di Franco Buffoni

 

[Recentemente a Milano-Bocconi e a Bergamo ho tenuto dei seminari sul rapporto tra giustizia e letteratura, e in particolare tra giustizia e poesia. Ripropongo qui le principali argomentazioni].

 

1. Se come dice Contini, la poesia italiana sarebbe perfettamente riconoscibile senza Dante, ma non senza Petrarca, configurando nel secondo il vero motore di una secolare tradizione (che invece per Dante si interrompe nel Quattrocento per riprendere solo nell’Ottocento), possiamo affermare che la poesia italiana nasce nella giurisprudenza. Petrarca stesso, infatti, ci ricorda i suoi studi giuridici nella Canzone 360 intitolata “Quel’antiquo mio dolce empio signore” (vv 80-1):

 

Questi in sua prima età fu dato a l’arte
Da vender parolette, anzi menzogne…

 

La stessa canzone 360 narra di un processo fittizio intentato ad Amore dinnanzi al tribunale della Ragione.

 

Il Tribunale della Ragione è anche quello al quale il grande Francesco Stabili, detto Cecco d’Ascoli, avrebbe voluto chiamare il suo contemporaneo Dante. Non si dimentichi che Cecco d’Ascoli, dopo essere stato sospeso dall’insegnamento a Bologna nel 1324, venne arso vivo insieme alle sue opere nel 1327 a Firenze, per ordine di un inquisitore francescano, padre Accursio Bonfantini. Cecco aveva commentato il Tractatus in sphaeram del Sacrobosco e soprattutto, nell’Acerba, poema in terzine, aveva manifestato la sua fiducia nella ragionevolezza: “Non pietate ma raxone”. Egli credeva nel pacato ragionare, nella libertà, nella giustizia, e aborriva le “ciance” da qualunque pulpito provenissero: “Le fabule me son sempre inimiche”. E ancora oggi è praticamente censurato dall’accademia italiana perché contro Dante osò affermare: “Contr’a fortuna ogni uomo può valere / seguendo la ragion nel suo vedere”. In sostanza Cecco d’Ascoli percepì Dante come strumentale alla messa in soggezione degli italiani alle “ciance” romane. E tra queste ciance c’era per esempio l’invenzione del purgatorio. Certamente la più geniale e luciferina codificazione giuridica del XII secolo a cui Dante servì da impareggiabile megafono, contribuendo a incrementare a dismisura la vendita delle indulgenze… In sintesi potremmo parlare della “ragione giudiziaria” di Cecco d’Ascoli nell’Acerba contrapposta alla pietas di Dante nella Commedia.

Nella storia della nostra grande poesia vi è poi un’ottava dell’Orlando furioso (XIV, 84) che ci conduce in pieno clima di grida e azzeccagarbugli, da cui la Giustizia esce proprio con le ossa rotte:

 

Di citatorie piene e di libelli,
d’essamine e di carte e di procure
avea le mani e il seno, e gran fastelli
di chiose, di consigli e di letture;
per cui le facultà de’ poverelli
non sono mai ne le città sicure.
Avea dietro e dinanzi e d’ambo i lati
Notai, procuratori et avocati.

 

Ma vediamo anzitutto di rintracciare delle analogie – se ve ne sono – tra l’ambito della giustizia e l’ambito della poesia.

 

2. Il poeta, dai tempi di Omero ad oggi, narra, racconta. E che cosa è un processo se non un contesto dialettico, quindi un lungo racconto? Tanto è vero che si parla di “dialettica” processuale e di “narrazioni” processuali. Narrazioni che provengono da più parti: dagli avvocati che espongono le proprie tesi ai testimoni che sono tenuti a raccontare ciò che hanno visto e ciò che sanno; ai giudici che redigono le motivazioni della sentenza.

Anche il fatto che difensori e accusatori ricordino alla corte una serie di precedenti favorevoli alla propria causa, costituisce una forma di narrazione. (Questo è particolarmente vero in ambito anglosassone, cioè in un contesto di common law, dove il precedente fa giurisprudenza).

 

In che cosa differiscono, allora, i due tipi di narrazione, quella poetica e quella giuridica? Qui forse ci aiuta Aristotele, che nella Poetica distingue tra narrazione storica e narrazione, per l’appunto, poetica. La prima deve essere equa ed esauriente, la seconda può focalizzarsi a lungo su un dettaglio e poi magari comprimere in un paio di righe gli eventi di un lungo arco di anni. Questo perché sono differenti gli obiettivi che le due narrazioni si propongono: quella storica – e in subordine quella giuridica – mirano all’obiettività: alla cosiddetta pretesa veritativa. E il fatto che si narri anche bene – anche elegantemente – è un fattore aggiuntivo, ancillare, rispetto al contenuto della narrazione. Nella narrazione poetica, invece, l’arte, il modo in cui la narrazione avviene, è fondamentale, e può persino travalicare il “fatto” narrato, perché la finalità – diciamo noi oggi – è di tipo estetico.

 

Quindi si potrebbe affermare che, tra giustizia e poesia, vi sia un procedimento comune – la narrazione – che tuttavia differisce radicalmente nelle finalità.

Ma è proprio vero? Una sentenza mal scritta è convincente tanto quanto una sentenza ben scritta? O anche qui conta la “forma”, fino al punto da intaccare la “sostanza” (elegantia juris)? In poesia, sappiamo bene, forma e contenuto sono talmente consustanziati da rendere impossibile ogni scissione. Sarebbe come voler distinguere la danzatrice dalla danza nel momento in cui gira vorticosamente sul palcoscenico. E’ evidente che, in quel momento, la danzatrice e la danza sono la stessa cosa. Questa è la poesia. E infine non c’è forse più verità nella poesia (nella grande poesia), anche se essa è priva per definizione della cosiddetta pretesa veritativa? Al riguardo mi viene in mente Céline, il quale diceva con disprezzo: “Raccontare storie?… Di storie sono pieni i commissariati… In letteratura ci vuole lo stile: lo stile è tutto”. E lo stile include, facendole proprie e persino trasfigurandole, le storie che racconta.

 

Su questo punto è d’obbligo la citazione dello studioso statunitense R.H. Weisberg, il quale in Poetics (1992) giunge ad affermare: “No bad judicial opinion can be ‘well written’. No seemingly just opinion will endure unless its discursive form matches its quest for fairness”. Aggiungendo che le decisioni giudiziali più importanti si riconoscono sempre anche per l’eccellenza dello stile, e che forma e sostanza sono inseparabili.

 

3. In particolare negli Stati Uniti è vivacemente operativa da un ventennio una branca di studi che si definisce Law and Literature. In che cosa consiste? Nello studio del diritto nella letteratura (Law in Literature) e nello studio del diritto come letteratura (Law as Literature).

Il primo – diritto nella letteratura – consiste nell’analisi dei temi giuridici presenti in opere poetiche e più in generale letterarie: le opere opetiche prima citate di Petrarca e Ariosto, ad esempio, fino all’analisi del profilo giuridico del Processo di Kafka; ma anche lo studio degli ideali giuridico-politici dei poeti e degli autori. Avrà importanza sapere come la pensava politicamente – e quindi giuridicamente – Giovanni Pascoli quando scrisse l’Ode al brigante Musolino, o, nell’ambito del romanticismo inglese, il primo Wordsworth, quando scrisse il poema The Dungeon (La prigione sotterranea)?

 

Il secondo – diritto come letteratura – invece consiste nell’analisi degli aspetti letterari della giurisprudenza: dalle tecniche retoriche degli avvocati agli aspetti linguistici e letterari delle sentenze, fino all’analisi dello stile e delle tecniche retoriche, per esempio, di Cesare Beccaria in Dei delitti e delle pene.

Law and Literature costituisce certamente il movimento di pensiero più propositivo, più “umanistico”, apparso in questo ambito di studi. In Teorie postmoderne del diritto, edito nel 2001 dal Mulino (ed. or. 1995), lo studioso Gary Minda descrive le finalità del movimento sulla base di due premesse: l’aspetto etico del diritto e la natura linguistica che accomuna diritto e letteratura. Con questa impostazione il movimento giunge a formulare una teoria interpretativa del diritto sul modello della critica letteraria. Gli aderenti al movimento infatti credono “che la fondamentale dimensione umana del diritto moderno possa essere riscoperta attraverso lo studio dei grandi lavori della letteratura” e che gli studi letterari siano necessari per “cogliere l’elemento umano mancante negli studi giuridici”.

 

Con un’efferata sintesi potremmo affermare che il Movimento “Diritto e letteratura” si inserisce, attualizzandolo, nel progetto storico dell’Illuminismo, offrendo – come scrive Minda – “un fondamento umanistico al diritto”, e ponendo al centro della propria attenzione l’umanità “sottostante al diritto e all’interpretazione giudiziale”. Mirando in tal modo a “rendere il diritto più puro nelle sue aspirazioni” e cercando “di inserire sempre più i valori umani nel diritto”.

In una sorta di concretizzazione di quel modello di intellettuale “ironico” che Richard Rorty propone quale attore ideale all’interno dei discorsi e degli spazi di libertà che dovrebbero alimentare le democrazie complesse – prima di insinuare definitivamente la figura del poeta in questa riflessione, cioè di insinuare, si parva licet, me stesso – vorrei ricordare che da Aristotele allo stesso Rorty è ormai universalmente accertato che, per ridurre il tasso di crudeltà nelle relazioni umane, la letteratura risulta più efficace rispetto alle analisi scientifiche e giuridiche dei principi di crudeltà e di sofferenza.

 

4. Che cosa accade in letteratura quando si vuole dire qualcosa che non si può dire? Occorre essere talmente bravi, talmente artisti da permettere a chi lo voglia e possa di comprendere l’effettiva portata del messaggio, ma donando anche a chi non vuole, o non può, cogliere “ciò che sta sotto”, mera arte e illusione. Maestro indiscusso in questo procedimento fu Oscar Wilde in The Picture of Dorian Gray. Il contesto sociale costrittivo vittoriano impediva all’artista di parlare esplicitamente di omosessualità. Dunque l’artista doveva ingegnarsi a mascherare il testo.

In seguito, lo scandalo, il processo e la pena posero talmente in luce tale nesso occulto da renderlo ancor più invisibile: la luce del sole a picco a mezzogiorno acceca, non illumina. Wilde stesso aveva tutto compreso e descritto in una lettera al criminologo George Cecil Ives del 1897: “Non dubito che vinceremo, ma la strada è lunga e rossa di mostruosi martìri”.

 

Max Beerbohm, nel 1895, l’anno del processo a Wilde, aveva ventitré anni e E. M. Forster, l’autore del Maurice, ne aveva sedici. Entrambi – Beerbohm e Forster – capirono che, come quella di Wilde, anche la loro arte non poteva permettersi di essere esplicita; e memori dell’esperienza di Wilde, anche nei comportamenti personali optarono per la copertura e il silenzio. In arte, Forster scelse addirittura la scrittura con pubblicazione postuma (Maurice appare negli anni Settanta del Novecento), Beerbohm la scrittura variamente mascherata.

Il nome di Beerbohm solitamente evoca immagini del tipo “sul Titanic si danza”, o ricordi di racconti e caricature rimbalzanti da Rapallo a Oxford, da Morris a Pater. Il “bel mondo” pare incombente, magari contaminato dalle confessioni da club di un ricco speculatore (“Basta un errore di valutazione: una guerra qui, laggiù una rivoluzione, un grosso sciopero da qualche altra parte…”) o autenticato dalle considerazioni in prima persona, grondanti snobbery e nonchalance, dello stesso autore, su una stazione climatica naturalmente à la page: “Avevo preso l’abitudine di passare l’agosto a Dieppe. Era la settimana delle corse, la terza settimana del mese…”.

 

E i personaggi? Nomi famosi o anche scrittori dall’incerto successo, gente brillante che usa i primi elicotteri, le prime automobili… Insomma, un tory. Magari affetto da anarchismo, “by the destre for every one to go about doing just as he pleased”: è lo stesso Beerbohm a confessarlo, con sarcastica indolenza.

Anche alle angosce umane, prescindendo dall’estrazione sociale, Beerbohm parve sempre refrattario. Non ammetteva le conversioni né come lente elaborazioni né – tanto meno – come folgorazioni: nella recensione del 1905 a De Profundis di Wilde, Beerbohm nega persino la possibilità di una rinascita wildiana in carcere “as a man of sorrow and nature”.

 

Come una istruttiva metafora è dunque possibile leggere il dramma dell’uomo, che si muta in rêverie cosciente, nel racconto The Happy Hypocrite, composto da Beerbohm nel 1897, all’età di 25 anni, mentre Wilde sta scontando la sua pena a Reading. Nel racconto di Beerbohm il protagonista George Hell è un uomo cattivo, con la faccia da cattivo, che si innamora di una fanciullina buona, capace di amare soltanto un uomo con la faccia da buono. Per conquistarla e poter vivere con lei in una capanna ai margini del bosco, George si reca dal fabbricante di maschere di cera e si fa applicare sul viso una maschera da buono. Vive poi così bene la sua parte di buono che la fanciullina non sospetta nulla per mesi e mesi. Finché un’ex amante, gelosa, scoperto il nascondiglio, non si avventa su di lui strappandogli la maschera. George Hell è convinto d’essere stato “smascherato”, di aver perduto tutto, e soffre senza rimedio; ma poi si accorge che il suo viso, ormai, è diventato quello da buono della maschera di cera. Può così restare per sempre con la fanciullina e il suo nome si muta in George Heaven.

 

E questo è il sogno di chi – sentendosi in colpa verso certi canoni etici istituzionali – inconsciamente aspira a mutare all’improvviso, a risorgere “diverso”, sintonizzato su quei canoni, attraverso un mutamento della propria indole profonda, nel racconto rappresentata delle fattezze del viso. Allo stesso modo e per ragioni ascrivibili a motivazioni simili, si trasforma in quello di Zilda il volto del giovane Zildo, l’amabile gondoliere di Frederick Rolfe-Baron Corvo; o in femminile il viso della creatura in smoking che appare nel finale del Lupo della steppa di Hermann Hesse.

Vi è dunque un tipo di violenza sottile che l’autore può compiere sul proprio testo, proustianamente descrivendo come di Albertine il volto dell’essere dal collo robusto col quale intreccia le dita sul divano.

 

In un contesto sociale variamente costrittivo nei confronti dell’unspeakable vice degli antichi greci, l’artista omoerotico può infatti sentirsi costretto a esercitare a sua volta sul proprio testo quello che Michel Foucault definisce “potere di costrizione”, manipolando in varia misura il personaggio oggetto della descrizione. E il fatto che Beerbohm ceda a questa subdola richiesta di assunzione di ruolo da parte del proprio contesto culturale e sociale, appare palese tanto dal suo trastullarsi con la brillantezza dello stile, quanto dalle situazioni che con arguzia costruisce e propone secondo i modi di lingua ed etici ammessi dal contesto stesso.

Infine, e ancora in termini foucaultiani, si potrebbero considerare in qualche misura come “maschere” anche certe svolte risolutive dei plot, come l’innamoramento finale del protagonista per la sorella dell’amato, il cui volto somiglia tanto a quello del ragazzo. Un espediente da emporio delle lettere: vi fanno ricorso, tra gli altri, Cocteau in Les enfants terribles e Mishima in Confessioni di una maschera.

 

Un espediente che fa il paio con quello del suicidio (o comunque della morte in giovane età per incidente o per improvvisa malattia) del protagonista omosessuale: Alexandre nelle Amicizie particolari di Roger Peyrefitte; Fabrizio Lupo nel romanzo omonimo di Carlo Coccioli; Valentino, il protagonista di :riflessi del 1908 di Aldo Palazzeschi, poi ripubblicato col titolo Allegoria di novembre nelle Opere giovanili (1958) più smussato nei toni. (Per nulla paradossalmente: nel 1908, nell’Italia laica dei Mosca e dei Pareto, Palazzeschi si era sentito più libero che nell’Italia democristiana del 1958; per esempio, in conclusione alla lettera di commiato, al “ti bacio” originale si sostituisce un più casto “ti abbraccio”).

Potremmo ancora ricordare Gide, che nel suo saggio sull’importanza del pubblico afferma: “L’arte ha avuto il massimo splendore nelle epoche più ipocrite. L’ipocrisia è una delle condizioni dell’arte. Il dovere del pubblico è di costringere l’artista all’ipocrisia”. Perché, se hypokrinein significa simulare, l’hypokrites, propriamente, è l’attore. Colui che recita una parte. Ma che, allo straniamento, può preferire il coinvolgimento totale. E quindi, per il tempo della recita, credere davvero alla propria simulazione. E se il tempo della recitazione si dilata, se giunge a investire i giorni, gli anni, l’intera esistenza, l’hypocrisis può perfino cessare di sembrare tale e l’hypokrites può magari essere felice.

 

The Happy Hypocrite di Max Beerbohm costituisce dunque un buon esempio di desiderio di trasformazione del sé, tramite il mutamento delle fattezze del viso, in quanto illustra lo scontro tra realtà e sogno. O meglio, tra realtà e rimpianto. Nel sogno di Gorge Hell avviene infatti quel miracolo di trasformazione che, nella realtà, non si ha la possibilità di compiere. Come già diceva Orazio: “Naturam expellas furca, tamen usque recurret”.

La maschera di Beerbohm costituisce anche una rappresentazione pregnante di “doppio”, di redoublement. Solo apparentemente, infatti, la maschera è fatta per nascondere. Celando “ciò che è”, essa svela “ciò che è stato”: svela che, una prima volta, l’immagine fu in un certo modo. La maschera affianca e mescola esseri e oggetti separati dalla differenza, in quanto si trova al di là delle differenze e, come afferma René Girard, “non si accontenta di trasgredirle o di cancellarle, ma le incorpora e le ricompone in modo originale; in altre parole fa tutt’uno con il doppio mostruoso”.

 

Possiamo ancora ricordare che il celebre Ritratto dell’artista circondato da maschere di Ensor – quintessenza figurativa del desiderio di trasformazione – viene dipinto – in un furioso moto di reazione al reale (alla cosiddetta “cronaca degli affetti”) venti mesi dopo la pubblicazione di The Happy Hypocrite di Max Beerbohm. Una coincidenza forse riassumibile nella ricerca della possibilità di essere senza angoscia nella realtà quotidiana. Una possibilità che, come avrebbe detto poi Marcuse, può venir formulata impunemente solo nel linguaggio dell’arte.

 

5. Quanti casi di pazzia e dunque di segregazione, di esclusione, di suicidio, in passato non furono che lo sbocco di sensibilità omosessuali oppresse, impossibilitate ad esprimersi? Michel Foucault, al riguardo, ha scritto pagine importantissime. Un ambiente sociale che non ti prevede, già ti offende, figuriamoci se mai potrà difenderti.

Una società si definisce attraverso ciò che esclude. Ma anche il più repressivo dei contesti sociali, anche quello più corazzato e apparentemente più impermeabile, se continuamente bersagliato da testi intelligentemente “mascherati”, finisce con l’assorbirne le istanze. E’ solo una questione di tempi e di modi. Come afferma Martha Nussbaum in Il giudizio del poeta. Immaginazione letteraria e vita civile (1995, trad. it. 1996), la letteratura esercita un ruolo fondamentale nella realizzazione della giustizia. (Naturalmente si parla di letteratura in senso ampio: ci stanno le poesie di Kavafis, come i romanzi di Thomas Mann, come i film di Fassbinder).

 

L’immaginazione letteraria e le emozioni che le opere suggeriscono al lettore contribuiscono ad una riflessione sulla giustizia e ad una interiorizzazione delle sue esigenze. E questo grazie a quell’aspetto fondamentale dell’immaginazione letteraria – tanto affascinante per Aristotele e tanto terrorizzante per Platone – che è la capacità del lettore/spettatore/fruitore di immedesimarsi in vicende altrui, di viverne le aspirazioni e i drammi, le gioie e le sofferenze.  In questa ottica, un ideale giudice-letterato – e lo suggerisce Walt Whitman in Leaves of Grass – vede nei fili d’erba la pari dignità di tutti i cittadini.

E come suggerisce Whitman, nelle parole di Martha Nussbaum, “la giustizia poetica ha bisogno di molte risorse non letterarie: la conoscenza tecnica della legge, la conoscenza della storia e del precedente, l’esercizio attento dell’imparzialità. Ma per esssere pienamente razionali, i giudici devono anche essere capaci di fantasia e di capacità di comprensione. Devono migliorare non solo le loro capacità tecniche, ma anche la loro capacità di essere umani. Se manca questa capacità, la loro imparzialità sarà ottusa e la loro giustizia cieca”.

 

6. In linguistica, si sa, non esiste il “verbo”, non esiste l’ipse dixit. E la linguistica applicata al diritto è una scienza empirica, relativistica. Perché le lingue, come le società, sono in costante trasformazione. I termini, dunque, non posseggono un significato letterale determinato. I significati letterali non sono che i significati stabiliti da una pratica interpretativa. Qualcuno potrebbe replicare che i significati coincidono con le intenzioni degli autori dei testi: in questo caso si parla di teoria intenzionalistica dell’interpretazione, contrapposta alla teoria letteralistica.

Perché ricordo questo? Perché in Italia in questi mesi stiamo assistendo ad un surreale e ipocrita dibattito su ciò che dice effettivamente la nostra Costituzione, promulgata il 1 gennaio 1948, sul matrimonio civile.

 

Da una parte c’è chi sostiene – Costituzione, articoli 2 e 3 alla mano – che, essendo tutti i cittadini uguali dinanzi alla legge, e poiché la Repubblica promuove l’uguaglianza e le pari opportunità, anche i cittadini omosessuali devono poter stipulare tra loro il contratto denominato matrimonio civile.

Dall’altra parte si risponde che l’articolo 29 della Costituzione parla di “famiglia naturale” basata sul matrimonio.

A questa risposta i primi replicano che la Costituzione non parla mai di matrimonio esclusivamente tra un uomo e una donna.

E a questa replica i secondi rispondono che la Costituzione lo dà per sottinteso.

Eccoci nel cuore dello scontro tra teoria intenzionalistica e teoria letteralistica dell’interpretazione. Nel caso dell’articolo 29 la lettura intenzionale è dei giuristi di area cattolica, quella letterale è dei giuristi – come Stefano Rodotà – di area laica. Ma le posizioni potrebbero scambiarsi su un altro articolo, trasformando i cattolici in letteralisti e i laici in intenzionalisti, secondo le rispettive convinzioni ed esigenze.

È qui, è in questi casi che occorrono i fili d’erba e la poesia.

 

7. Perché occorrono i fili d’erba e la poesia? Perché altrimenti non se ne esce, come è evidente ripercorrendo gli estremi del dibattito.

Dapprima, da parte cattolica, si sostenne che gli animali, che sono “naturali”, non praticano l’omosessualità. Da parte laica si è allora dimostrato scientificamente che la natura non disdegna affatto l’omosessualità; che in molte specie l’accoppiamento omosessuale è un dato di consuetudine anche in presenza di individui del sesso opposto, e non solo in cattività; e che in altre specie vicine all’homo sapiens il sesso è slegato dal ciclo riproduttivo: e che questo punto è fondamentale per i diritti degli omosessuali: la separazione tra sessualità e procreazione.

 

Da parte clericale si è allora replicato che, se gli animali praticano dei comportamenti “bestiali”, questo non giustifica l’uomo che li imiti.

E da parte laica: come si può negare che la pulsione omosessuale sia “naturale”? È forse stata creata in laboratorio?

Significativa al riguardo la mostra Against Nature?, proveniente da Oslo e ospitata dal Museo di Storia Naturale di Genova, che presentava in modo rigorosamente scientifico gli studi sui comportamenti omosessuali di oltre millecinquecento specie animali, dagli invertebrati ai mammiferi. La mostra era partita in sordina, ma venne alla ribalta quando le organizzazioni cattoliche protestarono perché il progetto era stato inserito nel catalogo didattico per le scolaresche. (Interessatissime, per altro, alle storie delle balene maschio che si comportano vistosamente da femmina per evitare i combattimenti; dei trichechi che si coinvolgono in giochi erotici omosessuali; dei pinguini reali tra i quali un maschio su cinque preferisce un partner dello stesso sesso. E dei fenicotteri, che si organizzano in coppie di maschi per allevare il doppio dei cuccioli, o dei cigni che creano coppie fedeli nel tempo sia etero che omo.) Magnus Enquist, etologo dell’Università di Oslo, per nulla turbato dalle polemiche, osservò: “Ci sono cose che vanno contro natura molto più dell’omosessualità, cose che soltanto gli umani riescono a fare, come avere una religione o dormire in pigiama”.

 

8. Come inquadrare la questione nell’ottica dei fili d’erba e della poesia? Per esempio impostandola in questo modo:

I. Parlare di “omosessualità” tra gli animali è scorretto, significa antropomorfizzarli, attribuendo loro intenzioni decisamente umane.

II. Le persone omosessuali devono acquisire rispetto sociale e dirittti non perché si dimostra scientificamente che i loro comportamenti esistono in natura, ma perché amano e si amano come persone.

III. Quindi, sia il ricorso da parte clericale al concetto di omosessualità contro-natura, sia la replica che si tratta di comportamenti largamente diffusi in natura, non sono argomentazioni convincenti perché il problema è interamente umano, cioè etico.

IV. E’ inutile appellarsi al non umano per giustificare l’umano.
 Solo la cultura ha il compito di compiere scelte etiche, cariche – per l’appunto – di una forza culturale.

V. E’ la parte più avanzata della filosofia del Novecento che considera obsoleto come categoria di pensiero il diritto naturale. Siamo ormai una specie troppo poco “naturale” per parlare di che cosa è naturale. La Sapiens-sapiens è diventata tale proprio perché si è distanziata dalla natura, dalla animalità. Per gli appartenenti alla Sapiens-sapiens, oggi, “naturale” dovrebbe essere l’accentuazione di educazione, gentilezza, civiltà: umanizzare il mondo, diceva Rilke.

 

9. Un volume, edito l’anno scorso dal Saggiatore, che – come parziale esemplificazione di quanto detto fino ad ora – mi piace citare, è L’abominevole diritto, scritto a quattro mani da due studiosi, un ricercatore di diritto internazionale della Bocconi, Matteo M. Winkler, e uno storico dell’arte, Gabriele Strazio, entrambi impegnati nel movimento lgbt italiano.

L’abominevole diritto è una sorta di viaggio attraverso i casi giudiziari che nel mondo occidentale hanno faticosamente liberato le persone omosessuali dall’etichetta di criminali, trasformandole in soggetti politici. Il libro in sostanza mostra come il diritto abbia saputo gradualmente riscattarsi da quell’abominio che, fino a qualche decennio fa, ancora induceva i giudici di molti paesi a citare il Levitico nelle sentenze di condanna.

 

Qui occorre fare almeno un accenno ai cosiddetti racconti fondativi. Ogni civiltà culturale, secondo la scuola belga di François Ost e Michel Van de Kerchove, cresce e si sviluppa culturalmente e quindi giuridicamente su un proprio racconto fondativo. E il racconto fondativo biblico narra che il dio unico degli abramitici volle generi e specie così come sono: l’ordine del creato. Catalogando dunque nel dis-ordine tutti quei comportamenti che in tale ordine parrebbero non rientrare.

Per questo motivo, nel XXI secolo, occorre sottolineare la fondamentale differenza tra stati etici e stati di diritto, in particolare ponendo in luce gli stati costituzionali di diritto, quelli all’interno dei quali il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario sono effettivamente indipendenti e sovrani. E anche in questo caso – come avviene per le norme riguardanti il fine-vita, la maternità surrogata, la contraccezione – non si può non rilevare l’arretratezza della situazione italiana, che su questi temi ancora fa leva sulle obsolete concezioni del cosiddetto diritto naturale, mentre il mondo moderno – superata sia la fase del diritto naturale sia quella del diritto positivo – è oggi approdato al relativismo giuridico.

 

Nel secondo Novecento si è infatti compreso che un’osservazione oggettiva e distaccata della realtà non è possibile, e che l’osservatore, interpretando la realtà, la influenza necessariamente. Giuristi e giudici non sono indagatori o applicatori di una realtà già data ma, nel momento in cui la interpretano, ne diventano veri e propri creatori. Per il costruttivismo relativistico giuridico di fine Novecento – e l’ambito è quello dei filosofi analitici contrapposti ai filosofi continentali – l’uomo contemporaneamente osserva e modifica, influenza e viene influenzato, interpreta e crea. Non è completamente libero, ma nemmeno completamente vincolato; subisce pesanti interferenze da parte della realtà, ma interviene a modificarla. Quindi, se da una parte l’interprete (il giudice) è ancorato alle norme esistenti, in quanto non può prescindere da esse, dall’altra – interpretando le norme giuridiche per applicarle al caso concreto – vi immette sempre qualcosa di suo: influisce su di esse in quanto influisce sulla loro futura interpretazione ed applicazione, crea mentre interpreta. E fa entrambe le cose non in maniera arbitraria, ma sempre fortemente vincolato dall’ambiente storico, culturale e giuridico in cui agisce. Il diritto, secondo il costruttivismo relativistico, è un fatto dinamico, un processo, una pratica sociale di carattere interpretativo, in cui norma giuridica e sua interpretazione interagiscono costantemente.

 

Ecco perché, semplicemente, non ha più senso – mentre è in corso il dibattito sull’alterità, mentre si fa sempre più accentuato il pluralismo dei valori e degli stili di vita – che il governo di un paese occidentale, membro fondatore dell’Unione Europea, ricorra a una categoria obsoleta come quella del cosiddetto diritto naturale per disattendere alle direttive dell’Unione stessa, conculcando le richieste di milioni di suoi cittadini, in linea coi valori “non negoziabili” dell’unica monarchia assoluta – alias dell’unico stato etico – rimasto sul continente europeo. (Per trovare analogie istituzionali col quale occorre volgersi ad Arabia Saudita, Oman, Qatar…).

Occorre sottolineare che nel mondo occidentale – alias negli stati costituzionali di diritto – dopo l’emancipazione delle minoranze etniche e la liberazione della condizione femminile, i diritti civili lgbt si pongono come la nuova meta da raggiungere in particolare facendo leva su tre conquiste:

 

– il matrimonio (o come altrimenti si voglia definire l’unione affettiva di due persone volta alla creazione di un nucleo famigliare);
- l’esperienza genitoriale (omogenitorialità, maternità surrogata, adozione);
- le leggi contro l’omofobia e in particolare contro i crimini d’odio.

 

Tornando al volume L’abominevole diritto di Winkler e Strazio, vorrei ricordare le parole con cui Stefano Rodotà conclude la sua postfazione: “Raccomando questo libro a tutti i cittadini curiosi, a coloro che non si arrendono ai messagi della politica o della chiesa cattolica, ma che vogliono capire il mondo che li circonda, nella speranza che sia sempre meno ingiusto, sempre meno ‘abominevole’”.

10. Infine, la categoria “diritto naturale”, nel significato tecnico-giuridico più moderno e razionale, è da intendere come nucleo di diritti fondamentali dell’individuo, preesistenti allo Stato, che proteggono la dignità umana. Nel caso dell’ordinamento italiano parliamo dei diritti di cui agli articoli 2 e 3 della Costituzione, cioè i cosiddetti “diritti inviolabili dell’uomo”. In questo senso, che mi pare l’unico argomentabile, si capisce come il riferimento al diritto naturale per limitare diritti e promuovere la disuguaglianza sia irragionevole. Suona come quelle argomentazioni dei secoli scorsi in cui il giusnaturalismo veniva utilizzato per giustificare la schiavitù o la negazione del diritto di voto alle donne.
 Insomma, quando certi politici si appellano al diritto naturale per negare dignità agli omosessuali, lo fanno scorrettamente per andare nella direzione opposta a quella del riconoscimento (che implica apertura) della dignità umana, che è la vocazione degli articoli 2 e 3 Costituzione.

 

Inoltre, la “lettura intenzionale” dell’art 29 è logicamente insostenibile per un motivo molto semplice: nel 1948 non si sapeva che cosa fosse l’omosessualità. Infatti è stata riconosciuta come variante naturale del comportamento umano tra gli anni ottanta e novanta. E ancora più recente è il riconoscimento dell’idoneità omogenitoriale. 
Dato che i costituenti avevano un’idea prescientifica e dunque scorretta dell’omosessualità, che senso ha dare rilievo alla loro intenzione nell’interpretare la Costituzione?

Per la stipula del contratto denominato “matrimonio civile” tra persone dello stesso sesso, quindi, non è necessario cambiare la Costituzione: la verità è che basterebbe applicarla.

 

11. Come tradurre tutto questo in poesia? Come far sì che l’aspirazione di una minoranza possa risuonare in poesia? La narrazione poetica permette più di ogni altra di focalizzare il dettaglio. E quel dettaglio, se ben scelto, se altamente significativo, può essere in grado – da solo –  di illuminare l’argomentazione. Ci ho provato in alcuni testi. Ve ne propongo un paio.

 

Una lunga sfilata di monti

 

Una lunga sfilata di monti
Mi separa dai diritti
Pensavo l’altro giorno osservando
Il lago Maggiore e le Alpi
Nel volo tra Roma e Parigi
(Dove dal 1966 un single può adottare un minore).
Da Barcellona a Berlino oggi in Europa
Ovunque mi sento rispettato
Tranne che tra Roma e Milano
Dove abito e sono nato.

 

* * *

 

Gay Pride a Roma

 

I.
“E il caffè dove lo prendiamo?”
Chiede quella più debole, più anziana
Stanca di camminare. Alla casa del cinema,
Là dietro piazza di Siena.
Non si erano accorte della mia presenza
Nel giardinetto del museo Canonica,
Si erano scambiate un’effusione
Un abbraccio stretto, un bacio sulle labbra.
Parlavano in francese, una da italiana
“Mon amour” le diceva, che felicità
Di nuovo insieme qui.
Come mi videro si ricomposero
Distanziando sulla panchina i corpi.
Le scarpe da ginnastica,
Le caviglie gonfie dell’anziana.

 

.
II.
Quella sera, come smollò il caldo,
Passeggiai fino a Campo de’ Fiori,
Pizzeria all’angolo, due al tavolo seduti di fronte,
Giovani puliti timidi e raggianti
Dritti sulle sedie col menù sfogliavano
E si scambiavano opinioni
Discretamente.
Lessi una dignità in quel gesto educato
Al cameriere, una felicità
Di esserci
Intensa, stabilita. Decisi li avrei pensati sempre
Così dritti sulle sedie col menù.

 

[Per la stesura di questa pagina di diario ringrazio il collega Giovanni Tuzet che mi ha permesso di consultare il suo studio Diritto e letteratura: finzioni a confronto apparso negli «Annali dell’Università di Ferrara – Sezione giuridica», Nuova Serie, vol XIX, 2005, nonché alcuni amici che – intervenendo in altri blog nei thread di miei precedenti post – mi hanno permesso con le loro riflessioni di arricchire l’argomentazione].

[Immagine: Statua della Giustizia, Dublin Castle, Dublino (gm)].

308 thoughts on “Diario pubblico /4. Giustizia e letteratura

  1. Bellissimo saggio. Finalmente qualcuno che anche in Italia indaga seriamente i rapporti tra letteratura e diritto.

  2. Per questo pronto segnale di lettura, ringrazio Corrado Benigni, poeta e avvocato, già incluso nel X Quaderno di Poesia Italiana Contemporanea edito da Marcos y Marcos. Sul tema della giustizia vista con gli occhi della poesia, consiglio a tutti di leggere il suo recente Tribunale della mente, edito da Interlinea.

  3. Mi iscrivo (idealmente) sia al club “Law and Literature” sia a quello “Foglie d’erba e poesia”. La curiosità per l’uomo e l’attenzione ai dettagli sono l’unica speranza contro chi si attacca alla lettera solo per trovarvi ragioni apodittiche da spacciare per verità assolute, non sapendo ammettere con se stesso che in realtà egli è mosso solo dai propri privati (altro che assoluti!) umori, rabbie, frustrazioni.

  4. È di chi si vuole sfiorare e non osa, così in strada o a un bar o dovunque sia purché non sia il luogo lontano dagli Altri, luogo comune per tutti tranne che per loro; è di chi deve rinunciare alla naturalezza e alla spensieratezza dei suoi gesti effettuosi per causa delle pervertite concezioni di “natura” degli Altri: è di questo limite imposto dagli Altri e che amaramente ci si impone da Se Stessi, diventando infine collaboratori nei fatti di quegli Altri: è di questo che le due poesie in “Gay Pride a Roma” raccontano, restituendo anche parte della bellezza negata alle vite non-abbastanza-uguali perché omosessuali.

    Ed è questo che trovo insopportabile ed è di contro a questa costrizione mai dovuta subire e che invece patiscono persone a me care, che, con la stessa amarezza, ho via via riscoperto l’impeto di una mano che cerca la mia per fare marciapiede-marciapiede e di un abbraccio o un pizzicotto o un gesto sbarazzino sbarazzato da qualsiasi forma d’imbarazzo che non deve chiedere – o faticosamente sfidare… – nessuno prima di compiersi. Dico con amarezza perché ormai m’imbestialisce, che ciò che deve essere gratuito per tutti io lo abbia man mano acquisito apprendendo la privazione imposta agli innamorati e agli amanti omosessuali.
    E mi preoccupa, perché anche la cosidetta liberazione sessuale, ovvero il superamento dei conformismi sessuofobici quale che fossero gli orientamenti, sono infine storia recente o poco meno: e siccome i diritti sono in retromarcia ovunque, quelli del lavoro in testa, quanto manca prima che amarsi diventi una fattispecie dell’Atto Osceno in Luogo, Pubblico o Privato indistintamente?

    È insopportabile che qualcuno debba apportare spiegazioni scientifiche o culturali o umanistiche per poter amare chi vuole e mi preoccupa che un giorno (ri)toccherà a me, al comodamente etero, il dover esibire attestati su attestati, esibire documenti e nascondere la mia persona: se amo fuori dal matrimonio religioso, se amo fuori da qualsiasi religione, se amo fuori dalle classi sociali e dalle pelli e dagli orientamenti politici e dalle posizioni sessuali e dal numero di orgasmi al giorno, al mese, all’anno consentiti. E ho usato, generosamente, il plurale, mentre con ogni probabilità ci sarà una sola classe sociale consentita, una sola pelle, un solo credo ideologico, una sola posizione sessuale e di orgasmi manco uno.

    Mi riguardano i diritti delle persone omosessuali perché mi riguardano i diritti delle persone in quanto persona io e mi riguarda la poesia e la letteratura se , come scrive con severa e matura bellezza Buffoni:

    “(…) è ormai universalmente accertato che, per ridurre il tasso di crudeltà nelle relazioni umane, la letteratura risulta più efficace rispetto alle analisi scientifiche e giuridiche dei principi di crudeltà e di sofferenza.”

    e

    “L’immaginazione letteraria e le emozioni che le opere suggeriscono al lettore contribuiscono ad una riflessione sulla giustizia e ad una interiorizzazione delle sue esigenze. E questo grazie a quell’aspetto fondamentale dell’immaginazione letteraria – tanto affascinante per Aristotele e tanto terrorizzante per Platone – che è la capacità del lettore/spettatore/fruitore di immedesimarsi in vicende altrui, di viverne le aspirazioni e i drammi, le gioie e le sofferenze. In questa ottica, un ideale giudice-letterato – e lo suggerisce Walt Whitman in Leaves of Grass – vede nei fili d’erba la pari dignità di tutti i cittadini.”

    È alla poesia che credevo di Brecht ma che proprio oggi scopro dovrebbe essere di Niemöller e che forse non è nemmeno sua – com’è giusto che sia, per una bella poesia: quel che conta, intanto, è che ci sia – che penso, ogni volta che mi sento dire – Ma tu che tanto ti appassioni e tanto ti interesssi e che persino ti accalori per questi “temi” qua, non è che sotto sotto anche tu….

    Come se si dovesse essere omosessuali per capire l’importanza totale dei diritti omosessuali. Come se si dovesse essere prima ammazzati per capire l’importanza del rigetto dell’omicidio. Come se poi non si concepisse proprio che un etero possa stare con gli omossuali senza essere un po’ omo anche lui, e come se, così fosse, cambiasse qualcosa nella sostanza del discorso.

    Penso alla poesia di Brech-o-Niemöller-o-chissachi e alle poesie di Buffoni, così che quando verranno per me, mi troveranno con gli occhi ben aperti a guardare nei loro, con la speranza di non essere io a distoglierli per primo.

    Il mio grato saluto,
    Antonio Coda

  5. Ringrazio Daniele e Antonio per i loro appassionati interventi.

    D’amore non esistono peccati,
    S’infuriava un poeta ai tardi anni,
    Esistono soltanto peccati contro l’amore.

    Questi versi sono di Vittorio Sereni (1913-1983), scritti con riferimento a Umberto Saba (1883-1957): è Saba il poeta “infuriato” ai tardi anni.
    Se il coming out di Umberto Saba avvenne compiutamente nel romanzo Ernesto – steso in un letto d’ospedale con le ultime forze nel 1953, a testimonianza dell’urgenza di dire prima della morte – con i più giovani amici poeti (quale era Sereni per lui negli anni post bellici), Saba – pur non arrivando mai ad esplicite “confessioni” – si lasciava spesso andare ad uscite dal significato inequivocabile. Come questa, per l’appunto, registrata fedelmente dalla penna perfetta di Sereni:

    D’AMORE NON ESISTONO PECCATI.
    ESISTONO SOLTANTO PECCATI CONTRO L’AMORE

    A dimostrazione del fatto che la poesia, quando è grande, può risultare in una riga più efficace di un intero trattato di sociologia e di annate e annate di stolidi “catechismi”.

  6. “II. Le persone omosessuali devono acquisire rispetto sociale e diritti non perché si dimostra scientificamente che i loro comportamenti esistono in natura, ma perché amano e si amano come persone.”

    Non mi risulta che alcun diritto sia giuridicamente ascrivibile alle persone “perché si amano”. I diritti e i doveri riconosciuti ai coniugi prescindono dall’accertamento (eseguito da chi? Con quali strumenti, criteri, sanzioni?) dell’amore auspicabilmente esistente tra di loro. Non mi risulta che nei paesi dove il giure consente il matrimonio tra omosessuali esso venga dichiarato nullo in caso di disamore fra i coniugi.

    “III. Quindi, sia il ricorso da parte clericale al concetto di omosessualità contro-natura, sia la replica che si tratta di comportamenti largamente diffusi in natura, non sono argomentazioni convincenti perché il problema è interamente umano, cioè etico.

    “IV. E’ inutile appellarsi al non umano per giustificare l’umano. Solo la cultura ha il compito di compiere scelte etiche, cariche – per l’appunto – di una forza culturale.”

