calma delle tegole, la dedizione
del rivo d’acqua che si scalda.
La parola è questa: esiste la primavera,
la perfezione congiunta all’imperfetto.
Il fianco della barca asciutta beve
l’olio della vernice, il ragno trotta.
Diremo più tardi quello che deve essere detto.
Per ora guardate la bella curva dell’oleandro,
i lampi della magnolia.
(Franco Fortini, “I lampi della magnolia”, in “Paesaggio con serpente”, 1984).
Diremo più tardi quello che deve essere detto.
Ah, ho capito. Mi accontentate o azzittite con Fortini!
Ottima mossa…
bentornato caro Stefano…. buona cosa….
Non posso criticare il poeta Dal Bianco che conosco e apprezzo molto, qualche volta moltissimo… ma stavolta un piccolo risentimento ce l’ho: troppo evidente, assecondata, almeno secondo il mio punto di vista, una spiccata tendenza all’universalità, al rendere oggettivo qualcosa che dovrebbe rimanere nella sfera del privato… continuo a preferire i suoi scritti più intimi, se si vuole casalinghi e apparentemente banali, quelli che riescono ad essere grande poesia anche senza prendersi troppo sul serio e, soprattutto, senza il tormento di come verranno accolti e compresi da un eventuale lettore.
In ogni caso restano ancora saldi, anche se non so quanto imparziali, i miei complimenti all’autore.
effettivamente dal Bianco c’entra poco o nulla con Fortini. Comunque sia sono una gradita sorpresa anche rispetto ad un decennio or sono, ed anche con il rischio di involarsi
meglio là, sottomano nevata sottofelce nevata…
grazie a sdb
La scrittura modifica lentamente la forma, oggi meno patemica, più stringente, più essenziale – più di quanto lo fosse già abbondantemente il libro precedente, il grande “Ritorno a Planaval”. Salutiamo il ritorno di Stefano Dal Bianco come una vera benedizione per la nostra poesia. Un saluto a tutti e in particolare a Stefano.