di Stefano Dal Bianco
[Presentiamo alcuni testi tratti dal nuovo libro di poesie di Stefano Dal Bianco, Prove di libertà (Mondadori), da poco uscito in libreria].
Dalla gabbia
Vi sono giorni di debolezza estrema
poiché – dice qualcuno – la pressione
atmosferica di fuori,
che ha potere sui corpi, essendo bassa,
si consustanzia a noi fin dentro il sangue
con la sua tenera virtù di morte.
Ma altri vi potranno assicurare
(e oggi io sono tra quelli)
che tutto questo spossamento, in certi giorni,
non procede dall’aria né dal corpo
ma è soltanto dolore
di anime costrette,
solitudine di molti,
vuoto vissuto male,
mancanza o assenza di uno scopo.
Per la mattina dopo del mio amore, prima che vada al lavoro
Ho toccato la felicità stasera
solo perché ero stato via per una settimana intera
senza pensare, lo confesso, più di tanto a voi per tutto il tempo,
preso da chissà quali altri pensieri
– di spostamento, di lavoro –
mi ero come dimenticato
della mia sola fonte di sostentamento,
del mio bambino e del mio amore,
prima di aprire la porta di casa stasera.
E la stanchezza, no, non è svanita in quel momento
ma si è fidata della vostra leggerezza,
sciogliendosi per questo in noi o innalzandosi.
In questa nostra zona franca ma non senza memoria
siamo ancora nel momento in cui scrivo
e mi allontano, sì, da noi, da casa nostra ma per poco,
per quel tanto che basta a raccontare e ringraziare
di leggerezza e vita, e di dimenticanza.
Albori di io
Ma se nessuna cosa esiste prima
di ricevere un nome,
se senza il nome non c’è esistenza,
se una chiamata lo precede e lo crea,
che cosa sarà stato io
prima-di-essere-stato-chiamato?
Una poltiglia, un surgelato,
il vuoto, il niente, l’assoluto…
Oppure solo… solo niente, in tutta
gravità,
senza la dimensione dell’attesa…
Ma ora che sento che sono
stato chiamato e so che sono
(in qualche infinitesima parte sono),
sono un abbozzo di centro
nel regno della prima aggregazione
con memoria intermittente
di tutta la disgregatezza vera
di ciò che per brevità, di ciò che per errore,
di ciò che per dissennatezza vera
e abitudine mortale
avevamo incominciato a chiamare
avevamo chiamato io.
Le fasi di una vita
Adesso che siamo quasi vecchi
e abbiamo anche degli eredi
per sangue o elezione,
adesso che la maturità bussa alle porte,
non aspettata ma con un’aria già di tipico trionfo,
come se fosse una cosa acquisita, una forma
di personalità raggiunta a suon di botte,
come racconteremo noi le scelte del passato,
e del perché siamo ora qui, e non altrove?
Perché l’avvicendarsi di persone
e tutte così intime,
amici e amori
così vicini e diversi di tempo in tempo
andati persi, rinnovati, trasformati o nuovi nuovi…
Ci siamo approssimati, di sicuro,
a qualche cosa di più nostro,
abbiamo vagliato
sapendo e non sapendo
con che motivazione le persone,
ma con quale valore alle spalle,
e in nome di che cosa e perché la fatica
degli abbandoni e degli incontri?
Le parole ci sono, eccole qui:
APERTURA AUTOCOSCIENZA VERITÀ
scritte maiuscole,
da portare in fronte,
da tramandare a chi ci ama e le comprende,
da regalare in pasto a chi è diverso e non è forte,
a chi ne fa mercato,
con amore non ricambiato,
con amore osteggiato,
a chi non ce la fa
e ci saluta e resta preso e fa altra scuola.
«Mamma che presunzione!»
«Questo si crede d’essere…»
Eredi miei,
figli di una scrittura e della carne,
voi tutto ascolterete
e di tutto crescerete:
non c’è uguaglianza al mondo,
chi vede solo il vago delle tre parole vi soggioga,
chi giudica dal fango,
chi fugge dalla morte.
Noi siamo felici.
