di Pier Paolo Poggio

Che ci sia e che l’Italia ne sia uno degli epicentri è difficile negarlo, anzi la crisi è diventata un’ossessione mediatica, una merce da vendere, un articolo di consumo dell’industria della comunicazione. Molto meno chiare ed evidenti sono le cause della crisi. Le spiegazioni ufficiali dei governi e delle classi dirigenti con le loro varie agenzie convincono ben poco, infatti sono spiegazioni che provengono da coloro stessi che avendo il potere politico ed economico qualche importante responsabilità debbono averla nell’origine del fenomeno e nel suo dispiegarsi, nonché nell’incapacità manifesta di assumere provvedimenti efficaci per combatterla e superarla. A meno di pensare che la crisi economica sia qualcosa di sovra storico, magico, religioso, una punizione divina particolarmente ingiusta perché colpisce i più deboli.

Non convincono molto nemmeno le spiegazioni degli attuali oppositori del sistema economico vigente che imputano la crisi e ogni altro guaio al “liberismo”, per cui basterebbe sconfiggere quest’ultimo con lo “statalismo” per risolvere il problema. Ovviamente le analisi e le ricette sono molto più articolate e sofisticate ma il succo è quello. Da questo punto di vista colpisce il fatto che si usi poco il concetto di crisi del capitalismo, o anche solo di crisi capitalistica, di particolare gravità (ma quanto grave ?) e durata (ma quanto lunga ?). Crisi ciclica, crisi strutturale, crisi generale e così via sono categorie un tempo molto frequentate e che adesso restano in ombra. Il perché non è difficile da capire. La crisi economica del capitalismo è stata al centro delle aspettative e previsioni di un movimento, quello comunista, che nella sua forma storica non esiste più; di qui, nonostante le ricorrenti nostalgie, la difficoltà a riprenderne alla lettera gli attrezzi del mestiere.

Senza sopravvalutare il peso delle ideologie e culture politiche, nel frattempo divenute evanescenti, si può ipotizzare che la paralisi che attanaglia le forze sociali, che appaiono come ipnotizzate e paralizzate, mentre colpi sempre più duri si abbattono su di loro, sia dovuta alla palese incapacità delle organizzazioni politiche o sindacali di leggere la realtà, messa spietatamente in evidenza dalla crisi economica. Tutti i principali attori continuano a recitare la loro parte, ripetendola all’infinito, senza rendersi conto, senza percepire, che la scena è drasticamente, irreversibilmente, cambiata.

Per tale motivo il concetto di crisi economica e le diverse ricette, filo sistema o anti sistema, per risolverla sono inadatte ad aggredirla alla radice e a coglierne l’eziologia. Molte energie verranno spese, grandi distruzioni effettuate, per dilazionare una transizione ineludibile. Non c’è nessuna possibilità che dalla crisi si passi, si ritorni, alla “normalità” e neppure è possibile continuare sulla strada delle crisi che si succedono e si spostano da un’area  all’altra, da un settore all’altro, in nome della distruzione creatrice,  in nome del capitalismo eretto a stato di natura o combattuto sotto la bandiera di altre infinite e indefinite modernizzazioni.

La crisi economica potrà essere davvero superata solo se la viviamo e la interpretiamo come crisi dell’economia, e la contrastiamo lottando contro la generalizzazione dell’economia alla vita e a tutta la realtà. Questo è il primo punto. Senza questa rottura e scarto sul piano etico e dei valori, sottraendo spazio all’economia, decolonizzando  parti sempre più ampie dei rapporti sociali alla logica necessitante dell’ agire economico, non c’è futuro se non sotto il segno della servitù e perdita di dignità, con tutte le patologie correlate che abbiamo sotto gli occhi.

Ma la crisi economica lascia intravedere, se non prevalgono i meccanismi regressivi, le coazioni a ripetere, un’altra, intrecciata e non meno importante crisi: la crisi della civiltà industriale. Il Novecento si è consumato nel tentativo di industrializzare il mondo. Questa spinta, più forte di ogni altro processo storico, è ancora  pienamente in atto e però è sfociata nello sconvolgimento molto più che barbarico del nostro rapporto con la natura, la vita, noi stessi. Da tempo sappiamo che l’industrializzazione dell’intero pianeta comporta effetti insostenibili sul piano ambientale, ciononostante è l’unica strada che viene perseguita, come se non ci fossero alternative, se non si vuole precipitare nel primitivismo. Far valere le ragioni dell’economia e dell’industria, suo vero motore, una volta riportata sotto controllo la finanza speculativa, è l’orizzonte massimo che ci viene proposto, la speranza su cui le giovani generazioni e i popoli dovrebbero investire le loro energie.

