di Massimiliano Tortora
La continua contrazione dei salari e il progressivo indebolimento culturale hanno, all’interno di una comunità, molteplici conseguenze: una tra queste è senz’altro una maggiore diffusione del gambling, tanto più quello consistente in scommesse e gratta e vinci, basato sul principio che un piccolissimo investimento di denaro offre la possibilità di vincite significative, oltre che di un riscatto emotivo, facilmente confondibile con una maggiore autostima. Benché banale, il principio di adescamento dei giocatori è tanto efficace da sfociare, in soggetti meno attrezzati, in autentiche patologie, con conseguente dipendenza dalla scommessa e altrettanto conseguente dramma umano e sociale (indebitamenti, usura, truffe per nuova ricerca di denaro, suicidio per la consapevolezza dell’assoluta sconfitta). Per questo motivo le istituzioni sanitarie negli ultimi anni si sono mosse per adeguarsi di idonei strumenti per fronteggiare un problema i cui contorni tendono progressivamente ad allargarsi: e di pari passo la finanziaria del 2011 ha preso atto dei “fenomeni di ludopatia conseguente a gioco compulsivo”, anche se poi ha delegato agli amministratori locali – senza fornire loro alcun supporto economico però – il compito di attrezzarsi in materia. Una materia, sia ben chiaro, che in Italia, secondo il rapporto del “Centro del gioco eccessivo” di Losanna, ha i livelli più alti d’Europa: nel 2011, solo per avere un’idea, sono stati giocati nei circuiti legali circa 50 miliardi di euro (contro i 20 del 2004); una buona fetta di questi, come prevedibile, nelle scommesse sportive, e in quelle calcistiche, nello specifico.
Un simile fatturato, alimentato dalla gente comune e talmente elevato da non poter essere nemmeno quantificabile – al circuito delle scommesse legali si affianca quello illegale –, non poteva non attrarre le piccole e le grandi organizzazioni criminali: le prime, specializzatesi nel campo, per accumulare denaro, le seconde per ripulirlo. Due ottimi libri, usciti in questi mesi, lo raccontano puntualmente, ricostruendo le vicende degli ultimi due, tre campionati di calcio: si tratta de Lo zingaro e lo scarafaggio (Mondadori) di Mensurati e Foschini, e di Pallone criminale (Ponte delle Grazie) di Di Meo e Ferraris. Stando alla precisa ricostruzione di queste inchieste, gruppi non necessariamente in connessione tra loro, come i “bolognesi” di Signori, i pugliesi, “i milanesi” e i noti “zingari”, soprattutto verso la fine del campionato “lavoravano” alcune partite, e specialmente quelle di squadre ormai prive di obiettivi, e meglio se in cattive acque economiche (ovvero con ritardi significativi nei pagamenti degli stipendi). Avvicinavano giocatori ritenuti consenzienti, davano loro una scheda telefonica straniera (albanese o di Singapore) e qualche decina di migliaia di euro, da dividersi, in genere, tra portiere e difensori centrali: in cambio, ovviamente, la sicurezza della sconfitta e soprattutto dell’over (ossia di almeno quattro gol segnati nella partita). Risultati ovviamente su cui scommettere. Se Pallone criminale riferisce tutto questo in maniera molto tecnica, spiegando come le puntate venissero effettuate anche sui circuiti internazionali (europei e asiatici) oltre che italiani, Lo zingaro e lo scarafaggio, con un’accattivante prosa narrativa (il libro è costruito sull’immaginario racconto dell’autista di Ilievsky lo zingaro), riporta i dati certi intrecciandoli con le storie umane di alcuni dei giocatori corrotti: Gervasoni (lo scarafaggio), Paoloni, Zamperini, Masiello. Alcuni di questi, come Paoloni, vittime loro stessi della ludopatia, erano talmente indebitati da trovare nella compravendita di risultati la loro più naturale via di fuga; altri, come Zamperini (bell’aspetto, vita nel gran mondo e note capacità seduttive: sua una relazione anche con Nicole Minetti), più capaci di addomesticare e dominare le situazioni, traendone indubitabili vantaggi. Naturalmente non tutto era truccato, e non tutto funzionava. E non solo per errori, ma anche per basilare natura umana. Nel marzo del 2011, ad esempio, Paoloni, già ricercato da sicari di mezza Italia per soffiate sbagliate e debiti ingestibili (fu lui a mettere il sonnifero ai compagni di squadra della Cremonese nel novembre del 2010: la Paganese perse comunque, ma alcuni calciatori andarono all’ospedale a causa di malori; e da lì partì l’inchiesta), decide di risarcire tutti vendendosi Benevento-Pisa: portiere già criticato e ormai privo di prospettive di carriera, doveva solo continuare la china, e permettere ai nerazzurri di segnare tre gol. Qualcosa andò storto: in quell’occasione «Tornò a essere il felino che era stato da sempre. Aveva venduto tutto. Ma non era riuscito a vendere il suo istinto». Il Benevento addirittura vinse, e il “Gattone” fu dichiarato il migliore in campo. «Scommettitori di tutto il mondo persero cifre astronomiche»; Paoloni invece era un uomo morto. Lo salvò l’arresto.