Essere umani
Interrogare è importante qualora si preveda l’eventualità di una risposta e qualora si preveda l’eventualità di darle credito, qualora si preveda l’eventualità di dare in noi un seguito a ciò che potremmo intravedere. Interrogare è importante qualora si preveda l’eventualità di dover dare ascolto ai barlumi intravisti. L’interrogare senza conseguenze pratiche non è un interrogare. È un gioco di criceti ingabbiati. Interrogare negando a priori l’eventualità di una risposta positiva è un vizio da poveretti. Interrogarsi sul come delle cose evitando il perché è un vizio da meccanici. Come una cosa funziona non può andare disgiunto dal suo scopo. Perché noi sempre ci spacchiamo la testa sulla funzione e mai sulla finalità? Per carità, per amore, per grazia di Dio diciamolo a tutti: fermiamoci, entriamo di notte nel bosco e ascoltiamo.
[Immagine: Colline, foto di Massimo Gezzi].
Ah… Stefano, ora vado in libreria….
Ma sono bellissime. Una voce che veramente mi parla, e non mi capitava da un po’, in questo modo. Me lo procurero’ di certo. C’e’ limpidezza, densita’, l’urgenza di un messaggio ma anche una giusta umilta’ nel tramandarlo. Lo sento che non ci sono compiacimenti.
questa è poesia contemporanea altro che quella del mio blog
e je dai fuoco?
APERTURA AUTOCOSCIENZA VERITÀ
grazie Stefano.
Be’ ..davvero meravigliose !
Regà famo i seri, qui stiamo parlando di uno che “ALBORI DI IO”, ripeto: “ALBORI DI IO”, sò quelle cose che pure al cristo ci tremano i polsi e la madonna passa certe tribolazioni mica da ridere. Io quando mi imbatto in “ALBORI DI IO” mi sento come lo scroto angustiato. E voi ancora che MAGNIFICO de qua, INCREDIBBILE de là. Eddaje. Ripijateve.
Scusate, ma secondo me i commenti non attinenti al testo andrebbero censurati prima del loro arrivo, in barba ai fraintendimenti su libertà di espressione e contrarietà acritica alla censura. Il livello dei commenti è molto basso.
Sui testi, volevo aggiungere: è incredibile come qualcuno – ancora sfoderando un vetero anti-intelletualismo – bocci senza argomentazioni un’espressione come “albori di io”. E’ un sintagma pregno, ricercato – quindi offre un giusto contrappeso allo stile colloquiale e assai piano del resto – e richiama, credo, Zanzotto, di cui Dal Bianco è importante studioso. E’ un peccato che nessuno sembri soffermarsi a leggere.
Quanto al tono delle poesie, rileggendole poesie non rinnego il mio entusiasmo iniziale (sbaglio o in questi testi sento qualcosa di fortiniano, tipo qui: “in questa nostra zona franca ma non senza memoria” nonché nell’accento sugli eredi, sul tramandare. Trovo però maggiore pietas.
Bellissimo infine il verso “e ci saluta e resta preso e fa altra scuola”, dove l’iterazione della congiunzione “e” imprime, mi sembra, un tono di intensificazione emotica (anche perché i tre membri “saluta” “resta preso” “fa altra scuola” sono sempre più “ricercati”, oltre ad allungarsi anche sillabicamente)
Che vuol dre “Noi siamo felici”? Noi chi? Quotidianità dappoco.
Comunque sono poesie sapientemente facili, come suggerisce Castiglione ma senza contrappesi oserei dire, di una banale infatuazione per la VITA ( in maiuscolo come vorrebbe l’autore), giunta a 50 anni, mah… sulla via di Damasco? o che?
Oggi ho avuto l’estremo piacere di ascoltarla recitare le sue poesie. Confesso che prima d’ora non avevo mai letto nulla della sua produzione, e guai a me per questa mancanza. Sarà stato il periodo particolare che caratterizza la mia vita ora, sarà stata la semplicità con cui il messaggio arrivava, limpido e netto, sarà stato il piacere di sentire qualcuno leggere sapientemente delle buone poesie, ma l’effetto è stato dirompente e, lo ammetto, la commozione immediata . Grazie per il bel momento che ha regalato a me e agli altri uditori.