    Concordo, con una chiosa: quando le scelte etiche e culturali devono tradursi in scelte politiche e giuridiche vincolanti per tutti, a chi spetta la decisione? Alla scienza? Al progresso? Al governo? Ai partiti politici? Ai gruppi sociali interessati? Agli elettori?

    “V. E’ la parte più avanzata della filosofia del Novecento che considera obsoleto come categoria di pensiero il diritto naturale. Siamo ormai una specie troppo poco “naturale” per parlare di che cosa è naturale. La Sapiens-sapiens è diventata tale proprio perché si è distanziata dalla natura, dalla animalità. Per gli appartenenti alla Sapiens-sapiens, oggi, “naturale” dovrebbe essere l’accentuazione di educazione, gentilezza, civiltà: umanizzare il mondo, diceva Rilke.”

    Il tasso di verità di una posizione filosofica aumenta via via che la sua formulazione si avvicina al 2012? E’ indubitabile che il contenuto di verità della filosofia di Winkler e Strazio superi quello della filosofia di Aristotele? Ma i problemi filosofici non erano “quei problemi che nessuno può risolvere per noi”? Questo postulato progressista alla Auguste Comte non è meno indimostrabile e arbitrario del postulato teista, e andrebbe almeno argomentato, non intimato.

    “Inoltre, la “lettura intenzionale” dell’art 29 è logicamente insostenibile per un motivo molto semplice: nel 1948 non si sapeva che cosa fosse l’omosessualità. Infatti è stata riconosciuta come variante naturale del comportamento umano tra gli anni ottanta e novanta. E ancora più recente è il riconoscimento dell’idoneità omogenitoriale. 
Dato che i costituenti avevano un’idea prescientifica e dunque scorretta dell’omosessualità, che senso ha dare rilievo alla loro intenzione nell’interpretare la Costituzione?”

    L’argomento è gravemente scorretto e fuorviante.
    1) Buffoni ha impostato la sua intera argomentazione sul criterio che natura e diritto naturale non debbono avere rilevanza nella questione: e allora che valore ha il fatto che l’omosessualità sia “stata riconosciuta” [da chi?] “come variante naturale del comportamento umano”? Buffoni invoca il “costruttivismo relativistico giuridico” quando gli fa comodo, e lo rinnega quando non gli serve più. Se sia una svista o malafede, veda un po’ lui.
    2) “Il riconoscimento dell’idoneità omogenitoriale” non è stato “riconosciuto” come si “riconosce” l’esistenza di un pianeta sinora ignoto che ci appare grazie a un più moderno telescopio: alcuni studiosi la *affermano* con argomentazioni sociologiche e psicologiche, mentre altri studiosi la *negano* con argomentazioni sociologiche e psicologiche.
    3) Tralascio l’identità scienza = verità implicitamente stabilita da Buffoni, suggerendogli di fare due chiacchiere con uno scienziato vero (vedrà che sorprese!) e vado al punto. In materia etica, politica, giuridica, estetica, filosofica, etc. non esistono “verità scientifiche” nel medesimo senso in cui esistono “verità scientifiche”, vale a dire “certezze” o “esattezze” ( e non “verità”, che è un concetto religioso o filosofico) nelle scienze dure.
    Acqua bolle a 100° C = certezza. (2 + 2 = 5) = esattezza, “idea dell’omosessualità” = idea. Idea, cioè immagine di un aspetto del mondo descrivibile e discutibile per via dialogica, per via poetica, etc.
    Dichiarare irrilevante l’intenzione dei costituenti appellandosi a una “verità scientifica” che non esiste vale quanto dichiararla esistente o inesistente appellandosi a rivelazione mistica personale.
    La mia impressione, temo fondata, è che per Buffoni scienza = verità = progresso, vale a dire più una posizione è moderna e progressista, più è “scientifica” e più è “vera” (specie quando coincide con la sua).

  7. Correzione: 2 + 2 = 4, e non 5.

    Quello del 2 + 2 = 5 era Dostoevskij, non montiamoci la testa. Scusa Fjodor.

  8. Prescindendo dal tema civile sollevato – che è sacrosanto – mi lascia qui perplesso un fatto: Wilde, Ariosto, Petrarca, Dante, Whitman non vengono presi sul serio, ma (almeno in parte) per finta – asserviti a un teorema, essi mirano a una dimostrazione (peraltro ogni volta parziale, ogni volta confutabile). Come se la scrittura d’immaginazione fosse una riserva di commi cui attingere per confermare qualche tesi. In effetti questo è quello che spessissimo ha fatto la Chiesa (tanto e giustamente vituperata da Buffoni) con la letteratura e con la scienza, con la musica e con la pittura; e proprio per i medesimi motivi. Come ha rilevato oramai vari decenni fa Hans Kung, tra la visione cattolica del mondo e l’altra che vi si oppone (che potremmo definire laica, o comunista, o progressista, o illuminista, o “di sinistra”, o eccetera eccetera) esistono grandissime somiglianze fenotipiche.

  9. Splendido. Concordo in pieno con Corrado Benigni.

    Ricordo le riflessioni, forse oggi un po’ datate, del grande giurista Salvatore Pugliatti (amico di Quasimodo, La Pira, Luzi, etc.) su “Poesia e diritto”, su “Grammatica e diritto”…

  10. a Macioci: Dove Kung si esprime così? Grazie per l’eventuale risposta.
    a Buffagni: cosa vuol dire che nel 1948 non si sapeva che cosa fosse l’omosessualità?

  11. a G. Del Sarto:
    lo deve chiedere a Buffoni, se le risponde (a quanto pare, dando un bell’esempio di apertura al dialogo e alle Alterità risponde solo ai suoi fans, specie quando gli fanno la ola e mettono il turbo all’aggettivazione).
    E’ lui che lo sostiene. A me sembra una sciocchezza, e ho anche spiegato perchè.
    Se guarda più attentamente, nel mio intervento ho riportato fra virgolette alcuni brani dell’articolo di Buffoni e li ho commentati con le mie obiezioni. Purtroppo, non è possibile impaginare le citazioni in corsivo e con spaziatura più stretta.

  12. Caro Gabriel: se rileggi il punto 6 e il punto 10 del mio post, dovrebbe esserti chiaro in che senso affermo che nel 1948 si aveva una concezione arcaica e pre-scientifica dell’omosessualità: un’ottica per cui esistevano gli atti omosessuali piuttosto che le persone omosessuali.
    Solo a partire dal 1973 l’associazione americana di psichiatria ha cominciato a valutare modernamente l’omosessualità, fino a che – all’inizio degli anni novanta – l’Organizzazione Mondiale della Sanità non l’ha definitivamente definita “una variante naturale” del comportamento sessuale umano. E ancora più recente è il riconoscimento, negli stati di diritto più moderni e avanzati, del diritto all’omogenitorialità.

  13. Il silente disprezzo che Buffoni riserva ai commenta tori non allineati non mi piace, sa di fanatismo, che tale rimane anche se si appoggiano le proprie argomentazioni su scienza, modernità e paesi avanzati (a chi?).

    Tra parentesi, fa nulla se i paesi più ” avanzati ” stanno facendo da un decennio carne di porco del diritto delle persone e dei popoli, in nome della sicurezza nazionale (guerre assurde, Patrioct Act e succedanei).

  14. @ Gabriele Del Sarto
    Nel tomo Dio esiste?, mi sembra trattando di Feuerbach, Marx, Engels eccetera, ma non l’ho sotto mano e non saprei dirti il capitolo né tantomeno la pagina. Non è, comunque, solo una tesi di Kung. Le radici delle ideologie, se uno va a a scavare, si somigliano spesso, e in maniera sorprendente.
    Ma – e qui vado un attimo fuori tema – tutto oggi sembra convergere verso un’unità, che non è indifferenziato bensì armonia. Basta leggere le ultime scoperte della fisica quantistica o della teoria delle stringhe per ravvisare collegamenti stretti, quando non proprio fratellanze, con alcune delle più audaci visioni poetiche e più in generale artistiche della modernità.

  15. a L. Massino.

    Lei scrive: “Il silente disprezzo che Buffoni riserva ai commentatori non allineati non mi piace, sa di fanatismo”

    A me sa di furbizia, perchè con sforzo = 0 ottiene a) di evitare il confronto b) di far saltare la mosca al naso ai detti non allineati, che finiscono per diventare sgarbati e passano dalla parte del torto c) dare una certa impressione d’elegante superiorità, tipo il gentiluomo che non registra il vociare scomposto del volgo.
    Il rapporto costi/benefici è mica male, in effetti.
    Non è conforme alla regola d’oro (“non fare agli altri quel che non vuoi sia fatto a te”), ma per funzionare funziona, almeno negli ambienti in cui le proprie opinioni sono maggioritarie.
    Altrove, immagino che Buffoni o eviti di intervenire, o sia più disponibile al dialogo.
    Certo, se il modello d’interlocuzione alla Buffoni è esemplare del modello di interlocuzione dei movimenti di pensiero e di azione politica da lui sostenuti, c’è da sperare che non giungano al potere mai…

  16. Su Buffoni, posso aggiungere qualche altra informazione.
    Ha a lungo e con grande frequenza scritto su “Nazione Indiana”, smettendo poi di colpo, presumibilmente per dissensi con la redazione.
    Lì, era ben fornito di un codazzo di fans che gli evitavano la fatica di intervenire, lì non aggiungeva commenti nè per ringraziare le masse adoranti nè per rintuzzare gli interventi dissensienti, v’era un clima di forsennata polemica, di aggressione sistematica di chi non si allineava, e Buffoni faceva il vate senza smuovere un dito.
    Vedo che ultimamente invece il codazzo si è squagliato, e per tentare di mantenersi stretti quei pochi soggetti che con lui concordano, è costretto a ringraziare, a indirizzare quei vuoti segni di solidarietà che è così comune vedere in giro sul web.
    Direi quindi che possiamo aspettare che:
    a) i commentatori consenzienti si stanchino di questo vuoto cerimoniale;
    b) che la redazione si stanchi di pubblicare i suoi articoli

    Nel frattempo, ignorarlo sembrerebbe la scelta più opportuna

  17. … Ahé, proprio non so rinunciare a farmi calare sulla schiena la molla della trappolina per il topo, ma i fantasmi formaggini – mai convocati ma che si sentono degli interpellati senza risposta – che fanno tanto scuotimento di catene pur di ricevere un colpo hanno saputo farsi golosissimi: se mettono su una seduta spiritica, simpatici spiritelli che non battono né chiodo né altro, per chiamare indietro Buffoni, proverò a rispondere io che – la vanità ci sta – magari posso anche figurare tra i gattoni che per farsi accarezzare accarezzano solo a pelo e spacciarmi per un famiglio. Meglio un topo dal buco che neanche un ragno, mi dico!

    Dando per assunto che le critiche o più neutre richieste di chiarimento siano tutte legittime, ragionate, argomentate e pertinenti, cosa le renderebbe poi obbligatoriamente interessanti per chi scrive un articolo o cosa sancirebbe il loro diritto di pretendere una corrispondenza? Possibile – possibile anche il suo contrario certo, io che ne so – che se l’estensore di un articolo non entri in dialogo con chi al dialogo lo inviata non sia perché abbia verso di lui un malanimo dettato da una “disapprovazione” ricevuta, ma perché di farlo non ne abbia voglia punto? E, se così non fosse e fossero vere le tesi più inacidite, non finiscono col diventare subito infantili le rimostranze verso il bambino antipatico che non ci vuole giocare con i bambini simpatici che lo chiamano a gran voce da sotto la finestra?

    Accanto al testo scritto nell’articolo, ci sono i testi dei commenti: chi leggerà il primo, potrà leggere anche i secondi; la libertà di espressione è questa, o deve gioco-forza (e che estremità tiene collegati quel trattino di unione…) ribaltarsi nella obbligatorietà alla risposta? allora la trappola sarebbe assai più gravosa e imporrebbe un nuovo conformismo, sterile come quelli che l’hanno proceduto e con in più la condanna alla reiterazione infinita.

    Lo so che mi sto attirando addosso la molla della rogna, la trappola della lite troll, che i miei non sono che squittii del topo che fa il gattone e che finirà sbranato dai mastini a guardia di non so quale netiquette da litblog, ma già che ci sono, affondo i dentoni nel formaggino e:

    Larry Massimo, perché un silenzio è sprezzante? O quel che le manca è l’apprezzamento implicito che si trova in una replica qualunque sia? Veder riservato uno spazio a un proprio commento, pro o contro, è di per sé da apprezzare, o no?

    Buffagni, non rischia una deriva interpretativa nel suo accatastare conseguenze politoco-catastrofiche a partire da una causa che semplicemente non c’è? Se l’estensore di un diario pubblico mette a sua disposizione delle sue pagine, perché dovrebbe mettere a sua disposizione anche dell’altro? Nei commenti c’è sempre spazio per i suoi dubbi, Buffani, per le sue opinioni, le sue correzioni: io le trovo esaurienti, e se sono stimolanti sta a me magari approfittare dei suoi spunti, non per forza a Buffoni discuterli.

    E Vincenzo Cucinotta col dossier delle presunzioni è un piccolo capolavoro dei meccanismi distorsivi che possono avvenire sulle piattaforme Internet.

    E aggiungo, in quanto persona che ha ricevuto la cortesia di un ringraziamento da parte di Buffoni: credete che io apprezzi di più o di meno i suoi testi in base ai cenni in bene o in male che può fare a un mio eventuale commento? Voi ci vedete un personalismo laddove non c’è stato che uno scambio nella disponibilità di tutti, uno scambio di cui, per sensatezza, non va dimenticata la gerarchia genealogica: Buffoni pubblica un suo testo, i lettori eventuali commentatori lo rosicchiano e quel che gli sembra di sintetizzarne lo dicono, per avere l’impressione, sì, di una partecipazione, ma soprattutto – e il mio caso è questo – per un piccolo atto di ringraziamento, perché un Buffoni che pubblica a gratis su un blog di letteratura non lo trovo scontato affatto.

    Quindi, da topo del caso, dico: rosichiamo di più, e se vogliamo rosicare qualcosa, che siano le trappole della vanità con cui ci miniamo da soli i pavimenti di casa.

    Spero davvero che però ora non vorremo continuare ancora a giocare al cane e al gatto e al topo.

    I miei saluti!, e … buon pasto!
    Antonio Coda

  18. A me, francamente, interesserebbe parlare dei temi sollevati da Buffoni.
    Visto che non ne parla lui, sarei disposto a parlarne con chiunque altro.
    Delle idiosincrasie di Buffoni, invece, mi importa zero. Quindi, per quel che mi riguarda io di Buffoni non parlo più. Degli argomenti che porta, o di altri sugli stessi temi, se qualcuno ha voglia di dialogarne io sono qui, sennò buonanotte al secchio.

  19. Caro Cucinotta,

    non intervengo nel merito della discussione, perché non posso seguirla con attenzione. Mi limito a precisare che Franco Buffoni è un collaboratore di questo sito al pari degli altri che legge nella pagina “Chi siamo”, e che nessuna redazione, dunque, si stancherà di pubblicare i suoi articoli. Suonano un po’ stucchevoli, invece, le sue insinuazioni su «masse adoranti», «codazzi», «vati», «vuoto cerimoniale» e sul comportamento dello stesso Buffoni. Polemizzi quanto vuole sul contenuto dello scritto. Le altre sono insinuazioni qualunquistiche che non ci interessano.

  20. ad A. Coda.
    Lei scrive:
    “Buffagni, non rischia una deriva interpretativa nel suo accatastare conseguenze politico-catastrofiche a partire da una causa che semplicemente non c’è?”

    Non sono sicuro di aver capito “deriva interpretativa”. Vuole dire “malinteso”? “esagerazione”? “fasciarsi la testa prima di rompersela”?

    Comunque le rispondo, sperando di averla capita. Il tema culturale e politico del matrimonio omosessuale e del diritto di adozione di figli (in varie forme, dall’inseminazione all’adozione di figli altrui) per gli omosessuali è di grande rilievo, politico, culturale, simbolico, perchè introdurli nella legislazione italiana come è avvenuto in molti altri paesi provocherebbe, anche qui, l’ulteriore indebolimento di un istituto fondativo della civiltà, non solo nostra, qual è il matrimonio: istituto che anche senza questa cura versa, oggi, in pessime condizioni di salute, perchè non è nato per essere un contratto inter vivos, ma un voto o patto inter vivos, mortuos et futuros.

    Quindi, per farla corta, sono contrario (ci siamo anche noi, non abbiamo le corna e non mangiamo con le mani).

    Secondo me, sarebbe bene parlarne, e parlarne a lungo, se possibile cercando di essere sinceri e corretti e seri nell’argomentazione, perchè è cosa che coinvolge le future generazioni e la nostra stessa idea di che cos’è una civiltà e di come è fatta la natura umana (sì, credo che esista).

    Se a Buffoni non piace il dialogo, sono fatti suoi.

    Sono fatti di tutti, invece, se cominciano a circolare parolette (e proposte di legge) tipo “omofobia”, e anche a Buffoni piace farla circolare.

    Questa forma di censura soft è, in un certo senso, peggiore della censura hard, quando chi esprimeva pensieri proibiti veniva messo al rogo o rinchiuso in prigione.

    Perchè quando la censura era hard, il censore delineava con precisione i confini del permesso e del proibito. Hai negato la Transustanziazione? OK, abiura o rogo.

    Invece, la vaghezza dell’accusa (“omofobo” può essere chi insulta o perseguita gli omosessuali ma anche chi, come me adesso, si dice contrario al matrimonio omosessuale etc.) e la lievità della pena (nessuno finisce con la mordacchia a Campo dei Fiori, al massimo perde un avanzamento di carriera accademica, il posto al giornale o in tv, insomma viene ostracizzato negli ambienti politically correct) permette di usarla sistematicamente, con la coscienza a posto, come l’arma di un gruppo di pressione.

    Ogni tanto, poi, c’è il processo esemplare in cui si rovina la vita a qualche poveraccio, a mo’ di richiamo della vaccinazione.

    S’è già visto bene con con le varie leggi Mancino vigenti in Europa, e con le diverse forme di censura politically correct (immigrazione, femminismo, diritti umani aviotrasportati, UE, euro, etc.) che funzionano qui, ma soprattutto “nei paesi più avanzati”.

    E qual è il risultato? Il risultato è che la gente ha paura, e per evitare grane tiene la bocca chiusa. Non lo trovo un bel risultato, e sarebbe carino che la pensasse così anche chi delle tesi politically correct è sinceramente persuaso. Purtroppo, parlare da soli è così più comodo…

  21. @ Buffagni, Cucinotta, Massino e altri eventuali commentatori

    Si può fare un’altra cosa: prendere il tema proposto da Buffoni e continuare a discuterne noi e altri. Approfondendo, ad esempio, le principali obiezioni di Buffagni, anche se non le condividessimo in parte o del tutto. Questo è uno spazio pubblico. Può essere riempito e utilizzato anche al di là delle attese e delle intenzioni dell’invitato o del redattore di LPLC di turno . Nel merito dei commenti di Buffagni dico schematicamente quanto segue:

    1. Concordo con la sua opinione che, nel caso dell’omosessualità (ma penso che valga in tutti i casi su cui si legifera), rispetto e diritti sociali vadano affermati prescindendo dal fatto che le persone in questione amano o si amino. Buffissimo e complicatissimo sarebbe, in effetti, immaginare i metodi di accertamento.

    2. La questione di chi debba decidere «quando le scelte etiche e culturali devono tradursi in scelte politiche e giuridiche vincolanti per tutti» mi pare rimandi direttamente alla questione politica generale su cui ci rompiamo la testa (da secoli): se siano o meno raggiungibili dei punti di equilibrio tra interessi sicuramente conflittuali in campo o si debbano imporre quelli dei più “forti” ( o di quelli che potrebbero diventare “forti”) senza tentennamenti e patemi d’animo. Questo vale per l’omosessualità come per i salari, la scuola, le tasse, le spese militari, ecc.

    3. Sull’obsolescenza o meno del diritto naturale o sulla possibilità di appellarsi alla natura per sostenere o negare o limitare i rapporti omosessuali osservo che, quando c’era da contrastare forme di dominio fondate sulla volontà divina, alla natura si sono appellate forze che ho imparato a considerare innovatrici e positive. E l’atteggiamento conoscitivo-scientifico mi pare sempre irrinunciabile, anche oggi che ci siamo accorti quanto le scienze si siano piegate a nuovi tipi di dominatori che si presentano come “democratici” ma non sono da meno nella gestione del potere di antichi tiranni. Personalmente sono d’accordo con tutti quei pensatori che, invece di stabilire una netta separazione tra natura e uomo, vedono fin dalla comparsa dell’homo sapiens l’avvio di un processo aperto, dinamico, storico (non lineare, né sempre progressivo) di condizionamento reciproco tra loro e di possibilità straordinarie (non esenti da rischi straordinari). Il suo andamento influenza la nostra visione delle cose e anche l’atteggiamento che abbiamo verso l’omosessualità, di cui stiamo parlando.

    4. In proposito temo sia chi la interpreta interamente in senso culturalista («Siamo ormai una specie troppo poco “naturale” per parlare di che cosa è naturale»), sia chi ne vorrebbe parlare solo in termini naturalistici. Non capisco chi giustifica solo quei costumi o abitudini che si sono imposti storicamente nel paese in cui egli vive e solo quelli ritiene “naturali” o “normali”; e non vuol sentire né ricordare che nella Grecia antica l’omosessualità era lecita né che lo sta ridiventando in determinate aree sociali.

    5. Da noi aiutano a riconsiderare in modo meno angoscioso l’omosessualità ( divenuta una delle tante figure dell'”altro” che scatenano turbamenti e paure) gli appelli alla natura o gli appelli alle culture più “avanzate”? Questa mi pare una questione aperta e nessuno al momento ha l’ultima parola. Vedo minoranze più o meno agguerrite ( e spesso rozze e spocchiose) che spingono al riconoscimento di nuovi diritti per l’omosessualità (o ora per l’omogenitorilità). Vedo una forte e spesso altrettanto proterva resistenza da parte di altre minoranze altrettanto agguerrite. Non vorrei tacere o fare il Ponzio Pilato, però non sopporto chi mi vuole impedire di ragionare sulla complessità del fenomeno o l’estetizza o dà per assodato quello che è assodato solo per lui e la sua cerchia. Come non mi va chi, per negare certe istanze a un ripensamento e a delineare altri costumi, si appellasse solo al “buon senso comune” storicamente lavorato qui da noi da secoli in una certa direzione. Io sono per ragionare.

    6. Che, ad esempio , «nel 1948 non si sapeva che cosa fosse l’omosessualità» in Italia, quando i ceti colti di questo Paese si sono tanto vantati della loro discendenza ideale da Greci e Romani mi pare affermazione del tutto avventata. Si dica che quella conoscenza e quelle pratiche sono state costrette ad esistere sotterraneamente, che sono state rimosse o represse per ragioni religiose, politiche e storiche. Si dica che poi, in base a quanto andava accadendo in paesi più avanti del nostro nel gestire (anche con molto più cinismo) la rivoluzione industriale e i connessi mutamenti di visione del mondo che essa ha indotto sono stati scoperchiati anche certi temi tabù. E che oggi, anche qui da noi (nella Provincia americanizzata dell’Impero) si è cominciato a indagare su un certo «ritorno del represso», magari quello depositatosi nelle grandi opere letterarie (si rileggano qui su LPLC i post di Giartosio sull’«aria di braveria» nei Promessi sposi), e a far uscire dalla clandestinità certi comportamenti e certi sentimenti. Inquadriamo la questione fuori dagli esibizionismi personali o dagli intrighi di lobby e cominciamo a ragionare. E vediamo dove arriviamo a concordare e dove a dividerci. Ognuno poi sceglie in cuor suo o apertamente cosa pensare e da che parte stare.

  22. @Cucinotta

    per caso lei era al recente corso ‘Interfetazioni telefoniche e microspie’ tenuto all’Università della Biconca?

    complimenti, ma come è riuscito a captare sussurri e grida di NI?

  23. Coda, per me ognuno fa come gli pare, nei limiti della legge, ma ho notato che il postante ha l’abitudine di discutere con chi è d’accordo con lui ignorando tutti gli altri, ciò che vìola le normali leggi di convivenza. Mi pare poco carino. Tutto qui. Certo, se poi si interviene a …zo di cane, come giustamente fa notare Gezzi, si finisce per legittimare chi si sottrae al confronto.

  24. Roberto Buffagni,

    il suo essere contrario, per le ragioni che civilmente spiega, all’estensione cioè alla parificazione dei diritti alle persone omosessuali, è a sua volta un suo diritto: immagina cosa succederebbe se – in un fantapolitico rovesciamento dei ruoli – questo diritto le fosse revocato dagli omosessuali perché etero lei?

    A monte di ogni nostra possibile, e proficua, divergenza di opinioni, c’è il fatto – questo sì al centro del dibattito e anche dello scontro pubblico e perciò politico – che la distanza incolmabile è tra chi crede esista una norma che sia preesistente alle persone e alle civiltà che la formano e chi crede invece che la norma sia un prodotto delle civiltà che o va continuamente aggiornato o fa implodere la civiltà stessa che l’ha prodotta la prima volta.

    Utilizzo il verbo “credere” proprio perché non voglio dire che la certezza sta da una parte o dall’altro, per quanto, secondo la mia ragionevolezza, io propenda per la seconda visione: che certamente vorrei che scalzasse la sua, in questo non ho falso terzismo: però tramite in confronto che può anche finire in un niente-di-fatto: millenarismi del ora-o-mai-più, mai.

    Io non so se nel suo ambiente l’avere le idee che ha le causa una una marginalizzazione: certo non è secondo il criterio di chi è più marginalizzato che se ne esce.

    E se il politicamente corretto trovo sia la solita pagliacciata che non fa ridere, altrettanto penso che il non conviderne gli eccessi non implichi una ricaduta nella gare di pregiudizio libero che sono liberatorie, come quelle di rutto e di peto, fintanto che si sa che, passata l’ubriacatura, torna il sereno di un pensiero che deve valutare e scegliere e decidere di volta in volta in volta.

    Dico proprio le ultime due cose, perché – come temo sia già evidente – mi viene facile la parlarella.

    La prima: se il matrimonio etero così com’è (e che rimarrebbe così com’è, perché parificare i diritti non significa toglierli a chi ce li ha già, a meno che a chi li ha già non sia chiaro che i suoni sono diritti e non dei privilegi di parte) dovesse uscir danneggiato dal suo vedersi accostato l’identica regolarizzazione civile per il matrimonio omo, significa che il matrimonio etero è già danneggiato di suo, se non si regge da sé ma appoggiandosi a quel-che-non-deve-esserci.
    Sono più diretto e franco, Buffagni: io conto di sposarmi a breve con la mia ragazza, e se nel tempo che mi resta da superare, difficoltà comprese, anche uno dei miei amici potesse e riuscisse a sposarsi con il suo ragazzo, a me non sarebbe tolto niente, anzi: avrei una gioia in più per me e ci sarebbero due cittadini realizzati in più per uno Stato che se li lascia liberi di vivere non può che trarne dei benefici. La domanda, essù, è una: Buffagni, se lei fosse gay e amasse il suo uomo, come vivrebbe il fatto che lo Stato degli Altri il più che può darle è dirle – Ama pure chi vuoi, ma qui o vivi come fossi un etero o niente. Perché se lei nega proprio il principio che due persone omosessuali possano vivere assieme liberamente e civilmente compiuti, allora tutto il resto diventa conseguenza di questo rifiuto.

    La seconda: non riduciamo sempre i testi di Buffoni a questa diatriba del io-mi-sposo-e-tu-no: c’è molto di più e che va al di là di chi ci fa sangue o no: c’è letteratura, c’è poesia, c’è studio, informazione, aggiornamento, e anche delle valutazioni che non devono essere proprio quelle che condiviamo noi.

    I miei saluti!,
    Antonio Coda

  25. Secondo me, Buffoni dovrebbe aprirsi un blog su invito, o un blog telefonico, e dare il numero solo a chi gli sta simpatico e la pensa come lui.
    Drrrrrrrrrrriiiiiiiin pronto signor Buffoni volevo dirle che le sue poesie sono bellissime e i suoi ragionamenti originalissimi, intelligentissimi.
    Sì lo so, me lo dicono tutti gli invitati al blog.
    Hanno ragione.
    Grazie per il commento.
    Ci mancherebbe, se ne meriterebbe di più, io faccio quel che posso: la chiamerò anche domani per omaggiarla.
    Arrisentirci.
    Grazie a lei.

    Per il resto sono pienamente d’accordo con Ennio Abate, la conversazione deve durare tra chi ha intenzione di dialogare, tanto la gente scema non è e ha occhi per vedere che atteggiamento è quello del postante Buffoni che più fa così più si fa autogol alla sua porta.

  26. a Ennio Abate.

    Ottima idea. Visto che ho già detto come la penso nel merito, scrivo qualcosa sul modello al quale si rifà l’intervento di Buffoni (nella sua parte extraletteraria).

    E’ il template della propaganda pro matrimoni e adozioni per gli omosessuali messo a punto nei “paesi più avanzati”, anzitutto gli USA. Lì ha funzionato benissimo. Squadra che vince non si cambia, dunque Buffoni lo riprende tale e quale. Avendo fatto il militare, benchè non a Cuneo, ho seguito con attenzione lo schema di gioco adottato nell’anglosfera, e nell’ intervento di Buffoni ne ho riconosciuto i punti principali. Eccoli.

    1) L’amore come fonte dei diritti degli omosessuali al matrimonio e all’adozione (e addirittura al rispetto sociale).
    Se uno si ferma un attimo a rifletterci, capisce che si tratta o di un’assurdità o di un incubo: chi e come certificherebbe la presenza o l’assenza della quota legale di amore in un matrimonio o in un’adozione, omosessuale o no? E va rispettato socialmente solo “chi ama”? Che caspita vuol dire?!

    Però la propaganda non deve essere veritiera ma efficace, quindi compendiabile in un soundbite televisivo. Se dici in TV “Gli omosessuali hanno il diritto di sposarsi perchè si amano” tu fai bella figura perchè ami dunque sei sensibile e buono, e il tuo avversario fa una figura di merda perchè non ama ed è cattivo, un invidioso anaffettivo che sadicamente se la gode a vittimizzarti.

    Il fatto che scopo e senso del matrimonio non sia l’ (auspicabile) amore tra i coniugi ma la procreazione dei figli e la trasmissione del nome e del patrimonio alle generazioni future viene così abilmente nascosto sotto il tappeto dell’amore. Sotto lo stesso roseo tappetino si spazza anche il principio giuridico ed etico elementare in ragione del quale, nelle adozioni, il diritto che va salvaguardato è quello dei minori, e non quello degli aspiranti genitori, che prima di diventarlo hanno solo il *dovere* di provare la loro idoneità.
    Volendo approfondire, si potrebbe notare che “l’impareggiabile megafono” della “più geniale e luciferina codificazione giuridica del XII secolo”, cioè quel Dante che contribuì “a incrementare a dismisura la vendita delle indulgenze” (forse incassando una bella tangente in nero, quell’evasore!), sull’amore dice, riprendendo Aristotele e S. Tommaso, alcune interessanti cosette. Ma lasciamo perdere.

    2) La natura non ha mai ragione, e tutte le argomentazioni che alla natura si appellano sono prive di valore.

    Qui il trucco è più sottile, e si fonda su un equivoco intenzionale: quello tra natura intesa come mondo del non umano (castori, prezzemolo, Alpi Carnie, comete, DNA, etc.) e natura intesa come natura umana.

    “Natura umana” è un concetto filosofico, diversamente interpretato nel corso di alcune migliaia di anni, e che quando si vuole modificare radicalmente un istituto di civiltà antichissimo come il matrimonio, che serve a riprodurre l’uomo nella sua natura creatrice di cultura (remember il Basetta? “Nozze, tribunali ed are”) meriterebbe perlomeno un minimo di considerazione.
    Però anche qui, la propaganda non dev’essere veritiera, ma efficace: e se chiedi al telespettatore “A decidere sul matrimonio omosessuale devi essere tu o il pescegatto?” non c’è dubbio che egli risponderà “io”.

    3) Chi è contro il matrimonio omosessuale etc. è contro il progresso, e siccome progresso = verità = bene, per la proprietà transitiva chi è contro il matrimonio omosessuale è contro la verità e il bene, quindi favorevole alla falsità, al male e alla reazione/regresso.

    Il discorso fila, se se ne accettano i presupposti. E siccome sono anche i presupposti di un diffuso senso comune “di sinistra”, mettersi dalla parte del progresso conviene sempre, perchè così si ricaccia l’avversario nelle tenebre dell’oscurantismo, del medioevo, dei preti che ti mandano al rogo, del fascismo, delle estrazioni dentarie senza anestesia, etc.; e soprattutto lo si costringe a svolgere un ragionamento difficile da condensare in una frase, perchè non può contare su un diffuso consenso.

    Hai un bell’argomentare che il progresso è un’ideologia come un’altra, che non tutto quel che è nuovo è migliore del vecchio, etc.; intanto il telespettatore ha già cambiato canale.

    4) Scienza = verità. Siccome la scienza più avanzata ha certificato che matrimonio e adozioni omosessuali non fanno male alla società e ai bambini, anzi fanno bene, chi è contrario è contro la scienza e quindi contro il vero, dunque a favore del falso (rivelazioni bibliche, superstizioni omofobiche, complottismo, UFO, etc.)

    Ho già detto, e lo ripeto qui, che nessuno scienziato sosterrebbe che scienza = verità; e che fuori dal campo delle scienze dure – dove esistono certezze ed esattezze, e non verità – c’è sì il metodo di ricerca scientifico, ma nessuna certezza e nessuna esattezza.
    L’American Psychological Association ha sì sottoscritto un documento nel quale sostiene che l’adozione omosessuale non danneggia i minori, ma esistono altri studi, condotti con il medesimo metodo scientifico, che sostengono il contrario.
    In buona sostanza, in questa battaglia di esperti ognuno pesca le posizioni che gli fanno comodo. Rammentare sempre che nei campi dove certezza ed esattezza non sono possibili, all’occorrenza una giustificazione “scientifica” si trova sempre, per tutto: anche per le teorie razziali, anche per l’eliminazione degli inabili, etc.

    Quindi no, “la scienza” non è “la verità”, e non ci solleva dalla responsabilità di comprendere, discutere, e decidere (se possibile in coscienza e a ragion veduta).

    5) La carta costituzionale è superata dai tempi, perchè i padri costituenti non potevano decidere con retta coscienza, e letteralmente non sapevano quel che facevano, non essendo al corrente delle acquisizioni della “scienza più avanzata”.

    Come argomento sembra valere meno di zero, perchè soffermandosi a pensarci un momento ci si rende conto che se una carta costituzionale è superata dai tempi (possibile) basta modificarla: la procedura è già prevista. Quindi, invece di fare le sedute spiritiche per accertare l’intenzione dei padri costituenti, o di tirare in ballo la “scienza più avanzata” (che facciamo, ogni volta che la scienza “avanza” cambiamo l’interpretazione autorizzata della Costituzione?) basterebbe aprire il dibattito culturale e politico, e tentar di cambiare la Costituzione nei modi previsti.

    Qui però c’è il trucco. Qual è lo scopo di questo détour? Saltare a piè pari la negletta plebe. Se si aprisse un vasto dibattito pubblico sul diritto degli omosessuali al matrimonio e all’adozione, preliminare a una votazione parlamentare che modifichi la Costituzione, che cosa succederebbe?

    A occhio e croce, il popolino italiano potrebbe anche digerire il matrimonio omosessuale, perchè la funzione istituzionale del matrimonio è sbiaditissima nelle coscienze; ma quando si passasse a discutere l’adozione, potrebbero essere dolori, grossi dolori. Ergo, i partiti politici potrebbero anche fare un calcolo costi/benefici elettorali, e dirsi che non vale la pena di rischiare.

    Allora che si fa? Semplice: si evita di dibattere, soprattutto si evita di appellarsi al popolino.

    Si fa passare la legge facendo pressione, con gli strumenti del politically correct a cui sono assai sensibili, sul personale dirigente dei partiti politici, sui media, sull’accademia e sui settori di magistratura interessati, e la negletta plebe si ritrova il fatto compiuto, sul quale può brontolare ma che non può modificare, e che gli viene presentato come frutto della “scienza più avanzata”, della tecnica più adeguata, sempre per “il progresso” e per “il bene”.
    Negli USA il progetto è andato in porto esattamente così, con un sapiente lavoro ai fianchi sui media, sugli apparati di partito, sull’accademia e sulle Corti di giustizia federali.

    Tutto questo non vale a dimostrare che nel merito della questione abbia ragione o torto io o Buffoni, magari abbiamo torto entrambi.

    Vale però come caveat. Attenzione, perchè questo metodo di azione politica e culturale viene correntemente adottato, e non solo per l’affermazione dei diritti degli omosessuali, ma per raggiungere praticamente tutti gli obiettivi politici sensibili.

    Come si fa a far passare “riforme” che espropriano i cittadini italiani e non solo di conquiste sociali costate decenni di lavoro e battaglie? Si apre un dibattito chiedendogli “Volete che vi freghiamo cinque anni di pensione? ”
    Naturalmente no. Gli si dice che la situazione è gravissima, che c’è la crisi, che la UE lo esige, che la scienza economica più avanzata lo certifica, che i tecnici sono gli unici a poter affrontare l’emergenza; e in caso che non capiscano l’antifona, gli si insedia un governo tecnico che non deve rispondere a loro.
    Così la negletta plebe si ritrova il fatto compiuto, brontola, se la piglia coi politici ladri, ma intanto ormai è fatta: e cosa fatta capo ha.

  27. ad Antonio Coda.

    E chi le ha detto che io non sia gay e non ami il mio uomo? Non ne ho fatto una questione personale.

    Sul resto, le replicherò appena possibile. Grazie per la risposta cortese e sincera.

  28. L’articolo di Buffoni è, come spesso gli accade, ricco di spunti e riflessioni molto interessanti, specie per chi legge solo in lingua italiana. I commentatori invece, specie da un certo punto in poi, sono la plastica dimostrazione di quel detto che dice “Quando indichi la luna, lo stolto guarda il dito”.

    So di chiedere molto, ma voi che vi sentite offesi da quanto ho appena scritto, provate a discutere degli argomenti trattati nell’articolo da Buffoni, anziché discutere di Buffoni. In modo che abbia un qualche interesse leggere anche voi che potete solo commentare.

  29. Caro Sciltian Gastaldi,
    io non ho discusso di Buffoni, ho discusso degli argomenti di Buffoni.
    Se vuole discutere dei miei, si accomodi.
    Mi permetto un suggerimento: quando insulta, non sia generico e insulti con nome e cognome, è più efficace e corretto.

  30. Scuysandomi innazitutto per il ritardo con cui riintervengo, vorrei ringraziare tutti coloro che hanno voluto dedicarmi le loro attenzioni

    @Gezzi

    Caro Gezzi,
    mi spiace che lei non gradisca un certo tipo di aggettivazione, ma in tutta franchezza non mi sono posto l’obiettivo di risultare gradito nè a lei nè a qualcun altro in particolare, perchè il mio obiettivo preminente era puramente informativo (e comunque non ho incluso nessun riferimento a questo blog, citavo Nazione Indiana).
    Aldilà della forma più o meno gentile in cui mi sono espresso, io riporto solo fatti, che non mi pare riguardino la persona Buffoni, ma solo il suo comportamento nei blog, che mi pare fosse già, prima che me ne occupassi io, oggetto di discussione.

    @m galattica
    Mi scuso, ma non potevo immaginare che lei ignorasse il significato del termine “presumibilmente”, potrebbe provare ad usare un dizionario.

  31. Caro Gastaldi,
    la stoffa del provocatore ce l’ha, almeno a distanza di sicurezza. Fine delle trasmissioni, con lei.

  32. ad Antonio Coda.

    Cito dal suo intervento i due punti che mi paiono centrali, e li numero per risponderle con più chiarezza.

    1) “se il matrimonio etero così com’è (e che rimarrebbe così com’è, perché parificare i diritti non significa toglierli a chi ce li ha già, a meno che a chi li ha già non sia chiaro che i suoni sono diritti e non dei privilegi di parte) dovesse uscir danneggiato dal suo vedersi accostato l’identica regolarizzazione civile per il matrimonio omo, significa che il matrimonio etero è già danneggiato di suo, se non si regge da sé ma appoggiandosi a quel-che-non-deve-esserci.”

    2)”Sono più diretto e franco, Buffagni: io conto di sposarmi a breve con la mia ragazza, e se nel tempo che mi resta da superare, difficoltà comprese, anche uno dei miei amici potesse e riuscisse a sposarsi con il suo ragazzo, a me non sarebbe tolto niente, anzi: avrei una gioia in più per me e ci sarebbero due cittadini realizzati in più per uno Stato che se li lascia liberi di vivere non può che trarne dei benefici.”

    1) Caro Antonio, mi sembra che lei faccia confusione. Guardi che non esiste “il matrimonio etero”, esiste da molti millenni il matrimonio e basta.

    Non ha senso definirlo “etero”, perchè per fare un matrimonio ci vogliono un uomo e una donna. Il matrimonio non, ripeto *non* è una cerimonia che festeggia l’amore tra due persone, “etero” o “omo” che siano.

    Antropologicamente e giuridicamente, il matrimonio è l’unione tra un uomo e una donna in vista della procreazione; se si tolgono la differenza di sesso e la procreazione, non resta niente, eccetto l’amore, che può finire, o al limite anche non esserci affatto. (Può avvenire, naturalmente, che i coniugi siano sterili, ma questa è una patologia, e non la fisiologia del matrimonio).

    Il matrimonio, inoltre, è anche un’istituzione, come ad esempio lo Stato. Non è solo un contratto, è anzi un’istituzione che preesiste allo Stato, che infatti, come recita anche la nostra Costituzione, non la fonda ma “la riconosce”. L’istituto del matrimonio è definito da un corpus di diritti e di doveri degli sposi tra loro e verso i figli. La società vi interviene come terza parte, tenuto conto del fatto che ne ha bisogno per l’interesse generale. E qual è l’interesse generale della società nel matrimonio? La riproduzione della specie umana all’interno della cultura, con relativa trasmissione del nome paterno e del patrimonio. Non è una cosa da poco: è la condizione necessaria per l’esistenza nel tempo di tutte le famiglie, le culture e le civiltà umane.

    Lei dice che la concessione del matrimonio agli omosessuali lascerebbe il matrimonio “etero” così com’è. Non è vero. La ragione antropologica e istituzionale del matrimonio è la procreazione dell’uomo all’interno della sua umana cultura. Le coppie omosessuali sono fisiologicamente sterili.
    Che senso ha, dunque, chiamare matrimonio il loro rapporto amoroso e sessuale, necessariamente infecondo? Chiamare con lo stesso nome e sottoporre all’identico regime giuridico due forme di rapporto incommensurabili tra loro non può che parodiare e svuotare di significato il matrimonio.