Si tratta di una via senza uscita che può solo riprodurre il disastro e renderlo irreversibile. L’alternativa esiste ma richiede un cambio di prospettiva; esiste non solo in teoria ma in pratiche diffuse, diverse, non più solo marginali. La sfida è alta, il dislivello tra ciò che siamo e la meta può apparire incolmabile, ma la transizione qualitativa che si impone può stimolare il coraggio, l’intelligenza, la passione che occorrono per passare ad una nuova forma di vita, inaugurando consapevolmente la civiltà ecologica, capace di fare i conti con l’eredità dell’industrializzazione e di superarla. Certo siamo ai primi passi, e in mezzo alla tempesta, ma almeno proviamoci.

[Immagine: William Warby, Battersea Power Station at Night (gm) – http://www.flickr.com/photos/wwarby/7109212307/]

7 thoughts on “La crisi della civiltà industriale

  1. Qui si sprofonda nelle sabbie mobili, e Poggi non si contenta di allungarci un ramo per tirarci fuori: ci propone di costruire un’astronave per trasferirci sul pianeta Tralfamador (manca il libretto d’istruzioni, ma questi sono particolari secondari).
    Complimenti a Poggi per l’ambizione; ma mi viene da replicare “troppa grazia Sant’Antonio!”

  2. La crisi economica è nata da un disegno delocalizzatore della produttività da siti con certi costi di “Europa, Italia ecc … realizzazione ad altri con costi minori “Cina, India, Turchia ecc …e da qui non si scappa. Ma questa delocalizzazione si è realizzata in 10 anni circa. Come si può uscire? la logica di difesa, adottata da secoli da strateghi di battaglie e fare “gruppo” negli scacchi “arroccamento” per poi iniziare la battaglia; questo dovrebbero farlo i Governi Politici non certamente quelli Tecnici della Banca centrale Europea Vedi Monti & C. purtroppo in Liguria uno dei primi approcci del gettito di quella produttività, si fanno le Gronde, i ribaltamenti a Mare ” non è un proprio vero arrocco” :(((( ma bensi fare entrare il cavallo di Troia + Troia stessa. Questo zoccolo duro e alimentato da i piccoli, medi, grandi investitori che le Banche rifocillano con tassi di interesse annuali da 4,5-7% “la Banca ne realizza il 200% Bazzecole…” che questa situazione la trovano ovviamente conveniente, senza pensare che domani “ma già oggi” i servizi che le imprese foraggiavano per ovvi ritorni in termini di fare arrivare l’operaio allo stabilimento per essere produttivo al massimo mancheranno totalmente; con ridimensionamenti paurosi degli stessi, meno corse ecc … però e qui sta la furbata! aumentano anche Benzina ecc … prodotti sugli scaffali “la benzina e cara!” in tutti i modi quel 4,5% che la Banca dà: se lo riprende con gli interessi + la prospettiva dei Nipoti, ma anche Figli di andare verso quei Lidi sopra citati per avere un posto di Lavoro! certamente L’Industriale per andare da Macao a Roma usa l’areo privato, l’operaio deve farsi 12-13 ore di aereo. Una presa per i fondelli? continuiamo a farci dare il 4-5% di interessi? dobbiamo decidere noi?

  3. Sono perfettamente d’accordo che il ruolo dell’economia nella politica vada ridefinito e soprattutto ridimensionato.
    Tuttavia, convengo con altri commenti che criticano la laconicità nel proporre una tesi così fondamentale, tale da farla apparire come la proposizione di un assioma.
    Latouche, tanto per fare un esempio, ha scritto un libro su una tesi del genere, e quindi sembra inevitabile che l’articolo appaia come una pilloletta elargita a scolaretti a digiuno di tutto, col risultato non di aumentare la schiera di coloro che sono contro la strapotere dell’economia, ma anzi di ridurlo ulteriormente.

  4. Alla redazione

    Si possono capire i motivi dell’eliminazione del ‘cerca’ che era una soluzione comoda per trovare subito, ad es. il precedente post di P.P.Poggio?
    O sono io che non lo vedo più?

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