Certamente fu un costoso incidente di percorso. Ma, a ben vedere, sono proprio fenomeni come questi che salvano, non tanto il calcio, quanto il criminale giocattolo delle scommesse: rendono lo spettacolo sportivo più veritiero – non tutte le partite sono truccate –, inducono folle a crederci, e spingono persone comuni a puntarci soldi. Soldi che aumentano esponenzialmente e attirano i criminali di cui sopra, così da chiudere il cerchio. È un equilibrio precario, ma non impossibile da ottenere: si tratta di alterare solo ciò che è necessario alterare, e di spaventare e minacciare, senza sfociare mai in reati di sangue (un giocatore ucciso o gambizzato attira eccessivamente l’attenzione degli inquirenti; per quanto la memoria corra anche a Bergamini…). Ed è proprio questa fiducia, continuamente rinnovata, che permette al mondo pallonaro di andare sempre avanti, e di superare i ciclici scandali del calcio scommesse: 1980, 1986, 2006, ecc.
Eppure non tutto si ripete uguale: nell’’80, è vero, vennero arrestati alcuni giocatori (come oggi), mentre altri la fecero franca (come oggi); alcune squadre subirono danni ingenti (Milan, Lazio, Perugia, Avellino, Bologna), ed altre (come la Juventus, che aggiustò un pareggio con il Bologna, secondo le rivelazioni di Petrini) sfuggirono alla maglia della giustizia. Ma una linea di separazione va marcata: all’epoca, scossi anche dalle Alfetta della Polizia sulla pista dell’Olimpico (il sacrario era stato profanato), i giornali reagirono con sincero sgomento («Che tristezza» pubblicò in prima pagina «La gazzetta dello sport»), mentre oggi chiedono solo di isolare i pochi “sfigatelli” e le proverbiali “mele marce”; il sistema in ogni caso è pulito; al contempo gli italiani fischiarono l’Italia che doveva giocare gli Europei in casa (nulla di tutto ciò è accaduto oggi, o nel 2006), e Artemio Franchi si dimise (un gesto obbligato all’epoca, minimamente preso in considerazione dai dirigenti federali odierni). Ma non è solo questo: nel 1979-1980 le cifre per corrompere i giocatori viaggiavano tra i 10 e i 20 milioni, mentre a gestire il calcioscommesse c’erano due membri del cosiddetto sottobosco (Trinca e Cruciani), nemmeno tanto furbi se dopo poco si trovarono sotto di 200 milioni, senza essere in grado di restituirli. Nel 2012 le cifre puntate sono decisamente superiori, gli introiti aumentano di conseguenza, e le capacità economiche di assorbire un colpo sbagliato decisamente maggiori. Insomma c’è stato il salto di qualità.