    Perchè delle due l’una: o il matrimonio ha per scopo e senso la procreazione, e allora il rapporto d’amore tra due omosessuali non lo è; o il matrimonio è un contratto/cerimonia che regola e festeggia l’amore tra due (o più, perchè no) esseri umani senza riguardo al genere, nel quale la procreazione dei figli , (che come noto può verificarsi anche nei rapporti tra un uomo e una donna non sposati, sposati ad altri, che neanche si conoscono per nome, etc.) è un evento accidentale.

    In quest’ultimo caso, però, non si tratterà di una istituzione sociale, ma di un contratto privato: una libera pattuizione fra le parti (senza riguardo al genere) per il godimento reciproco delle proprie facoltà sessuali, della reciproca compagnia, amore, affetto, etc.

    I “munia matris”, i “doveri della madre” da cui ha origine la parola “matrimonio” non c’entrano più nulla, nè la società umana ne ha più alcun bisogno per l’interesse generale. Al massimo, la società vi interverrà giuridicamente su richiesta di uno dei contraenti per garantire il rispetto dell’obbligazione contrattuale stipulata, come per qualsiasi contratto fra privati.

    Ha fatto caso che in Francia, dove si intende riconoscere il matrimonio omosessuale, il governo ha preparato il terreno con un ukase che ha trasformato “padre” e “madre” in “genitore 1” e “genitore 2”?
    Tralascio ogni commento, sperando che tutti provino, come me, un moto di ripugnanza per questo tragicomico intervento orwelliano. (A proposito di amore, quale essere umano potrà mai pronunciare con amore queste immonde parole? Chi potrà morire invocando il “genitore 1”, o “2”?)
    E’ però una spia del disagio che la falsificazione parodistica della realtà del matrimonio (e della vita umana) non può mancare di indurre in tutti, anche in chi la persegue.

    2) Anzitutto, tanti auguri a lei e alla sua ragazza. Se il suo amico omosessuale desidera vivere con l’uomo che ama, io non soltanto non ho nulla in contrario, ma faccio i miei auguri anche a loro. Penso anche che sarebbe bene concedere alla coppia di suoi amici omosessuali le garanzie giuridiche di cui godono le coppie di fatto composte da uomo e donna (non il diritto all’adozione di figli). Non sono un giurista, e non entro nei dettagli perchè non vorrei dire sciocchezze.

    Non penso che faremmo un regalo ai suoi amici omosessuali se gli permettessimo di sposarsi. Figli, non ne possono avere. Sono più che contrario a concedere agli omosessuali il diritto di adottarne (se è interessato, me lo dica e le spiegherò perchè). Lo Stato li lascia già, “liberi di vivere” il loro amore e la loro gioia (le ricordo en passant che il matrimonio non accresce, ma limita fortemente la libertà dei coniugi, qualche cinico dice anche la loro gioia).

    E allora che cosa gli togliamo, se non gli consentiamo di accedere a un istituto del quale non possono realizzare lo scopo e assumersi i doveri ? Certo non gli togliamo nè la libertà, nè il rispetto, nè l’amore.

  33. L’intervento molto lucido, come del resto è nel suo stile, di Buffagni mi stimola ad intervenire su un tema su cui in effetti intervengo con riluttanza, e forse ciò si capirà da ciò che segue.
    Mi rivolgerò specificamente allo stesso Buffagni ed anche a Coda, in quanto mi pare che solo essi mostrano di volere argomentare sul merito della questione.

    Caro Buffagni,
    lei dice bene quando afferma che il matrimonio è un’istituzione strettamente legata alla funzione riproduttiva, lo è per tradizione, e lo è giuridicamente. Tuttavia, sarebbe sbagliato negare che già oggi in vaste fasce di popolazione, e mi sto riferendo a coloro che già oggi vi possono accedere, e cioè gli eterosessuali, non sia più così. Conoscerà anche lei coppie che dichiarano urbi et orbi che essi figli non ne vogliono. Insomma a me pare che l’associazione matrimonio – funzione riproduttiva sia saltata da tempo e che non abbia senso ignorare tale situazione di fatto.
    Allo stesso modo, seppure da un punto di vista di principio non v’è ragione alcuna, si può parlare di matrimonio omosessuale ma non di poligamia, come giustamente lei fa notare, perchè ciò che conta alla fine è l’ideologia dominante.
    Se le interessa sapere cosa ne penso personalmente, le dirò che per uno come me che ha vissuto il sessantotto e che credeva che la sua carica antiistituzionale avrebbe scardinato lo stesso istituto familiare, è alquanto frustrante assistere all’iperistituzionalizzazione che si persegue, chiedendo il coinvolgimento dello stato a garantire in definitiva certi aspetti economici, e ciò a prescindere dal fatto che si tratti di omosessuali o eterosessuali. Questo riconoscersi in primis come esseri economici è proprio ciò che mi pare il frutto avvelenato di questa società e della sua ideologia.
    D’altra parte, non posso negare che l’atteggiamento con cui coloro che in quanto etero accedono già da oggi al matrimonio non può essere ignorato, e che a questo punto non capisco perchè non si dia il diritto anche agli omo ad accedere alle stesse garanzie di ordine economico. Che poi si tratti di qualcosa come gli abortiti DICO o sia un matrimonio allargato, non mi pare una questione fondamentale. Io preferirei la prima opzione, perchè anch’io sono fermamente contrario all’adozione da parte di coppie omo (come anche da parte di single, o da parte di coppie troppo anziane, sia chiaro), e la differente forma giuridica eviterebbe sin dall’inizio di equiparare le due situazioni.
    Lei fa giustamente notare come il matrimonio venga riconosciuto e non istituito dallo stato. Bene, ciò deriva però in ultima istanza dal fatto che viviamo in un paese di cultura cattolica, per cui il matrimonio è un’istituzione divina, anche questa affermazione in definitiva deriva da un’ideologia dominante.

    Caro Coda,
    lei ha indirizzato a Buffagni un’osservazione che ai più appare ovvia, e cioè che dare la possibilità ad altri di accedere al matrimionio non dovrebbe in nessun modo riguardarci: cosa ci perderemmo noi, si chiede lei?
    Questa sua domanda viene fuori dall’ideologia liberale che pretende che la libertà di ognuno finisce dove comincia quella degli altri. Sembra un principio ovvio e condivisibile, ma, mi scusi la franchezza, è una solenne sciocchezza. Nei fatti, tutto ciò che riguarda gli altri, riguarda anche noi stessi. Solo chi pensa, come i liberali, che la società sia costituita a partire da singoli individui che le preesistono, può pensare che ci siano atti esclusivamente privati. In verità, la pubblicità, il pettegolezzo e mille altre cose dimostrano a chi non si chiude gli occhi che noi siamo nei fatti solo dei componenti di un corpo sociale unico, senza cui, senza la cui cultura condivisa, noi non saremmo ciò che oggi siamo.
    Così questo spazio esclusivo in cui possiamo liberamente esercitare la nostra libertà certi di non coinvolgere gli altri, semplicemente non esiste. Non dico, badate bene che non deve esistere un ambito riservato alle scelte personali, ma che bisogna fare fatica volta per volta per individuarlo, che questo benedetto confine tra le differenti libertà individuali, va identificato volta per volta ed è inevitabilemnte soggetto a revisioni periodiche.
    Le faccio un ulteriore esempio, che è più prossimo a ciò di cui qui si discute: lei crede che se qualcuno propone il riconoscimento della famiglia poligamica, si avrebbe consenso da parte di quelle stesse fasce di opinione che premono così tanto per il matrimonio omo? Converrà con me che non è così, che si alzerebbero soprattuto femministe di ogni genere per affermare che esse devono difendere la dignità di tutte le donne e che per una donna sarebbe indegno dividere un uomo con altre. Lì, tutti scoprirebbero che il modo in cui il prossimo si comporta, ha una influenza decisiva sulla mentalità dominante e che certi comportamenti formalmente privati, non sono accettabili proprio per la loro influenza sociale, il che, per chiunque non sia accecato dall’ideologia liberale, è più che ovvio.

    Infine, ne approfitto per visitare il problema della natura umana.
    Qui, siamo davvero all’assurdo. Chi dice che visto che viviamo in un contesto culturale non abbia senso considerare la propria natura, fa un’offesa alla propria stessa intelligenza. Il punto è che la cultura non può, come dovrebbe essere ovvio per chiunque, sostituire la natura, si può solo aggiungere, sovrapporre ad essa. Dalla natura non si può prescindere in nessun caso, come se qualcuno che volesse edificare decidesse che a lui non interessa come sia fatto il terreno su cui farlo, se si tratta piuttosto di sopraelevare su un edificio già esistente e così via: non sarebbe follia allo stato puro?
    Dal tema della natura umana non si può prescindere, anche se convengo che si tratta di un terreno minato, ma non affrontare esplicitamente l’argomento, serve solo a dare per scontata l’antropologia dominante, quindi assecondare l’operazione più arbitraria ed autoritaria che sia possibile.

  34. A me mi dovete spiegare in base a quale senso dell’umanità ritenete due uomini o due donne inadatti all’adozione.

  35. Nell’inviare questo commento, m’accorgo che in qualche punto la mia riflessione coincide con quella di Cucinotta. Meglio così…

    @ Buffagni

    Caro Buffagni,

    mi scuso in anticipo se in qualche punto di queste mie osservazioni sul tema che stiamo trattando, dovessi fare considerazioni imprecise o scorrette. Ma nella sua risposta ad Antonio Coda a me pare che lei riproponga un modello di matrimonio che non tiene conto a sufficienza né della realtà, diciamo, “extramatrimoniale” né della benedetta o maledetta storia che lo riguarda.
    Certo, qui da noi, nell’Occidente influenzato dalla cultura di matrice cristiano-borghese, « per fare un matrimonio ci vogliono un uomo e una donna». Ma non basta un’occhiata ai paesi arabi per vedere che già questo modello monogamico salta? Come la mettiamo?
    Certo, giuridicamente (non direi antropologicamente, anche se al momento confesso di non avere esempi calzanti per dirlo con sicurezza) qui da noi *pare* che «il matrimonio [sia] l’unione tra un uomo e una donna in vista della procreazione». Ma non sempre la procreazione è l’obiettivo rispettato o principale o assoluto ( l’uso dei contraccettivi significherà pure qualcosa). Insistere sul fatto che il matrimonio abbia come fine la procreazione indurrebbe a pensare che esso risponda tuttora ad un obbligo “naturale” valido per tutti. Ora a me pare che solo la morte valga per tutti. E che il matrimonio sia un’istituzione (come lo Stato e anzi preesistente ad esso, come lei giustamente fa notare) venuta fuori dalla storia degli uomini e sottoposta alla corrosione o alle trasformazioni che la storia produce. Della sua necessità ci si è presto accorti. Ed indubbiamente quel che prima avveniva spontaneamente e inconsapevolmente è stato regolato mediante «un corpus di diritti e di doveri degli sposi tra loro e verso i figli ». È così diventato obbligo, costume o usanza condivisa che si è perpetuata di generazione in generazione. E non credo senza resistenze, poiché pervenuta alla coscienza degli individui o dei gruppi che si erano assunti compiti di guida (anch’essi allora necessari e obbliganti) e che ne hanno colto l’importanza politica «per l’interesse generale» (sorvolo su quanto poi sia generale e cosa possa passare di non generale sotto questa terminologia roussoviana) quell’aspetto “naturale” è diventato culturale e codificato.
    Riconoscere però questo “nucleo di realtà necessaria” nel matrimonio («la riproduzione della specie umana»), non significa per me ridurre tutto ad esso, diciamo pure al suo scheletro, essenziale sì ma in determinate circostanze storiche. Né trascurare o ritenere puramente decorativi tutti quegli aspetti cerimoniali o sentimentali che – diciamo con linguaggio burocratico – presiedono all’espletamento della funzione socialmente principale e istituzionalizzata. E neppure rimuovere comportamenti affettivi, sessuali, culturali che l’istituzione ha espunto o ha fatto diventare secondari o marginali. Anche questi non sono cose «da poco». E col passar del tempo, le trasformazioni delle società che hanno consolidato certe forme di vita ma indotto anche nuovi bisogni o un’attenzione diversa a certi bisogni, anche l’istituzione matrimoniale è cambiata ed è diventata sicuramente “più stretta”, meno giustificata o giustificabile con le ragioni di una volta. Una vasta letteratura ha condotto una seria e non trascurabile critica del matrimonio prima aristocratico poi borghese. E, da un punto di vista storico e teorico, perché dovrebbero essere impensabili, anche se possono spaventarci o addirittura ripugnare e non è detto che siano sicuramente preferibili, altri modi di soddisfare l’obiettivo della «riproduzione della specie umana» al di fuori dell’istituto secolare del matrimonio (da noi) monogamico?
    Insomma, credo che da tempo la parola e l’istituzione ‘matrimonio’ copra una realtà varia, composita. Quante coppie si sono unite in matrimonio, ma non hanno voluto avere figli? Saranno una minoranza rispetto alle altre, ma ci sono. Se non ha senso pretendere di chiamare matrimonio il «rapporto amoroso e sessuale, necessariamente infecondo» di due omosessuali, non bisognerebbe chiamare matrimonio nemmeno quello tra un uomo e una donna che si sono sposati e hanno deciso di non procreare? Credo che al di là delle parodie e delle provocazioni, uno svuotamento del significato classico di matrimonio ci sia stato, c’è da prenderne atto e c’è da capire in che direzione si possa e debba andare evitando nostalgie e avanguardismi. L’aut aut che lei pone provocatoriamente («o il matrimonio ha per scopo e senso la procreazione, e allora il rapporto d’amore tra due omosessuali non lo è; o il matrimonio è un contratto/cerimonia che regola e festeggia l’amore tra due (o più, perché no) esseri umani senza riguardo al genere, nel quale la procreazione dei figli , (che come noto può verificarsi anche nei rapporti tra un uomo e una donna non sposati, sposati ad altri, che neanche si conoscono per nome, etc.) è un evento accidentale») già fotografa forse, sia pur da un’angolazione parziale e risentita, una realtà molto più confusa e non più riportabile alle “antiche usanze”. Neppure io m’intendo di aspetti giuridici e non so se si debba e come si possa legiferare su tale materia. Del resto vedo che poco ci si raccapezza anche per il diritto del lavoro, nel quale pare si fatichi a far entrare i diritti dei lavoratori autonomi o precari, le cui istanze non sono prese in considerazione proprio come accade a quelle degli omosessuali. A naso, più che dividerci sulla questione se chiamare o meno ‘matrimonio’ l’unione di due omosessuali, per me andrebbero considerate le reali trasformazioni in corso degli aspetti procreativi, sessuali e emotivi degli individui d’oggi, avvenute sia nel “guscio matrimoniale” che fuori di esso. E pensare nuove possibili forme che siano in grado di istituzionalizzarle più adeguatamente del “vecchio” matrimonio.

  36. Ringrazio Cucinotta, Massino e Abate per gli interventi. Risponderò a tutti appena possibile. Mi scuso sin d’ora se non tarderò uno o due giorni.

  37. (Restando in tema “minoranze”: una donna tra tanti maschi forti chissà che effetto farà.)

    Non ho letto tutti i commenti, perché sinceramente mi interessava molto di più il saggio in sé e mi interessa, ora che l’ho letto, discuterne fuori dai siti e dalle polemiche online. Con la gente, nel quotidiano. Dico questo perché invece purtroppo l’occhio mi è caduto sul primo commento di Cucinotta e mi sento un po’ parte in causa essendo stata dentro la redazione di Nazione Indiana per qualche anno. Dunque a titolo personale vorrei dire queste cosette al signor Cucinotta e a chiunque altro ami dilettarsi in simili illazioni. Con o senza “codazzi” di ammiratori le parole scritte stanno lì per essere lette, ponderate spesso in silenzio o tramite scambi di mail o altri mezzi. In Nazione Indiana, come in altri siti, la redazione muta ciclicamente e, incredibile a dirsi! non occorrono liti o grandi disaccordi per uscirne, tanto che sia io che mi sento tranquillamente di dire, Franco, continuiamo ad avere le nostre amicizie – sane e non soffocate dallo spettro dell’opportunismo – tra i redattori. Succede che nella vita si trasloca a volte, sa Cucinotta? E magari si lascia il posto ad altri. A differenza di un certo diffuso malcostume italico, lo stesso panorama italiano – delle lettere, della cultura, delle relazioni interpersonali – non è tutto un litigio e un lanciarsi improperi o gettarsi reciprocamente vipere in seno.
    Continuando, qui non si tratta di ignorare “Franco Buffoni”, con dinamiche da prima elementare, ma di decidere di ignorare una problematica abbastanza vergognosa che riguarda il nostro paese – la possibilità di stabilire davvero un’uguaglianza, di sentircisi inclusi, corresponsabili, fattivamente attivi. E di chiedersi cosa davvero ci disturba/turba nell’acconsentire all’esistenza dell’amore tra le persone in tutte le sue forme. A me interessa molto il problema dell’antropocentrismo da cui tanto discrimine deriva – mentre gli uguali sono quegli esseri che si incontrano sui margini – che riconoscono a se stessi uno stato effimero, marginale.

  38. “qui non si tratta di ignorare “Franco Buffoni”, con dinamiche da prima elementare”.
    (Francesca Matteoni).

    Se legge bene, è accaduto il contrario: gli “ignorati” sono i commentatori che con dinamiche almeno da scuola superiore si confrontano con tutti, compreso lo stesso Buffoni, che invece risponde o si confronta solo con alcuni.

  39. @Ennio Abate ho letto bene e il verbo ignorare lo ha usato Cucinotta, al quale mi riferivo.
    Franco Buffoni sul suo post, credo, può comportarsi come crede. Non si discute di lui, si discute semmai, qui o altrove, di quanto scrive.

  40. Rieccomi: non so chi ci sia o se siano tutti giustamente stremati.

    Scrivo a Buffagni che mi ha risposto con trasparenza – ma ho letto anche i commenti degli altri intervenuti.

    Gentile Buffagni, siamo proprio lì dove credevo: distanti. Perché se il matrimonio o è con figli o non è matrimonio, devo fare appropriazione indebita di una battuta di Aldo Busi: ormai i figli li fanno solo i gay con le donne che sposano perché con gli uomini con cui vorrebbero non possono stare: perché se non si è giuridicamente riconosciuti, il resto è contentino a parole. Se il matrimonio o è con figli o non è, la questione si dovrebbe spostare dal “dare diritti comparabili al matrimonio civile attuale agli omosessuali” a “togliere diritti agli etero che si sposano e figli non ne fanno”.

    Lei Buffagni – credo manifestamente – ha posizioni conservatrici che non sono le mie perché io credo che, a star sempre nella stessa posizione, si rischiano crampi e via via rattrappimenti vari.

    Cosa praticamente si sottrarrebbe al matrimonio così com’è accoppiandogli quello che anche gli altri vorrebbero, nessuno l’ha detto perché, eddai, non c’è niente che non si possa condividere: salvo, certo, la pretesa di natura, di normalità, di esclusività, insomma: tutta la retorica che utilizza il privilegio per non vedersi svilito in “diritto”.

    Però ringrazio chi ha conversato scrivendo apertamente quelle che sono le sue convinzioni. Data la mancanza di convergenza dalla mia parte come da quella altrui a pari grado, credo poi vada da sé che non torneremo a confrontarci sulle sfumature degli stessi argomenti. Anche se… Dai che le cambierete anche voi, su, le posizioni!

    E vi consiglio, siccome lo consiglio a me, il libro consigliato da Buffoni, le lettura de “L’abominevole diritto”. Perché se ci si dimentica delle persone dietro le parole, finiamo cosificati e addio.

    Un saluto!,
    Coda

  41. Tornando su alcuni punti del testo, al nome di E.M. Forster, corro mentalmente anche ai racconti usciti dopo la morte, The Life to Come and Other Stories, dove The Other Boat (vado a memoria ed ho letto questo libro davvero molti anni fa), affronta chiaramente l’amore omosessuale, unito alla figura del buon selvaggio e al destino infelice che entrambi scontano nel contesto sociale inglese di allora. E’ un racconto che coniuga in modo efficace per quanto ricordo, proprio “natura” e “cultura”, in una sorta di natura idealizzata, a suo modo non raggiunta e compresa appieno dallo stesso autore. Similmente in un altro straordinario racconto, non rammento se pubblicato in vita, The story of a panic, il patto ristabilito con la natura attraverso la fuga panica e notturna del protagonista, va di pari passo ad un patto forse d’amore stretto con il ragazzo autoctono (un italiano), che muore, colpevole di aver infranto questa fedeltà, di essersi, anche solo momentaneamente, arreso alle regole e alle imposizioni comportamentali della società, rappresentate dal denaro. La potenza di entrambi i racconti sta nel non detto, nella lingua che proprio non dicendo porta tutto in superficie. Nell’inoculare un dubbio. E forse la giustizia poetica (o il discorso ironico alla Rorty) si può semplificare proprio in questo – nella sua capacità tutta fastidiosa di pungolare con il dubbio sia lettore che scrittore. Vorrei aggiungere altro su Hard Times nella visione della Nussbaum, ma più avanti, che mi si accumulano i pensieri e fo confusione.

  42. Cara Matteoni,
    la ringrazio dell’attenzione che mi riserva.
    La letterina che ha scritto è simpatica, ma la sua capacità di interlocuzione è pressocchè nulla.
    Così, lei si comporta esattamente come Buffoni e naturalmente non riesce a capire come sia possibile ignorare chi ti ignora, eppure per tanti sembra una cosa abbastanza ovvia.
    Malgrado quindi io apprezzi le sue letterine, preferisco scegliermi interlocutori che siano in grado di argomentare, se ne faccia una ragione.
    In quanto a NI, io ho solo avanzato un’ipotesi come risulta chiaro dall’uso dell’avverbio “presumibilmente”, e sono lieto di sapere da lei che la mia ipotesi era infondata, anche se la descrizione degli eventi che da, è lungi dall’essere convincente e chiara, ma dopo tutto non è che la cosa rivesta questo grande interesse per me.
    Se poi vuole argomentare contro le cose che ho scritto nei successivi interventi, sarò naturalmente lieto di continuare questa discussione.

  43. Non mi ringrazi, ho solo puntualizzato, smentendo ciò che lei aveva “presunto” – ed ho infatti usato la parola illazione, sebbene non abbia capacità di interlocuzione conosco ancora il significato dei termini che uso. Del resto, ahimè piangendo molto, mi farò una ragione e chissà forse se la farà anche il suo ego.

  44. A Vittorio Cucinotta ed Ennio Abate.

    Rispondo insieme a entrambi, perché le vostre argomentazioni convergono nella critica principale al mio ultimo intervento.
    Prego Larry Massino di pazientare un poco. In realtà, implicitamente rispondo anche a lui; ma la sua cortese domanda merita una risposta esplicita e meglio ragionata.

    Anzitutto ringrazio per gli apprezzamenti e per le critiche cortesemente espresse e seriamente argomentate. Compendio le obiezioni di fondo e replico.
    Cucinotta: “…il matrimonio è un’istituzione strettamente legata alla funzione riproduttiva, lo è per tradizione, e lo è giuridicamente. Tuttavia, sarebbe sbagliato negare che già oggi in vaste fasce di popolazione, e mi sto riferendo a coloro che già oggi vi possono accedere, e cioè gli eterosessuali, non sia più così…Insomma a me pare che l’associazione matrimonio – funzione riproduttiva sia saltata da tempo e che non abbia senso ignorare tale situazione di fatto.”
    Abate: “Certo…nell’Occidente influenzato dalla cultura di matrice cristiano-borghese, « per fare un matrimonio ci vogliono un uomo e una donna». Ma non basta un’occhiata ai paesi arabi per vedere che già questo modello monogamico salta?…non sempre la procreazione è l’obiettivo rispettato o principale o assoluto… Insistere sul fatto che il matrimonio abbia come fine la procreazione indurrebbe a pensare che esso risponda tuttora ad un obbligo “naturale” valido per tutti. Ora a me pare che solo la morte valga per tutti.”

    Verissimo. L’associazione fra matrimonio e procreazione non è più universale, nei paesi più o meno avanzati, tra i quali in prima fila il nostro, che presenta una curva demografica preagonica. Inoltre, negli USA, paese “più avanzato” di tutti e che tutti prima o poi seguono come i vagoni la locomotiva, il 40-50% dei matrimoni (tra uomo e donna) durano meno di dieci anni. Non c’è quindi dubbio che il matrimonio sia “un’istituzione…venuta fuori dalla storia degli uomini e sottoposta alla corrosione o alle trasformazioni che la storia produce.” (Abate)

    Ma allora, se il matrimonio è un’istituzione in grave e apparentemente irreversibile decadenza, perché un gruppo di pressione internazionale ben organizzato combatte con intelligente determinazione per estenderlo anche agli omosessuali?

    Si noti che combattere per il *matrimonio*, ripeto *matrimonio* omosessuale, importa cercare lo scontro frontale e decisivo contro avversari ancora molto forti nel mondo, quali tutte le religioni abramitiche (ebraismo, cristianesimo, islam) e l’induismo, più metafisiche religiose largamente diffuse come il buddhismo (in ispecie Mahayana) e il confucianesimo, le quali tutte *non possono* integrarlo senza scalzare i propri fondamenti dogmatici o metafisici, e sono dunque costrette ad accettare lo scontro.

    Sarebbe assai più facile e prudente – perché consentirebbe alleanze assai più vaste ed eviterebbe di suscitare una vasta coalizione avversaria – perseguire la sostanziale parificazione dei diritti economici e delle tutele sociali delle coppie omosessuali promuovendo legislazioni analoghe a quelle varate per le coppie di fatto di uomo e donna, sul tipo dei D.I.C.O. e analoghi.

    E allora, perché cercare la battaglia di Stalingrado, con il rischio di finire circondati come l’armata del Generale von Paulus? Molti nemici molto onore?

    Dice Abate: “Insistere sul fatto che il matrimonio abbia come fine la procreazione indurrebbe a pensare che esso risponda tuttora ad un obbligo “naturale” valido per tutti. Ora a me pare che solo la morte valga per tutti.” Non c’è dubbio: però, per morire bisogna darsi la pena di nascere.

    Ora, gli uomini possono nascere e morire, senza matrimonio? Non “al di fuori del matrimonio”, ma “senza che l’istituzione culturale *centrale* ordinata alla riproduzione/cura della specie sia il matrimonio”?
    Ripeto: “istituzione culturale *centrale*”, vale a dire l’istituzione in rapporto alla quale si definiscono, per confronto e anche per opposizione, *tutte* le altre forme di relazione tra esseri umani che risultino nella procreazione e/o nella cura dei figli.

    Sul piano della storia naturale, senz’altro. Sul piano della storia umana, non lo so, sul serio non lo so. Sin dall’alba della storia umana, la Forma o Istituzione che ha reso specificamente umana e inserito nell’umana cultura la nascita degli uomini è universalmente stata il matrimonio, monogamico o poligamico (monogamia e poligamia sono differenze, importanti finché si vuole, ma semplici differenze interpretative interne a una identica Forma/Istituzione ordinata al medesimo scopo). Il matrimonio preesiste non soltanto allo Stato italiano, ma anche allo Stato egizio delle Dinastie faraoniche, che entrambi lo “riconoscono” e non lo fondano.

    Perché davvero il matrimonio è la Forma/Istituzione *centrale* dell’umana cultura ordinata alla procreazione/cura e dunque alla riproduzione della specie. Lo è sul piano dei simboli e del linguaggio, che di simboli vive e i simboli inesauribilmente produce e riproduce.

    Si capisce meglio, allora, perché il gruppo di pressione che persegue il riconoscimento giuridico del matrimonio omosessuale vi cerca la sua Stalingrado.

    Questa battaglia è una battaglia per conquistare *il centro della scacchiera* simbolica (e chi conquista il centro della scacchiera è a un passo dalla vittoria).

    Che cos’è, questo “centro della scacchiera simbolica” per la conquista del quale si combatte?
    E’ quello in cui la cultura esprime e letteralmente *fa parlare* la natura.

    Almeno per noi uomini, infatti, la natura non è, o almeno non è soltanto, un supporto sul quale costruire la cultura, mute fondazioni su cui erigere l’edificio parlante dell’umanità. La muta natura di cui è intessuto anche il corpo di noi tutti – quel corpo che per noi è insieme destino e identità, che ci è più estraneo e più intimamente vicino d’ogni altra realtà al mondo – diventa umana, diventa *io*, diventa *tu*, diventa *noi*, attraverso il simbolo e il linguaggio.

    Da sempre, il linguaggio per dire queste cose è il linguaggio religioso (insieme a quello poetico). Però, oggi la maggioranza degli italiani pensa che il linguaggio religioso abbia qualcosa da dire solo “ai credenti”, cioè a quelli che vanno a messa e votano in massa Berlusconi. Insomma, per farsi capire è meglio modernizzarsi. Un linguaggio moderno adatto a dirle potrebbe essere la psicoanalisi lacaniana. Purtroppo, benché abbia letto con attenzione le difficili opere del controverso psicologo francese, non sono uno specialista e potrei distorcerle o usarle a sproposito. Va bè. Moderno per moderno, proverò a dirle con il linguaggio dei computer.

    Nel processo di produzione della specie umana, la Forma/Istituzione del matrimonio è per così dire l’interfaccia simbolica tra l’hardware della natura e il software della cultura. Questa interfaccia fa fiorire, sul desktop del linguaggio umano, icone quali “padre”, “madre”, “figlio”, “famiglia”, “nome”, “parentela”, “incesto”, “eredità”, “fratello”, etc. Cliccando su queste icone si azionano programmi di fondamentale importanza, la disinstallazione o la manomissione dei quali da parte dell’utente non esperto potrebbe provocare gravi e imprevedibili conseguenze, e perfino il blocco del sistema operativo. (Domanda: esiste, l’utente esperto?)

    Che avviene, se interveniamo sulla Forma/Istituzione simbolica del matrimonio stabilendo, per via giuridica e dunque come Amministratori di Sistema, che il fattore (uomo + donna) = (uomo + uomo) = (donna + donna)? In realtà non lo sa nessuno, ma si possono fare ipotesi logiche. (Non prendo in considerazione le proporzioni quantitative all’interno dei fattori, perché per quanto significative e addirittura sconvolgenti sul piano del costume, le proporzioni numeriche tra i coniugi non alterano la forma matrimonio).

    Ipotesi 1. Visto che (uomo + uomo) e (donna + donna) non dispongono di driver di collegamento con l’ hardware natura atti ad azionare il programma di produzione di esseri umani, per non violare la coerenza interna della nuova forma e l’eguaglianza funzionale tra i fattori togliamo alla Forma/Istituzione simbolica “matrimonio” la funzione di interfaccia simbolica tra hardware natura e software cultura, e ne individuiamo un’altra da determinarsi in seguito. Pro: incoraggiamo una tendenza di costume già in atto. Contro: la nuova Forma/Istituzione così affermata è sì egualitaria, ma priva di funzione, significato, centralità, potenza; concedere a tutti di accedervi è una beffa, e il rapporto costi/benefici dell’operazione è svantaggioso.

    Ipotesi 2. Se vogliamo conservare funzione, significato, centralità, potenza alla nuova forma dobbiamo garantire che continui a essere ordinata alla procreazione/cura dei figli e dunque alla riproduzione della specie. Problema: mentre il fattore (uomo + donna) dispone dei driver di collegamento con l’hardware natura, gli altri fattori (uomo + uomo) e (donna + donna) no. Per garantire la coerenza interna della nuova forma e l’eguaglianza funzionale di tutti i fattori, dovremo risolvere questo problema. La soluzione radicale e coerente è una sola: scollegare il software cultura dall’hardware natura, e installare un nuovo hardware e relativi driver di collegamento identici per tutti i fattori: (uomo + donna), (uomo + uomo), (donna + donna). Esiste questo nuovo hardware? Esiste eccome, ed è la Tecnica. Pro: è una grande avventura, al confronto della quale sbiadiscono le conquiste spaziali. Contro: impossibile sapere se e come funzionerà, dunque impossibile calcolare le conseguenze sui sistemi connessi in rete (tutti).

    Insomma. Il dibattito sul riconoscimento giuridico del matrimonio omosessuale, che porta logicamente con sé il riconoscimento del diritto degli omosessuali (in coppia o in formazioni numericamente diverse) ad allevare prole o alienata dai genitori naturali, o prodotta tecnicamente in varie (e non tutte prevedibili) forme, non verte principalmente sull’equiparazione di diritti economici e tutele sociali.

    Sul piano simbolico, spirituale e psichico, equivale al dibattito sull’ingegneria genetica e sulla creazione artificiale della vita umana.

    Sono esagerato, complottista, integralista, ufologo, rimbambito? Può darsi. Invito però a pensarci per un momento, se possibile mettendo da parte i pregiudizi. Chissà? Magari, in quel che dico potrebbe esserci una briciola di verità.

  45. A Buffagni

    1.
    A me pare che alla sua domanda: «se il matrimonio è un’istituzione in grave e apparentemente irreversibile decadenza, perché un gruppo di pressione internazionale ben organizzato combatte con intelligente determinazione per estenderlo anche agli omosessuali?» si possa rispondere (correggendo «intelligente determinazione» in un ‘con protervia’ o con ‘in modi miopi’) con una battuta: perché stiamo tornando o siamo tornati alle guerre di religione e non sappiamo più pensare al futuro in termini costruttivi.
    Lo aveva capito il solito (per me) Fortini, quando a proposito del conflitto Israele-palestinesi (sul quale dovremmo fare almeno un pensierino in questi giorni, mentre LPLC non apre bocca…) scrisse che, dopo il «declino delle forze tradizionali del conflitto sociale e l’ingresso di tutti noi in una età che sta ancora, ma ciecamente, cercando di identificare le nuove forme e forze schierate», stavano tornando «forme “arretrate”, mediovaleggianti, antilluministiche, fondate su conflitti “religiosi” [che] non riescono e neanche vogliono occultare il loro turpe compito di maschere» anche in Europa, dove si presentano nelle vesti di «finzione razional-democratica».
    Che anche la “questione omosessuale” possa essere riportata sulla scia aperta dalle “guerre democratiche” e possa essere usata come oggetto contundente o di penetrazione “coloniale”?
    Non so dirlo, non mi sento di affermarlo. Sarebbe però un bel paradosso vedere i perseguitati ancora una volta salire sul carro dei “vincitori” e chissà diventare addirittura (in futuro) persecutori.
    Tuttavia è vero che bisogni vissuti dalla gente comune “sulla propria pelle” o come “veri” e impellenti, trasformandosi in diritti da affermare collettivamente, affacciandosi sul palcoscenico dei conflitti politici maggiori e subendo il “monitoraggio” di quanti (lobby, servizi segreti, ecc.) continuano ad agire occultamente alla faccia della “trasparenza democratica”, possono essere sballottati in direzioni non volute o impreviste dagli stessi loro promotori, ai quali riconosco per principio e fino a prova contraria una certa dose di buonafede.

    2.
    « gli uomini possono nascere e morire, senza matrimonio? Non “al di fuori del matrimonio”, ma “senza che l’istituzione culturale *centrale* ordinata alla riproduzione/cura della specie sia il matrimonio”?».

    Davvero mi pare saggio rispondere – insieme – che non lo sappiamo. Concordo con la sua affermazione:« Sin dall’alba della storia umana, la Forma o Istituzione che ha reso specificamente umana e inserito nell’umana cultura la nascita degli uomini è universalmente stata il matrimonio» e dunque ammetto che per secoli sia andata così. Dissento invece con la conclusione. Lei tende ad accantonare gli incontestabili fenomeni di “corrosione” di tale Istituzione, a sorvolare sulle sofferenze “private” cui uomini e donne vanno incontro a causa della rigidità dell’Istituzione che implacabilmente raggiunge il “suo” scopo (la procreazione dei figli) e a mettere in primo piano soprattutto ed esclusivamente l’azione del «gruppo di pressione che persegue il riconoscimento giuridico del matrimonio omosessuale» e cercherebbe «la sua Stalingrado». La visione “strategica” di questi fenomeni sociali complessi, che mostrano l’accavallarsi di crisi del matrimonio, emersione di bisogni omosessuali in certi tempi e in qualche civiltà addirittura “normali” (ho portato l’esempio della Grecia antica), convogliamento giuridico-politico dei medesimi da parte di lobby o autorevoli personaggi occidentali verso l’obiettivo del matrimonio omosessuale, diventa troppo predominante e prefigura un fatto compiuto, che a me invece appare al massimo *in fieri* e dagli sbocchi incerti.

    3.
    Ancora sul rapporto natura/cultura. D’accordo anche qui sul fatto che alla «muta natura» è l’uomo che «attraverso il simbolo e il linguaggio» dà voce. E anche sul fatto che per secoli simboli e linguaggi hanno avuto un’impronta religiosa e poetica, che non può essere cancellata d’imperio e non riguarda solo i credenti (che poi non sono solo «quelli che vanno a messa e votano in massa Berlusconi»). Ma il monopolio del sapere religioso (e all’inizio dei poeti-sacerdoti…?) è anch’esso stato corroso dalle scienze. Da secoli, e non soltanto da Galileo o dalla rivoluzione industriale in poi. Con perdite e acquisizioni, vantaggi e svantaggi, attraverso momenti di scontro aperto e di “coesistenza pacifica” (come adesso), aperture a “nuovi mondi” e trasformazione di essi in incubi (sterminio scientifico da lager, bombe atomiche, ecc.). Possiamo disfarci del buono venuto dalle scienze a causa del pessimo in cui pur esse sono state coinvolte? E trovare un qualche rifugio dagli scenari apocalittici o repellentemente futuristi che a volte le nuove tecnologie lasciano intravvedere barricandoci nel solo linguaggio religioso o in quello religioso-poetico (perché ci sono stati anche i poeti che si sono staccati dall’impianto religioso…)? Trascurare persecuzioni, eccidi, stermini condotti anche in nome delle religioni? Dimenticare che quel linguaggio e pensiero religioso si fonda su un’immagine della natura statica e purtroppo astorica? Quando lei delinea la sua seconda ipotesi («Se vogliamo conservare funzione, significato, centralità, potenza alla nuova forma dobbiamo garantire che continui a essere ordinata alla procreazione/cura dei figli e dunque alla riproduzione della specie. Problema: mentre il fattore (uomo + donna) dispone dei driver di collegamento con l’hardware natura, gli altri fattori (uomo + uomo) e (donna + donna) no.) a mio parere fa una forzatura. I “driver” di collegamento con la natura li possono possedere anche una coppia di uomini o una coppia di donne. Non stanno solo nella procreazione. Non penso proprio che essi poi si possano davvero “scollegare dalla natura”. E, ripeto, il collegamento tradizionale uomo+donna non sempre funziona o non funziona più nei modi ideali che si è soliti immaginare. E poi le cose non cambiano dall’oggi al domani. Grazie di questo scambio.

  46. Caro Buffagni,
    non so se esiste una specie di centrale omo che svolga una funzione strategica nei confronti del matrimonio, non lo so e non m’interessa. M’interessa invece che singole persone chiedano così imperiosamente di accedere anche loro a tale istituzione.
    Così, se guardo ai singoli individui la cui opinione vado leggendo soprattutto sul web, devo prendere atto che questa richiesta si iscrive nell’alveo dell’ideologia dominante, quella che ci riconosce innazitutto come soggetti economici, c’è insomma la richiesta di accedere ad alcuni privilegi che la legge assicura alla famiglia. Non è un caso che molti cominciassero il loro commento rivendicando il proprio ruolo di contribuente fiscale dello stato.
    Naturalmente, tale atteggiamento in sè non determina quale possa essere il risultato, cosa questo eventuale allargamento dell’istituzione matrimoniale alle coppie omo possa causare alla stessa istituzione, malgrado l’evidente significato di consenso e condivisione implicito nell’atto di richiesta di accedervi, nessuno può escludere che si generi un efeftto opposto, che ne metta in pericolo la stessa sopravvivenza come lei adombrava.
    La differenza tra me e lei è che io non temo questa eventualità, potrei perfino spingermi a dire che nutro qualche speranza in questo senso, ma non credo che sia il caso che io tenti di convincere lei ed altri su un problema così complesso e fondamentale.

  47. Grazie davvero per gli spunti di elevatissima riflessione.
    “La storia procede, ma senza mete”. Non è cosa di poco conto da poter passare inosservata. È la storia dell’avvitamento ellittico della globalizzazione. Il tutto e l’indefinito. L’onda lunga della letteratura autorefenziale viene nuovamente spinta da questa irrealtà. Il problema è come filtrare la realtà dall’irrealtà.

    Se “l’autoreferenzialità postmoderna apriva il cannocchiale infinito delle riscritture che rimandavano solo a se stesse, e al fondo del quale non c’era nulla”, il realismo documentario ha in sé il rischio di portare in campo il dramma del nulla o la visione di un micro frammento della realtà.
    Dal nulla dell’ego si passa al nulla del reale.

    La letteratura arriva davvero sempre dopo la realtà? Ed il potere immaginifico dell’uomo che si strappa le carni di dosso per liberarsi da false immagini è davvero un sogno, o ribellione cosciente da meccanismi socio-culturali non più alla pari?
    Piuttosto che limitarsi a guardare un dramma, accostati al letto di un fiume, magari anche con un canocchiale bidimensionale, la letteratura non dovrebbe riguadagnarsi il ruolo egemone di traghettatrice?
    Mi trovo d’accordo con Lorenzo Marchese quando afferma che l’autofiction non sempre è squalificante. Perché arriva alla denuncia. E questa denuncia può essere tanto potente quanto specchio del reale. Essa stessa diviene documento, con suggello di autenticità. Forse l’originalità di una nuova letteratura (ipermoderna?) sta nella consapevolezza di un filo condutture de-localizzato, cioè diventare anche di scopo e non solo di genere. Sono gli scopi che fanno gli ideali, i generi sono solo sovrastrutture metaboliche.

  48. Buffagni, proverò a rispondere ad alcuni aspetti del suo primo commento – non ho il tempo di leggere tutto il carteggio telematico qui presente e chiedo scusa in anticipo se ripeterò cose dette da altri:

    1. «Non mi risulta che alcun diritto sia giuridicamente ascrivibile alle persone “perché si amano”.»

    È verissimo. Le coppie eterosessuali hanno diritti perché vogliono metter su famiglia, per usare una frase di uso comune, non perché ci sia un amore verificato, dentro quel progetto. In tal senso io sostengo che il matrimonio accessibile ai gay e alle lesbiche dovrebbe essere un automatismo giuridico in quanto se due eterosessuali si sposano per affettività reciproca o interessa, ciò, dovrebbe essere consentito anche a due persone omosessuali.

    Tuttavia le sfugge che il diniego delle istituzioni di fronte a questa questione di equità sociale viene agitata, proprio dai suoi avversari, in virtù del fatto che l’amore o la relazione che lega due uomini o due donne è, per sua stessa natura, inferiore, diversa – e quindi illegittima – rispetto all’amore “vero” rappresentato dalla coppia eterosessuale. Il dibattito, forse lei non lo sa, si è polarizzato, dentro il movimento gay, proprio sul diritto all’affettività: ci amiamo, vogliamo sposarci. Non è un diritto al cinismo, quello che si richiede. Sicuramente, quando un domani i matrimoni verranno approvati, ci saranno situazioni che nascono da interessi altri. Ma sta qui la novità del movimento gay, nel dibattito del matrimonio. Si pone al centro l’affettività. Il matrimonio storicamente inteso ha radici in forme contrattuali, con conseguente scambio di doti e “merci umane”, ovvero di donne. Può piacere o meno l’idea che gli omosessuali vogliano sposarsi. È innegabile, tuttavia, che tale anelito ha radici sostanzialmente nuove.

    2. «quando le scelte etiche e culturali devono tradursi in scelte politiche e giuridiche vincolanti per tutti, a chi spetta la decisione? Alla scienza? Al progresso? Al governo? Ai partiti politici? Ai gruppi sociali interessati? Agli elettori?»

    Qui si rientra nell’ambito del concetto di democrazia. Che è tale quando consente alle minoranze di essere uguali alla maggioranza dominante. Il matrimonio egualitario non sarebbe una scelta vincolante per tutti, d’altronde. Sarebbe un allargamento all’accesso del matrimonio per chi vuole accedervi. Adesso, c’è una domanda di estensione di democrazia. Lo Stato italiano è in grado di rispondervi, o no? E la società con quali argomentazioni, e di che natura, può continuare a considerare democrazia un insieme di prerogative valide per alcuni soggetti e non per altri? Forse dovrebbe porsi questo tipo di domande.

    3. «Il tasso di verità di una posizione filosofica aumenta via via che la sua formulazione si avvicina al 2012? E’ indubitabile che il contenuto di verità della filosofia di Winkler e Strazio superi quello della filosofia di Aristotele? Ma i problemi filosofici non erano “quei problemi che nessuno può risolvere per noi”? Questo postulato progressista alla Auguste Comte non è meno indimostrabile e arbitrario del postulato teista, e andrebbe almeno argomentato, non intimato.»

    Tra le verità di Aristotele ha considerato il sistema tolemaico? Perché in tal senso, potremmo dire che se vale ancora l’ipse dixit aristotelico, che forse lei non mette in discussione per “ipse dixit”, allora dovrà credere che l’universo è fatto in un certo modo. I problemi filosofici dovrebbero aiutarci a porci questioni sempre nuove, non a rimirare con certo autocompiacimento alle cose già assodate e lasciarle lì, nel museo della mente, per evitare di sollevare problematiche diverse.

    4. «“Inoltre, la “lettura intenzionale” dell’art 29 è logicamente insostenibile per un motivo molto semplice: nel 1948 non si sapeva che cosa fosse l’omosessualità. Infatti è stata riconosciuta come variante naturale del comportamento umano tra gli anni ottanta e novanta. E ancora più recente è il riconoscimento dell’idoneità omogenitoriale. 
Dato che i costituenti avevano un’idea prescientifica e dunque scorretta dell’omosessualità, che senso ha dare rilievo alla loro intenzione nell’interpretare la Costituzione?”»

    Nel 1948 si sapeva cosa fosse l’omosessualità in termini di comportamenti umani, ma a quei comportamenti si dava un’aggravante basata sull’idea di natura. Non voglio difendere il pensiero di Buffoni. Ma mi pare di capire che il procedimento culturale messo in atto, parte da quel concetto per smentirlo. La natura pensa se stessa? No. Per natura intendiamo la biologia? Oppure un’etologia umana? In entrambi i casi i dati di queste scienze, applicati all’omosessualità non contraddicono il carattere “spontaneo”, quindi, per parlare un linguaggio dei detrattori, “secondo natura” della sessualità e dell’affettività omosessuale. Premesso questo, che inficia il ricorso al concetto di natura, si passa a un altro punto della questione: posto che la natura può “essere”, secondo quei canoni da cui si partiva per negare la “natura” di gay e lesbiche, bisognerebbe approcciarsi alla questione con basi totalmente nuove. Ci prova Louis-George Tin ne “L’invenzione della cultura eterosessuale”, che parte da una domanda niente affatto banale: quali sono le ragioni dell’eterosessualità. Rimando alla lettura, sicuro che la troverà avvincente.

    5. «“Il riconoscimento dell’idoneità omogenitoriale” non è stato “riconosciuto” come si “riconosce” l’esistenza di un pianeta sinora ignoto che ci appare grazie a un più moderno telescopio: alcuni studiosi la *affermano* con argomentazioni sociologiche e psicologiche, mentre altri studiosi la *negano* con argomentazioni sociologiche e psicologiche.»

    Fino ad oggi, ci sono gli studi dell’Associazione Psichiatrica Americana che sostengono, in base a criteri di tipo scientifico, l’assoluta ideoneità dell’omogenitorialità. E vi sono pareri contrari da parte di associazioni di sedicenti psichiatri che invece di criteri scientifici si rifanno a fatti di tipo dogmatico, religioso… come se lei andasse dal dentista per una carie e il suo medico le desse in mano un breviario di preghiere, per lenire il dolore conseguente.

    6. «Tralascio l’identità scienza = verità implicitamente stabilita da Buffoni, suggerendogli di fare due chiacchiere con uno scienziato vero (vedrà che sorprese!) e vado al punto. In materia etica, politica, giuridica, estetica, filosofica, etc. non esistono “verità scientifiche” nel medesimo senso in cui esistono “verità scientifiche”, vale a dire “certezze” o “esattezze” ( e non “verità”, che è un concetto religioso o filosofico) nelle scienze dure.»

    La scienza, in quanto prodotto umano, è mutevole. Siamo tutti d’accordo. Ma la scienza si basa su un aspetto che lei finge di non vedere: la concretezza del dato reale. Tra le prime navi che solcarono i mari del mondo e i moderni transatlantici vi sono intere generazioni di progresso scientifico mutato, cambiato, contraddetto, rinnovato. Eppure, l’evidenza del legno petrarchesco che sta comunque a galla e la modernità di un aliscafo non ci fanno dubitare della scienza legata all’ingegneria nautica. Converrà.

    7. «La mia impressione, temo fondata, è che per Buffoni scienza = verità = progresso, vale a dire più una posizione è moderna e progressista, più è “scientifica” e più è “vera” (specie quando coincide con la sua).»

    La scienza ci aiuta a definire, descrivere e conoscere il reale nel momento in cui quella viene prodotta. Alle questioni legate all’omosessualità, si contrappongono parametri pseudo-scientifici (le cure riparative si basano su terapie ormonali e sulla pregheria, per intenderci) e le basi filosofiche della negazione dell’essere gay o lesbica hanno come punto di riferimento il discorso religioso. Che, piaccia o meno, è un discorso mitologico, in primis. Perché, anche se ci viene difficile credere il contrario, fino ad ora esiste ciò che possiamo provare a dimostrare. Il resto è esercizio psichico, sudoku filosofico, masturbazione teologica.

    Concludo il mio commento, scusandomi per la lunghezza, ricordando che lei ha perso di vista un fatto fondamentale: qui non si sta cercando di contrapporre due modelli filosofici. Qui si parla di vita delle persone. Nel modello concreto che si propone – lasciare che il diritto si espanda e accresca le garanzie democratiche di tutti – è garantita l’opportunità o la volontà, da parte di chi decide altrimenti, di non sposare persone del proprio sesso, di non interrompere gravidanze, di non determinare il fine vita.

    L’altro modello, quello basato sulla lettura dei testi sacri, per intenderci, in nome della fede di alcuni – pochi o molti, poco importa in uno stato di diritto – impone a tutti delle conseguenze dovute all’interpretazione di una lettura di argomenti mitologici.

    Non si offenderà, dunque, se le dico che io prediligo il criterio scientifico di Buffoni – che per altro non esclude ambiti extra-scientifici o, se preferisce, “romantici” nella gestione della propria esistenza – agli apprendisti stregoni di sempre. Come lei preferirebbe, credo, un bravo dentista a un guaritore armato di salmi e crocifissi.

  49. @Alberto Sagna
    molto interessante quello che dice, però è nella discussione sbagliata. Dovrebbe andare in quella “Ipermoderno”.

    It: pro matrimonio di coppie omosessuali, e pro adozione. ci penso ma non trovo argomenti contro, pur scervellandomi.

  50. Ringrazio tutti coloro che sono intervenuti in questa ampia discussione sulla mia pagina di diario novembrina. Oggi che sta per lasciare la homepage di LPELC, mi pare doveroso ricordare che questo post – unitamente ai seminari da cui deriva – mira in primis a dimostrare la centralità della letteratura (e dell’arte in genere) nelle trasformazioni del costume. E come, nella valutazione di questa centralità, sia essenziale tenere presente con competenza il contemporaneo divenire della cultura giuridica.

  51. a Dario Accolla e a Larry Massino.

    Indirizzerò la mia risposta a Dario Accolla, che ha rivolto una serie di critiche al mio primo intervento. Larry Massino, che mi chiesto “con che umanità” si potesse essere contrari alle adozioni omosessuali, può trovare una risposta argomentata molto bene (non da me, ma dalla psicanalista francese Claude Halmos) al punto 5. del mio intervento.

    Caro Accolla,
    anzitutto la ringrazio per le critiche e i suggerimenti, che sono sempre i benvenuti. Replico in sintesi ai suoi punti principali.

    1. “Ma sta qui la novità del movimento gay, nel dibattito del matrimonio. Si pone al centro l’affettività. Il matrimonio storicamente inteso ha radici in forme contrattuali, con conseguente scambio di doti e “merci umane”, ovvero di donne. Può piacere o meno l’idea che gli omosessuali vogliano sposarsi. È innegabile, tuttavia, che tale anelito ha radici sostanzialmente nuove.”

    Io non nego affatto, anzi sottolineo le “radici sostanzialmente nuove” dell’ “anelito” al matrimonio gay. Il matrimonio “storicamente inteso”, cioè quello fra uomo e donna, è da sempre l’istituzione culturale e simbolica ordinata alla riproduzione della specie umana. Se lo si ridefinisce giuridicamente “ponendovi al centro l’affettività” lo si ordina a uno scopo diverso, cioè a dire la soddisfazione psicologica e affettiva dei contraenti, che con la riproduzione della specie non ha rapporto necessario.
    In parole povere: il matrimonio serve per integrare simbolicamente nella cultura la procreazione di figli. I rapporti omosessuali sono fisiologicamente sterili. Che cosa c’entrano, con la riproduzione della specie? E quali conseguenze ha, sul piano simbolico e culturale, il passaggio dall’istituzione matrimoniale ordinata alla procreazione all’istituzione matrimoniale ordinata al soddisfacimento dell’affettività? Se trova il tempo per leggerlo, in un intervento successivo a quello da lei commentato ho cercato di immaginarlo. Le ricordo en passant che la riproduzione della specie e la sua integrazione nella cultura è primario interesse di tutti, anche degli
    omosessuali, che sono nati anche loro da un uomo e una donna, come tutti.

    2.” …[la democrazia] è tale quando consente alle minoranze di essere uguali alla maggioranza dominante. Il matrimonio egualitario non sarebbe una scelta vincolante per tutti, d’altronde. Sarebbe un allargamento all’accesso del matrimonio per chi vuole accedervi. ”

    Perchè il matrimonio possa essere “egualitario”, cioè a dire esteso agli omosessuali (e dunque, in linea di principio “democratico”, a chiunque abbia “esigenze affettive” da soddisfare a prescindere dal sesso, dall’età e dalle relazioni di parentela) è necessario che lo si faccia diventare qualcosa che non, ripeto *non* è, cioè a dire un’istituzione non più ordinata alla riproduzione della specie, ma al soddisfacimento dell’affettività dei contraenti. Tralasciando ogni altra considerazione, il soddisfacimento dell’affettività non ha rilievo sociale e istituzionale, la riproduzione della specie e la sua integrazione simbolica nella cultura, sì.
    Segnalo inoltre che le forme della “affettività”, proprio perchè intensamente personali, sono infinite e a volte stupefacenti. Se il soddisfacimento della mia affettività esige che io “metta su famiglia”, come dice lei, con una donna, un uomo e un minore (eventualmente mio parente), che facciamo? Istituzionalizziamo in una sottospecie di matrimonio, visto che tutte “le minoranze devono essere uguali alla maggioranza dominante”?
    La democrazia come la definisce lei importa che tutti gli esseri umani siano considerati effettivamente identici ed equivalenti, senza distinzione di sesso, età, facoltà, etc. Le uniche differenza che resterebbero fra gli esseri umani sarebbero a) l’inclinazione personale dell’affettività b) la quantità di denaro posseduta.
    E’ sicuro di volere qualcosa del genere? Ci ha pensato bene? E’ questa, secondo lei, la tutela della differenze? Guardi che oltre alla democrazia esiste anche la realtà.

    3. Non rispondo al suo punto sul tasso di verità della filosofia in rapporto con la data della sua formulazione, perchè ribattendomi così:

    “tra le verità di Aristotele ha considerato il sistema tolemaico? Perché in tal senso, potremmo dire che se vale ancora l’ipse dixit aristotelico, che forse lei non mette in discussione per “ipse dixit”, allora dovrà credere che l’universo è fatto in un certo modo”

    lei ha travisato intenzionalmente il mio argomento. Agli argomenti portati in malafede non rispondo.

    4. “…posto che la natura può “essere”, secondo quei canoni da cui si partiva per negare la “natura” di gay e lesbiche, bisognerebbe approcciarsi alla questione con basi totalmente nuove. Ci prova Louis-George Tin ne “L’invenzione della cultura eterosessuale”, che parte da una domanda niente affatto banale: quali sono le ragioni dell’eterosessualità. Rimando alla lettura, sicuro che la troverà avvincente.”

    Grazie del suggerimento di lettura. Guardi però che qui, nel dibattito sul matrimonio esteso agli omosessuali, la questione se l’omosessualità sia “natura” o cultura” non c’entra niente. Personalmente, non ho opinioni in materia. Nella Grecia classica l’omosessualità era largamente diffusa e socialmente accettata, e conviveva senza urti con una solidissima istituzione matrimoniale di tipo patriarcale. Il battaglione sacro tebano, temutissimo in guerra, era formato da coppie di amanti che giuravano di non abbandonarsi mai sul campo di battaglia, anche a costo della vita. Non mi risulta che le coppie di amanti del battaglione sacro tebano abbiano mai chiesto di potersi sposare, anche se sotto il profilo affettivo erano senz’altro assai più intimamente unite della media delle coppie di coniugi, di allora, di oggi e di domani.
    Ci saranno senz’altro tante “ragioni dell’eterosessualità” individuate dal libro che lei gentilmente mi suggerisce di leggere. Sarò lieto di scoprirle. Una, però, e fondamentale, gliela indico io: che senza rapporti eterosessuali l’umanità si estingue. E siccome non estinguersi è un obiettivo di importanza primaria, le società tutte, fin dall’alba della storia umana, hanno voluto e dovuto integrare nella loro cultura “le relazioni eterosessuali” che garantiscono la procreazione. Sinora lo hanno fatto con l’istituzione del matrimonio.
    E’ vero che oggi, la tecnica e la scienza consentono di riprodurre artificialmente la vita umana. Gli omosessuali, in effetti, potrebbero “democraticamente” accedere alla procreazione attraverso la tecnica. La invito a riflettere che un simile salto di paradigma culturale, simbolico, sociale avrebbe conseguenze impreviste e soprattutto imprevedibili per tutti gli esseri umani, omosessuali compresi. E’ sensato fare un simile salto nel buio per soddisfare l’affettività di chicchessia? Ci mettiamo a sperimentare la creazione artificiale della vita umana “per soddisfare l’affettività” delle minoranze, o anche delle maggioranze? Il gioco vale la candela? Tante opere letterarie ne hanno parlato, e che io sappia, non hanno mai previsto il lieto fine.

    5. “Fino ad oggi, ci sono gli studi dell’Associazione Psichiatrica Americana che sostengono, in base a criteri di tipo scientifico, l’assoluta ideoneità dell’omogenitorialità. E vi sono pareri contrari da parte di associazioni di sedicenti psichiatri che invece di criteri scientifici si rifanno a fatti di tipo dogmatico, religioso… come se lei andasse dal dentista per una carie e il suo medico le desse in mano un breviario di preghiere, per lenire il dolore conseguente. ”

    Questo è semplicemente falso. Se vuole fare affermazioni tanto recise, ha l’obbligo di informarsi meglio.
    Visto che trova particolarmente affidabili le istituzioni mediche americane, eccole l’abstract di un documento pubblicato quest’anno dall’ “American College of Pediatricians”:
    http://www.acpeds.org/Homosexual-Parenting-Is-It-Time-For-Change.html

    “American College of Pediatricians – March 2012

    ABSTRACT: Are children reared by two individuals of the same gender as well adjusted as children reared in families with a mother and a father? Until recently the unequivocal answer to this question was “no.” Within the last decade, however, professional health organizations,1 academics, social policymakers and the media have begun asserting that prohibitions on parenting by same-sex couples should be lifted. In making such far-reaching, generation-changing assertions, any responsible advocate would rely upon supporting evidence that is comprehensive and conclusive. Not only is this not the situation, but also there is sound evidence that children exposed to the homosexual lifestyle may be at increased risk for emotional, mental, and even physical harm. ”

    La psicanalista francese Claude Halmos, allieva e collaboratrice di Francoise Dolto, che con la religione, il medioevo e i breviari a posto delle anestesie non c’entra niente, in un lungo articolo del quale raccomando l’attenta lettura, e con il quale concordo parola per parola, dice quanto segue:

    http://www.psychologies.com/Planete/Societe/Articles-et-Dossiers/L-adoption-par-des-couples-homosexuels-et-l-enfant-dans-tout-ca

    *L’adoption par des couples homosexuels : et l’enfant dans tout ça?*
    […]
    Pour une psychanalyste, l’idée de ” normalité ” appliquée à la sexualité n’a aucun sens. Il y a en effet au départ, chez chaque être, une bisexualité psychique, c’est-à-dire la possibilité de pencher du côté du masculin ou du féminin quel que soit son sexe anatomique. Et le chemin qu’il prend dépend toujours de ce qu’il vit : de ses parents, de ses rencontres, des paroles qui lui sont (ou non) dites, etc. Aucun chemin n’est donc plus ” normal ” qu’un autre. …Partant de là, je considère que la reconnaissance, par la société, du couple homosexuel est normale et juste. Je déplore même, comme d’autres avant moi, que, par absence de courage politique, on ne l’ait pas, dans le cadre du Pacs, posée plus clairement comme telle.

    Cette reconnaissance implique-t-elle qu’un couple homosexuel soit ” la même chose ” qu’un couple hétérosexuel ? A l’évidence, non. Beaucoup cependant opèrent ce glissement et, réclamant le ” droit à l’indifférence ” – entendu en fait comme droit à l’indifférenciation (sexuelle) –, demandent que les couples homosexuels aient le droit ” comme les couples hétérosexuels ” d’adopter des enfants. Cela me semble une erreur grave.

    Pour le combat pour le droit à la différence car le droit à l’adoption – s’il était accordé – reviendrait à annuler l’avancée que représente la reconnaissance du couple homosexuel. Il ferait de cette reconnaissance une reconnaissance, non de la différence, mais du ” même “. Le reniement de la différence serait donc posé comme le prix à payer pour la reconnaissance sociale.

    Pour les enfants qui ont besoin de parents de sexe différent pour se construire, et je vais essayer de l’expliquer en précisant que je parlerai du droit à l’adoption et non du cas des parents ” devenus homosexuels ” qui continuent – après un divorce par exemple – à élever leurs enfants.
    […]

    Le problème essentiel que pose l’adoption n’est pas, comme on voudrait nous le faire croire, de savoir si un homme ou une femme homosexuels sont ” capables ” d’élever un enfant. Ils le sont à l’évidence ni plus ni moins que n’importe qui. Il est que l’adoption est, pour un enfant que ses géniteurs n’ont pu élever, la possibilité d’avoir des parents équivalents à ses parents biologiques. Permettre son adoption par un couple homosexuel reviendrait donc à lui dire :
    – que ces parents adoptifs (homosexuels) peuvent être l’équivalent de ses ” parents de naissance ” (forcément hétérosexuels).
    – donc, que la différence des sexes n’existe pas. En tout cas, pas en tant que différence susceptible… de faire différence, qu’elle ne ” compte pas “, qu’elle n’est – pour reprendre un mot de sinistre mémoire – qu’un ” détail ” de la vie.

    En quoi serait-ce grave de faire vivre cet enfant (et, avec lui, tous les autres) dans un monde où la différence des sexes serait conçue comme accessoire ? On ne peut le comprendre que si l’on se situe du point de vue de l’enfant. Or, il faut le constater, l’une des caractéristiques de ce débat est que l’enfant en tant que personne, en tant que ” sujet ” en est absent. On parle d’un enfant-objet. En atteste le livre-phare de la revendication pour le droit à l’adoption, “Des parents du même sexe” (Odile Jacob, 1998) d’Eric Dubreuil. Par exemple, on y lit (p. 80) : ” Le désir d’enfant n’est pas moins fort chez un homosexuel que chez un hétérosexuel. De ce fait, l’homosexuel doit avoir les mêmes droits qu’un hétérosexuel, par rapport à cela […], un homosexuel doit pouvoir se marier s’il le veut et avoir le droit d’avoir des enfants s’il le désire. ”

    Le propos a le mérite d’être clair : quiconque veut “l’enfant” a droit à “l’enfant”. Il est donc exclu dans cette perspective que l’on se demande à quoi l’enfant, lui, pourrait avoir droit, de quoi il pourrait avoir besoin. […]

    Quid de la construction psychique ?

    A vrai dire, l’idée qu’il y aurait une construction psychique de l’enfant – donc des conditions nécessaires à cette construction – semble ne venir à personne. L’enfant dont on nous parle est un enfant préfreudien. Un enfant d’avant la découverte de l’inconscient, d’avant la psychanalyse, d’avant que l’on ait été “y voir” ou plutôt “y entendre de l’intérieur” pour comprendre comment se construit l’adulte à travers le “petit d’homme”.

    – Faisant fi d’un siècle de recherches, d’interrogations et de découvertes, les tenants de l’adoption s’appuient sur un discours lénifiant sur ” l’amour “, conçu comme l’alfa et l’oméga de ce dont un enfant aurait besoin. (Alors même que l’on sait que l’on peut détruire un enfant en ” l’aimant “, simplement parce qu’à l’instar, par exemple, des mères que l’on dit ” abusives ” on l’aime d’un amour qui l’emprisonne.) Ecoutons encore un interviewé d’Eric Dubreuil : ” Ce dont un enfant a besoin, c’est d’amour, que ce soit deux hommes, deux femmes, un homme, peut importe. ”

    – Quand ils n’invoquent pas l’amour, les tenants de l’adoption s’appuient sur des déclarations qui frappent par leur manque de rigueur. Et l’on reste stupéfait devant le ” flou artistique conceptuel ” qui entoure les déclarations de gens dont on ne peut par ailleurs nier les compétences. Dans un article (publié dans “la Croix” du 8-9/11/1998), Françoise Héritier rappelait que la différence des sexes permet de penser. C’est sans doute du côté de son annulation qu’il faut chercher l’origine du florilège d’approximations théoriques auquel on assiste. On s’étonne, ainsi, de lire (dans l’Evénement du jeudi du 18-24/6/1998), sous la plume d’Anne Cadoret, ethnologue et chercheuse au CNRS : ” Comme dans les familles hétéro recomposées, un des problèmes majeurs concernant les familles monoparentales est le statut du compagnon ou de la compagne. Qui l’enfant doit-il appeler “papa” ou “maman” ? Chaque famille trouve sa solution. L’enfant reconstruit, plus ou moins symboliquement, sa généalogie. ”

    Qui dira jamais ce que peut être pour un enfant une reconstruction “plus ou moins symbolique” de sa généalogie ? Et comment peut-on sérieusement mettre sur le même plan les difficultés d’un enfant qui, dans une famille “recomposée”, ne sait pas s’il doit appeler “papa” le nouveau compagnon de sa mère, ou “maman” la nouvelle compagne de son père, et les problèmes de celui qui, face à un couple homosexuel, ne sait pas quelle femme il doit appeler ” papa ” ou quel homme il doit appeler ” maman ” ?

    Si l’on revient à l’enfant et à sa problématique (telle que révélée à ceux dont le travail est d’écouter leur souffrance psychique), on peut dire deux choses : d’abord qu’un enfant se construit et que, comme pour toute architecture, il y a des règles à respecter si l’on veut qu’il ” tienne debout “. Ensuite, que la différence des sexes est un élément essentiel de sa construction. Elle est pour lui un repère symbolique majeur et ce, pour deux raisons.
    Parce qu’elle est (avec la compréhension de sa place dans sa généalogie et celle de l’interdit de l’inceste) ce qui lui permet de construire son identité.
    Nanti de ces éléments il peut ” conjuguer ” sa vie à la fois :
    – au présent : ” Je suis un garçon ” ou ” Je suis une fille ” ;
    – au passé : “Je suis le descendant (ou la descendante) de tels hommes (ou de telles femmes) de mes lignées paternelle et maternelle” ;
    – et au futur : ” Plus tard je serai… un homme comme mon père, mon grand-père…, une femme comme ma mère… ”
    Sachant qui il est et d’où il vient, l’enfant peut savoir où il va : on constate ainsi souvent, en consultation, que le seul énoncé des divers éléments de leur identité permet à bien des enfants de ” se réveiller ” et de ” démarrer”.

    La différence des sexes est aussi l’une des premières limites que l’enfant rencontre.
    Essentielle et incontournable – car elle est inscrite dans le corps –, elle est aussi difficile à accepter pour les garçons que pour les filles, mais devient souvent, de ce fait, le modèle de toutes les autres limites : si je suis un garçon, je ne peux pas être une fille. Si je suis une fille, je ne peux pas être un garçon. Donc je ne peux pas être ” tout “. Donc je ne peux pas avoir ” tout “.

    Remettre en cause la différence des sexes reviendrait ainsi à faire vivre l’enfant dans un monde où ” tout ” serait possible : que les hommes soient des ” papas ” et aussi des ” mamans “, les femmes des ” mamans ” et aussi des ” papas “. Un monde comme celui de la toute- puissance magique où chacun, armé de sa baguette magique, pourrait abolir les limites.”

    Naturalmente, ci sono anche pareri analoghi di psicologi italiani, altrettanto aconfessionali, come ad esempio Italo Carta, ordinario di Psichiatria presso l’Università degli Studi di Milano, come risulta da questa intervista del 12/09/2012 a “La Stampa” di Torino: http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/getPDFarticolo.asp?currentArticle=1K6TEK

    La invito dunque a considerare che le sue posizioni in merito al matrimonio e alle adozioni omosessuali non, ripeto *non* sono postulati autoevidenti e difettano, anzi, di fondamento razionale; e che le posizioni avverse non, ripeto *non* sono tutte riconducibili un maligno accecamento ideologico oscurantista: al contrario, si fondano su seri argomenti d’ordine culturale e sociologico, e sull’esperienza clinica di qualificati psicologi.

    Se vogliamo parlarne, e vista l’enorme importanza del tema parlarne bisognerebbe, sarebbe bene sospendere e se possibile mettere da parte pregiudizi e malafede, e discutere con franchezza e rigore argomentativo.

    A richiesta, sono disponibile a tradurre l’articolo di Claude Halmos per chi fosse interessato e non leggesse il francese.

  52. a Franco Buffoni.

    Prego, si figuri; anzi, grazie a lei per aver sollevato la questione.

  53. a Ennio Abate e Vincenzo Cucinotta.

    Ringrazio entrambi per il dialogo corretto e stimolante. Alle obiezioni sollevate nei vostri ultimi interventi mi pare d’aver risposto nel mio ultimo post indirizzato ad Accolla e Massino.

    Solo una precisazione per Cucinotta.

    Non penso che esista una “centrale omo”. La campagna a favore del matrimonio e delle adozioni omosessuali viene condotta nel modo *normale* per la democrazia liberale di tipo americano, in corso di installazione anche in Italia.
    Cioè, per mezzo di gruppi di pressione, finanziati da industrie e gruppi di interesse di vario tipo, che commissionano ad aziende specializzate (think tank) l’elaborazione di “talking points” (argomenti spendibili nei media) e tecniche di marketing. Tra queste tecniche di marketing, sono particolarmente importanti gli interventi mirati sulle Corti di giustizia e sui media.

    Per esempio, per fronteggiare il problema degli ingenti risarcimenti per responsabilità civile votati dalle giurie popolari USA ai danni di aziende, medici, assicurazioni, ospedali, etc., gli interessati hanno raccolto fondi, e li hanno utilizzati per manipolare le elezioni delle Corti supreme (corti di ultima istanza) negli Stati (la maggioranza) in cui esse non vengono nominate ma elette.
    Come hanno fatto? Imprese specializzate hanno condotto ricerche approfondite sulla composizione delle Corti supreme, classificando i pareri di maggioranza e minoranza dei giudici. Dove le maggioranze favorevoli a confermare le sentenze di risarcimento danni per responsabilità civile erano risicate, hanno creato candidati favorevoli ai loro interessi, e dotandoli di finanziamenti milionari li hanno fatti vincere, così creando nuove maggioranze contrarie ai risarcimenti danni per r.c.

    Così, se in quegli Stati qualcuno intenta una causa (sempre difficile e costosa) contro una azienda, etc. per i danni subiti, può star certo che anche vincendo in prima istanza, in appello il verdetto sarà annullato, e come minimo gli toccherà di ricominciare daccapo. A questo punto, si rinuncia, perchè solo grandi aziende e analoghe istituzioni hanno i fondi sufficienti per affrontare i costi di un numero indefinito di processi.

    Tutto questo è legale, beninteso. La campagna per il matrimonio e l’adozione omosessuale viene condotta, in tutto il mondo occidentale, con i medesimi metodi. I finanziamenti vengono sia dalle comunità omosessuali, sia da aziende e gruppi d’interesse, perchè gli omosessuali sono un settore di consumatori affluent.

  54. Non ho tempo per rispondere punto per punto a Buffagni – almeno fino a lunedì – e a dire la verità non credo che ne valga la pena. Però vorrei spiegare cos’è l’American College of Pediatricians:

    “When the American Academy of Pediatrics passed its policy statement supporting second-parent adoptions by lesbian and gay parents in 2002, a fringe group of approximately 60 of the AAP’s more than 60,000 members formed the “American College of Pediatricians.”This group has been described by one of its charter members as a “Judeo-Christian, traditional-values organization,” that is open to pediatric medical professionals of all religions “who hold to [the ACP’s] core beliefs,” which are that “life begins at conception, and that the traditional family unit, headed by an opposite-sex couple, poses far fewer risk factors in the adoption and raising of children.”This group issued a position statement in January 2004 supporting the “age-old prohibition on homosexual parenting, whether by adoption, foster care, or by reproductive manipulation.”
    E, da Wikipedia: “The ACPeds website reports members in 47 states of the United States and five other countries, but does not disclose the total member count. The group’s membership has been estimated at between 60 and 200 members.”

    Fra questi c’è, per esempio, gente legata al Narth, il gruppo che crede di poter curare gli omosessuali, le cui posizioni sono universalmente screditate, e le cui pratiche di riorientamento sono considerate altamente dannose.

    Nella pratica esiste una mole immensa di studi indipendenti sul campo, compiuti in moltissimi paesi, che conferma senza eccezioni la sostanziale idoneità delle famiglie omogenitoriali,
    ed uno sparuto manipolo di negazionisti che fanno circolare al di fuori di seria peer review, ma lanciando innumerevoli comunicati stampa, dei pseudo studi cui guarda caso viene dato enorme spazio in un certo tipo di ambienti.
    La stessa cosa che succede nel campo del negazionismo del cambiamento climatico o di quello dell’olocausto, in pratica.

    Un esempio della deontologia professionale dei negazionisti: far passare per articolo o presa di posizione di una rivista quella che in realtà è una lettera al direttore:
    http://www.giornalettismo.com/archives/328952/la-bufala-dei-gay-che-non-possono-essere-buoni-genitori/

    In ogni caso, visto che l’omogenitorialità è una realtà non da oggi ( io conosco già il nipote, di una coppia gay) – è sugli studi – ma quelli seri – che bisogna basarsi, non sulle opinioni di chi pensa che un bambino educato da uno o due uomini o una o due donne possa far confusione nel riconoscere i sessi.

    Non c’è un solo punto, fra quelli sollevati da Buffagni, che regga fino in fondo. Lo stesso matrimonio non è affatto quel modello simbolico eterno che lui vorrebbe. Ancora oggi esistono tribù in cui la figura del marito-padre, nel senso che lo intendiamo noi, è sconosciuta.
    Molti studi etnografici hanno messo in rilievo l’estensione e la persistenza del modello di famiglia avunculare, in cui è lo zio materno che si occupa dei figli all’interno del clan. Perché la madre è sempre certa, il padre no -e spesso il suo ruolo non va oltre quello di metterci lo sperma. In Africa, prima di islam e cristianesimo, questo era un modello molto diffuso.

    sarebbe bene sospendere e se possibile mettere da parte pregiudizi e malafede, e discutere con franchezza e rigore argomentativo.

    Io credo che lei sia in malafede, o comunque scelga di ascoltare quelle campane che confermano i suoi pregiudizi. Anche volendo credere che lei non sapesse che l’American College of Pediatricians è un istituzione fantasma, l’ultima parte della sua risposta ne è prova lampante.

  55. @Buffagni m’arrendo. Mi interessava una valutazione sua, non quel po’ po’ di pezze d’appoggio, alle quali forse preferivo uno sguaiato DOVE ANDREMO A FINIRE! Prendo atto che stiamo su sponde diverse, intendo dire intellettualmente e moralmente… Per me lo Stato e la chiesa viaggiano separati, grazie, addio… Ma per lei questa pare essere una disgrazia (da vero reazionario, tecnicamente parlando). Bene, per fortuna mia adesso viviamo in uno Stato laico (NO LAIDO), dove tutti noi dobbiamo attenerci alle leggi. Io, per quel poco che mi è possibile fare, mi batterò per leggi favorevoli al riconoscimento legale delle coppie di fatto, pari al matrimonio o giù di lì, e per l’adozione di bambini per le coppie omogenitoriali, ritenendo che c’è anche un diritto all’affetto e alle cure che possono rivendicare i bambini medesimi (d’altra parte la chiesa cattolica ha fatto allevare per secoli gli orfani e i trovatelli in conventi di sole suore, che del resto, secondo varie testimonianze, non si facevano mancare nulla in termini di maltrattamenti…). Sì, Buffagni, sono orgogliosamente anticlericale. Però non mi consideri dogmatico, perché mi batterei con tutte le mie forze anche contro le eventuali storture dello Stato laico, specie se esso obbligasse Buffagni a sposarsi con un uomo e adottare figli… Lo stesso rispetterei le decisioni di un Parlamento dove la sensibilità cristiana e cattolica degli eletti, rappresentanti di tutti i cittadini, prevalesse numericamente. La saluto.

  56. a Marco e a Larry Massino.

    Caro Marco,
    per amore di discussione, passo sopra al tono offensivo del suo intervento e alle accuse ingiustificate di malafede; e invece di risponderle per le rime come meriterebbe, mi limito a invitarla alla calma, alla cortesia e al rispetto.

    Ho citato l’opinione dell’ACP solo per esemplificare l’esistenza, anche negli USA, di posizioni diverse da quella dell’APA, e non per imbrogliare chicchessia.

    Non sono uno specialista, e se l’ACP è poco affidabile come lei sostiene, mi scuso per non essermi documentato meglio.

    Claude Halmos, o Italo Carta, o gli altri clinici e studiosi avversi all’adozione omosessuale che non ho citato per non fare la Guida Monaci psicologica, non sono nè ciarlatani nè ideologi nè preti.

    Quando dicono che per la costruzione dell’identità del bambino, la differenza sessuale dei genitori (naturali o adottivi) è indispensabile, le loro posizioni non sono “opinioni” da bar, ma si basano sull’esperienza professionale e su un corpus teorico condiviso dalla comunità scientifica.
    Se vuole contraddire le loro e le mie posizioni, perchè non le discute nel merito?

    Altri studiosi, altrettanto qualificati, la pensano diversamente (cioè come lei). Semplicemente, su questa materia non c’è nè ci può essere certezza incontrovertibile, ed esistono pareri seriamente argomentati sia per la tesi che le preme, sia per la tesi da me condivisa.

    E’ questo, quel che mi premeva sottolineare replicando ad Accolla, che come lei dà per scontato che qualsiasi posizione contraria al matrimonio e all’adozione omosessuale sia frutto di oscurantismo, pregiudizio, cialtroneria e malafede.

    Lei addirittura tira in ballo un’analogia con il negazionismo olocaustico. Le pare il modo di dialogare razionalmente? La invito a riflettere, a calmarsi e ad ascoltare anche chi la pensa diversamente da lei.

    Le faccio altresì notare che io non ho mai detto, nè penso, che le posizioni favorevoli al matrimonio e all’adozione omosessuale siano una manifestazione malvagia di ideologie criminali, nè metto in dubbio la sua o altrui buonafede nel sostenerle, tranne quando è chiaro che qualcuno travisa intenzionalmente un mio argomento. Penso che le sue posizioni siano gravemente errate, e cerco di spiegare perchè. Faccia altrettanto, e vedrà che la discussione se ne gioverà.

    Quanto al suo esempio della famiglia avunculare, se ci rifletterà un attimo si accorgerà che non c’entra niente.
    Se voleva dimostrare che accanto al matrimonio monogamico esistono altre forme istituzionali ordinate a integrare simbolicamente e culturalmente la procreazione, ha sfondato una porta aperta (ne ho parlato io stesso in un intervento precedente). Qui però si parla di matrimonio e di adozione *omosessuale”. Le risulta che la famiglia avunculare fosse o sia composta da due zii o due zie?

    Se lunedì vorrà proseguire il dialogo, se possibile senza insultare, io sono qui.

    Caro Massino,
    non ci siamo capiti, mi dispiace. Sarà colpa mia, ma guardi che la Chiesa, lo Stato laico, etc., non c’entrano un bel niente in questa faccenda. Quando mai mi ha sentito invocare argomenti basati sulla religione?

    Vuole il “dove andremo a finire”? OK, eccolo qua.

    Dove andremo a finire, se ci dimentichiamo che tutti costruiamo la nostra identità simbolica, culturale e personale ponendoci, nell’infanzia, alcune domande, per poter rispondere alle quali la differenza sessuale, incarnata nei genitori (naturali o adottivi) è indispensabile?

    Dove andremo a finire se, con il pretesto dell’amore, cancelliamo la realtà e ce la reinventiamo à la carte?

    Dove andremo a finire se una persona intelligente come lei, ragionando su una questione di tanta importanza, invece di pensare con la sua testa, replica d’istinto rivendicando uno schieramento tipo tifo calcistico?

    Io sono un clericale tecnicamente reazionario, sto sulla sponda opposta alla sua che è orgogliosamente anticlericale, e quindi non posso che dire scemenze indegne di attenzione, inoltre le suore degli orfanatrofi sono delle sadiche. W Inter, e Abbasso Milan!

    Non faccia torto alla sua intelligenza e alla sua autonomia intellettuale! La pensi come vuole, ma la pensi!

  57. Penso che con gli ultimi commenti ci si avvii su una brutta china. Si sta rinunciando all’analisi e all’attenzione per quello che dice il nostro interlocutore (da presupporre in partenza su posizioni diverse dalle nostre). E invece di continuare a ragionare sulla base delle nostre conoscenze acquisite e meditate si sta passando all’indicazione delle “bibliografie” o all’esposizione delle opinioni “autorevoli”. Forse complicano (anche positivamente) il quadro. Ma se non le discutiamo? Buffagni ha messo in verità troppa carne al fuoco, citando un recente documento dell’American College of Pedriaticians, l’opinione della psicanalista francese Claude Halmos, la posizione di Italo Carta, ordinario di Psichiatria all’Università degli Studi di Milano. Bene. Perché non entrare nel merito e controbattere? Marco, invece di alludere vagamente alla «mole immensa di studi indipendenti sul campo, compiuti in moltissimi paesi, che conferma senza eccezioni la sostanziale idoneità delle famiglie omogenitoriali», ne proponga anche lui qualcuno. E ci si impegni ad analizzarlo e a discuterlo. Altrimenti si diventa impazienti, sbrigativi. E volano le accuse all’altro di essere «in malafede» o si ribadiscono le proprie convinzioni di partenza. Non sarebbe meglio allora passare del tutto la parola agli “esperti”, uscendo di scena, o darsi un appuntamento in futuro, dopo aver letto altri studi «ma quelli seri»?

  58. Non vorrei che la mia discrezione nel lasciare libero sfogo ai commenti venisse scambiata per equidistanza tra le “parti”, o addirittura per acquiescenza nei confronti di impostazioni di pensiero palesemente omofobiche. D’altro canto, per sapere come io la pensi, basta rileggere il mio post.

  59. Scusate l’intrusione. Non ho seguito tutta la discussione, troppo lunga e articolata per il tempo che (non) ho. Mi premeva però osservare una cosa.
    Vedo che alcuni commentatori (Buffagni e Marco), citano come pezze d’appoggio pro o contro l’adozione degli omosessuali teorie scientifiche. La scienza è una costruzione del sapere irrinunciabile per la nostra epoca, e molti dei suoi assunti sono tracimati ben oltre il ristretto campo specialistico e informano buona parte dei nostri atteggiamenti quotidiani. Tuttavia questo usarla come argomento decisivo in una discussione mi spiace. Essa è un sapere fra altri, e come tutti gli altri ha un suo peculiare rapporto con la realtà, una sua retorica, ed è fondata su visioni del mondo e assunti preordinanti che sono ideologici non meno di quelli di altri saperi. La scienza non ha il privilegio esclusivo del rapporto diretto con i fatti.
    Ricordo che siamo partiti da una suggestione di Buffoni sulla poesia che “si china” sui fili d’erba e sulla curiosità e sensibilità umane. Proviamo a tornarci?
    Si può essere d’accordo o no sull’adozione degli omosessuali, ma non sarà la scienza a fornirci la dimostrazione ultima. Sfido a dimostrare scientificamente che l’omosessualità sia “solo” naturale o “solo” culturale, la famiglia monogamica “solo” naturale o “solo” culturale, la famiglia eterosessuale “solo” naturale o “solo” culturale. Si tratta “solo” di argomenti usati per far fuori quello o quell’altro avversario dialettico da chi pensa che tutto il male stia nella corruzione culturale di una natura buona o viceversa che la natura sia ferina e la cultura un processo di ingentilimento civile .
    Saluti

  60. Gentile Buffoni,
    farebbe meglio a intervenire nei ragionamenti che si sta tentando di portare avanti lasciando da parte le etichette.
    E poi che brutto e altezzoso quel “lasciare libero sfogo”.
    Noi commentatori non ci permettiamo di usarlo nei confronti dei redattori di LPLC.