Non tutto avviene per caso, e, dando ascolto ancora a Carlo Petrini (Le corna del diavolo, Kaos 2006), l’impennata di soldi all’interno del calcio ha una data ben precisa: 24 marzo 1986, quando Silvio Berlusconi diventa presidente del Milan. Non si tratta di avviare un’ennesima crociata antiberlusconiana, perché se non ci fosse stato lui, da lì a poco il fenomeno si sarebbe verificato comunque; tuttavia è indubbio che l’Italia, come spesso accade, si portò avanti, anticipando i tempi. La campagna acquisti dell’’86 del Milan fu faraonica (Galli, Massaro, Donadoni, Galderisi), così come gli stipendi dei giocatori raggiunsero cifre elevatissime. Ma soprattutto cambiò il costume e mutò l’approccio, che si adeguò immediatamente, velocizzandolo, al meccanismo messo in moto dalle mutate regole d’ingaggio: per la prima volta nella storia del calcio italiano infatti, pur con mille dubbi e notevoli polemiche, nel 1986 fu possibile acquistare giocatori durante il campionato in corso (sia pure utilizzandoli solo l’anno dopo): così, appena alle 10 di mattina del primo giorno di mercato, Galliani depositò in Federazione il contratto firmato di Dario Bonetti, giurando che la trattativa era stata avviata solo dopo la mezzanotte. Il messaggio era chiaro: i limiti imposti dalle regole non scritte vigenti fino a quel momento (anche quando ipocrite: la campagna acquisti è sempre durata 12 mesi) non esistevano più, sovrastati dalla più elementare legge economico-darwiniana. Saranno poi i seguenti diritti televisivi a far crescere il giro economico attorno al pallone, cosicché nel giro di poco tempo fruttivendoli e ristoratori (Cruciani e Trinca appunto) verranno sostituiti da misteriosi emissari di Singapore e dalla consueta camorra. Camorra, guarda caso, che proprio a ridosso dell’’86, nell’’88, impose al Napoli di Maradona di perdere lo scudetto, su cui tutta la città aveva scommesso al totonero (a rivelarlo, ma con diverse contraddizioni, è il pentito Pugliese).
Il problema è indubbiamente culturale, e i due decenni di infiacchimento morale conosciuti dal paese non possono che averlo acuito. Ciò non toglie che alcune misure pratiche possano essere prese: come quella sollecitata dall’eurodeputata Anne Brasseur, che ha proposto ai governi europei di «vietare le scommesse sulle competizioni più vulnerabili ai tentativi di corruzione, come le competizioni giovanili, le gare amatoriali e, per alcuni sport come il calcio, le gare delle divisioni inferiori»: un’idea di buon senso, se si pensa che su Piacenza-Albinoleffe del 20 dicembre 2010 vennero scommessi 6 milioni e mezzo, mentre la media di giocate per partite di bassa classifica di serie B è di 100-150.000 euro. Un provvedimento, peraltro, che non concederebbe un avanzamento al circuito illegale, e potrebbe, forse, distogliere almeno in parte gli appetiti criminali, rendendo un po’ più pulito il sistema-calcio.
In maniera un po’ surreale, visti i diritti reclamati, il campionato di calcio 2011-2012 si è aperto con uno sciopero dei calciatori (gustosamente raccontato da Valeria Di Napoli in apertura di C’è un grande prato verde. 40 scrittori raccontano il campionato di calcio 2011-2012, Manni 2012), che si battevano contro il mobbing e l’aumentata pressione fiscale. Sarebbe stato certamente ingenuo immaginare un nuovo sciopero, magari proprio in apertura di campionato, a favore di una legislazione più stringente sulle scommesse del calcio. Lo è meno ricordare come però anche le società, che hanno fini di lucro, possono arginare la piaga: si pensi al Novara, che si affida alla Federbet per monitorare le scommesse sulle proprie partite: nel caso di flussi anomali quest’ultima invia una segnalazione immediata alla Procura della Repubblica; mentre la società calcistica, nello stesso momento, avverte la Procura Federale. Un modo tra gli altri per difendersi; e per permettere alla FIGC, in caso di scandali calcistici, di non arrivare perennemente seconda, dietro ai magistrati, così come invece è sistematicamente accaduto dal 1980 ad oggi.
[Immagine: Andreas Gursky, Dortmund, 2009 (gm)].
Purtroppo girano troppi interessi e troppi soldi attorno al calcio, e in Italia, il fattore culturale non e’ di certo un deterrente.
Il calcio è una specola perfetta per misurare il passaggio dei tempi. L”80 lo ricordo come un evento epocale, la sensazione che qualcosa che si era rotto definitivamente. Oggi è solo uno scandalo tra gli scandali