  61. a Franco Buffoni.

    guardi che ho risposto ai suoi ringraziamenti per elementare cortesia, visto che lei ha ringraziato tutti gli intervenuti senza qualificare, e dunque, magari involontariamente, anche me.

    Ma le “impostazioni palesemente omofobiche” a cui allude devono essere le mie, visto che qui, l’unico a dirsi contrario a matrimonio e adozione omosessuale sono stato io.

    Le faccio notare che mai, nei miei interventi, ho espresso odio, paura, disprezzo per gli omosessuali, o desiderio di discriminarli.

    Secondo lei, essere contrari a matrimonio e adozione omosessuale importa essere omofobi? Ne è sicuro?

    Guardi che non pochi omosessuali si dichiarano contrari a queste proposte. Per esempio, i 254 membri dell’associazione francese “Plus gay sans mariage” ( veda qui: http://www.seronet.info/article/xavier-bongibault-c-est-l-ouverture-l-inceste-et-l-ouverture-la-polygamie-56878).

    Sono omofobi anche loro?

    E se invece di appiccicare etichette di omofobia a chi la pensa diversamente da lei, si desse la pena di argomentare e contestare gli argomenti avversi che le vengono cortesemente proposti? Non sarebbe più efficace e sì, anche “democratico”?

  62. a Daniele Lo Vetere.

    La ringrazio. Sono più che d’accordo con lei, e l’ anche detto, con parole simili alle sue, in uno dei miei interventi precedenti.
    La scienza non è e non ha l’ultima parola, specie in un campo dove, al contrario di quanto avviene nelle scienze dure, non si danno certezze ed esattezze scientifiche.
    Ho citato una psicanalista e uno psichiatra al solo scopo di mostrare che non esiste, e non può esistere, lo schiacciante e ultimativo accordo “scientifico” al quale si riferivano i miei interlocutori di parere avverso.
    Fare la conta degli scienziati pro e degli scienziati contro per poi decidere chi ha ragione su una materia come questa mi sembra una sciocchezza definitiva. La responsabilità di capire e decidere è di ciascuno.

  63. a Marco e a Larry Massino.
    Caro Marco,
    per amore di discussione, passo sopra al tono offensivo del suo intervento e alle accuse ingiustificate di malafede; e invece di risponderle per le rime come meriterebbe, mi limito a invitarla alla calma, alla cortesia e al rispetto.

    Ho citato l’opinione dell’ACP solo per esemplificare l’esistenza, anche negli USA, di posizioni diverse da quella dell’APA, e non per imbrogliare chicchessia.

    Non sono uno specialista, e se l’ACP è poco affidabile come lei sostiene, mi scuso per non essermi documentato meglio.

    Claude Halmos, o Italo Carta, o gli altri clinici e studiosi avversi all’adozione omosessuale che non ho citato per non fare la Guida Monaci psicologica, non sono nè ciarlatani nè ideologi nè preti.

    Quando dicono che per la costruzione dell’identità del bambino, la differenza sessuale dei genitori (naturali o adottivi) è indispensabile, le loro posizioni non sono “opinioni” da bar, ma si basano sull’esperienza professionale e su un corpus teorico condiviso dalla comunità scientifica.
    Se vuole contraddire le loro e le mie posizioni, perchè non le discute nel merito?

    Altri studiosi, altrettanto qualificati, la pensano diversamente (cioè come lei). Semplicemente, su questa materia non c’è nè ci può essere certezza incontrovertibile, ed esistono pareri seriamente argomentati sia per la tesi che le preme, sia per la tesi da me condivisa.

    E’ questo, quel che mi premeva sottolineare replicando ad Accolla, che come lei dà per scontato che qualsiasi posizione contraria al matrimonio e all’adozione omosessuale sia frutto di oscurantismo, pregiudizio, cialtroneria e malafede.

    Lei addirittura tira in ballo un’analogia con il negazionismo olocaustico. Le pare il modo di dialogare razionalmente? La invito a riflettere, a calmarsi e ad ascoltare anche chi la pensa diversamente da lei.

    Le faccio altresì notare che io non ho mai detto, nè penso, che le posizioni favorevoli al matrimonio e all’adozione omosessuale siano una manifestazione malvagia di ideologie criminali, nè metto in dubbio la sua o altrui buonafede nel sostenerle, tranne quando è chiaro che qualcuno travisa intenzionalmente un mio argomento. Penso che le sue posizioni siano gravemente errate, e cerco di spiegare perchè. Faccia altrettanto, e vedrà che la discussione se ne gioverà.

    Quanto al suo esempio della famiglia avunculare, se ci rifletterà un attimo si accorgerà che non c’entra niente.
    Se voleva dimostrare che accanto al matrimonio monogamico esistono altre forme istituzionali ordinate a integrare simbolicamente e culturalmente la procreazione, ha sfondato una porta aperta (ne ho parlato io stesso in un intervento precedente). Qui però si parla di matrimonio e di adozione *omosessuale”. Le risulta che la famiglia avunculare fosse o sia composta da due zii o due zie?

    Se lunedì vorrà proseguire il dialogo, se possibile senza insultare, io sono qui.

    Caro Massino,
    non ci siamo capiti, mi dispiace. Sarà colpa mia, ma guardi che la Chiesa, lo Stato laico, etc., non c’entrano un bel niente in questa faccenda. Quando mai mi ha sentito invocare argomenti basati sulla religione?

    Vuole il “dove andremo a finire”? OK, eccolo qua.

    Dove andremo a finire, se ci dimentichiamo che tutti costruiamo la nostra identità simbolica, culturale e personale ponendoci, nell’infanzia, alcune domande, per poter rispondere alle quali la differenza sessuale, incarnata nei genitori (naturali o adottivi) è indispensabile?

    Dove andremo a finire se, con il pretesto dell’amore, cancelliamo la realtà e ce la reinventiamo à la carte?

    Dove andremo a finire se una persona intelligente come lei, ragionando su una questione di tanta importanza, invece di pensare con la sua testa, replica d’istinto rivendicando uno schieramento tipo tifo calcistico?

    Io sono un clericale tecnicamente reazionario, sto sulla sponda opposta alla sua che è orgogliosamente anticlericale, e quindi non posso che dire scemenze indegne di attenzione, inoltre le suore degli orfanatrofi sono delle sadiche. W Inter, e Abbasso Milan!

    Non faccia torto alla sua intelligenza e alla sua autonomia intellettuale! La pensi come vuole, ma la pensi!

  64. Segnalazione al Moderatore.

    Ieri sera verso le 22 ho postato un commento in risposta a Marco e L. Massino che non è ancora apparso.
    Stamattina ho segnalato il problema via email, accludendo in calce il testo dell’intervento da pubblicare.
    Immagino che si tratti di un inconveniente tecnico, che la prego di risolvere.
    Grazie e cordiali saluti.

  65. @Buffagni

    Effettivamente un suo commento era finito nello spam – adesso l’abbiamo sbloccato. Ha fatto bene a segnalarci il problema, scusi l’inconveniente.
    (gs)

  66. a Marco e Larry Massino.

    Ho risposto ai vostri interventi. La mia replica è apparsa in ritardo per un inconveniente tecnico. Visto che il post ha lasciato la home page, ve lo segnalo con questo micropost. Per chi desiderasse proseguire la conversazione, io sono qui.

  67. Sì, credo anch’io che ci sia una fretta incomprensibile di appartenenza. Per un anticlericale, un vero anticlericale, credo che non ci sia di peggio che rivendicare tale appartenenza, in fondo anche l’UAAR è una chiesa anch’essa, di tipo differente, ma sempre di chiesa trattasi. Eppure, se un merito dovremmo pretendere dall’anticlericalismo, dovrebbe essere costituito proprio dal potere esentarsi dall’iscrizione alla chiesa di turno.
    Come effetto di questo clima di contrapposizione, vedo ad esempio che non è stato colto il significato della posizione che ho espresso, che potrebbe essere sintetizzata con la seguente frase:
    “Gli omosessuali avrebbero potuto costituire una sorta di grimaldello per far saltare l’istituzione matrimoniale, ed invece succede l’opposto, che il matrimonio e la sua odiata matrice religiosa, hanno nei fatti vinto la partita riuscendo ad includere anche la comunità omosessuale nella parte di popolazione che vi si assoggetta, alla faccia dell’anticlericalismo e di tutto questo pretendersi come la punta più avanzata di un progresso non meglio specificato. Purtroppo, a me pare di dovere constatare l’estremo conformismo esibito dalle comunità omosessuali.”
    Amen!
    Rimane come parte per me più interessante della faccenda la sostenibilità di questo allargamento dell’ambito matrimoniale, ma questo ce lo dirà il futuro, non tutto è prevedibile.

  68. a V. Cucinotta.

    Lei scrive:
    “Rimane come parte per me più interessante della faccenda la sostenibilità di questo allargamento dell’ambito matrimoniale, ma questo ce lo dirà il futuro, non tutto è prevedibile.”

    Sì, questo è il vero enigma; anche se vi aggiungerei quest’altro, e cioè che per minime cause (la rivendicazione di una porzione percentualmente minima delle popolazioni, un piccolo % degli omosessuali) si sia riusciti, in diverse nazioni, a far saltare un istituto che, benchè tarlato, stava in piedi da qualcosa come cinquemila anni. La sproporzione è impressionante, come se con una cerbottana si riuscisse ad abbattere il Monte Bianco.

    Se è interessato al dibattito sugli effetti sociali di matrimonio e filiazione omosessuale, le consiglio di cercare sulla stampa francese, dove in questo periodo si trovano, in mezzo alla propaganda, anche dialoghi di buon livello tra le opposte posizioni, per esempio quello fra gli psicanalisti pro e contro convocati in audizione dal Parlamento francese.

  69. Scusi Ares, ma non capisco che rilevanza abbia la percentuale, il fatto di includere relazioni omo nel matrimonio, ne cambia la natura, è una cosa ovvia, e non dipende certo da quanti saranno tali tipi di matrimonio, strano che non sia ovvio anche per lei: su un piano simbolico, perfino un singolo caso è influente. come due conviventi che negli anni cinquanta osarono sfidare il religioso che li aveva additati come concubini citandolo in giudizio.

  70. ad Ares.

    Se legge i commenti precedenti, trova la spiegazione che cerca.
    In pillola: il matrimonio non è un contratto che celebra e festeggia l’amore di due (o più) persone. Il matrimonio è una istituzione ordinata alla riproduzione della specie umana all’interno della cultura, il che importa, naturalmente, che a contrarlo siano un uomo e una donna (o un uomo e più donne, o una donna e più uomini). Le relazioni sessuali fra omosessuali sono sterili. Se le denominiamo giuridicamente “matrimonio”, l’istituzione “matrimonio” perde la sua ragion d’essere (riproduzione della specie) per tutti. Resta il nome, sparisce la cosa.

  71. Ah si, si infatti dovrebbe sparire come istituzione… visto che è luogo di accumulo di risorse che potrebbero essere spartite più equamente su tutti i cittadini.

    … hem … veramente sue donne e due uomini che si uniscono non sono sterili, alcuni di loro procreano come conigli. Ho due amiche carissime che hanno avuto 3 gemelli eterozigoti.. 2 femmine e 1 maschio. Sembra di entrare in un asilo nudo quando vado a casa loro… è meraviglioso ;o)

  72. I miei 2 zii di Monza sono sterili e non hanno figli, sono insieme da 52 anni e sono adorabili, mia zia in particolare, che è una zia acquisita è come una mamma per me. Loro, ad esempio hanno contratto matrimonio.. solo perché sterili non dovrebbero accedere ai diritti/doveri del matrimonio ? .. è questo che si sta sostenendo?.. ma sapete quanti soldi in assegni familiari ci hanno fatto risparmiare … e per giunta a turno si sono occupati dei loro nipoti…

  73. Caro Ares,
    perchè non si legge i post precedenti e poi magari pensa prima di scrivere?
    Se ha voglia di discutere seriamente io sono qua, se ha voglia di fare due chiacchiere per passatempo, io preferisco di persona, magari davanti a una tazza di tè.

  74. Non creda li ho letti tutti i commenti, solo che tutti mi sembrano scollati dalla realtà quotidiana, dall’esistente … dalla vita e dalle necessità oggettive delle persone. Non so, speravo di trovare interlocutori pragmatici, magari anche educati. Ho provato a pormi ad un livello diverso, credo di aver sbagliato. I sofismi letti disperdono l’attenzione dal reale e questo è un danno anche per chi quei sofismi li produce, perché egli stesso finirà per esserne vittima, prima o poi. Non le nascondo che alcuni commenti mi sono sembrati feroci, della stessa ferocia che solo una bestia in cattività è in grado di manifestare, e secondo me questo accade proprio perché si ragiona in astratto o peggio a livello simbolico e ci si scorda della necessità delle cose. Al tè rinuncio volentieri. Buona serata.

  75. Caro Ares,
    di solito, una discussione che cerchi di arrivare da qualche parte prevede che si critichino gli argomenti altrui, e se ne propongano altri.
    Gli aneddoti tipo quello sui suoi zii e le etichette come “sofismi” abitualmente si riservano alle chiacchiere in libertà.
    Anche la ragione, anche i simboli, anche le leggi fanno parte della realtà, non trova?
    I bisogni e i desideri dei singoli, anche di un solo essere umano, sono una cosa preziosa e importantissima. Qui, però, si parlava di provvedimenti legislativi. Le leggi valgono per tutti. Le istituzioni riguardano tutti. Come la mettiamo?

  76. Veramente avevo capito che si stesse parlando di come la legge non valga per tutti…
    Gli anenddoti parlano di casi particolari, e in un certo modo volevano svelare un’incoerenza …
    Adesso non è che devo proprio spiegarle tutto … ci pensi, e dopo aver pensato mi risponda.

  77. Ci ho pensato. Ecco qua il pensierino.
    1. il matrimonio è una istituzione ordinata alla procreazione. I casi di coniugi sterili sono patologie o eccezioni, non fisiologie o norme dell’istituto.
    2. i rapporti omosessuali sono fecondi soltanto con l’intervento di a) la tecnica b) un terzo, consapevole o inconsapevole, volontario o mercenario. Che fine fa questo terzo, in tutti gli aspetti della filiazione?
    3. il caso 1 e il caso 2 le paiono omogenei?
    4. la legge vale erga omnes ma non può decretare che il gatto abbai, o che i neri diventino bianchi.

  78. Sono perfettamente sovrapponibili, paradossalmente la coppia omosessuale, se fertile, da maggiori garanzie di procreazione, proprio perché non affetta da patologia, il terzo soggetto è regolabile con la stessa logica delle adozioni.
    Il quarto punto lo considero per quel che é: una vetusta provocazione.
    Notte

  79. Giorno.
    Secondo lei è un diritto, avere figli? E va dunque garantito dalla società consentendo a tutti l’accesso alle tecniche di fecondazione artificiale?

    Noti che se il figlio viene inteso come prodotto, più niente fonda la sua filiazione, che diviene una costruzione giuridica pura, indipendente dalle condizioni reali della sua nascita.

    Di conseguenza, in conformità alla logica del principio di eguaglianza assoluta tra le persone, in linea di principio tutto diviene possibile, e la nozione stessa di “padre” e “madre” diventa una costruzione giuridica volontaristica.

    Il concetto di coppia genitoriale non è più necessario: perchè due genitori e non tre o cinque? Perchè non potrebbero accedere al diritto di avere figli anche i parenti in linea retta (grazie alle tecnoscienze, non ci sarebbero problemi genetici)? Se c’è l’eguaglianza, se c’è il diritto, se c’è la volontà, se c’è l’amore…

    Da sempre la filiazione, anche nel caso delle adozioni, s’ispira al modello di coppia uomo-donna, e attribuisce al figlio una doppia linea di ascendenza, maschile e femminile. Se inauguriamo l’epoca della fabbricazione dell’uomo, senza tenere conto della logica della filiazione, annulliamo tutti i legami tra discendenti e ascendenti, e li dobbiamo riscrivere daccapo. In base a quali criteri?

    Per esempio, il terzo necessario. Il donatore dei gameti resta anonimo? E allora il figlio avrà due padri, o due madri, e due linee di ascendenza, entrambe o maschili o femminili. Se il donatore dei gameti ha nome e cognome, che si fa? Lo si mette nello stato di famiglia? La sua parentela materna e paterna entra nella linea degli ascendenti del figlio? Il figlio viene ad avere tre genitori? Due padri e una madre, un padre e due madri? O altrimenti il terzo può/deve cedere, rilasciando una liberatoria in cambio di una remunerazione, i suoi diritti sul figlio, come si può cedere il copyright su un’opera dell’ingegno? E in quest’ultimo caso, che fine fa il diritto del figlio, che attualmente ha il diritto ad essere riconosciuto come tale dai genitori naturali, eventualmente esigendo un esame del DNA?

    Quanto alla “vetusta provocazione”, le ricordo che i diritti non sono indifferenti alle qualificazioni dei soggetti. Il diritto all’istruzione dipende dall’età, come il diritto alla pensione, nè possono sposarsi parenti in linea retta, o i minori.

  80. Si, mi scusi, dovevo capire : se fosse per lei non si potrebbe nemmeno pensare un approdo sulla luna, solo perché li non c’è ossigeno.

    Le ricordo che queste realtà che lei teme, perché non riesce a pensare nell’immediato ad una loro regolamentazione, sono già in essere.
    Come la mettiamo con l’esistente? Se aspettassimo il suo dinamismo culturale in ambito giuridico tra qualche anno potrebbero nascere problemi non poco rilevanti.
    Mettiamoci mano e regolamentiamo lo stretto necessario, e aggiustiamo le cose strada facendo così come si fa con tutte le leggi. Perché le leggi sulla famiglia devono essere più complicate di altre leggi che riguardano l’umano ?.
    Con le leggi già scritte, poi, si potrebbero già garantire gli stessi diritti e doveri di cui godono le famiglie tradizionali anche alle coppie omosessuali.
    Certo è che se coma fa lei ci si fa un sacco di domande in astratto, senza volerci mettere mano, paventando complicazioni giuridiche che non esistono perché le leggi ci sono, vedi anche le leggi sulle adozioni – magari sistemate e adattate per accogliere e non allontanare – le nuove realtà familiari non vedrebbero mai riconosciuti il loro diritti, oltre che i loro doveri.
    Un’altra cosa che non capisco è perché alcune famiglie devono avere diritti che altre famiglie possono anche non avere … forse quei diritti e quei doveri non sono realmente necessari, alla famiglia tradizionale, se le famiglie omosessuali sono riuscite in questi anni a farne a meno … mi vien da dire che forse quel denaro andrebbe meglio ridistribuito , così visto da fuori, da uno come me che una famiglia e dei figli non li vuole.

  81. Caro Ares,
    tutte le leggi “riguardano l’umano”. In particolare, riguardano l’umano (la riproduzione del -) le leggi afferenti al matrimonio e alla filiazione.
    Dunque, sarebbe forse il caso di pensarci prima, e per bene, prima di modificare radicalmente le leggi che riguardano la famiglia: proprio per non far “sbarcare sulla luna, dove non c’è ossigeno”, le generazioni presenti e future.
    Visto che lei torna spesso sulla questione dei “soldi che andrebbero redistribuiti meglio”, la informo che i coniugi non godono, almeno in Italia, di particolari provvidenze economiche.
    Il principale beneficio aggiuntivo di cui godono i coniugi rispetto ai membri di una coppia omosessuale è la reversibilità della pensione. Se è questo che interessa, lo si può assicurare anche alle coppie di fatto comunque composte con una piccola modificazione della legislazione esistente. Non c’è alcun bisogno, a questo scopo, di introdurre il matrimonio omosessuale, e la proposta incontrerebbe ben poche opposizioni.
    L’altra principale tutela economica è l’obbligo giuridico di assistere il coniuge economicamente più debole, che però non è a carico della collettività, ma a carico del coniuge più agiato. Insomma, dal pdv economico sposarsi non è affatto un affare.
    Se vuole discutere nel merito le questioni che le ho proposto, sono qui.

  82. 1) “(..) proprio per non far “sbarcare sulla luna, dove non c’è ossigeno”, le generazioni presenti e future.”

    di quali generazioni parla? di quelle frutto di un matrimonio e che dell’istituto del matrimonio usufruiscono e usufruiranno?… e le geneazioni che di quell’istituto sono e saranno private, che mi dice? ?

    Io tale istituto lo eliminerei per tutti, in modo da no creare discriminazione. Che si riscrivi tutto, se lo si ritenesse necessario. Io non lo trovo necessario come istituto, è un istituto che, così com’è, crea ingiustizie sociali di grave entità etico politico e umane.

    2)Ci sono anche il diritto al congedo matrimoniale, i permessi di famiglia concessi al coniuge non necessariamente partoriente, i permessi mensili per la 104 nel caso in cui un dei coniugi cadesse in disgrazia…ed altri che mi sfuggono …hmmm…alcune aziende hanno contratti integrativi che favoriscono le cure mediche dei familiari, le pensioni integrative… etc.
    Sono molti di più i benefici economici, diretti e indiretti, la reversibilità della pensione è il più corposo ma non il solo importante.

    La tutela economica è l’obbligo giuridico di assistere il coniuge è un dovere/diritto che solo le coppie maritate hanno…non è un aggravio economico dello stato.. ma è un diritto “negato”.

  83. Abolizione del matrimonio, buona idea. E la proprietà, no?
    Ancora uno sforzo, caro Ares, per essere veramente repubblicano…

  84. Non sono così radicale, ma mi ci faccia pensare… se la proprietà proprietà, ha l’effetto di creare speculazine..e disuguaglianze gravi, come quelle di cui parliamo, direi ke potrei essere a favore dell’abolizione o meglio della messa in discussione.
    Notte

  85. Caro Ares,
    se lei vuole abolire o anche solo ridurre le diseguaglianze sociali, ne causano molte di più la proprietà e in genere i rapporti economici del matrimonio.
    Fino a poco tempo fa, le sinistre e i progressisti in generale lo sapevano, e si comportavano di conseguenza. Adesso, sulle diseguaglianze economiche stanno zitti, e alzano la voce sulle diseguaglianze fra coniugi e coppie omosessuali. S’è mai chiesto perchè?

  86. Perché hanno divorziato da Marx e vivono in una coppia di fatto con Messier Le Capital
    in attesa che Qualcuno benedica la loro nuova unione.

  87. Bronto: Ma hai letto?
    Sauro: Ho letto.
    Bronto: Hai visto?
    Sauro: Ho visto!
    Bronto: Come siamo messi.
    Sauro: Come sono messi.
    Bronto: Gli manca l’ABC.
    Sauro: Hanno dimenticato tutto.
    Bronto: Eh.
    Sauro: Oh.
    Bronto: Però pensavo…
    Sauro: Pensavi?
    Bronto: Allora. Si sa che ste menate dei diritti individuali sono le pippe di borghesi satolli e decadenti.
    Sauro: Si sa.
    Bronto: Che poi, coi soldi che c’hanno, figurati se un notaio o un avvocato che gli tolga le castagne dal fuoco non lo trovano.
    Sauro: O vanno all’estero.
    Bronto: Come Dolce!
    Sauro: Come Gabbana!
    Bronto: Ma metti, che so? una coppia di operai…
    Sauro: Operai?
    Bronto: Sì, operai. Loro i soldi, l’avvocato, il notaio, l’estero… Mica ce la fanno!
    Sauro: In che senso?
    Bronto: Beh, sì… come dire? E se in realtà l’opposizione fra conflitto di classe e quelle altre diseguanze là fosse un po’ fasulla… se in realtà ci fosse un punto in cui quella diseguanza là…
    Sauro: … quella diseguaglianza lì?
    Bronto: … quella diseguaglianza là fosse in realtà una diseguanza economica, sociale…
    Sauro: Ma che dici?
    Bronto: Era un esempio.
    Sauro: Operai?
    Bronto: Operay.
    Sauro: Gay?
    Bronto: Gays…
    Sauro: Uè! ma sei matto? Ma li hai visti?
    Bronto: Eh.
    Sauro: Certe spalle!
    Bronto: Certe gambe!
    Sauro: Alti, nerboruti…
    Bronto: Da certe parti sono quasi tutti africani…
    Sauro: Quegli occhi! quelle labbra!
    Bronto: Quel portamento!
    Sauro: Eh!
    Bronto: Ah!
    Sauro: Uè! Non può essere.
    Bronto: Non è.
    Sauro: Dài, ciao.
    Bronto: Ciao, che domani il Capitale ce ne fa un’altra.
    Sauro: Cioè?
    Bronto: Inaugurano l’autostrada del sole.

  88. Bambino 1 Per la giustifica va bene la firma del genitore 1 o del genitore 2.

    Bambino 2 Chi è il genitore 1? Papà Tizio o papà Caio?

    Bambino 1 Che scemo sei. Il genitore 1 è quello che ha più soldini.

    Bambino 2 Ah, ecco.

  89. @ Buffagni
    Ma così non vale! io scrivo in tono basso-mimetico, presentando due figurette realisticissime, e lei mi risponde col surreale spinto: i suoi bimbi non possono neppure esistere, visto che esclude esistano un papà Tizio e un papà Caio. E poi, lei è pure contro le unioni interclassiste? bisogna fidanzarsi previa compatibilità del 740? e la povera Cenerentola?

  90. Eh no che vale, caro Donnarumma.
    Se proprio vuole il realismo ipermimetico le riscrivo il dialoghetto in inglese o francese, ma prossimamente anche sui nostri schermi, vedrà (l’erba voglio non esiste neanche nel mio giardino).
    I bimbi così esistono eccome, esistono eccome i loro papà, e al giorno d’oggi, anche qui, anche tra coniugi vecchio modello, tutti fanno la separazione dei beni, sapendo di avere un 50% di probabilità di separare anche il resto.

    P.S.: guardi che io sono un ex ufficiale, un cattolico, un discendente di martire del Risorgimento + vari medagliati al valor militare, un laudator temporis acti, un patriota, uno che in giardino ha costruito un tempietto dedicato al Generale De Gaulle, un parruccone, e per finire, un ex elettore di Berlusconi (!)
    Contro l’interclassismo non ho proprio niente, anzi, vai col popolo e Viva V.E.R.D.I.

  91. Grazie Raffaele Donnarumma per il tuo splendido intervento, qui mi sembra che ci siano ancora dei pregiudizi impressionanti da estirpare.

  92. a Piras

    Non so se si riferisca solo ai “pregiudizi” di Buffagni o anche ai miei. Potrebbe, comunque, sprecarsi un po’ e dirci come li estirperebbe?

    a Donnarumma

    …e lei potrebbe fare un saltino dal postmoderno all’ipermoderno anche in questo post e spiegare in modi appena meno ironici, meno allusivi, meno obliqui e meno sintetici cosa pensa della questione?
    Sa, noi vecchi abbiamo bisogno di note a margine…

  93. Noi vecchi (ho 56 anni, se non si muore prima succede a tutti) abbiamo anche preso, in tenera età, il vizio dell’argomentazione e del dialogo razionale con le posizioni avverse e in generale con tutti, appena si può. Dev’essere un po’ come il vizio del fumo, che a forza di pubblicità progresso i giovani per fortuna lo evitano.

    In questi sessantaquattromila commenti alla questione “matrimonio omosessuale + omoparentalità”, le critiche alle mie posizioni reazionarie, salvo quelle di Cucinotta e Abate, si compendiano così:

    1) ho pregiudizi antiquati e/o omofobi, sono reazionario e di destra e quindi chi è moderno, non omofobo, progressista e di sinistra non può che avere posizioni opposte alle mie, a prescindere dal contenuto

    2) nei paesi più avanzati si fa così e tutti vivono felici e contenti

    3) “la scienza” ha dimostrato che ho torto (“la scienza” è poi, in buona sostanza, uno studio + dichiarazione favorevole alla “omoparentalità” della American Psychological Association: i pareri contrari di psicologi altrettanto qualificati, alcuni dei quali riportati qui, non sono stati degnati di uno sguardo o di una sillaba, forse perchè non americani)

    4) “l’eguaglianza” (non meglio qualificata) esige che si varino queste leggi, chi non le vuole è a favore della diseguaglianza e della discriminazione, e non accetta le differenze (qui ci sarebbe una contraddizione logica, ma non è stata rilevata)

    5) ai problemi giuridici e culturali che riguardano la filiazione, l’istituzione matrimoniale, l’intera struttura del giure, un costume che dura da cinquemila anni, ci penseremo poi, intanto facciamo come diciamo noi che abbiamo ragione

    6) poi siamo passati al simpatico dileggio con il dialoghetto “Jurassic Park”

    7) e per finire in bellezza, vai con la definizione “pregiudizi impressionanti”. Saranno anche pregiudizi, ma essendo condivisi da alcune centinaia di milioni di persone nel mondo, non tutte stupide e/o cattive, meriterebbero, se non altro per educazione o realismo politico, un minimo di attenzione: ma il fan del liberalismo Piras esorta a “estirparli”, senza dettagliare con quali metodi e dunque nel più puro stile allusivamente preoccupante da KGB. Che avesse ragione Berlusconi? Che esistano ancora “i comunisti”? E dire che io non ci credevo!

    E questo per quel che riguarda i giovani, o almeno così credo, a occhio e croce. La persona matura e iniziatrice di questo thread, F. Buffoni, non si è degnata di rivolgermi la parola se non per dire (senza nominarmi, forse per evitare il contagio) che le mie sono “impostazioni di pensiero palesemente omofobiche”. E bravo Buffoni, un colpo da KO filosofico degno di Aristotele, di Horkheimer, di Tyson…

    Complimenti: disegnate un bel panorama culturale, un’ impostazione epistemologica esemplare, cari progressisti! Li vedo in gran spolvero, l’illuminismo, la dea Ragione, la teoria dell’agire comunicativo di Habermas, il consenso per intersezione di Rawls, la democrazia, lo stato di diritto, le primarie del PD!

    Sintesi: finchè si scherza illuminismo & liberalismo & democrazia a palate, quando si fa sul serio, metodo Monti & UE: minestra o finestra.

    E ci voleva tanto?

  94. Il genitore 1 e 2 nn esistono nel quotidiano: igenitori nn hanno scala di priorità, esistono i genitori e basta; se fossero più di due… nn individuo il problema.

  95. Buffagni credo che lei faccia bene a voler conservare i suoi privilegi che l’hanno accompagnata per più di mezzo secolo e dei quali nn saprebbe fare a meno, ma non cerchi di convincerci che il suo sia il mondo migliore possibile per tutti, non lo é.

  96. Caro Ares,
    “L’ironia (dal greco antico εἰρωνεία; eironeía, ovvero: ipocrisia, falsità o finta ignoranza) ha come base e scopo il comico, il riso e finire nel sarcasmo, ma ha assunto anche significati più profondi. Di essi si possono dire tre accezioni:
    1.L’ironia interpersonale o sociale. Per questo tipo di ironia si tratta contemporaneamente di un tema, di una struttura discorsiva e di una figura retorica.[1][2][3] È sempre una “etero-ironia”, generalmente contingente e situazionale, per cui si ironizza su qualcosa o su qualcuno nel momento in cui se ne parla.
    2.L’ironia psicologica, che implica un tipo di indagine sul comportamento umano, per la quale si fa riferimento a Sigmund Freud, il primo che ne ha fatto oggetto di studio sistematico. È già in parte “auto-ironia” nel senso che i fenomeni di cui si occupa e i problemi che pone riguardano la mente umana in generale e quindi anche la psicoanalisi.
    3.L’ironia filosofica, che concerne il rapporto dell’uomo con la realtà extra-umana. È spesso “auto-ironia” perché il soggetto ironizzante è anche direttamente l’oggetto dell’ironia che fa. La filosofica si articola in indirizzi molto differenti, perché i quattro principali identificabili (socratica, illuministica, romantica, esistenziale) sono totalmente differenti l’uno dall’altro.

    In letteratura, l’ironia è una figura retorica in cui vi è una incongruità, discordanza oppure una involontaria connessione con il vero, che va al di là del semplice ed evidente significato della parola.

    L’ironia verbale e situazionale viene spesso usata intenzionalmente per enfatizzare l’affermazione di una verità. La forma ironica della similitudine, del sarcasmo o della litote può includere l’enfasi di un significato mediante l’uso deliberato di una locuzione che afferma l’esatto opposto della verità, o che drasticamente e ovviamente sminuisce una connessione di fatto.
    […]”

    http://it.wikipedia.org/wiki/Ironia

  97. @ Buffagni
    Hélas! Alas! Non siamo né in Francia, né in un paese anglosassone.
    Del suo ragguardevole curriculum mi consenta (!) di apprezzare solo quell’ex: e in quanto ex.

    @Abate
    Il mio pensiero è di una scorante semplicità: non ho nulla di sostanziale da aggiungere a quanto argomentato da altri prima e molto meglio di me. Credo che uno Stato debba garantire a tutti i cittadini uguali diritti, e di scegliere da loro a che cappio impiccarsi: se andare in chiesa o in moschea o in sinagoga o al casinò; se sposarsi, o convivere, o stringere un’unione civile o praticare il libero amore o vivere come eremiti. Non si tratta né di costringere gli uniti in matrimonio a figliare come conigli, né di abbattere un’istituzione vetusta: si tratta di lasciare al Tizio e al Caio di Buffagni la possibilità di scegliere: vedranno loro se diventare padri, o continuare a non esserlo.
    Questa la apprezzerai senz’altro, e potremmo cantarla insieme. Ma la metto anche per far dispetto a Buffagni, si capisce:

  98. Caro Donnarumma,
    tutto qui? Tutti i gusti sono gusti, fate un po’ voi ragazzi e siate buoni se potete? Hanno già detto tutto gli altri (che non hanno detto un gran che, come descritto sopra)?
    Scorante è scorante, semplice no, perchè lei, a giudicare da quel che scrive e da come lo scrive, semplice non è affatto.
    A dire queste platitudes, alle quali temo non creda lei per primo, lei non fa il vicario savoiardo, fa il pesce in barile. E’ più in carattere con il suo intervento “La vie en rose”, piuttosto che il “Ca ira”.
    L’avevo giudicata diversamente. Peccato.

  99. [@Buffagni
    Tutto qui: e ci credo proprio. Mi rendo conto che le deve sembrare proprio mostruoso augurarsi che ciascuno sia messo in grado di scegliere da sé. Quanto al suo richiamo ai voleri della maggioranza di alcuni commenti sopra: «et dilexerunt homines magis tenebras quam lucem» (lo dico in latino, per non risvegliare il trauma modernizzante del Concilio vaticano secondo).
    Che io sia semplice o complesso è irrilevante. Però, se posso, preferisco credere di far ridere, dicendo cose serie, che credere di dire cose serie, e far ridere.
    «Ognuno riconosce i suoi».
    Adieu – perdoni, ma ignoro le formule di saluto militare].

  100. Caro Donnarumma,
    in parole povere, lei mi fa del tifo calcistico.
    Io, il militare, il trauma modernizzante del Vaticano II, l’incapacità di capire la libertà di scelta altrui, le maggioranze antievangeliche = tifo Milan.
    Lei tifa Inter, e visto che “ognuno riconosce i suoi”, non ha senso dialogare con i miei argomenti, tanto al derby ci sprangheremmo comunque.
    Va bè, però che tristezza.
    E con questa, visto che girare in tondo non porta da nessuna parte, per me l’epistolario è concluso.

    (Nota esplicativa: Per lettera, i militari si salutano come gli altri esseri umani non militari, a seconda del grado di intimità personale e di formalità dell’epistola. Ciao, distinti saluti, un saluto affettuoso, cordialità, salutami tua moglie, eventualmente anche vaffanculo. Di persona, se in servizio, si fanno il saluto militare, l’inferiore in grado o il più giovane per primo, a tre passi di distanza. il superiore o il più anziano è tenuto a rispondere. Non rispondere al saluto costituisce offesa grave e infrazione al regolamento.)

  101. Che danni devastanti va facendo l’ideologia liberale: a quando gli intervenuti a favore della scelta personale inizieranno a raccogliere le firme per il matrimonio poligamico?
    Mauro Piras mi pare l’esempio più emblematico con quell’uso del termine “estirpare”. Mi pare che faccia il paio con le estirpazioni da parte degli USA e dei suoi alleati di tutti quei regimi che non capiscano quanto sia preferibile questo sistema liberale di estirpazione forzata: scegliere puoi scegliere, ma purchè tu non voglia scegliere che su alcune cose non si possa scegliere.
    La cosa che più colpisce è che in ossequio a un principio di conformismo intellettuale, si rifiuti ogni confronto di merito e perfino di uso della logica.
    Povera umanità, che brutta fine rischia di fare!

  102. [@ Buffagni
    Fortuna non sono un militare, allora: perché dovrei registrare «offesa grave e infrazione al regolamento». Non vado neppure allo stadio (tipico di certi intellettuali debosciati, non trova?). Apprezzo comunque la superiore eleganza e la calda umanità della sua prosa. Comunque…

    Simplex veritas
    1. Buffagni vorrebbe che tutti vivessero come dice lui.
    2. Io no.
    3. Meglio Buffoni che Buffagni.

    Una virile stretta di mano, e stia allegro!]

  103. Anzi no, caro Donnarumma,
    visto che lei ribadisce la sua dichiarazione di principio e attesta di credervi, io la prendo in parola e sul serio come lei merita, e appongo un post scriptum.

    Lasciare tutti liberi di scegliere “a che cappio impiccarsi” è comodo, ma purtroppo in molti casi impossibile, tranne che – in proporzione ai soldi che si hanno – al supermercato, al ristorante, al bordello, in libreria, etc.

    Prendiamo l’esempio da lei proposto: il “Tizio e il Caio di Buffagni” ai quali va lasciata “la possibilità di scegliere: vedranno loro se diventare padri, o continuare a non esserlo.”

    Facciamo l’ipotesi che Tizio e Caio scelgano di diventare padri. Tizio e Caio i figli non se li possono fare con i mezzi di bordo. Possono dunque: a) adottare un figlio altrui b) farne uno nuovo avvalendosi di un terzo, cioè una terza.

    Per varie ragioni che se lo desidera sarò lieto di illustrarle, in Italia l’adozione è difficile per tutti, anche per le coppie vecchio modello. L’adozione internazionale sta diventando sempre meno facile, perchè gli Stati interessati cercano di contrastare la compravendita di bambini, dilagata negli ultimi anni.

    Ipotizziamo che Tizio e Caio, vuoi perchè adottare è difficile, vuoi perchè desiderano un legame di sangue con il bambino, vuoi per motivi loro sui quali ci guardiamo dall’eccepire, scelgano di rivolgersi a una donna che sceglie di farsi inseminare da uno di loro per poi consegnare ai suddetti il bambino.

    Fare un figlio per conto terzi non è un favore da niente, e dunque, tranne casi rarissimi, Tizio e Caio dovranno ricompensare la signora per il disturbo.

    Va bene così, secondo lei? “Lasciamo scegliere” tutti? Tizio e Caio di diventare padri, Sempronia di noleggiare se stessa come fattrice e di vendere suo figlio Mevio?

    E veniamo al piccolo Mevio, il risultato della libera scelta di Tizio, Caio, Sempronia. Dove sta, la libera scelta di Mevio? Da nessuna parte, perchè come tutti i i nascituri, comunque e da chiunque messi al mondo, non sa scrivere e non può firmare il consenso informato, e dunque si tiene i genitori che ha, anche se sono tre e se sua madre lo ha fabbricato per venderlo. Bene così?

    Perchè veda, caro Donnarumma, la libera scelta è una bella cosa, e nelle materie indifferenti va certo assicurata a tutti: ma purtroppo, a volte la libera scelta di uno può diventare, e in effetti spesso diventa, il danno e addirittura la morte di un altro.

    Esempio: la libera scelta di abortire, garantita (a certe condizioni) dalla legge italiana a tutte le donne si traduce nella morte dei nascituri abortiti, e, in subordine, nella negazione del diritto dei padri dei suddetti nascituri a far valere la propria eventuale scelta contraria.

    In questo caso il legislatore ha valutato, per le mille ragioni che lei sa, che la libertà delle donne fosse valore preminente rispetto alla vita dei nascituri e alla volontà dei padri. A prescindere da quel che ne posso pensare io, la valutazione è stata fatta, il dibattito culturale e politico tenuto, la decisione presa, un diritto affermato (libertà di abortire) e altri diritti negati (diritto all’esistenza dei nascituri, diritto dei padri a intervenire nella decisione).

    Insomma, si è largamente discusso nel paese e si è deciso: a maggioranza parlamentare, com’è conforme al nostro ordinamento politico. E questo io, benchè personalmente contrario al provvedimento, lo accetto. Non accetto invece che si cerchi di far passare una decisione di grande momento come se andasse da sè, e chiunque la avversi fosse un omofobo superstizioso e/o un cretino; dunque, di soppiatto e senza serio dibattito che interessi in primo luogo chi dovrà, poi, rispettarla e e viverne le conseguenze (idest, il popolo italiano della presente generazione e delle future).

    E qui, per concludere, vengo alla questione delle maggioranze. Tirando in ballo il Vangelo di Giovanni, lei mi accusa di sostenere che le maggioranze hanno sempre ragione. Guardi che l’accusa è infondata. Non so se me l’abbia rivolta perchè irritato, o perchè non ha letto con attenzione quel che ho scritto. Comunque, rilegga. Ho scritto:

    “Saranno anche pregiudizi, ma essendo condivisi da alcune centinaia di milioni di persone nel mondo, non tutte stupide e/o cattive, meriterebbero, se non altro per educazione o realismo politico, un minimo di attenzione: ma il fan del liberalismo Piras esorta a ‘estirparli’ ”

    Come vede, ho semplicemente invitato Piras a pensarci bene, prima di esortare all’estirpazione di un “pregiudizio” condiviso da centinaia di milioni di persone, appellandomi a) alla buona educazione, perchè è maleducato (e sciocco, in verità) dire a metà dei viventi che non capiscono un tubo b) al realismo politico, perchè ammesso che si tratti di un pregiudizio, se è così largamente condiviso non lo si può “estirpare” se non ricorrendo a mezzi che metterebbero il freddo nelle ossa a Gengiz Khan.

    Personalmente, credo che un uomo solo possa avere ragione contro il resto dell’umanità. (No, non penso di essere io, quell’uno). Proprio per questo, rivolgo a lei e a tutti pressanti inviti al dialogo, al dibattito, alla critica e all’argomentazione razionale: perchè tutti possiamo sbagliare, e per correggersi, dialogare con chi ha diverse persuasioni è utile.

    Però qui (quasi) nessuno risponde. Mah.

  104. @ Donnarumma

    Il brillio dei suoi interventi non convince. Non argomenta neanche lei in questo post. Non è una bella cosa.
    Che significa «Meglio Buffoni che Buffagni»?
    Lo capirei se Buffoni o altri avessero risposto alle obiezioni di Buffagni. Che, al di là del suo “immaginario di partenza” del resto dichiarato da subito, offrivano vari spunti per una discussione seria su una questione niente affatto semplice.
    L’unico pensiero che poi, sempre telegraficamente, lei ha espresso è davvero «di una scorante semplicità». Finge (spero) di credere ancora che uno Stato stia là per «garantire a tutti i cittadini uguali diritti». Promessa restata sulla carta e indimostrata nei fatti dal 1789.
    E i «suoi» che ha scelto sono quelli che la pensano e si comportano così?
    Non mi pare una bella compagnia. Non canteranno mai i «Ça ira» che servirebbero oggi.

  105. Caro Donnarumma,
    vedo adesso il suo commento delle 8.30 di stamani.
    E se invece di fare lo spiritoso discutesse degli argomenti che propongo a lei e a tutti?
    E se invece di dileggiare il personaggino di Buffagni vecchio coglione militarista e dispotico che si sta inventando, leggesse quel che scrivo e mi spiegasse perchè ho torto?
    Le dirò, sono stupito. Gente così incapace di immaginare che esistono persuasioni e modi di vivere diversi dai propri, e di prestarvi un minimo di ascolto, non ne ho incontrati neanche fra i parà della Folgore, categoria umana non celebre per la sua apertura mentale.

  106. Caro Abate,
    in attesa dell’interpretazione dell’Autore (comunque non dirimente, dice la critica più avvertita) direi che in questo contesto “meglio Buffoni che Buffagni” significa che Buffoni la pensa giusta e Buffagni la pensa sbagliata, Buffoni è progressista e Buffagni è reazionario, Buffoni ha le idee di Donnarumma e Buffagni no, Buffoni è di sinistra e Buffagni è di destra, Buffoni è per la libertà e Buffagni per l’oppressione, e più non dimandare.
    In sintesi, Buffoni tifa la squadra di Donnarumma, Buffagni tifa la squadra avversaria. Intendiamoci, squadra dello sport preferito da Donnarumma al quale il calcio non piace. (A me piace la pallanuoto).
    Non siamo alle vette della polemica o del dialogo filosofico, ma questo passa il convento.

  107. Buffagni, il divorzio? Lo vogliamo ridiscutere il divorzio? E il concubinaggio? E il sesso prima del matrimonio? E l’adulterio? Le 8 ore vanno bene, o non sarà immorale lavorare così poco? Lo vogliamo dire o no che esiste anche un diritto dei padroni a far girare le costose macchine? E la scuola pubblica? Non era meglio quando i poveri erano analfabeti?

    Ritornando alla questione principale: ciò che ci divide, fondamentalmente, è che lei vuole uno Stato Etico, dove l’entità morale conta più delle libere scelte dei cittadini, che quando immorali, di conseguenza, vanno sanzionate (come succede negli stati teocratici tipo Iran). Io credo che lo Stato di Diritto, per quanto imperfetto, tuteli di più, e del resto non voglio introdurre nessuna pena per chi la pensa diversamente, purché non faccia reati (se possibile nemmeno faccia da base ideologica a reati purtroppo diffusi derivanti dalla cosiddetta omofobia, che a sua volta, però, a proposito di UAAR, in una società laica non può divenire reato). In base alle leggi dello Stato, Buffagni, nessun omosessuale è impedito a generare figli; né ovviamente sono impedite le lesbiche. Che facciamo, togliamo loro la prole? O cerchiamo di regolare con delle leggi situazioni di fatto già esistenti?

    Quanto all’adozione, lei può appoggiarsi a qualsiasi ricerca, ma io ritengo sia più umano dare una famiglia a un bambino piuttosto che lasciarlo in mezzo alla strada o nel limbo degli istituti (religiosi?).

    Ps: se possibile non si dilunghi troppo nelle risposte. Anzi, visto che le posizioni reciproche sono abbastanza chiare, può pure evitare di rispondermi, senza che io me la prenda.

  108. Caro Massino,
    grazie delle replica. Sarò brevissimo. Secondo le attuali leggi dello stato italiano, se uno, omosessuale o no, paga una donna per farsi partorire un figlio e poi tenerselo, commette svariati gravi reati, e la signora pure. Succede lo stesso? Certo che succede lo stesso. La legge non è una formula magica, che basta promulgarla e il comportamento che proibisce non c’è più. Secondo lei, è meglio legalizzare questa pratica?

  109. Risponde solo quando le conviene e con le modalità fumose mai sentite prima; io ancora attendo una risporta sensata e realistica alle mie domande dirette. Anche la ritirata é una strategi militare. ;o)

  110. @ Buffagni
    Non mi sottovaluti: se davvero avessi voluto dileggiare, lei o altri, sarei ricorso a ben altri mezzi. Tra ironia e vituperio se ce ne corre. E poi, non aveva promesso che chiudeva lì il suo epistolario con me? Che fa? Difende l’Ordine e poi non si attiene alle regole che lei stesso pone? Ah, non li fanno più quei bei reazionari di una volta! Carino, comunque, l’autoritratto di chi vede solo il proprio mondo. Invece, l’esegesi sillogistica («Buffoni ha le idee di Donnarumma») è scorretta.
    A me Piras pare tutt’altro che scortese (sullo sciocco, poi, via!).
    Quanto al povero Mevio: il paradosso è che a chi adotta si chiede un profluvio di garanzie che vengono riconosciute ipso facto ad Adolf Hitler e Eva Braun unitisi in legittimo matrimonio. La legge cerca di fare in modo che a Mevio adottato vada meglio che a Mevio Hitler. (E stia tranquillo: so bene come funzionino le adozioni in Italia, anche perché ho una coppia di carissimi amici che sta seguendo questa strada).
    La sua posizione è classica: ho sentito argomenti come i suoi moltissime volte. Hanno presupposti a cui non credo, e che altri qui le hanno (altrettanto classicamente) hanno contestato: ci si sposa per far figli; è cinquemila anni che facciamo così; i bambini hanno diritti sacrosanti; non ci sono garanzie che, dal punto di vista psicologico e sociologico, bambini allevati da gay crescano sani; eccetera. Lei trasforma un pezzo di storia in Natura e la Natura in figlia di Dio. Anche questo saran duemila anni e fischia che lo fanno… Se questi sono i classici, preferisco la tradizione dell’avanguardia. Ratzinger scriveva le encicliche a Wojtyla: leggerò quelle che scriverà lei per Ratzinger.
    La lascio alle sue vette: colassù, a me manca l’aria. Si metta una sciarpa, però: sta arrivando il gelo. Vedrà che in convento hanno già acceso i riscaldamenti.

    @ Abate
    Per pietà! ora bisogna star pure a spiegare i motti di spirito? Non fingo di credere a nulla: voglio, pretendo, esigo. E per quanto posso, faccio – visto che, senza un cambiamento culturale profondo, non ci si può attendere nulla. A dirla tutta, penso che discutere dei modi di adozione quando due persone omosessuali in Italia non vedono riconosciuta in nessun modo la loro unione, sia come chiedersi se per combattere la fame nel mondo è meglio Gualtiero Marchesi o Filippo La Mantia. Varrà per i gay la legislazione che vale per gli eterosessuali. Se poi dobbiamo aprire qui, a suon di commenti, anche una discussione sull’aborto, o la Natura, o l’Anima-il-Mondo-e-Dio, scòrarti pure ulteriormente: fate pure, ma io no.
    P.S. Guarda che il Ça ira per voce sola non funziona molto…

  111. Nessuno però che ancora voglia raccogliere firme per introdurre il matrimonio poligamico, eppure sembravate così compatti nel difendere le scelte personali…
    O forse va difeso solo il politically correct, e il matrimonio poligamico non lo è?
    Ancora a pensare che esistano scelte che sono solo personali e non coinvolgano in qualche misura tutta la società? Possibile che l’argomentare stia a livello della contrapposizione allo stato etico? Qualcosina di più decente no, stiamo a difendere la schifezza di società in cui viviamo per paura di non essere come gli iraniani? In mezzo non ci sta nulla, a nessuno passa per la mente che l’etica collettiva esiste, l’ethos esiste, chcchè se ne pensi, e negarne la funzione significa solo lasciarlo in mano a chi manipola l’opinione pubblica? A nessuno che passi per l’anticamera del cervello che la nostra è la società più conformista che sia mai esistita perchè non vi è discussione pubblica dell’etica, di cosa sia bene e di cosa sia male, lasciando così campo libero a chi, in assenza di criteri di riferimento, può obbligarci a tenere comportamenti di un certo tipo, dai comportamenti da consumatori in su? E questa sarebbe gente che ha studiato, che sa articolare un ragionamento, addirittura il fior fiore dell’intellighenzia? Che brutto spettacolo…

  112. @ Donnarumma

    “voglio, pretendo, esigo”…
    Allora, invece di Ça ira, si vedrà.
    I suoi motti di spirito non li spieghi. Se li tenga pure incartati.

  113. Buffagni, probabilmente è già diffuso anche il caso che dice lei (che secondo me pure andrebbe regolato dal diritto, non foss’altro perché nessuno può impedire a un uomo di andare a farsi fare un figlio in un paese povero, con l’aiuto di organizzazione più o meno legali, per poi portarselo al paese suo), ma mi riferivo di più a casi che conosco personalmente: madri sole che in seguito formano coppia con una donna; o vedovi/e che successivamente formano coppia omosessuale; lo stesso madri/padri separati ai quali sono stati affidati i figli dal tribunale. Lo capisce, Buffagni, che tante e tante situazioni di questo tipo non è possibile regolarle in base a giudizio di cosa è bene e cosa è male, al giorno di oggi, e dove vogliamo arrivare!? Lo capisce che esse pretendono una chiara legislazioni che non impedisca, come immagino avvenga ora, che il compagno/a di un genitore naturale non possa prendersi cura del figlio del compagno/a, nemmeno dopo anni e anni di convivenza?

  114. Certo che questo dibattito prolifera! E dire che Buffoni ha iniziato riportando la convinzione di Contini secondo cui la poesia italiana può fare a meno di Dante fintanto che c’è Petrarca: ma come?!

    Di mio devo dire che il più trasparente, ovvero il più esposto, è Buffagni, che non dice solo la sua: dice pure chi è lui. E, dico io, accidenti è così verosimile, il suo profilo con le sue convinzioni, che quasi faccio fatica ad accettare che una simile coerenza esista anche al di fuori di una trovata letteraria.
    D’altronde penso a me, trentenne di sinistra da sempre e nient’affatto cattolico, nipote di una militante analfabeta del Partito Comunista che trascurava i figli per portare i cestini con le colazioni agli scioperanti e ai manifestanti, a me accesamente anti-militarista e che ha sospettato di Berlusconi fin dal primo spot: anche io sembro la caricatura della persona-tipo che esprime le mie posizioni politico-culturali.

    Allora: una parola a Buffagni e alla sua, a modo suo, romantica difesa di una visione “naturale” dell’uomo che si sposa con una donna e ha figli, alla sua idealistica/ideologica – e onorevolmente trattata – convinzione che questa trinità innocente è la miglior difesa contro una decadenza della cultura e dei costumi:

    Buffagni, credo nessuno pretenda di convincerla del contrario delle sue convizioni, così come credo nessuno verrà convinto dalle sue, proprio perché il tema di cui qui si parla è culturale, cioè non ha una verità alle sue spalle da scoperchiare, ma una cultura quindi una civiltà davanti a sé da costruire.

    Alla sua romantica visione di un ordine funzionale rispondiamo – io e altri mi sembra – con un’altra visione romantica, un po’ più disordinata e inclusiva: che non “valuta” l’impatto dell’omosessualità sui destini dei popoli, ma che registra come le persone omosessuali ci siano sempre state e provengano da una storia plurimillenaria di discriminazioni e repressioni, e che si augura, con candore credo identico al suo, che garantire loro una unione civile, ottenere un quadro normativo che li rispetti e li tuteli, possa rappresentare davvero quel cambiamento epocale reputato necessario che fin qui l’umanità ha ottenuto contro altre discriminazioni: degli uomini sulle donne, di certe convinzioni politiche su altre convinzioni, di certe convinzioni religiose su altre.

    Sarà una civiltà migliore quella dove due uomini e due donne omosessuali avranno gli stessi diritti di uomini e donne eterossessuali? Credo di sì. Sarà una civiltà perfetta? ma certo che no! Non ci sarà scienza, non ci sarà argomento, non ci sarà esperienza che potrà sancire “razionalmente” il migliore tra questi due mondi: sicuramente sono due mondi mutamente esclusivi.

    Vedo nel mondo in cui spero io più inclusione che nel suo. Nel mio – ah, pesante parola – più libertà; nel suo più ordine. Lei vede nell’omosessualità una falla nel sistema centrale della famiglia. Io vedo nella sua visione della famiglia un nucleo ideologico che forse neanche merita la sua intelligenza.
    Lei ha una causa, e credo un po’ si auguri di affondare con lei; ha deciso sia la sua nave, con la mitologia eroica del capitano leale. Anche io ne ho una, di causa, stufa di misurarsi in sofferenze accettate, e che si augura le persone, con baffi o senza, non debbano essere discriminate se le bocche nelle quale infilano la lingua hanno i baffi o no.

    Credo la decisione, nel nostro ordinamento democratico, tocchi ormai alla cittadinanza, o meglio: al loro voto. Se la maggioranza degli italiani è disposta a questo passaggio di civiltà, se ci sarà una forza politica abbastanza coraggiosa da voler sostituire l”identità nazionale” con una più aggiornata e coerente alla realtà storica corrente- o forse no – a lei Buffagni resterà l’onore di essersi opposto fin dove le è riuscito. E viceversa.

    Qui non c’è più dibattito perché si sono esaurite le possibilità: o si riconosce l’omosessualità sia pari all’eterosessualità o no. Per me pari sono, dato che la preferenza sessuale mi sembra una tale minuzia. Per lei la preferenza sessuale è il tratto distintivo di una persona. Il resto è propaganda verso questa o quella visione.

    La saluto, e le esprimo una simpatia che neanche mi sarei sospettato: perché nella sua testardaggine, nella sua caparbia buona educazione linguistica, vien fuori il tratto più ammirabile di un conservatore.
    Naturalmente, spero la mia visione vinca la sua: semplicemente perché, a me pare, la mia è più bella.

    I miei saluti!,
    Antonio Coda

  115. A Roberto Buffagni.

    Da parte mia la volevo ringraziare per aver reso interessante un dibattito che inizialmente non pareva destinato nemmeno a svolgersi. Posso dirle, smentendo più d’uno, che le sue argomentazioni mi stanno facendo riflettere molto e, se non ho cambiato idea grazie a lei, è forse solo questione di tempo. In calce a un altro post lei scriveva che, secondo lei, alla fine a prevalere è sempre il vecchio uomo. Anche io lo penso spesso, ma non riesco mai a esserne sicuro. Il collegamento che lei istituisce tra adozione omosessuale e impero della Tecnica è illuminante e, a mio avviso, assolutamente azzeccato. Se fossi anch’io sicuro che alla fine prevale sempre l’uomo vecchio probabilmente le darei ragione. Tuttavia io dubito che qui non siamo di fronte a un mutamento irreversibile e che non si debba fare i conti con esso. Per citare Gunther Anders, uno dei più grandi filosofi del Novecento e uno di cui bisognerebbe parlare molto più spesso di quanto non si faccia, dubito che l’uomo, oltre che vecchio, non diventi antiquato.

    Un saluto cordiale,
    Roberto Gerace

  116. 1. I commenti ai post sono il luogo più inadatto a discutere di problemi come questi. Per parte mia, è la prima e l’ultima volta che faccio questo errore.

    2. Metodo
    a). Avanzare lo spauracchio delle eccezioni e dei casi-limite è un bel modo per schiacciare sotto i filosofemi le vicende reali di persone reali.
    b). Per converso: magari, al posto del senso comune, meglio un po’ di retto buon senso – anche se, mi rendo conto, è una cosa ben più difficile da pescare dagli stagni del caos dei tempi-che-corrono.

    3. Argomento dei cinquemila anni
    Da che mondo è mondo, il matrimonio è questa cosa qui.
    Se la regola è: «a casa mia si è sempre fatto così», tanto valeva restare nelle caverne. Il fuoco? un’invenzione diabolica! già vedo i fantolini perire tra le fiamme dei piromani! la ruota? per carotà! quante tenere fanciulle travolte dai carriaggi? i vaccini? e se uno ci rimane secco? meglio una bella epidemia di vaiolo, e non se ne parla più. I cambiamenti storici hanno un prezzo: non facciamo le viole mammole.

    4. Argomento dell’utero in affitto
    Varranno per le coppie gay le stesse leggi che per le coppie eterosessuali. Cioè: è un problema enorme, che riguarda tutti indistintamente. È capzioso citarlo qui. (Io, per me, sono estraneo all’ossessione del voglio-un-figlio-con-il-mio-DNA. Ho una grande ammirazione per chi adotta).

    5. Argomento della disparità economica
    Vd. sopra.

    5. Argomento della poligamia
    a) Scherziamo? La poligamia è una forma di discrimazione sessuale senza pari. Tu uomo tutte le donne che vuoi; voi donne zitte nell’harem. Che c’entra il politically correct? Qui stiamo parlando del tentativo di abolire delle discrimazioni, non di estendere in maniera ottusa il «paese che vai usanza che trovi».
    [b) Paradosso della poliandria: estendiamo la poligiamia anche alle donne, e creiamo lo poliandria. Peggio che andar di notte! Vorrebbe dire inserire una nuova forma di disparità tra coniugi (anzi, tra padrona dell’harem e mariti).]

    6. Argomento dell’adozione
    I. È sicuramente il tema più difficile, quello sul quale pronunciarsi qui è più sconsiderato. Comunque.
    Mio personale parere: prima almeno uno straccio di unione omosessuale riconosciuta, poi si parla del resto. (Gradus ad Parnassum). Preferisco l’unione al matrimonio: ma non mi salta manco per la testa di impedire il matrimonio a chi lo desiderasse.
    II. L’argomento dice: il bambino va tutelato. Un bambino adottato da due lesbiche o da due gay A) sarà meno equilibrato di quello adottato da una coppia etero; B) sarà svantaggiato, perché esposto alla discrimazione di una società non ancora pronta alle coppie gay.
    A. Può adottare solo chi è riconosciuto in possesso di un monte di requisiti, inclusi quelli economici e psicologici. Che due omosessuali maschi o femmine siano incapaci di allevare un figlio è una petizione di principio (cfr. 9).
    B. a). Ma allora perché far adottare alla coppia Paolo Carli – Emilia Fiori un bimbo nero? È pieno di posti, in Italia, dove lo tratteranno male! Salviamolo dal pregiudizio! Lasciamolo sguazzare tra la sabbia della Nigeria, no? O, se proprio proprio, datelo a una coppia afroamericana;
    b). visto che comunque, quando gli amichetti della 3B sapranno che Ivan è stato adottato lo prenderanno in giro e gli infliggeranno un trauma, non era meglio lasciarlo nel suo bell’istituto moscovita?
    c.) tanto Piero, quando saprà lui di essere stato adottato, ne avrà comunque un colpo. Meglio se rimaneva nella sua coloratissima favela, dove tanto nessuno se ne accorge.
    Ergo: o siete integralmente contro l’istituto dell’adozione, poiché ogni bambino adottato è esposto al trauma, o accantonate l’argomento. Adottare un bambino significa cercare di non fargli pagare per sempre il trauma a cui comunque è stato già esposto, dal momento che non ha i genitori che lo hanno messo al mondo. Sempreché:
    d.) non si cambia… appunto per non cambiare.

    Siamo massimalisti: immaginiamoci un posto dove la miseria, l’ingiustizia e l’infelicità – che non possono essere cancellate – almeno conoscano ragionevoli argini. Di più! Immaginiamo un posto dove gli individui siano messi in condizioni di compiere scelte etiche responsabili. L’ho sparata grossa, eh? Certo se uno fomenta il sospetto, la paura e l’autorità della nonna, stiamo freschi.

    7. Argomento della tecnica
    Anche l’emanicipazione femminile è in parte legata all’economia (le donne hanno iniziato a lavorare fuori casa) e alla tecnica (leggi: pillola). Quindi, visto che i soldi sono Mammona e la tecnica è Satanasso, anche l’emanicipazione femminile è un orrore da rigettare?

    8.Argomento delle scelte politiche e giuridiche vincolanti
    Ma da quando in qua sposarsi o far figli è un obbligo? nemmeno nel ventennio!

    9. Argomento della Natura, della prevalenza dell’uomo vecchio, dei gay-non-possono-allevare-figli, ecc.
    Questa è metafisica. Non sequitur. Giusto Platone voleva uno Stato retto su principi metafisici, che non risulta si sia visto neppure in Atlantide.

    10. Argomento dell’indebolirsi del matrimonio vero
    Sembra Fanfani contro il divorzio (http://www.youtube.com/watch?v=uDwbP4DanIk). Ma voglio essere generoso: è Agostino: se non costringete a mazzate gli uomini al bene, quelli precipitamo nel male.
    a. Non vedo perché se io, che sono gay, contraggo un vincolo legale con il mio compagno, impedisco a Carlo o a Chiara di sposarsi, o li istigo al divorzio. Tanto Chiara non me la impalmavo comunque, né lei avrebbe saputo che farsene di me. E se divorzieranno (speriamo proprio di no) non sarà certo perché hanno visto me e il mio compagno a braccetto;
    b. l’unione civile (o il matrimonio) tra omosessuali sarebbe la sanzione pubblica di un legame non solo sentimentale, ma etico, che al momento si fonda solo su se stesso – e che per altro, proprio per questo, ha radici etiche più solide di alcuni matrimoni benedetti dal parrocco, e tenuti insieme dalla convenienza sociale o economica.

    11. Argomento simpatia/antipatia dei proferenti tesi
    Ma che? è un argomento?

    Finalino.
    Chi è contro il matrimonio omosessuale è contro il progresso. No: è contro la felicità di un certo numero di essere umani. L’amore lo lascio ai Baci Perugina. Ma il diritto alla felicità dei singoli, da qualche parte, è persino oggetto di carte costituzionali.

  117. ad Ares.
    Con insulti codardamente anonimi come questo delle 14 di oggi: “Non tutti pagano per avere da una donna un figlio… a lei é sucesso Buffagni?”
    ti sei messo su una brutta strada. Vergògnati, e cambia finchè sei in tempo.

    a R. Donnarumma.
    Ma bene, anche le minacce di vituperio a distanza di sicurezza. Mi dispiace, ma per lei ho perso il rispetto. Se desidera argomentare, risponderò ai suoi argomenti. A lei, no.

    a L. Massino.
    Caro Massino,
    stentiamo a intenderci. Cerco di spiegarmi meglio. Ho proposto il caso del noleggio di persona a scopo filiazione per una ragione principale: esemplificare che la piena libertà di scelta per tutti ha conseguenze, a volte, inaccettabili (a me, e penso anche a lei, sembra una cosa inaccettabile e degradante per tutte le persone coinvolte).
    Lei mi ribatte che anche questo caso andrebbe regolato dal diritto, perchè se lo vietiamo qui e altrove è permesso, chi vuole farlo trasloca. Francamente, non mi pare sensato. Il modo di eludere una legge si trova sempre, avendone voglia e mezzi. Anche rubare impunemente è possibile, anche far ammazzare qualcuno, eccetera. Per questo, lei cancellerebbe dal codice penale i relativi reati? La nostra responsabilità, come cittadini e come Stato, si limita ai nostri confini: non possiamo, e per quel che mi riguarda non vogliamo, fare i gendarmi del mondo.
    I casi che mi cita, invece, di persone che hanno avuto figli da una relazione e poi si sono unite con persone del proprio sesso, noti anche a me, meritano certamente la massima attenzione e considerazione. Non sono un giurista, e per non dire sciocchezze non voglio proporre soluzioni al problema realissimo che lei solleva. E’ certamente necessario trovarle, e penso che sia possibile senza per questo buttare all’aria l’impianto del giure. Insomma, lei ha ragione, i casi esistono, le persone vanno salvaguardate, e il modo va trovato.

    ad A. Coda.

    Caro Antonio,
    spero che non le dispiaccia se prendo un tono un po’ da zio. Mi permetta di dirle che lei è un ragazzo a posto, sincero e seriamente benintenzionato. Mi fa molto piacere sentirle ripetere la parola “onore”, perchè così dimostra che lei non ha paura di farsi commiserare dai molti che la trovano ammuffita e ridicola. La ringrazio di cuore per le sue espressioni di stima, che ricambio. Concludo facendole rilevare solo un fraintendimento: quando lei scrive che per me “la preferenza sessuale è il tratto distintivo di una persona”, mi ha capito male. Non è così. Se quando avrà tempo e voglia rileggerà con calma quel che ho scritto, vedrà che i miei argomenti contro matrimonio omosessuale e “omoparentalità” non dipendono da questo, ma da un canto dallo snaturamento della istituzione matrimoniale, dall’altro dalla preoccupazione per gli effetti sulla personalità profonda dei figli.
    Ma di questo, se vorrà, discuteremo un’altra volta. Di nuovo la ringrazio e la saluto molto cordialmente.

    a R. Gerace.

    La ringrazio di cuore per le sue parole gentili, e per l’attenzione che ha dedicato ai miei argomenti. La sua allusione a G. Anders mi sembra molto appropriata. Avrà forse letto quel che C. Preve scrive a proposito di Anders. Trovo che lì, ci siano tante cose da meditare, e di immediata utilità per l’oggi: per tutti, e non solo per i vecchi parrucconi come me. La ringrazio di nuovo, le auguro di restare sincero e disponibile all’ascolto di vicini e lontani come è adesso, e le ricambio cordialmente i saluti.

  118. Caro Buffagni,
    “L’ironia (dal greco antico ε ρωνεία; eironeía, ovvero: ipocrisia, falsità o finta ignoranza) ha come base e scopo il comico, il riso e finire nel sarcasmo, ma ha assunto anche significati più profondi. Di essi si possono dire tre accezioni: 1.L’ironia interpersonale o sociale. Per questo tipo di ironia si tratta contemporaneamente di un tema, di una struttura discorsiva e di una figura retorica.[1][2][3] È sempre una “etero-ironia”, generalmente contingente e situazionale, per cui si ironizza su qualcosa o su qualcuno nel momento in cui se ne parla…etc… etc

  119. Rispondo al post di Raffaele Donnarumma del 3 dicembre 2012 alle 22:21.
    Cito i brani di testo di Donnarumma fra virgolette, e replico di seguito. Per comodità di lettura non segnalo le omissioni con i consueti […]. Chi voglia, può confrontare il testo integrale di Donnarumma in questa pagina.

    “2. Metodo. a). Avanzare lo spauracchio delle eccezioni e dei casi-limite è un bel modo per schiacciare sotto i filosofemi le vicende reali di persone reali.”

    Ho proposto il caso limite dell’utero a noleggio per dimostrare che la libertà di scelta non può essere illimitata, come sostenuto da lei nella sua precedente dichiarazione. Non è su di questo che si imperniano le mie argomentazioni, perché è evidente a tutti che, come avviene in diversi paesi, è possibile consentire la “omoparentalità” pur proibendo il noleggio dell’utero.

    “3. Argomento dei cinquemila anni. Da che mondo è mondo, il matrimonio è questa cosa qui. I cambiamenti storici hanno un prezzo: non facciamo le viole mammole.”

    Certo. In questo caso, però, si può decidere. Bisogna dunque vedere se questo prezzo vale la pena di pagarlo, chi lo paga, e chi decide in merito.

    “4. Argomento dell’utero in affitto”

    Rimando a quanto risposto al punto 2.

    5. Argomento della disparità economica

    Idem.

    “ 5. Argomento della poligamia. Scherziamo? La poligamia è una forma di discriminazione sessuale senza pari.”

    Io sono d’accordo. Altri no. Però, uno dei prezzi da pagare per il cambiamento storico da matrimonio come istituzione plurimillenaria ordinata alla procreazione a matrimonio come contratto privato rivolto a soddisfare l’affettività dei contraenti, del quale la procreazione è un effetto accidentale, potrebbe essere questo. Se alcuni uomini e/o donne scelgono di perseguire la felicità in questo modo, perché privarli di questo diritto? In base a quale logica la società glielo impedirebbe? Segnalo che in Argentina, di recente si sono legalmente sposate tre persone (non ricordo di quale sesso). E’ certo un caso limite, però è successo, e presumo che dove non è proibito possa succedere ancora.

    “6. Argomento dell’adozione I. È sicuramente il tema più difficile, quello sul quale pronunciarsi qui è più sconsiderato. Comunque. Mio personale parere: prima almeno uno straccio di unione omosessuale riconosciuta, poi si parla del resto. “

    Non ho niente contro le unioni omosessuali sul modello, per esempio, tedesco, dove il Ministro degli Esteri va in visita di Stato con il suo compagno. Restano però proibiti, colà, il matrimonio e le varie forme di “omoparentalità”, adozione compresa.

    “II. L’argomento dice: il bambino va tutelato. Un bambino adottato da due lesbiche o da due gay A) sarà meno equilibrato di quello adottato da una coppia etero; B) sarà svantaggiato, perché esposto alla discrimazione di una società non ancora pronta alle coppie gay.”

    Non ho mai portato questi argomenti, né li portano gli psicologi che ho citato. Non li ho mai portati perché non li ritengo validi. Trovo evidente che le coppie omosessuali sono in grado di allevare figli come chiunque altro abbia voglia e mezzi di prestar loro le cure e l’attenzione necessarie. Trovo meno evidente che ritrovarsi con due padri o due madri più un terzo donatore non abbia effetti seri, profondi e indesiderabili sulla costruzione dell’identità di un bambino. Chi desideri leggere un’argomentazione in proposito molto chiaramente svolta e che condivido sillaba per sillaba, può leggere l’articolo della psicanalista francese Claude Halmos che ho citato più sopra. Segnalo che esistono argomenti di altri psicanalisti, svolti con intelligenza e serietà, che sostengono il contrario, e cioè che avere due padri o due madri probabilmente non danneggia la costruzione dell’identità. (In questa materia il “probabilmente” è d’obbligo). Non concordo, ma invito a leggerli e a confrontare. Utile consultare sulla stampa francese il dibattito tra psicanalisti di opposte posizioni convocati in audizione dalla Camera dei Deputati.

    “7. Argomento della tecnica. Anche l’emanicipazione femminile è in parte legata all’economia (le donne hanno iniziato a lavorare fuori casa) e alla tecnica (leggi: pillola). Quindi, visto che i soldi sono Mammona e la tecnica è Satanasso, anche l’emanicipazione femminile è un orrore da rigettare?”

    La ruota e la pillola non sono l’ingegneria genetica. Qui il problema, anzitutto simbolico e quindi culturale e antropologico, è il possibile incardinamento della procreazione umana nell’ambito della tecnica. La tendenza è già in atto fra le coppie uomo – donna sterili, e il riconoscimento giuridico della “omoparentalità” la rafforzerebbe per evidenti motivi. Un assemblaggio tecnica-libertà di scelta dei genitori eliminerebbe la dimensione corporea dall’incontro che origina la filiazione, equiparandosi al rapporto corporeo/psichico fra uomo e donna (e nella dimensione simbolica potrebbe soppiantarlo, visto lo spirito del tempo). Questa è una cosa più che seria da valutare più a fondo che si può, perché questo sì, che sarebbe un cambiamento storico epocale dalle conseguenze imprevedibili per tutti (in questo campo, la letteratura ha parecchi suggerimenti da dare). Ricordo che il principio di precauzione non è utile solo in materia di centrali nucleari.

    “8.Argomento delle scelte politiche e giuridiche vincolanti. Ma da quando in qua sposarsi o far figli è un obbligo? nemmeno nel ventennio!”

    Nessuno obbliga nessuno a sposarsi. Le scelte politiche e giuridiche sono vincolanti in un altro senso: che se si muta il senso e la natura dell’istituzione matrimoniale per includervi gli omosessuali, questa istituzione avrà mutato di senso e natura per tutti, anche per le coppie di uomini e donne.

    “9. Argomento della Natura, della prevalenza dell’uomo vecchio, dei gay-non-possono-allevare-figli, ecc. Questa è metafisica. Non sequitur. Giusto Platone voleva uno Stato retto su principi metafisici, che non risulta si sia visto neppure in Atlantide.”

    A me risulta che di natura umana, ripeto *umana*, parlano, dicendo cose tuttora interessanti, anche filosofi come Spinoza, Hegel, tra i viventi italiani Costanzo Preve, nessuno dei quali crede in un Dio personale, nell’aldilà o nell’Atlantide.

    “10. Argomento dell’indebolirsi del matrimonio vero. Sembra Fanfani contro il divorzio (http://www.youtube.com/watch?v=uDwbP4DanIk). Ma voglio essere generoso: è Agostino: se non costringete a mazzate gli uomini al bene, quelli precipitamo nel male.”

    Il matrimonio si è indebolito, si indebolisce e si indebolirà da solo (nelle coscienze degli sposi e quindi nella società) senza bisogno di estenderlo agli omosessuali, perché lo spirito del tempo non favorisce e anzi osteggia tutte le forme di associazione umana non modellate sul contratto, e il matrimonio non lo è. L’estensione del matrimonio agli omosessuali non lo indebolisce, ne muta la natura giuridica e antropologica da istituto ordinato alla procreazione a contratto tra privati per la soddisfazione della propria affettività e per la ricerca della propria felicità, cioè a dire lo rende omogeneo allo spirito del tempo, cosa che qualcuno (forse molti) può trovare positiva. “Indebolire” e “mutare di natura” sono due cose diverse. Poi, certo, di solito un istituto snaturato si indebolisce.

    “11. Argomento simpatia/antipatia dei proferenti tesi. Ma che? è un argomento?”

    Infatti ai suoi argomenti rispondo, come anticipato.

    “Finalino. Chi è contro il matrimonio omosessuale è contro il progresso. No: è contro la felicità di un certo numero di essere umani. L’amore lo lascio ai Baci Perugina. Ma il diritto alla felicità dei singoli, da qualche parte, è persino oggetto di carte costituzionali.”

    Il diritto alla felicità dei singoli (come il diritto all’amore, o il diritto ai Baci Perugina) non è iscritto su nessuna carta costituzionale. Nella Costituzione statunitense è iscritto il diritto al *perseguimento* della felicità. Se per perseguire la propria felicità un singolo o più singoli devono a) snaturare una importante istituzione culturale e giuridica, con conseguenze imprevedibili b) rischiare di compromettere la costruzione dell’identità dei figli da loro adottati o tecnicamente generati c) far saltare l’intero impianto giuridico della filiazione, bè, discutiamone a lungo e con attenzione, vediamo qual è il valore preminente da tutelare, e dopo esauriente dibattito nel paese, decidiamo con voto parlamentare, in conformità all’ordinamento politico vigente.

  120. @Buffagni,
    si preocupi della personalità profonda sua, e dei suoi figli.

    Perdoni la fanchezza ma la sua frase
    :”(..)i miei argomenti contro matrimonio omosessuale e “omoparentalità” non dipendono da questo, ma da un canto dallo snaturamento della istituzione matrimoniale, dall’altro dalla preoccupazione per gli effetti sulla personalità profonda dei figli”
    mi fa dire:
    ma di quanta presunzione é intrisa la personalità di questo cattolico paterfamilias

  121. @ Buffagni
    Lei personalizza troppo la discussione: io ho risposto a argomentazioni sostenute qui o che ho sentito sostenere, indipendentemente da chi le avesse pronunciate. (Se posso, osservo che dar patenti di viltà, o di gentilezza, o di rispettabilità, o di disonore ai propri interlocutori in rete è, oltre che disutile alla discussione, un po’ ridicolo: per quel che ne sa lei, io potrei essere madreteresa in calzoni, o il mostro di milwaukee in versione partenopea).

    2.
    E dove mai avrei parlato di libertà illimitata – concetto che include la rapina, l’omicidio e il soffiarsi il naso nel fazzoletto altrui? Parlo invece di garantire agli omosessuali alcune delle libertà di scelta che ora sono appalto esclusivo degli eterosessuali.

    3.
    Anche non decidere ha un prezzo: chi paga lo sappiamo (i soliti); chi non decide è l’inerzia; a cosa giovi, invece, mi sfugge: se il matrimonio è di suo in declino, come afferma lei, allora in cosa gli può nuocere l’unione tra omosessuali? Ma vd. sotto.

    5.
    Guardi, non sono uno storico o un sociologo, ma so che il matrimonio e la famiglia non sono affatto istituzioni plurimillenarie: lei essenzializza. A quanto ho capito, il matrimonio e la famiglia come li conosciamo avranno sì e no, due-trecento anni. Il caso del ménage à trois nella pampa mi pare una nuova eccezione bislacca per atterrire fanfanianamente le genti. Non è che se uno a Pescasseroli ammazza il vicino di casa dobbiamo spopolare Pescasseroli e distruggere le abitazioni perché non esistano più vicini di casa. Anziché pensare a quei tre, pensiamo magari alle migliaia di coppie omosessuali esistenti in Italia, e che convivono da anni.

    6.
    I. Sarò più chiaro: per me, la priorità è la legalizzazione delle unioni, non l’adozione. A quella ci si può arrivare col tempo, con un po’ di sensatezza e di senso dell’opportunità, e con molta attenzione per la sorte di coloro che ne saranno coinvolti.
    II. Gli psicoanalisti possono sostenere A, B che è il contrario di A, e C che non è né A né B – come i giuristi, i medici, o i fisici delle particelle. La scelta è culturale, morale e politica: non la si può demandare all’inesistente oggettività della Scienza (fermo restando che, come ovvio, uno ascolta tutte le campane).

    7. Ma sottovaluterà mica il fuoco e la ruota nella storia dell’umanità? Mi sono già espresso: preferisco l’adozione. Sul genetismo, chiamiamolo così, degli ultimi decenni (cioè sulla tendenza a risolvere il simbolico in biologicamente determinato) ci sarebbero da scrivere volumi.

    8. Ma quello non è un vincolo: è un effetto possibile. E continuo a non capire perché, se si sposano due omosessuali, immediatamente il matrimonio eterosessuale ne viene svilito (evito io per lei l’eufemismo del mutare natura e senso). Vede bene che quest’argomento si espone molto facilmente all’accusa di omofobia. Aggiungo che, per me, gli omosessuali dovrebbero cercare di immaginare forme di unione diverse dal matrimonio tradizionale. Ma poiché si tratta, anzitutto, di un problema di riconoscimento di diritti, poiché veniamo pur sempre da una società che ha conosciuto e conosce il matrimonio, e poiché l’autocreazione riesce giusto a Zaratustra, in questo momento storico è inevitabile che si assuma il matrimonio a modello (seppure non esclusivo, spero): ce l’abbiamo dentro, tanto vale farci i conti.

    9. Che Spinoza ed Hegel dicano cose interessanti, è fuori di dubbio (Preve, mi spiace, non l’ho letto). Ma mi risulta altresì che il concetto di natura umana abbia iniziato a far acqua da Marx, Nietzsche e Freud (già, sempre loro): i quali, del resto, dicono un sacco di cose interessanti e utili tuttodì.

    10. Pensi quanto sono ingenuo: io credevo appunto che le istituzioni umane dovessero essere adatte alle esigenze storiche degli uomini. I sacramenti non mi interessano: sono ateo. E del resto pure i sacramenti sono cambiati parecchio nella storia, né sono gli stessi per cattolici e protestanti. Sul legame matrimonio-procreazione le han già risposto. Aggiungo che ridurre l’unione di due persone che decidono di vivere insieme a un contratto è parlare di algebra, dove invece parliamo di destini. Me li faccia conoscere, questi ragionieri che si mettono insieme per carta bollata: e io le presento dozzine di coppie che si mettono insieme per una marea di motivi, che hanno a che fare con la loro dignità di persone. Non scambiamo la forma eventuale con la sostanza. Da un certo punto di vista, è ridicolo che la maggiore nemica di questo desiderio di eticità riconosciuta sia la chiesa cattolica. Immagino che a lei non importi una cippa, ma per un omosessuale sapere che può unirsi legalmente con il proprio compagno gli cambia la vita, e di parecchio.

    Finalino.
    Scusi: ma mi sembra una distinzione di lana caprina. E poi:
    a) snaturare, indebolire (lei stesso prima distingue poi fa scivolare nella sinonimia): vedi sopra;
    b) e quale coppia eterissima le dà la garanzia di non tirar su un disgraziato? perché questo sospetto preventivo per le coppie gay, quando, semmai, abbiamo un’esperienza secolare di nozze e filiazioni catastrofiche, e che però (è il caso di dire) non hanno ancora indotto a buttar via il bambino (i matrimoni riusciti) con l’acqua sporca (quelli falliti)?
    c) senza dubbio; ma non vedo perché si debba «far saltare l’intero impianto giuridico della filiazione»: in che modo un’eventuale piccola minoranza di coppie gay con figli (poiché si tratterebbe appunto di piccola minoranza) farebbe franare le altre famiglie? Cosa teme? che nessuno più si sposi in chiesa, le regali i confetti e le torturi il fegato con cene ipercaloriche? Non è che, parlando dell’indebolirsi del matrimonio e di nuove forme di unione, scambia l’effetto con la causa? Se davvero, come dice, l’istituto del matrimonio è in crisi, perché non riformularlo? perché non consentire ad altri che ne sono stati esclusi la possibilità di costruire le loro esistenze secondo un progetto, in nome di un impegno assunto pubblicamente? Oppure dobbiamo scoprire che non solo la felicità della vita di coppia riconosciuta e tutelata, ma persino l’eticità spetta in esclusiva degli eterosessuali? Non è che, gratta gratta, si vuole tenere gli omosessuali in uno stato di minorità? lei sa cosa significa abbandonare un individuo alla pura soggettività delle scelte, senza tutele, senza garanzie, senza soprattutto l’occasione di dare un significato pubblico, sociale ai propri affetti e ai propri impegni con un altro? Lei sa cosa significa legare la propria vita a qualcuno, e lasciare che la frase «è il mio compagno» non abbia alcun peso di fronte alla collettività? Come si può impedire a una persona non solo l’esericizio di un diritto, ma la volontà di assumersi dei doveri di fronte a sé, agli altri? Non è che gli omosessuali sono gli eroi di un’irresponsabilità che molti sognano, e che a loro solo sarebbe imposta?

    Morale delle favola: garantiamo la possibilità di una vita giusta a tutti. Scriviamolo pure nei baci perugina, e poi spediamone una scatola ai tre della pampa.

  122. @Donnarumma
    Mi riferisco al punto 5 del suo intervento delle ore 22,21
    Beh, ma qui lei entra nel merito, esprime il suo punto di vista sul grado di discriminazione del matrimonio poligamico.
    In altre parole, ha già cambiato idea rispetto al giorno prima in cui testualmente diceva:

    “Il mio pensiero è di una scorante semplicità: non ho nulla di sostanziale da aggiungere a quanto argomentato da altri prima e molto meglio di me. Credo che uno Stato debba garantire a tutti i cittadini uguali diritti, e di scegliere da loro a che cappio impiccarsi: se andare in chiesa o in moschea o in sinagoga o al casinò; se sposarsi, o convivere, o stringere un’unione civile o praticare il libero amore o vivere come eremiti. Non si tratta né di costringere gli uniti in matrimonio a figliare come conigli, né di abbattere un’istituzione vetusta: si tratta di lasciare al Tizio e al Caio di Buffagni la possibilità di scegliere: vedranno loro se diventare padri, o continuare a non esserlo.”

    Tentando di conciliare i due successivi suoi interventi, si potrebbe riassumere dicendo che ognuno debba scegliere liberamente, tranne coloro che pretendono di scegliere ciò che per lei è inaccettabile.
    Caro Donnarumma, la logica è una cosa rigorosa, non accetta balletti di questo tipo, se si accetta che sposarsi tra gay sia una faccenda di loro esclusiva competenza, che cioè si tratti di una questione di nessuna rilevanza sociale, allora per questioni logiche non può poi ergersi a giudice del grado di discriminazione di una certa forma di matrimonio, non può improvvisamente sentirsi coinvolto in decisioni che appena il giorno prima aveva giudicato di esclusiva pertinenza di chi va a sposarsi.
    Io, difatti, a questo volevo arrivare, all’impossibilità di essere liberali sino in fondo, che non esista insomma uno spazio che sia esclusivamente individuale, ma che sta alla comunità stabilire volta per volta ed anche faticosamente quali spazi lasciare alle scelte individuali e quali magari revocare in un altro momento. Sul matrimonio gay, ho già espresso la mia delusione per l’evidente natura conformista della comunità gay, ma nel merito non ho granchè da obiettare, spero anzi che il matrimonio come istituzione scoppi a seguito dell’impatto di questi nuove tipologie che si introdurrebbero. Confesso che avrei preferito che fossero gli eterosessuali a scappare dal matrimonio, piuttosto che vedere gli omosessuali convergere su esso, ma paradossalmente il risultato potrebbe essere identico.

  123. @ Cucinotta
    1. Veramente, non vedo alcuna contraddizione. La poligamia è la negazione degli «uguali diritti» e della pari «possibilità di scegliere» che la legge dovrebbe garantire: storicamente, infatti, la poligamia è lo strapotere del maschio (che si può permettere un harem) sulle femmine (chiuse a chiave nel serraglio). È cose se mi ribattesse che tra i diritti di Tizio c’è pure quello di accoppare Caio, di ridurre in schiavitù Sempronio, di ardere la biblioteca di Alessandria. La poligamia è inaccettabile per me, ma spero non per me solo. Come ho scritto, non sono per il «paese che vai, usanza che trovi» o «visto che nel villaggio Tale tagliano al lingua ai mentitori, quando il talese si trasferisce a piazza Vittorio può mozzare lingue ai bugiardi».
    2. «Sposarsi tra gay è una faccenda di loro esclusiva competenza» ed è «una questione di nessuna rilevanza sociale»: ho detto l’esatto contrario. Tutte le forme di discriminazione non sono un affare dei discriminati: sono un guasto di tutta intera la società.
    3. La logica è una cosa rigorosa: ma l’argomentazione è una cosa sottile, e l’esistenza una cosa parecchio complicata (talora, anzi, piuttosto illogica). Se vuole darmi dell’illogico, basta citi il punto 1 delle 22.21. Se permette: quello che mi lascia perplesso in questa discussione, tra l’altro, è proprio una certa astrattezza. Non stiamo parlando della casistica degli accoppiamenti su Alpha Centauri o di cosa accadrebbe se avessimo tre piedi, ma di Gino Rossi, 32 anni, codice fiscale RSSLGU80A04A165C, fidanzato e convivente da 3 anni con Paolo Bianchi, 34 anni, codice fiscale BNCPLA78H19I869Z, domiciliati in via Verdi 5. Non vorrei (non dico a lei, eh) che la Logica fosse il nome per cancellare gli individui.
    4. «Impossibilità di essere liberali sino in fondo»: è un problema dei liberali, mica mio. Non tutte le forme di vita, le pretese, i desideri si equivalgono e sono giusti. Su questo, si contratta. Vince chi garantisce la maggiore felicità possibile. Escluderei proprio siano giuste le forme che si fondano sulla discriminazione e la violenza o la sanciscono.
    5. Lasciamo che sia Tizio a decidersi se è meglio sposarsi, convivere, contrarre un’unione civile, darsi al libertinaggio, mettersi il cilicio. Quanto all’auspicio sulla fine del matrimonio… Eh, che massimalismo! Se il meglio è nemico del bene, si figuri lei il peggio! Io poi vedo un sacco di coppie sposate che, nei limiti del possibile, vivono felici e contente. Poverini: avranno anche loro qualche diritto, no?
    Grazie.

  124. Buffagni ci vada piano. Prima ringrazia, poi mi appella di intelligente, adesso finanche mi dà ragione… E dove andremo a finire!

  125. @Donnarumma
    Eh no, mi scusi ma lei si sta attorcigliando attorno alle sue stesse argomentazioni. Tentando di evitare una contraddizione, ne crea di nuove. Adesso, per giustificare la sua negazione della poligamia, non solo invoca una pretesa negazione degli “uguali diritti” su cui gli interessati certamente non le chiederebbero il suo parere (come fa ad escludere che ci siano donne che preferiscano dividere l’uomo per loro ideale, piuttosto di contentarsi del maschio che trovano purchè sia tutto per loro?), ma chiama in sua difesa la storia (niente meno…), mentre aveva rifiutato a Buffagni di utilizzare argomentazioni che facessero riferimento alla situazione pregressa.
    Il punto qualificante è uno solo, ed è inutile girarci attorno, o ognuno ha autorità per stabilire cosa sia meglio anche per coloro che gli stanno attorno, o non la ha, tertium non datur, mi pare: ne vorrà alla fine convenire?
    In fondo, di cambiare opinione. magari non così rapidamente, può capitare a tutti…

    ps. Non si preoccupi, non solo non ho e mai avrò l’autorità per proibire i matrimoni, ma nel caso, stia tranquillo che non la eserciterei, sono molto più tollerante di ciò che potrebbe desumersi dalle mie argomentazioni che, si sarà capito, hanno lo scopo esclusivo di mettere in crisi i principi liberali.
    Lei però non ha il diritto di lamentarsi che le usi rispondendo a lei: lo faccio, basandomi proprio su ciò che lei, forse in un momento di distrazione, ha scritto (esattamente il passo che cito testualmente e che non mi pare si presti a fraintendimenti).

  126. ad Ares.
    Se vuoi interloquire con me, prima ti scusi come si deve firmandoti con il tuo nome e cognome (veri), e poi si ricomincia daccapo. Altrimenti, non ti rispondo più.

  127. se c’è giustizia (scusate la battuta e l’intrusione) mi permetterete di inserirmi con la mia iper-poesia

  128. a R. Donnarumma.
    La ringrazio per la replica. Mi scuso se oggi non potrò risponderle, lo farò appena possibile.
    Anticipo solo questo. Mi rivolgo agli interlocutori in rete per come mi si presentano ed entrano in rapporto con me. Chi mi si rivolge con cortesia e con rispetto viene, com’è doveroso, ricambiato; se mi sembra opportuno, ringraziato, complimentato, cordialmente salutato.
    Mi comporto allo stesso modo con i corrispondenti che non ho il piacere di conoscere di persona.
    Trovo inaccettabile l’insulto, il tono offensivo, la derisione maligna, specialmente se praticati a distanza di sicurezza. In questi casi, reagisco come farei di persona, salvo l’eventuale schiaffo che non posso dare.
    Se poi l’interlocutore mi mente o si inventa una personalità fasulla, la cosa riguarda solo lui ed eventualmente il suo psichiatra.

  129. Caro Massino,
    che lei sia persona intelligente non c’è bisogno che glielo certifichi io. Se penso che abbia ragione, gliela do, e se mi fa notare un aspetto della questione che avevo trascurato la ringrazio. Quanto al dove andremo a finire, bè: forse andremo a finire che ci capiremo meglio, e impareremo qualcosa l’uno dall’altro. Si discute per questo, secondo me.

  130. @ Cucinotta
    Ma no, mi scusi! E poi il mio problema non è affatto costruire Sistemi e adorare la Compiutezza Formale: è articolare un discorso che includa quanta più realtà possibile. Sono completamente folle, questo sì, a cercare di farlo nei commenti a un post. Per altro, mi risulta che ormai l’etica, o la politica, o l’estetica, abbiano categorie e modi di procedere diversi da quelli della Logica. Anzi, la Logica tradotta colà falsifica e crea paradossi inutili. Ma si può sempre chiedere a un filosofo (e magari ci spiega le eccezioni: che so? Spinoza).
    Non introduco, a un certo punto e surrettiziamente, la storia (e la geografia): è proprio di quello che stiamo parlando. Con tutto il rispetto per Dante, non credo a nella monarchia universale, né in leggi universe. Detto questo, spero che la poligamia scompaia toto coelo.
    Lei come fa a escludere che Tizio desideri essere mutilato da Caio, seviziato da Sempronio, assassinato da Marco Antonio, derubato da Aurelio? Allora? propone di depenalizzare i rispettivi reati? Anche la complicità (caso di Aurelio) è reato. Il fatto che «non ci sia disegno di carnefice che non sia suggerito dallo sguardo della vittima» non implica né l’assoluzione con formula piena del carnefice, né la detenzione della vittima. Mi rendo conto che dovremmo parlare del senso e dei limiti del relativismo: ma stiamo freschi! come si fa?
    Poi, non siamo letteralisti. Se dico: mi piace il gelato, non è che sia costretto a ingollare ghiaccioli all’anice per coerenza: detestare i ghiaccioli e l’anice non vuol dire peccare contro la logica gelatòfila.
    Tertium datur, eccome: esiste la politica che, infatti, è l’arte delle discussioni, dei conflitti, delle mediazioni (quando è un’arte). Oltretutto, lei pone un’opposizione che a me pare irrealistica: e dove mai «Ognuno ha autorità per stabilire cosa sia meglio anche per coloro che gli stanno attorno»? come sarebbe possibile? ne deriverebbe il bellum omnium contra omnes. Tutt’al più, si dà il caso di uno (o di pochi, previo accordo) che stabilisca (o stabiliscono), ecc.: si chiama dispotismo (magari oligarchico). L’«o non la ha» che significa? Lei stesso è costretto a lasciarlo nel vago perché, per amore di simmetria astratta, dubito riuscirebbe a cogliere una qualche cosa esistente.

    P.S. Non mi lamento: non è chic. Poi immagino bene che lei sia una pasta d’uomo: infatti, si contraddice!

  131. @ Buffagni
    Ma si figuri. Qui però siamo tutti per definizione a distanza di sicurezza. Per me, cerco di non prestare il fianco all’insulto sul quale, nel caso, o farei dell’ironia, o sorvolerei. Questione di carattere: non sono uno che dà schiaffi – e forse anche per questo non mi capita di prenderne da tempo immemore.
    A parlare in generale, non è detto che menzogne invenzioni e falsificazioni siano, anziché disagi da neuro, maschere di qualche verità.

  132. Caro, Buffagni

    1) lei è da 137 commenti che dovrebbe scusarsi con le famiglie omo affettive e i loro figli per le sue conclusioni spicciole da bar leghista, e non l’ha ancora fatto. Io almeno la mia ironia lo direzionata a lei e a un suo commento capzioso, invece le sue affermazioni pretendono di investire tutte le unioni omo affettiva. Lasciamo perdere poi le sue affermazioni sui figli nati da unioni omosessuali: per il mio impegno nel sociale conosco figli di eterosessuali che dovrebbero essere allontanati dalle loro famiglie oggi stesso.

    2) Se è per questo è da un po’ che non risponde alle mie domande, non credo che ne sentirò dunque la mancanza. L’ironia sarà il mio proseguo se la ritenessi necessaria.

    Saluti

  133. MA IL MATRIMONIO NON È UNA DILIGENZA SCASSATA?

    Dunque, tentando di riepilogare il senso di questa lunga e istruttiva discussione (come fa Coda), si dovrebbe dire che la “via matrimoniale (e occidentale) alla felicità” (o all’amore) è l’unica percorribile; e che il vero conflitto è quello tra i difensori tenaci del matrimonio eterosessuale e i suoi blandi riformatori che vorrebbero estenderlo anche agli omosessuali. Un aut aut, che potrebbe essere ricondotto alle classiche posizioni destra/sinistra o conservatori/innovatori.
    Via, dunque (nell’oblio o nella spazzatura) tutto quello scervellarsi sulle origini della famiglia (di matrice marxiana o variamente antropologica), le inquietudini psicanalistiche freudiane e non, gli immaginari inquietanti delle coppie e dei rapporti intrafamiliari in Kafka, Musil, Schnitzel, ecc., le sottigliezze delle pensatrici femministe?

    Due spunti, quasi incidentali, mi trattengono dal chiudere così i conti.
    Li cito:
    1. «Aggiungo che, per me, gli omosessuali dovrebbero cercare di immaginare forme di unione diverse dal matrimonio tradizionale» ( Donnarumma)
    2. «Sul matrimonio gay, ho già espresso la mia delusione per l’evidente natura conformista della comunità gay, ma nel merito non ho granchè da obiettare, spero anzi che il matrimonio come istituzione scoppi a seguito dell’impatto di questi nuove tipologie che si introdurrebbero. Confesso che avrei preferito che fossero gli eterosessuali a scappare dal matrimonio, piuttosto che vedere gli omosessuali convergere su esso, ma paradossalmente il risultato potrebbe essere identico». (Cucinotta)

    In ambedue c’è una certa delusione. Più vaga nel primo. Più netta nel secondo. E ad esse aggancio la mia. Per dire che vedo qualcosa di scombinato sia nella difesa della diligenza (scassata) del matrimonio sia nell’assalto per salirci su. Ci vedo il sintomo della perdita di una prospettiva culturale capace di interrogarsi in modi più ampi e coraggiosi.
    Chi oggi difende, infatti, l’istituzione matrimonio deve inevitabilmente darle una abbondante verniciata di idealismo o finisce nelle secche di un utilitarismo, che a me pare fondamentalmente statalistico, o in un (discutibile e astorico) ossequio alla Natura. A Buffagni avevo mosso (mio commento 18 novembre 2012 alle 11:59) delle obiezioni in merito. Mi pareva che saltasse con disinvoltura il lago di sofferenze individuali di figli, mogli, mariti, amanti segreti su cui si regge la facciata pubblica e luccicante dell’istituzione matrimoniale; o che sottovalutasse tutta la critica – implicita o esplicita e quantomeno otto-novecentesca – di filosofi, poeti, narratori all’istituzione stessa. Ma la sottomissione a limiti simili – di idealismo, statalismo ( e occidentalismo) – vedo nei fautori del diritto al matrimonio omosessuale.
    Chiarisco che non parlo dal pulpito dell’utopia. I cieli tiepoleschi e lussuriosi della “rivoluzione sessuale” che i sessantottini volevano assaltare sono del tutto oscurati da nubi plumbee. Esse hanno spazzato via anche le pastorali della vita nelle “comuni”.
    Ciò detto, però, anche in tempi così bui insisto: è davvero inevitabile che in questo momento storico «si assuma il matrimonio a modello» (Donnarumma) sia pur non esclusivo?
    Che lo facciano sotto la spinta di passioni forti e disagi immediati gli eterosessuali o ora anche gli omosessuali, così spesso sottoposti a discriminazioni e persecuzioni, lo capisco. Come capisco che «per un omosessuale [ma anche per un eterosessuale] sapere che può unirsi legalmente con il proprio compagno gli cambia la vita».
    Obietto, però: gliela cambia di poco ad entrambi. Quando non gliela complica. E non alludo alle banalità del “matrimonio tomba dell’amore”, etc. Ricorrendo ad un’analogia che non mi pare balzana e che rimanda l’attenzione alle premesse materiali che in questa società (per me capitalistica) permettono agli individui di accedere all’istituzione matrimonio, dovrei aggiungere: come di poco la si cambia, quando a un giovane disoccupato, costretto alla marginalità sociale, gli si dà “l’elemosina” (tale sta diventando ed era ed è – ma sulla carta – un diritto!) di un lavoro precario o di un posto fisso in una fabbrica nociva.
    Insomma, a me sia il diritto degli eterosessuali a “godere” del matrimonio sia la rivendicazione degli omosessuali ad accedervi mi paiono poca cosa. ( Come, per non perdere d’occhio la mia analogia, accettare da parte dei sindacati che il lavoro fisso in regime capitalista sia il non plus ultra dell’incivilimento di una società e che prima o poi i lavoratori precari o i disoccupati dovrebbero averlo anche loro, mi pare non solo poca cosa ma una menzogna). Si rimane su binari morti.
    Ovviamente resta la relatività (e il conflitto) dei punti di vista. Per me il poco è sempre *politicamente* (ed è questa l’ottica a cui tengo) nemico del meglio. Per Donnarumma invece il meglio (che oggi non si vede proprio più in giro e neppure si tenta più di pensarlo) è nemico del bene.
    Dalla mia ottica, però, mi chiedo, forse illudendomi: non dovrebbero essere gli intellettuali etero o omo, che pur hanno le prove della corrosione dell’istituzione-matrimonio, a continuare a indagarla (e a criticarla), invece di chiudere un occhio (come fa Donnarumma quando concede: «Io poi vedo un sacco di coppie sposate che, nei limiti del possibile, vivono felici e contente») e spalleggiare la rivendicazione del matrimonio omosessuale? Non si rivendica così una sorta di eguaglianza tra etero e omo “al ribasso”, perché in sostanza si incoraggiano gli omosessuali a salire sulla diligenza scassata del matrimonio?
    Il dubbio deve averlo anche lui, perché si chiede:«Se davvero […] l’istituto del matrimonio è in crisi, perché non riformularlo?». E lo si riformula ampliandolo agli omosessuali? Ma se non va bene neppure per gli eterosessuali! Si chiede poi:«Non è che, gratta gratta, si vuole tenere gli omosessuali in uno stato di minorità?». Sì, forse molti li vogliono tenere in stato di minorità. L’omofobia esiste davvero. Ma dalla minorità escono davvero accedendo al matrimonio (scassato)? E non è che sono in uno stato di minorità anche gli etero o quel «sacco di coppie sposate» che, pur vedendosi riconosciuto sulla carta il diritto al matrimonio, non vivono in esso affatto «felici e contente», perché la loro vita matrimoniale è turbata, oltre che da drammi emotivi di vario genere, dall’erosione dei redditi e da altre quisquiglie “esterne” e “materiali”, sulle quali in questa discussione bellamente si tace?

    A questo punto (mi è capitato nel post «Troppo Dante?») so che saleràa fuori il “pragmatico” di turno che dirà: «Allora cosa facciamo? “Praticamente”? Dematrimonializziamo la società? Buttiamo giù le famiglie? Bombardiamo la Chiesa e il ministero? Facciamo la rivoluzione?». E già Donnarumma ha ironizzato:«Quanto all’auspicio sulla fine del matrimonio… Eh, che massimalismo!»
    Mi azzittisco, ma immagino un odierno viaggiatore persiano alla Montesquieu. Che lettere scriverebbe meditando su questo nostro dibattito?
    Pensateci su un attimo…

  134. La diligenza del matrimonio sarà anche scassata, come dice Abate, ma resta il fatto che in Italia più scassata ancora – lo si vede da questo dibattito – è la coscienza dell’importanza dei diritti civili. Se c’è l’istituzione matrimoniale, che come tutte le istituzioni è storica e non “naturale”, si pone la questione del riconoscimento di eguali diritti per tutti. L’omosessualità sta uscendo appena adesso da una secolare oppressione e discriminazione (altro che “dominio della tecnica”, qua si tratta del dominio del peggiore oscurantismo!), ed è forse il solo campo, insieme con quello dell’emancipazione della donna, in cui si possano osservare dei progressi concreti. L’emancipazione degli individui – dalle strutture più o meno immobili di un potere arcaico, come quello maschile e patriarcale – è il fine che dovrebbe accomunarci. L’emancipazione dalla “schiavitù salariata” (o dalla disoccupazione e dalla precarietà) sta sullo stesso piano delle altre, non è certo quella da cui scaturirebbero tutte le altre. Dunque gli argomenti di Donnarumma sono inoppugnabili sotto ogni profilo. Anche la questione della omoparentalità è una falsa questione: perché la famiglia nucleare – che c’è, in definitiva, solo da un paio di secoli – sta già cambiando, indipendentemente dalla questione omosessuale. Inoltre non sappiamo nulla della psicologia dei figli cresciuti con coppie gay, per la semplice ragione che non ci sono dati sufficienti, perché si tratta di una trasformazione sociale appena agli inizi. Non avremo più il complesso di Edipo, caratteristico della famiglia eterosessuale nucleare? Avremo altri tipi di “complessi”? E come si fa a sapere se questo sia meglio o peggio?

  135. “L’emancipazione dalla “schiavitù salariata” (o dalla disoccupazione e dalla precarietà) sta sullo stesso piano delle altre, non è certo quella da cui scaturirebbero tutte le altre.” (Genovese)

    Capisco, capisco. Nessuno ( non io almeno) vuol tornare allo scolasticismo che differenzia struttura e sovrastruttura e sostenere che i diritti civili siano “secondari” o “piccolo borghesi”.
    Ma non le pare un po’ sospetto che la “schiavitù salariata” è taciuta del tutto in dibattiti come questi?
    Gli argomenti dei fautori dei diritti civili sarebbero più inoppugnabili se non saltassero certi aspetti materiali. Una coppia omosessuale che ottenesse il matrimonio e poi venisse precipitata negli stessi affanni di tirare la fine del mese di tante coppie eterosessuali brinderebbe un giorno e piangerebbe quelli seguenti.
    Siamo seri, a volte i diritti civili vengono dichiarati per tutti ma poi se li godono solo
    quelli che possono pagare.

  136. ma.. veramente Abate…
    l’istituto del matrimonio sarà anche scassato ma elargisce “spiccioli” diretti ed in diretti in ogni forma: le detrazioni sul reddito sono collegate al numeri dei componenti della “famiglia”, ad esempio. E qui si sta dicendo, veramente solo io lo dico, che mentre si discute su come migliorare l’istituto del matrimonio, ad alcune famiglie quegli spiccioli sono negati per legge. Senza parlare poi dei diritti che l’istituto del matrimonio garantisce in caso di caduta in disgrazia di uno dei coniugi o figli: i permessi legge 104 ad esempio, o il diritto all’assistenza del coniuge. Non tocchiamo poi le varie forme assistenziali cattoliche, che con il nostro 8 per 1000 fanno da sostegno alle “famiglie”, ma solo a quelle frutto del matrimonio. E non parliamo poi dei diritti in caso di separazione dei coniugi.

    1) Estendere i diritti che l’istituto del matrimonio garantisce -pur così scassato – anche alle famiglie di omosessuali è un atto che si può fare immediatamente, estendendo le leggi che già ci sono e che sono riservate solo agli eterosessuali (e omosessuali velati) sposati.

    2) L’attuale stato di crisi economica, che prevedo lungo, non permette di temporeggiare: alcuni diritti vanno estesi subito e con urgenza. Ogni altra paternalistica proposta di discussione sul da farsi, deve venire dopo. L’istituto del matrimonio per quanto scassato è già utilizzabile, le leggi ci sono, basta solo controllare l’istinto conservatore e il pregiudizio dell’uomo italico .

    3) Parliamo pure di tutti gli interventi da fare per impedire l’erosione del reddito, ma non dimentichiamoci ipocritamente che alcune “famiglie” sono, in questo periodo di crisi, lasciate completamente sole. Facciamo interventi legislativi che facciano ripartire il mercato(io spero in altra forma) ma eliminiamo le disparità che l’istituto del matrimonio genera e possiamo farlo da subito; per essere equi e intellettualmente onesti; non come fa il cappellano militare Buffagni.

  137. Genovese, lei è un progressista, e come tale è per l’emancipazione. Non solo lei arriva a dire che quando una novità non si sa che effetto possa esercitare, bisogna provarla. E’ quello che hanno fatto ad esempio nel golfo del Messico, hanno provato a pompare patrolio dalla profondità di millecinquecento metri. Si trattava di una tecnologia mai provata prima (a quella profondità l’acqua del mare esercita una pressione di ben centocinquanta atmosfere), ma l’hanno voluto sfruttare lo stesso, con i risultati ben noti, che non si riusciva più a tappare il pozzo, e i danni ambientali così provocati sono lì a testimonianza della incapacità dell’umanità di darsi dei limiti.
    Questo progressismo che si coniuga così bene col nuovismo è per alcuni di noi la vera calamità dei nostri tempi, così che indipendentemente dal merito della questione, è la povertà delle argomentazioni che colpisce.

  138. MA che nuovismo Le unioni tra omosessuali con prole esistono già…
    ma qui si ama fare le scimmiette che si tappano occhi e orecchie…
    … le bocche invece..

  139. MA da dove gli è venuto il paragone col golfo del Messico ?!? …

    Io potrei dire che anche le missioni spaziali allargano il buco dell’ozzono a furia di forare l’atmosfera con le navicelle spaziali ;o)..

    ….siamo in pieno cabaret, facciamo pure i cabarettisti.

  140. @ Abate
    Temo di non avere molto di nuovo da aggiungere (mi sforzo di essere breve: non vago). Genovese e Ares hanno già aggiunto cose che condivido. Comunque:
    1. Potrei ritenere il matrimonio un rottame (e sebbene non sia sposato non lo ritengo) e la Chiesa un residuo da caverne (e sebbene sia ateo non lo penso); rimango però volterriano. A ciascuno deve essere garantito il diritto di sposarsi se lo vuole o di praticare la sua fede religiosa se ci crede.
    2. Il matrimonio è una diligenza scassata? Non chiudiamo gli occhi davanti a Freud, a Kafka o a al signore e alla signora Felici che si rompono i piatti sul capo da anni. Dobbiamo chiuderli però davanti alle coppie che funzionano?
    3. Bisogna per forza fare i conti con il matrimonio come un modello pressoché obbligato? Sì. Come col fatto che in Italia tendenzialmente gli uomini non portano la gonna e che camminiamo su due gambe. Il che non vuol dire che finisca tutto lì (scozzesi! acrobati! natanti! ciclisti ed aviatori!). Non parliamo solo di un costume, del resto: ma dei modi in cui costruiamo, qui e ora, le nostre identità.
    4. Non ne consegue affatto che siamo incollati all’esistente. Registrare la realtà, guardarla sino in fondo, pensarci sopra non significa santificarla. Le case si fanno coi mattoni a disposizione, oltre che coi progetti: sennò, cascano. Qui mi pare che, alla fine, non si possa montare nemmeno una canadese. Soprattutto, ed è essenziale, lei elude la questione legale e dei diritti.
    5. Il matrimonio (o l’unione riconosciuta) cambia di poco o di molto? Secondo me, un bel po’: ma che ne dice se si prova, e poi se ne parla? Poi spero di aver frainteso, ma mi è parso che a un certo punto lei fosse per il «meglio disoccupati che precari».
    6. Il matrimono è un binario morto: e se io volessi buttarmi sotto il treno? Oppure, per amore del Grande Cambiamento Generale e Rivoluzionario, dobbiamo rimanere in stazione, al freddo, in un’eterna giornata di sciopero? Sul mio orario quel treno lì, al momento, è soppresso.
    7. Quale significato politico ha la riflessione di Abate sulla questione precisa di cui discutiamo qui? Che effetti potrebbe avere? Ipotizzo:
    A) tanto il matrimonio è un disastro. O gay, che ve ne fate? A1) Basta una forma di unione riconosciuta. A2) Oppure, nulla: va bene così. Inventatevi voi qualcosa. A3) Fate la rivoluzione. A1 registra il passaggio dal massimalismo al minimalismo. A2 all’arrangiatevi. A3 è l’ultramassimalismo. A3: tacet. A2 non richiedeva grandi sforzi di analisi: ci si arrangia di già. Ma la questione legale e dei diritti, una volta di più, è completamente evasa. A me A1, qui e ora, starebbe pure bene: è pur sempre l’autostrada del sole. È anche la proposta più moderata e, quindi, più opportuna, più facile da difendere, con le maggiori possibilità di successo. Posso vedere me stesso come provvisorio seguace della Realpolitik; non immagino in quel saio anche il buon vecchio Abate. Guardo con simpatia, però, alla richiesta di matrimonio gay.
    8. Unioni e discriminazione economico-sociale: era proprio il tema del dialogo tra Bronto e Sauro (ma lì, mi pare, lei si era incartato). Come Ares, credo che l’unione possa rappresentare un tentativo di tutela.
    9. Per lei il meglio non è meglio, e il poco è nemico del bene. E quindi: la rivoluzione, o nulla?

  141. Ares, forse ha bisogno di tornare alla scuola elementare, apparentemente, non sa proprio leggere.
    Io scrivo testualmente:
    “indipendentemente dal merito della questione, è la povertà delle argomentazioni che colpisce.”
    Ha capito? Indipendentemente, possibile che lei si intenda solo di unioni omosessuali?

  142. Rispondo al post di Raffaele Donnarumma del 4 dicembre 2012 alle 02:20. Cito i brani di testo di Donnarumma fra virgolette, e replico di seguito. Per comodità di lettura non segnalo le omissioni con i consueti […]. Chi voglia, può confrontare il testo integrale di Donnarumma in questa pagina. Mi scuso per la lunghezza. Non sono riuscito a far di meglio.

    “Lei personalizza troppo la discussione: io ho risposto a argomentazioni sostenute qui o che ho sentito sostenere, indipendentemente da chi le avesse pronunciate.”

    Sostengo solo argomenti di cui sono persuaso, e non qualsiasi argomento comunque formulato purché converga sulla mia posizione in merito a matrimonio omosessuale etc. Ho capito però dai suoi commenti che lei è entrato a metà del film e non ha letto buona parte dei miei interventi precedenti. Niente di male. Il film ha ormai preso dimensioni degne di H. J. Syberberg o di una sitcom di successo (40.000 parole circa), e ci vuole qualche riassunto delle puntate precedenti, che volentieri le fornirò in questa replica.

    2. “E dove mai avrei parlato di libertà illimitata – concetto che include la rapina, l’omicidio e il soffiarsi il naso nel fazzoletto altrui? Parlo invece di garantire agli omosessuali alcune delle libertà di scelta che ora sono appalto esclusivo degli eterosessuali.”

    Qui: ‘R. D., 2 dicembre 2012 alle 22:53. Credo che uno Stato debba garantire a tutti i cittadini uguali diritti, e di scegliere da loro a che cappio impiccarsi… si tratta di lasciare al Tizio e al Caio di Buffagni la possibilità di scegliere: vedranno loro se diventare padri, o continuare a non esserlo.’ M’è però parso di comprendere che questa formulazione frettolosa e un po’ infastidita non rispecchiasse fedelmente il suo pensiero. Ho dunque proposto un caso ipotetico estremo a dimostrazione che è semplicemente impossibile garantire a tutti eguali diritti ed eguale libertà di scelta. Non credevo allora e non credo oggi che lei fosse o sia persuaso di una simile sciocchezza, e quindi voltiamo pagina: in discussione, qui, non c’è l’astratta (e inesistente) possibilità di assicurare a tutti “uguali diritti” o “libertà di scelta”, ma quali libertà e diritti assicurare e quali no, perché e come.

    “3. Anche non decidere ha un prezzo: chi paga lo sappiamo (i soliti); chi non decide è l’inerzia; a cosa giovi, invece, mi sfugge: se il matrimonio è di suo in declino, come afferma lei, allora in cosa gli può nuocere l’unione tra omosessuali? Ma vd. sotto. “

    A proposito di declino del matrimonio, le propongo la posizione radicale di una persona intelligente. Su « Le Monde » del 19/08/04, Jacques Derrida sostiene che : « Si j’étais législateur, je proposerais tout simplement la disparition du mot et du concept de “mariage” dans un code civil et laïque. Le “mariage”, valeur religieuse, sacrale, hétérosexuelle – avec voeu de procréation, de fidélité éternelle, etc. -, c’est une concession de l’Etat laïque à l’Eglise chrétienne – en particulier dans son monogamisme qui n’est ni juif (il ne fut imposé aux juifs par les Européens qu’au siècle dernier et ne constituait pas une obligation il y a quelques générations au Maghreb juif) ni, cela on le sait bien, musulman. En supprimant le mot et le concept de “mariage”, cette équivoque ou cette hypocrisie religieuse et sacrale, qui n’a aucune place dans une constitution laïque, on les remplacerait par une “union civile” contractuelle, une sorte de pacs généralisé, amélioré, raffiné, souple et ajusté entre des partenaires de sexe ou de nombre non imposé.(…) C’est une utopie mais je prends date. » E viva la franchezza. Per me, l’utopia di Derrida è un incubo, ma il filosofo francese ha il merito di radicalizzare la questione, anche se, a parer mio, la imposta male (ne parlerò più avanti).

    “5. Guardi, non sono uno storico o un sociologo, ma so che il matrimonio e la famiglia non sono affatto istituzioni plurimillenarie: lei essenzializza. A quanto ho capito, il matrimonio e la famiglia come li conosciamo avranno sì e no, due-trecento anni. Il caso del ménage à trois nella pampa mi pare una nuova eccezione bislacca per atterrire fanfanianamente le genti.”

    Certo che essenzializzo: perché, come argomenterò fra poco, a parer mio il matrimonio omosessuale muta “l’essenza”, o come ho formulato altrove “la natura” dell’istituzione matrimoniale, e non soltanto la veste storica (monogamia, famiglia nucleare, etc.) che ha indossato negli ultimi tempi. Mentre l’introduzione della poligamia, per quanto assai più sconvolgente per costume e sensibilità correnti, non ne tocca l’essenza o la struttura: la quale esige la compresenza di (almeno) un uomo e (almeno) una donna. L’orientamento sessuale degli sposi è (formalmente, beninteso) ininfluente. Da sempre gli omosessuali possono sposarsi (in effetti da sempre si sposano) a patto che si sposino con persona del sesso opposto. (Non sto facendo dello spirito in linea con la battuta proustiana che degli omosessuali “si fanno i migliori mariti”, e non essendo un mostro, mi rendo conto che esistono le persone in carne ed ossa con i loro, preziosi e sacrosanti, bisogni e desideri: descrivo la Forma/Istituzione matrimonio per quel che è).

    Faccio una digressione in merito alla propaganda “fanfaniana”. La politica ha leggi diverse dall’etica e dalla libera discussione culturale, quanto un convegno internazionale di studiosi d’arte militare è diverso da una guerra: anche se poi avviene che gli educati relatori del convegno assumano dei comandi sul campo, e al posto dei papers si scambino il fuoco d’artiglieria. Qui si può evitare: evitiamolo. Salvo i pregiudizi, gli errori, le idiosincrasie personali, dei quali sono responsabile ma che non mi appaiono, cerco di dire quel che sinceramente penso, e basta; e di giungere, insieme agli interlocutori, almeno a una chiara formulazione del problema. Non dubito che al momento dello scontro politico, qualcuno del partito “contro” – il mio – se ne uscirà con eleganti argomentazioni del tipo “gli omo vogliono il matrimonio per catturare bambini a scopo sevizie pedofile”. Qui, dove quasi tutti erano già d’accordo con lui e non c’era bisogno di fare propaganda al partito “pro”, F. Buffoni ha sostenuto che gli omosessuali hanno diritto di sposarsi e avere figli “perché si amano” e “perché lo dice la scienza”, e che chiunque sia contro è “omofobo”. Eppure, guardi : « Tout peut, un jour, arriver, même qu’un acte conforme à l’honneur et à l’honnêteté apparaisse, en fin de compte, comme un bon placement politique. » (De Gaulle, « Mémoires de guerre »).

    E veniamo alla questione del matrimonio e della sua essenza o natura o, se vogliamo modernizzarci, struttura. Avviso i lettori che compendierò e riformulerò, qui di seguito, anche cose che ho già scritto.
    Quali che siano le sue condizioni di salute presenti (non buone, da noi), il matrimonio è una Forma/Istituzione *centrale*, perché è ordinata a integrare la riproduzione della specie (l’umana “natura”) nella società (l’ umana “cultura”). Come lo faccia, se con il matrimonio poligamico o monogamico, con il matrimonio combinato dalle famiglie o con il matrimonio romantico d’amore, è certo importante ma è una variazione melodica su un’identica armonia. Istituzione culturale *centrale* significa: l’istituzione in rapporto alla quale si definiscono, per analogia confronto e opposizione, *tutte* le altre forme di relazione tra esseri umani che risultino nella procreazione e/o nella cura dei figli. Oltre che sul piano quantitativo dell’effettualità storica, l’istituto matrimoniale è e resta*centrale* sul piano qualitativo dei simboli e del linguaggio, che di simboli vive e i simboli inesauribilmente produce e riproduce. (En passant: è per questo che pur sapendo di suscitare una coalizione di forti avversari, una minoranza ben organizzata di omosessuali combatte per il riconoscimento del “matrimonio” omosessuale, piuttosto che per l’obiettivo più facile delle unioni civili: perché sente che la conquista del matrimonio equivale alla conquista del “centro della scacchiera” simbolica).
    Almeno per noi uomini la natura non è, o almeno non è soltanto, un supporto sul quale costruire la cultura, mute fondazioni su cui erigere l’edificio parlante dell’umanità. La muta natura di cui è intessuto anche il corpo di noi tutti – quel corpo che per noi è insieme destino e identità, che ci è più estraneo e più intimamente vicino d’ogni altra realtà al mondo – diventa umana, diventa *io*, diventa *tu*, diventa *noi*, attraverso il simbolo e il linguaggio. Da sempre, il linguaggio per dire queste cose è il linguaggio religioso (insieme al poetico). Il dogma religioso cristiano, ad esempio, esprime la funzione istituzionale e simbolica del matrimonio dicendo che esso – unico fra i sacramenti cristiani – è officiato dagli sposi, e non dal sacerdote. Ma siccome il linguaggio religioso da un canto non parla più a tutti, dall’altro può suscitare reazioni identitarie di fastidio, provo a esprimermi in un linguaggio neutro.
    Nel processo di produzione della specie umana, la Forma/Istituzione del matrimonio è per così dire l’interfaccia simbolica tra l’hardware della natura e il software della cultura. Questa interfaccia fa fiorire, sul desktop del linguaggio umano, icone quali “padre”, “madre”, “figlio”, “famiglia”, “nome”, “parentela”, “incesto”, “eredità”, “fratello”, etc. Cliccando su queste icone si azionano programmi di fondamentale importanza, la disinstallazione o la manomissione dei quali da parte dell’utente non esperto potrebbe provocare gravi e imprevedibili conseguenze, e perfino il blocco del sistema operativo. (Domanda: esiste, l’utente esperto?)
    Che avviene, se interveniamo sulla Forma/Istituzione simbolica del matrimonio stabilendo, per via giuridica e dunque come Amministratori di Sistema, che il fattore (uomo + donna) = (uomo + uomo) = (donna + donna)? In realtà non lo sa nessuno, ma si possono fare ipotesi logiche.

    Ipotesi 1, o la soluzione di Derrida. Visto che (uomo + uomo) e (donna + donna) non dispongono di driver di collegamento con l’ hardware natura (i.e., gli apparati sessuali complementari) atti ad azionare il programma di produzione di esseri umani, per non violare la coerenza interna della nuova forma e l’eguaglianza funzionale tra i fattori togliamo alla Forma/Istituzione simbolica “matrimonio” la funzione di interfaccia simbolica tra hardware natura e software cultura: la decostruiamo. Pro: incoraggiamo una tendenza di costume già in atto. Contro: la nuova Forma/Istituzione così affermata è sì egualitaria, ma priva di centralità e potenza simbolica; concedere a tutti di accedervi è una beffa come il comunismo della miseria, e il rapporto costi/benefici dell’operazione è svantaggioso.

    Ipotesi 2, o la soluzione di Prometeo. Se vogliamo conservare centralità e potenza simbolica alla nuova forma dobbiamo garantire che continui a essere ordinata alla procreazione/cura dei figli e dunque alla riproduzione della specie e alla sua integrazione nella cultura. Problema: mentre il fattore (uomo + donna) dispone dei driver di collegamento con l’hardware natura, gli altri fattori (uomo + uomo) e (donna + donna) no. Per garantire la coerenza interna della nuova forma e l’eguaglianza funzionale di tutti i fattori, dovremo risolvere questo problema. La soluzione radicale e coerente è una sola: scollegare il software cultura dall’hardware natura, e installare un nuovo hardware e relativi driver di collegamento identici per tutti i fattori: (uomo + donna), (uomo + uomo), (donna + donna). Esistono, questo nuovo hardware e questi nuovi driver di collegamento? Esistono eccome: sono già disponibili grazie alla Tecnica. Pro: è una grande avventura, al confronto della quale sbiadiscono le conquiste spaziali. Contro: impossibile sapere se e come funzionerà, dunque impossibile calcolare le retroazioni cibernetiche tra i sistemi simbolici connessi in rete (tutti).

    Ecco, il paragrafo precedente potrebbe formare piccola parte dell’indice di uno dei molti “volumi” che secondo lei (anche secondo me) andrebbero scritti sul tema della “riduzione del simbolico al biologicamente determinato”.

    Propongo un ulteriore esempio per chiarire la questione, a mio avviso centrale, di che cosa sia il “mutamento di natura” di una istituzione. Nel 1789 Luigi XVI convoca gli Stati Generali del regno di Francia. La natura di quella veneranda e tarlatissima istituzione è la seguente: rappresenta, con regolare procedura elettiva, i tre ordini del regno così come li ha concepiti la formulazione medievale di Adalberto di Laon, che a sua volta riprende l’antichissima tripartizione funzionale indoeuropea: oratores, bellatores, laboratores. I suddetti ordini esprimono ciascuno un voto, e le loro deliberazioni hanno valore consultivo per il sovrano. Alcuni deputati del Terzo Stato, cui si uniscono altri del Secondo e del Primo, propongono che i voti vengano espressi pro capite, e affermano di rappresentare “la nazione”. E’ noto quel che segue. Ecco: questo è un esempio di mutamento di natura di una istituzione. Un altro analogo mutamento di natura istituzionale si verificherebbe se domani i cittadini italiani, invece di esprimere un voto a testa nelle elezioni politiche, potessero esprimere un numero di voti proporzionale al loro reddito, o alla loro età, al loro sesso, al loro quoziente intellettivo, etc. Ecco: se il matrimonio viene esteso anche alle coppie omosessuali, va incontro a un mutamento di natura dello stesso ordine, con effetti di gran lunga più importanti e decisivi della Rivoluzione francese o delle ipotesi futurologiche che ho abbozzato, perché gli ordinamenti politici passano, la necessità di riprodurre e integrare nella cultura la specie umana resta.

    “6. I. Sarò più chiaro: per me, la priorità è la legalizzazione delle unioni, non l’adozione. A quella ci si può arrivare col tempo, con un po’ di sensatezza e di senso dell’opportunità, e con molta attenzione per la sorte di coloro che ne saranno coinvolti. II. Gli psicoanalisti possono sostenere A, B che è il contrario di A, e C che non è né A né B – come i giuristi, i medici, o i fisici delle particelle. La scelta è culturale, morale e politica: non la si può demandare all’inesistente oggettività della Scienza (fermo restando che, come ovvio, uno ascolta tutte le campane).”

    Come le dicevo, non ho nulla contro la legalizzazione delle unioni omosessuali, che mi paiono un provvedimento eticamente positivo. Quanto alle adozioni, sono contrario sia per le stesse ragioni attinenti alla costruzione dell’identità dei figli che mi paiono valere per la filiazione (ne parlo più avanti) , sia perché mi pare quasi certo che una volta concesso di adottare, si concederebbero le altre forme di filiazione.

    “7. Sul genetismo, chiamiamolo così, degli ultimi decenni (cioè sulla tendenza a risolvere il simbolico in biologicamente determinato) ci sarebbero da scrivere volumi.”

    La rimando a quanto detto in risposta al punto 5. Concordo appieno con lei, ci sarebbero da scrivere volumi, e a parer mio, l’aspetto più rilevante e interessante di tutta questa discussione sta proprio qui.

    “8. E continuo a non capire perché, se si sposano due omosessuali, immediatamente il matrimonio eterosessuale ne viene svilito (evito io per lei l’eufemismo del mutare natura e senso). Vede bene che quest’argomento si espone molto facilmente all’accusa di omofobia.“

    Penso di essermi spiegato rispondendo al suo punto 5. Come vede, per me l’espressione “mutare natura e senso” non è un eufemismo, è una descrizione precisa. Non dico “svilito” perché non trovo esatta la parola. Estesa alle coppie omosessuali, la Forma/Istituzione matrimonio non si “svilisce”, cambia di natura e di senso. Volendo drammatizzare si può dire che “muore”, volendo fare dell’ottimismo si può aggiungere che “rinasce diversa”. Capisco di espormi all’accusa di omofobia, ma non so cosa farci, se non mentire, stare zitto o cambiare persuasione. Spero che non si approvino leggi che diano l’opportunità di adire le vie legali contro di me.

    “9. Che Spinoza ed Hegel dicano cose interessanti, è fuori di dubbio (Preve, mi spiace, non l’ho letto). Ma mi risulta altresì che il concetto di natura umana abbia iniziato a far acqua da Marx, Nietzsche e Freud (già, sempre loro): i quali, del resto, dicono un sacco di cose interessanti e utili tuttodì.”

    Certo. Ho citato Preve perché, al centro della sua interessante revisione del pensiero di Marx, c’è un’analisi critica e una ricomprensione del concetto marxiano di Gattungswesen, che nella nostra discussione verrebbe assai a proposito. Visto che non l’ha letto, non ne parlo.

    “10. Aggiungo che ridurre l’unione di due persone che decidono di vivere insieme a un contratto è parlare di algebra, dove invece parliamo di destini. Me li faccia conoscere, questi ragionieri che si mettono insieme per carta bollata: e io le presento dozzine di coppie che si mettono insieme per una marea di motivi, che hanno a che fare con la loro dignità di persone. Non scambiamo la forma eventuale con la sostanza. Da un certo punto di vista, è ridicolo che la maggiore nemica di questo desiderio di eticità riconosciuta sia la chiesa cattolica. Immagino che a lei non importi una cippa, ma per un omosessuale sapere che può unirsi legalmente con il proprio compagno gli cambia la vita, e di parecchio.”

    Capisco che può sembrare dispregiativo, parlare di modello contrattuale “quando si parla di destini”. Aggiungo che anche gli sposi si sposano “per una marea di motivi”, spesso anche sbagliati, nevrotici, abietti, etc. Però io parlo di forma, e di contenuto della forma. Ripeto: se l’unione è ordinata all’appagamento dei bisogni e dei desideri soggettivi, ripeto *soggettivi* dei contraenti (bisogni e desideri che possono benissimo essere i più elevati e commendevoli) prende la forma, ripeto *forma* di un contratto. Kant, ad esempio, mettendo elegantemente da parte le fondazioni metafisiche e religiose del matrimonio allora prevalenti, definisce il matrimonio “contratto nel quale gli sposi si concedono il mutuo usufrutto delle facoltà sessuali”, così ricomprendendovi (senza immaginarlo) anche le coppie omosessuali. E la definizione è esattissima, qualora non si consideri (a mio avviso sbagliando) che il matrimonio è forma istituzionale ordinata non all’appagamento dei bisogni o desideri soggettivi degli sposi, ma ad integrare la riproduzione della specie nella cultura.
    La nostra civiltà è individualistica, la più individualistica mai apparsa sulla faccia della Terra. Di conseguenza, una forma ordinata a uno scopo sovraindividuale appare ai più insensata e intollerabile, ragion per la quale tanti matrimoni vanno in malora. Il matrimonio non è mai stato, né mai sarà se sopravvive, una passeggiata tra rose e viole, e se viene inteso come contratto, sottoscriverlo è come minimo un colpo di testa. Infatti, il matrimonio non è un contratto: è un voto o un patto inter vivos, mortuos et futuros. Forse questo rilievo la aiuta a comprendere meglio perché “la maggiore nemica di questo desiderio di eticità riconosciuta sia la chiesa cattolica”. Quanto a me, capisco benissimo che “a un omosessuale potersi unire legalmente con il suo compagno gli cambia la vita”, e quando gli si potrà unire civilmente, sarà un bel giorno per tutti, anche per me.

    “Finalino. b) e quale coppia eterissima le dà la garanzia di non tirar su un disgraziato? perché questo sospetto preventivo per le coppie gay, quando, semmai, abbiamo un’esperienza secolare di nozze e filiazioni catastrofiche, e che però (è il caso di dire) non hanno ancora indotto a buttar via il bambino (i matrimoni riusciti) con l’acqua sporca (quelli falliti)?”

    Leggendo i tragici greci, si capisce subito che il matrimonio e la famiglia sono ordigni pericolosi e difettosi. Quindi, no, la garanzia nessuno la può dare.
    Il sospetto preventivo sulle coppie genitoriali omosessuali, invece , un suo fondamento ce l’ha, e non, ripeto *non* riguarda l’amore della coppia parentale, o la sua capacità di prestare ai figli le cure necessarie, cose tutte che possono declinarsi nel modo più giusto o nel modo più orrendamente sbagliato, tanto da coppie vecchio modello quanto da coppie di modello nuovo (l’amore, per esempio, se male indirizzato può distruggere i figli peggio dell’odio o dell’indifferenza).
    I bambini qualcuno li mette al mondo, ma poi vanno anche costruiti; e ci sono regole architettoniche da rispettare, se vogliamo che stiano in piedi. La differenza sessuale, incarnata nel padre e nella madre (naturali o adottivi) è un elemento essenziale per la costruzione psichica del bambino, un generatore simbolico decisivo. Gli permette di costruire la sua identità, e di coniugare il verbo (i tempi e i modi) della sua vita. Al presente: “Sono un bambino” o “Sono una bambina”. Al passato: “discendo da questi uomini e da queste donne, nelle mie ascendenze materna e paterna”. Al futuro: “da grande, sarò un uomo come mio padre, mio nonno, etc.”, oppure “sarò una donna come mia madre, mia nonna, etc.” La differenza sessuale, poi, è uno dei primi limiti insuperabili che il bambino incontra: insuperabile, perché iscritta nel corpo. Qualunque cosa faccia, pensi o desideri, se il bambino è un maschio non può essere femmina, e viceversa. Dunque, se non può *essere* tutto, non può neanche *avere* tutto. Se decretiamo che la differenza sessuale è un particolare senza importanza, rimettiamo in causa un limite fondamentale, e per il bambino tutto diventa possibile: come nel regno delle fate. Non è il mondo in cui dovrà vivere.
    Poi un bambino, pur costruito secondo queste regole, può crescere e diventare Totò Riina. Ma questa è un’altra storia, no? Perché spero che nessuno vorrà ribattermi che, cresciuto da due mamme o due papà, diventerebbe senz’altro un cittadino modello.

    « non vedo perché si debba ‘far saltare l’intero impianto giuridico della filiazione’ »

    Perché tutti i codici civili e penali sono stati scritti sulla base di una cultura che identifica le persone e i loro diritti tenendo conto dei rapporti di parentela diretta e indiretta, che si stabiliscono in base alle due linee di ascendenza e discendenza paterna e materna. Per forza di cose, i figli di coppie omosessuali avrebbero due linee di ascendenti o entrambe maschili o entrambe femminili, più una terza linea di ascendenza (quella del terzo donatore) della quale si dovrebbe decidere che fare: cancellarla? Iscriverla? Come? Etc. Non è che sia impossibile, almeno sulla carta si può fare tutto. Però, vanno effettivamente riscritti i codici, modificati istituti giuridici importanti, etc. Tutto qui.

    “dobbiamo scoprire che non solo la felicità della vita di coppia riconosciuta e tutelata, ma persino l’eticità spetta in esclusiva degli eterosessuali?”

    La felicità della vita di coppia, comunque composta e comunque registrata, non può tutelarla nessuno, e secondo il mio avviso sarebbe meglio che nessuno ci provasse. Quanto all’eticità, come le ho detto concordo sul valore etico delle unioni civili per gli omosessuali.

    “lei sa cosa significa abbandonare un individuo alla pura soggettività delle scelte, senza tutele, senza garanzie, senza soprattutto l’occasione di dare un significato pubblico, sociale ai propri affetti e ai propri impegni con un altro? Lei sa cosa significa legare la propria vita a qualcuno, e lasciare che la frase «è il mio compagno» non abbia alcun peso di fronte alla collettività? “

    Lo so per sentito dire e perché me lo immagino; quindi, in buona sostanza, non lo so. Trovo giusto e opportuno che questa situazione dolorosa finisca.

    “Morale delle favola: garantiamo la possibilità di una vita giusta a tutti.“

    Vasto programma, che nell’intenzione mi trova concorde.

  143. a E. Abate.
    La ringrazio per le intelligenti osservazioni, e mi scuso se non potrò risponderle nei prossimi giorni. Lo farò al più presto possibile.

  144. aggiunta alla risposta a R. Donnarumma.
    alla seconda parte del suo punto 6:”Gli psicoanalisti possono sostenere A, B che è il contrario di A, e C che non è né A né B – come i giuristi, i medici, o i fisici delle particelle. La scelta è culturale, morale e politica: non la si può demandare all’inesistente oggettività della Scienza (fermo restando che, come ovvio, uno ascolta tutte le campane).” non ho risposto.

    Rispondo ora dicendole che concordo sillaba per sillaba, e che ho detto la stessa cosa, quasi con le stesse parole, in più interventi precedenti.

  145. @ Buffagni
    Cerco di essere breve, perché temo che altrimenti non si segua più. Vado subito ai punti su cui c’è da discutere, citandoli a modo mio (così si vede subito se ci intendiamo). Se dimentico qualcosa che giudica importante, me lo faccia sapere:

    – Derrida
    Non è la mia posizione. Ripeto: il matrimonio religioso è un diritto, e va garantito.

    – Essenzializzazione del matrimonio
    (Confesso che mi sono un po’ perso nel capoverso sulla poligamia e gli omosessuali che hanno sempre potuto sposarsi… con eterosessuali).
    È vero: il matrimonio è centrale nel simbolico, nella nostro modo di essere e di pensarci, e per questo, dicevo sopra, bisogna comunque farci i conti. La durevolezza storica non è però essenza (ma io alle essenze dei fatti storici non credo tanto). Nego comunque che, nel momento in cui/ in conseguenza del fatto che/ poiché anche gli omosessuali si sposeranno, cambieranno natura e senso del matrimonio. Natura e senso del matrimonio sono GIA’ cambiati: il matrimonio omosessuale ne è una conseguenza più o meno tardiva; o, se vuole, è una sanzione del cambiamento. Non ne è in nessun modo una causa. Il matrimonio omosessuale si accosta a quello eterosessuale, di cui assume le regole: certo, mettere B accanto ad A muta la nostra percezione sia di A, sia di B; ma davvero muta essenzialmente A o B? Il paradosso è che, mentre secondo me il matrimonio eterosessuale continuerà per la sua strada, sarà la vita di relazione omosessuale (e l’omosessualità in genere) a cambiare radicalmente, perché assumerà forme che sino a quel momento le erano ignote.
    È reversibile il cambiamento del matrimonio? Mi pare di capire che lei pensa di no. E allora, perché cercare di arginare il declino conservandolo in una forma dura e pura che non corrisponde più alla sostanza? Davvero costringere gli uomini e le donne a praticare il matrimonio solo in quella forma, e impedirlo ad altri, serve? Non è, prima che ingiusto, inutile?

    – La coppia parentale eterosessuale serve al costituirsi dell’identità del bambino. Una coppia omosessuale produrrebbe il tracollo della differenza sessuale, dell’identità soggettiva, di un intero sistema simbolico
    Senza precisi riscontri clinici, ogni discussione in proposito è metafisica. Bambini allevati da coppie omosessuali esistono: se ci sono studi che dimostrano che questo ha comportato forme di disagio, parliamone. Si tratterebbe, naturalmente, di una cosa della massima importanza. Neppure le parole di Claude Halmos, che lei qui traduce e che già citava, si fondano su uno studio clinico (mi corregga se sbaglio): sono teoria.
    Dunque, in assenza di casi reali di esseri umani reali, rimaniamo nel campo delle supposizioni. Sembrano ragionevoli, ma nel primo Ottocento sembrava ragionevole anche che viaggiare sui convogli delle strade ferrate potesse produrre effetti disastrosi sulla salute. Invece…
    Del resto, di che disagio si tratterebbe? Il crollo del simbolico dovrebbe condurre, addirittura, alla psicosi. Conosce casi del genere? O forse si teme che da genitori omosessuali vengano figli… omosessuali? È un problema?
    Ne dubito, del resto (ipotizzo pure io, come vede: cautamente). La differenza sessuale non passa solo attraverso il padre e la madre. Non mi salta per la testa di negare la centralità del mondo parentale per il bambino: ma non è tutto il mondo. Mi pare una visione familiocentrica un po’ asfittica (ricorda le ironie di Deleuze-Guattari sull’Edipo?). Se la differenza sessuale è iscritta nel corpo (ma il corpo è già subito natura e cultura insieme), uno se la porta ovunque, e la legge in qualunque corpo. E poi non è iscritta: si scrive. Si insegna, si impara, si assorbe (anche se, per plastici che siamo, non siamo spugne). L’ipotesi che un bambino non percepisca differenza, né limiti, e vada alla deriva verso l’indistinto del delirio narcisistico perché è stato allevato da due uomini o da due donne mi pare piuttosto fantascientifica. Credo lo sarebbe persino in casi di segregazione.
    Del resto: un orfano di padre o di madre, per essere privo di uno dei due lati della differenza sessuale, è esposto al disordine psichico? È esposto sicuramente al dolore che anzitutto la vedova o il vedovo gli trasmettono, o al sovrainvestimento, e a un senso di privazione (anche questo, più o meno sottolineato dalle persone che lo circondano). Ma non direi che, per statuto, è condannato al tracollo delle strutture dell’identità.
    L’eterossessualità è così pervasiva nell’aria che respiriamo, che non c’è pericolo che al bambino non ne giunga notizia sin dalla culla. E soprattutto, la differenza e il limite non stanno solo nei sessi. Mi pare che qui Buffagni ontologizzi la differenza sessuale, promuovendola a dispositivo dal quale poi deriva ogni forma di conoscenza del mondo e di integrità (o di disintegrazione) psichica. I bambini imparano che non sono un tavolo o un gatto forse persino prima di aver imparato che sono un maschio o una femmina (tant’è vero che, stando a Freud, inizialmente rimuovono la differenza sessuale come traumatica).

    – Linee di ascendenza o discendenza
    Non ho una cultura giuridica sufficiente, e forse mi sfugge il problema. Mi pare che un paradosso del genere possa essere messo in piedi per tutte le adozioni, non solo quelle compiute da omosessuali.

    – Il matrimonio è un contratto fondato sul desiderio soggettivo?
    Nel momento stesso in cui mi sposo, il mio desiderio soggettivo diventa un fatto pubblico, cioè oggettivo. Il che, per altro, secondo me può essere una gran bella cosa per lo stesso soggetto del desiderio. In questo, non sono kantiano: sono hegeliano.

    La ringrazio, a ogni modo: anche se vedo che dei baci perugina ai tre della pampa, proprio non ne vuol sentir parlare.

  146. L’umano stà andando verso il transumanesimo e parliamo ancora di un concetto di natura che non esiste più se non nelle menti più incapaci di osservarlaa; parliamo di riproduzione della specie in un mondo sovra popolato; parliamo di uomo e donna quando esistono forme di trans ed ermafroditismo(che sono una nomalia? o dovrebbero essere la soluzione?). Il matrimonio e la famiglia tradizionale sono il vero limite all’emancipazione della nostra civiltà verso un’indole inclusiva e non espulsiva. Che scoramento.

  147. a R. Donnarumma.
    Le rispondo subito, perchè nei prossimi giorni sarò in viaggio e non potrò farlo. Mi scuso di non avere tempo per una replica più meditata e organizzata.

    1. So che la sua posizione non è quella di Derrida, che ho proposto soltanto perchè radicalizza in modo intelligente la logica del matrimonio *soggettivo* cioè contrattuale, e ne mostra con chiarezza un esito possibile. Gli “estremisti”, in qualsiasi campo, servono come apripista (anche mentali).
    Il matrimonio religioso non ha bisogno di essere un diritto. Dal pdv religioso non solo cristiano, se anche il matrimonio fosse proibito dalla legge civile, ci si potrebbe sposare in modo sacramentalmente valido con il semplice scambio privato della promessa matrimoniale.

    2. Essenzializzazione del matrimonio, poligamia, omosessuali che si sposano con eterosessuali etc.
    In realtà, è molto semplice. Io le ho proposto una analisi formale del matrimonio. Se invece che di matrimonio parlassimo, che so, di sonetto, di romanzo, di sonata, lei mi seguirebbe senza problemi. Provi a far finta che parliamo della forma sonata, e vedrà che ci capiamo al volo (anche se poi continuiamo a dissentire).
    Quanto agli omosessuali che possono sposarsi con gli eterosessuali, il punto è che la sua categorizzazione omo-eterosessuali le fa fraintendere il mio pensiero. La categoria appropriata al matrimonio in quanto istituzione e forma è il sesso, non l’orientamento erotico: quel che *sei*, e non quel che *desideri*.
    Per fare la forma-matrimonio, ci vuole un uomo + una donna, oppure x uomini + 1 donna, oppure 1 uomo + x donne.
    Se qualcuno di costoro orienta il suo desiderio erotico verso il suo medesimo sesso, il matrimonio non è per questo meno valido e formalmente compiuto (sarà magari infelice e produrrà dissonanze, ma questo non è il punto).

    Quel che conta, ripeto, è il *sesso* dei contraenti il matrimonio, che è l’aspetto *oggettivo* e formale del matrimonio, non il loro orientamento erotico, che è l’aspetto *soggettivo* e contenutistico del matrimonio (come l’amore o il desiderio, che possono rivolgersi fuori dalla coppia coniugale).

    Forma = Armonia, Contenuto = Melodia. All’interno della medesima forma, mille melodie possibili; ma quando si nega la forma, essa muore e se ne deve inventare un’altra (se ci si riesce).

    Se ci pensa, in una analoga tensione tra forma e contenuto si può compendiare l’intera contraddizione dialettica fra Classicismo e Romanticismo. E uno che di Classicismo e Romanticismo se ne intendeva parecchio – Goethe – non casualmente ha scelto il matrimonio come tema del suo ultimo (e più terribile) romanzo, “Le affinità elettive”. Potrei continuare con Kierkegaard e il suo “Aut-Aut”, e insomma non finirla più.
    Ma spero che questa minima segnaletica possa aiutarla a svolgere da sè il ragionamento che le potrei proporre, e a continuarlo nella direzione che le parrà più opportuna.
    Certo, la forma è fredda, la melodia è calda, come insegna Schubert ne “La morte e la fanciulla”, dove come lei sa, la morte è l’armonia/forma e la fanciulla la melodia/contenuto. Però senza forma non c’è vita (mortale), nè opera (durevole).

    3. Futuro del matrimonio. Non so quale sarà (sul serio). La Forma- Capitale, per esprimersi con Alain de Benoist, non è compatibile con la Forma-Matrimonio; l’individualismo, che è l’orizzonte comune, è altrettanto incompatibile con le istituzioni sovraordinate. Io difendo, nei limiti del mio possibile, una istituzione per la quale non vedo sostituti. Poi sarà quel che Dio o la storia umana vorranno; in ogni caso, non si combatte solo quando si sa o si spera di vincere.
    Non penso che sia positivo per nessuno, neanche per gli omosessuali che vogliono accedervi, snaturare il matrimonio.
    Il mio pensiero in proposito, che spero non offenderà nessuno, è questo. Sugli omosessuali è pesata, per secoli, una tremenda maledizione religiosa e sociale. Di recente si sono tolti di dosso, con grandi fatiche e sofferenze, questo mantello di piombo. Ora, alcuni di loro vogliono il compiuto risarcimento simbolico: vogliono mettere le mani sul tesoro più grande della tradizione che li ha oppressi. E quel è, questo tesoro? Quello, tanto più prezioso e misterioso e antico in quanto favoleggiato da ciascuno nella propria infanzia, dal quale tutti abbiamo avuto origine: l’incontro sacro fra il padre e la madre, che ha per nome “matrimonio” anche quando, nella biografia personale, non vi fosse legittimazione matrimoniale.
    Nell’attimo in cui vi mettessero le mani, il tesoro, il favoleggiato tesoro simbolico si muterebbe in ceneri e carbone. E’ un pensiero che mi richiama alla mente quel che avvenne ai Crociati, che andarono in Terra Santa a liberare il Sepolcro di Cristo, senza pensare (eppure lo sapevano benissimo!) che Cristo era risorto, e il suo sepolcro non poteva che essere vuoto…

    3. Le conseguenze sui figli di una coppia parentale omosessuale. Ho tradotto C. Halmos perchè formula, meglio di quel che saprei fare io, il mio pensiero in proposito. Le sue posizioni sono frutto di esperienza clinica. Non sono verità incontrovertibili, naturalmente, e come detto sopra, altri psicologi la pensano diversamente. Conversando con amici che hanno esperienza clinica, ho raccolto pareri spesso in sintonia con quello da me compendiato. Nessuno pensa che il semplice fatto di avere per genitori una coppia omosessuale possa provocare addirittura crolli psicotici; e anche l’adattamento sociale non dovrebbe risentirne in modo particolare.
    In generale, mi è stato detto che gli eventuali problemi clinicamente importanti potrebbero/dovrebbero emergere al momento in cui i figli di coppie omosessuali diventeranno anche loro padri e madri: sia in loro, sia nei loro figli. Non sono in grado di giudicare, e studi su larga scala in proposito non esistono perchè non possono esistere. Io non sono uno specialista, nè ho una cultura psicologica superiore alla media. Ho due figli, ma questo non mi autorizza a sentenziare.

    4. Giure, ascendenza, soggettività che nel dichiararsi diventa pubblica.
    Quanto alle ascendenze nel giure, se ne ha voglia si può informare, ma le garantisco che le cose stanno come gliele ho descritte.
    Certo, la soggettività che si dichiara assume rilievo pubblico: questo avviene, ad esempio, in qualsiasi contratto di locazione. Il quale però resta un contratto fra privati, nel quale la società non mette becco, a meno che a) non ne sia richiesta da uno dei contraenti, al fine di far rispettare le obbligazioni sinallagmatiche b) il contratto non sia difforme riguardo all’oggetto, e quindi nullo (se per esempio affitto il Colosseo, che non è mio).

    Per concludere. Mi colpisce la disinvoltura, la superficialità, la noncuranza, la povertà di riflessione (non sue, mi intenda bene) con la quale molti propongono di imboccare questa via, che è, a prescindere dalle mie persuasioni, un salto nel buio (come minimo). E mi dico che nella storia, i cambiamenti epocali (in meglio e in peggio) avvengono proprio così: senza che chi se ne fa alfiere abbia la minima idea di quel che vuole e fa…
    La ringrazio per le sue repliche intelligenti e stimolanti, e la saluto cordialmente.

  148. In questo lunghissimo dibattito che si va svolgendo nei commenti al pezzo di Buffoni, si è evidenziata una corrente che chiamerei nuovista che Genovese interpreta nella maniera più coerente e si potrebbe aggiungere sfacciata, ma che in realtà trova tanti altri proseliti.
    Genovese infatti, dopo aver enunciato il suo credo tutto incentrato sul riconoscimento dei diritti civili, (diritti civili uberalls), dice:
    “…non sappiamo nulla della psicologia dei figli cresciuti con coppie gay, per la semplice ragione che non ci sono dati sufficienti, perché si tratta di una trasformazione sociale appena agli inizi. Non avremo più il complesso di Edipo, caratteristico della famiglia eterosessuale nucleare? Avremo altri tipi di “complessi”? E come si fa a sapere se questo sia meglio o peggio?”
    Esatto Genovese, come si fa a saperlo? Come si fa a sapere se si può pompare petrolio dalle profondità degli oceani? Proviamolo, eventualmente ci sarà un disastro ambientale, e pazienza. Magari facciamo anche scoppiare una bomba atomica per contrastare il sovraffollamento del pianeta, chissà se i vantaggi di avere meno uomini supereranno gli svantaggi di avvelenare e distruggere risorse anbientali vitali, proviamolo, più che fallire ed estinguersi come umanità non possiamo.
    A me, questa ideologia da apprendista stregone, mi spaventa proprio, mi spaventa perchè non sta nella mente di qualche improbabile intellettuale sparso per il mondo, ma perchè è un’ideologia vincente, è quella che ha consentito ad esempio la diffusione degli ogm, ed è molto significativo che una persona certamente intelligente come Ares non riesca a cogliere la pertinenza delle mie argomentazioni, è caratteristica precipua delle ideologie di accecare le persone che le abbracciano. E’ tale il furore di questa corrente di pensiero che nega addirittura l’esistenza stessa della natura umana, nessuna assurdità ci viene risparmiata in questa atmosfera.
    Si determina così, senza certo una volontà specifica, una vicinanza tra persone come Buffagni, Abate e me, che dallo specifico punto di vista dell’argomento in discussione non avrebbero alcun motivo per trovarsi accomunate, ma Buffagni con cui magari non condividerò molto d’altro, condivido tuttavia una cosa decisiva, la necessità di argomentare secondo un criterio logico e conseguenziale.

  149. 1) Infatti, due miei amici omosessuali con barba baffi(due uomini insomma), si sono sposati in chiesa, con relativi testimoni, grazie a un prete consenziente, la cerimonia era semplice, quasi a porte chiuse, e in ore tardo serali, gli invitati 10, niente di eclatante. Grazie don Emilio(27enne) !!!!!!… io non l’avrei mai fatto, ma purtroppo loro oltre che froci sono pure cattolici, Non so come faccio a tenermeli come amici.

    2) L’armonia a varie forme… non è la “forma” come il solito ragiona sbagliando anche gli esempi usandoli a suo uso e consumo: l’armonia dai greci ai giorni nostri ha cambiato forma 1000 e più volte, vi è l’armonia medioevale, barocca, l’armonia diventa disciplina solo nel ‘700 prima di allora la costruzione della stessa era estemporanea e variegata, lei sta parlando dell’armonia post illuministica, che è quella “forma” che impedisce(rallenta) ogni evoluzione musicale verso altre forme, frutto magari di commistioni; il risultato sarebbe altrettanto valido. Lei afferma l’armonia Scientifica, gli omosessuali quella d’arte, creatrice, che impedisce il ristagno e la codifica eterna della forma.

    3) Il mio amico Paolo, psichiatra e psicoterapeuta, sostiene che i figli di unioni omosessuali sono sempre esistite, così come sono sempre esistite le famiglie senza la presenza di uno dei due sessi. Si veda ad esempio i figli degli orfani di guerra che sono cresciuti con la mamma e la nonna, finendo poi per sposarsi vivendo una vita serena ugualmente. Lui sostiene che quei figli esistono e sono oggi dei nonni. Esistono anche, i figli di nessuno, quelli che sono cresciuti negli istituti e negli orfanotrofi e senza riferimenti sessuali precisi che diventati adulti hanno avuto e hanno una famiglia e sanno amare e odiare come tutti, forse meglio. Trovo le sue intenzioni surrettizie veramente sgradevoli Buffagni…veramente.

    4) le leggi servono agli uomini e donne(tutti e tutte) non solo ad alcuni a spese di altri.

    In fine, il salto che lei vede nell’ignoto è una falsificazione perché quelle realtà e modalità di famiglia esistono già e si autoregolano, non godendo però di nessun diritto e riconoscimento. E’ la società familistica ne ha un guadagno, se non altro economico, come ho più volte ripetuto.

    Un alfiere

  150. @Buffagni

    Anche l’esempio parainformatico sulle icone presenti sul desktop è sbagliato, perché cliccando col tasto destro su un’icona e cliccando su “copy” è possibile copiare lo stesso programma a quel punto agendo sulle variabili di input “Uomo etero” “donna etero” è possibile estendere quel programma per un utilizzo più ampio. La vecchia versione potrebbe , sempre con un click, essere buttata nel cestino, con una “delete”. Si immagini se l’informatica non fosse aggiornabile e modificabile, saremmo alla paralisi procedurale.

  151. Caro Cucinotta,
    le ideologie dominanti funzionano così (tutte, cristianesimo compreso quando lo era). Offrono due specie di vantaggi. Uno, sociale: si viene approvati, ci si intende al volo, ci si sente dalla parte vincente.
    L’altro, personale: volendo, si risparmia lo sforzo di pensare con la propria testa. Certo, la funzione crea l’organo: se non pensi con la tua testa, il cervello prima si mette in modalità risparmio energetico, poi in standby, e per finire si spegne.
    Per esempio, il cervello del don Emilio di Ares, che avendo studiato teologia, e dunque anche filosofia, dovrebbe sapere come si ragiona logicamente. Invece, per essere moderno, buono, anticonformista, incoraggia la celebrazione di una cerimonia sacrilega nella sua chiesa (tecnicamente sacrilega, perchè due persone dello stesso sesso non sono qualificate a officiare il sacramento del matrimonio, come chi non sia ordinato sacerdote non è qualificato a celebrare la messa, e dunque se la celebro io commetto un sacrilegio).
    Poi, se il vescovo lo becca e lo punisce, può presentarsi ai media come martire dell’oscurantismo e aprirsi una nuova carriera come ospite dei talk show, magari inventandosi il Cattolicesimo 2.0 e registrandone i dogmi alla Siae. E bravo don Emilio, ancora uno sforzo e diventerai famoso…

  152. Buffagni, potrebbe anche essere un gesto simbolico… e che Don Emilio è un sacerdote rivoluzionario, per ora minoritario, ma in futuro chi lo sa?

  153. Il matrimonio è avenuto ormai 7 anni fa, credo che ne abbia celebrati altri a porte chiuse. La cerimonia era difficilmente riconoscibile da un avventore esterno, eravamo tutti in gruppo, vicini vicini, c’era una bella energia positiva, tutti sorridevano e lui, Don Emilio, era proprio pacato e parlava senza enfasi ma con fermezza, con una voce calda ma neutra nella più normale serenità ha pronunciato il suo rito, forse un po’ diverso, non lo ricordo esattamente ero anch’io troppo giovane per capirci qualcosa. E’ stato bello però, eravamo tutti emozionati, ci si teneva per mano stretti stretti uno accanto all’altro. Poi al “si lo voglio” è partita una scossa di mano in mano, Giulia, una mia amica, la mia mano la stringeva forte e piangeva senza emettere un sibilo. A me quell’emozione sembrava esagerata, allora, oggi no.
    Poi seppi che era stato spostato, Emilio il prete, ma credo che faccesse parte dell’iter di pellegrinaggio dei preti da una parrochia ad un altra, altrimenti se fosse stato beccato sarebbe certamente finito sui giornali. So che si sentono ancora i due sposi e il prete, si scambiano gli auguri e forse qualche cena, ma io non ho più contatti diretti, e non chiedo, è un loro segreto e lo rispetto.

  154. Caro Massino,
    don Emilio sarà una bravissima persona e avrà degli ottimi motivi per fare quel che fa.
    Però, a lei piacerebbe, essere giudicato da un giudice che invece di applicare, interpretandola, la legge, siccome non ci crede più se la inventa a suo talento? In caso di guerra, le piacerebbe che nell’esercito che la difende ci fossero ufficiali che, non credendo più nella bandiera a cui hanno giurato fedeltà, decidessero di non combattere più o di combattere dall’altra parte? A me, no.
    Nessuno ha spedito don Emilio in seminario con la pistola alla nuca, nessuno l’ha ordinato sacerdote cattolico minacciandolo di morte. C’è andato lui, di sua volontà, ed è stato ordinato dopo aver studiato per anni il diritto canonico, il catechismo, la teologia, etc.
    Si presume, in teoria, che per un sacerdote i sacramenti siano una cosa seria, come la legge per il giudice, la bandiera per il soldato (e il matrimonio per lo sposo).
    Ora, o don Emilio pensa che lo scambio di una promessa matrimoniale fra due persone dello stesso sesso sia un sacramento, e allora è eretico, perchè la Chiesa della quale è un ministro dice solennemente di no. Oppure don Emilio, per affetto verso le coppie omosessuali delle quali ha cura o per qualunque suo motivo a me ignoto, si presta, e presta la sua chiesa, alla parodia sacrilega di un sacramento.
    C’è una terza ipotesi, vale a dire che don Emilio abbia ricevuto una comunicazione personale del Padreterno in materia. E’ un evento raro, ma è successo. In caso, lo faccia sapere anche ai suoi superiori e a noi.
    Per finire, c’è anche una quarta ipotesi: ovvero, che don Emilio non creda più, in tutto in parte, a quel che ha solennemente giurato di credere, e in buona sostanza ritenga che il suo ministero sia equivalente a quello di un assistente sociale, di uno psicologo, di un amico.
    Si aggiunga poi che così agendo, è costretto a mentire sistematicamente ai suoi superiori e ai fedeli a lui affidati: in breve, a diventare un impostore.
    Non so. Secondo me, una persona onesta (anzitutto con se stessa) farebbe meglio a rinunciare a una vocazione che non fa per lui.
    E’ poi vero che persone come don Emilio hanno avuto dei cattivi esempi. Ne cito uno, quello di Vito Mancuso, un prete che ha chiesto, e ottenuto, prima la dispensa dall’attività pastorale, poi il permesso di sposarsi, per poi inventarsi un cristianesimo à la carte e andarlo ad insegnare all’Università San Raffaele (fino a poco fa diretta da un altro prete) e in TV, sui giornali, etc. Invece di pregarlo di accomodarsi all’uscita, la gerarchia ecclesiastica (per paura) se ne è rimasta zitta.
    Queste confusioni, vigliaccherie, mancanze di serietà, non fanno bene a nessuno, nè a chi sta nella Chiesa, nè a chi sta fuori. Chi non può credere a quel che la Chiesa insegna, non deve nè diventarne, nè restarne un ministro. A me non risulta che la bontà e la misericordia vadano d’accordo con l’impostura.

  155. Rispondo a Ennio Abate, post del 5 dicembre 2012 alle 06:45

    Caro Abate,
    anzitutto mi scuso per il ritardo; come dicevo, sono in viaggio. Trovo un po’ di tempo ora, e cerco di risponderle.
    Il matrimonio è la via per la felicità? Le unioni civili sono la via per la felicità? Il matrimonio esteso alle coppie omosessuali è la via per la felicità? Il matrimonio poligamico e polisessuato è la via per la felicità? Lo scambio di coppia è la via per la felicità? Il libero amore è la via per la felicità? La libera scopata è la via per la felicità? La solitudine è la via per la felicità? Le chat erotiche sono la via per la felicità? La castità è la via per la felicità? I rapporti erotici con gli extraterrestri sono la via per la felicità?
    Mia risposta: secondo me no, comunque ognuno si accomodi e faccia lui/lei/loro.
    No, non sottovaluto le grandi opere d’immaginazione sul matrimonio, la famiglia, l’amore e il disamore, dai tragici greci a Goethe, a Tolstoi, a Fontane, a Testori, giù giù fino a Ugo Tognazzi e alle sue indimenticabili interpretazioni ne “L’ape regina” di Ferreri o al suo mirabile ritratto dell’adorabile debosciato conte Mascetti in “Amici miei” di Monicelli.
    Da circa 150 cartelle, io dico una cosa sola, questa.
    1. Il matrimonio è una forma e una istituzione. Da quando esiste (un bel pezzo) per esistere esige la compresenza di (almeno) un uomo (maschio) e una donna (femmina). I due o più uomo + donna entrano in questa forma/istituzione allo scopo di procreare e integrare la prole nella cultura, perchè l’istituzione è ordinata a questo scopo. Quel che desiderino, si attendano, pensino, è importante per loro ma non crea la forma, ci entra come suo contenuto. Certo: se il contenuto è incompatibile con la forma, saranno dolori.

    2. Quali sono, questi dolori? Per restare a un livello elevatissimo, saranno i dolori dei quattro protagonisti de “Le affinità elettive” di Goethe, dove due matrimoni vanno a finire malissimo. Per andare sul quotidiano, saranno i dolori di chi oggi si sposa e poi divorzia per gli svariati motivi suoi.

    3. Adesso le coppie omosessuali vogliono sposarsi anche loro. Non gli bastano le unioni civili, perchè a) vogliono accedere alla nobiltà ereditaria e alla potenza simbolica del matrimonio, la Forma/Istituzione che ha fatto da tema alle millemila grandi e piccole opere dell’immaginazione di cui al punto 1. b) vogliono avere figli anche loro, e una volta che fossero sposati, come si fa a dirgli “No, ragazzi, voi i figli non li potete avere!” visto che il matrimonio è ordinato alla procreazione e alla integrazione della prole nella cultura?

    4. E qui nasce il problema. Il problema è questo. Il matrimonio è una Forma, e questa Forma non è ordinata ai desideri soggettivi degli sposi, è ordinata, o meglio *sovraordinata* (lasciamo stare gli Dèi) a una necessità della specie e delle civiltà umane: procreare, e integrare nella cultura la prole. Così operando, il matrimonio diventa un potentissimo creatore di simboli, perchè dà letteralmente voce e parola a ciò che parola e voce non ha, cioè la natura e i corpi umani che essa intesse e *crea* in un incontro sessuale tra maschio e femmina. Però come tutte le forme è fredda, dura e soprattutto cieca: non le importa un piffero di quel che desiderano, vogliono, sperano coloro che vi accedono. Esempio: alla Forma della Vita Umana non importa un accidente che chiunque nascendo vi acceda sia condannato a morire (e perdipiù lo sappia). Come la prende, sono fatti suoi. In questo caso, conviene prenderla meglio che si può, perchè si tratta di una Forma che, sinora, non ammette deroghe: minestra *e* finestra.

    5. Il matrimonio è più malleabile. E’ istituzione umana anzichè divina o fatale, e quindi ci si può trafficare finchè si vuole. Questo pare il momento buono per trafficarci, perchè
    a) la nostra civiltà è radicalmente individualista, e trova folle e insensato che ci siano forme e istituzioni che esigono di mettere al secondo posto le volontà e i desideri individuali. Volontà e desideri individuali vengono messi al secondo posto solo in seguito a *nuda costrizione*: per esempio quando ami, e chi ami non ti corrisponde; o quando desideri un posto nella società, e questo posto ti viene negato. L’idea che uno, o addirittura due persone possano rinunciare a mettere al primo posto i propri desideri e volontà, e non solo per x mesi o anni, ma per tutta la vita, per motivi diversi da paura, sconfitta, superstizione, coglioneria, non passa per la testa quasi a nessuno.
    b) a causa di a), il matrimonio (uomo + donna) è “una diligenza scassata”, dunque più facile da assaltare. Perchè i passeggeri della diligenza non sanno, letteralmente *non sanno* nè come è stato fabbricato il veicolo, nè dove va, e soprattutto perchè ci va. Quindi, di chi ci salga sopra gliene importa, tutto sommato, molto poco. “Avanti c’è posto, poi se ti stufi scendi.”

    6. Salgono le coppie omosessuali sulla diligenza scassata. Che cosa succede? No, non si aprono le porte dell’inferno, il cielo non fulmina, non nascono bambini con due teste. Succede che la Forma matrimonio finisce, tutto lì. Finisce, not with a bang but with a whimper.

    7. Quale forma nasce, al suo posto? Nessuno lo sa, e chi dice di saperlo è un magistrale e sfacciato bugiardo.

    8. Io trovo sbalorditivo che, non sapendolo, si dica, “Dai, vediamo come butta.” Perchè? Perchè la Forma Matrimonio, per i motivi che ho lungamente cercato di esporre, è un generatore simbolico tra i più potenti, e intesse dei suoi simboli tutti, ripeto *tutti* i sistemi simbolici che fanno esistere le culture e le persone che ci vivono dentro come i pesci nell’acqua.

    9. Non succederà niente di grave? Staremo tutti meglio? Tutto come prima? Non lo so. Andando per induzione, ho buttato lì qualche ipotesi. Tra queste, una che mi sembra fondata è quella di un possibile incardinamento *totale* dei sistemi simbolici nella Tecnica o nel Gestell, nel Dispositivo, come lo chiama Heidegger. Si può anche chiamare capitalismo, società individualistica, Coso, etc.: non sono choosy.
    Andrà davvero così? Non ne ho la più pallida idea. Sul destino della cultura umana non si può commissionare uno studio di fattibilità e di impatto ambientale (chi lo paga?).

    10. E’ una cosa così importante, questa fine della Forma Matrimonio? Secondo me, sì. Una modifica radicale di un generatore simbolico di questa potenza – quello che, fra l’altro, ha generato trecento milioni di opere d’arte, buona parte delle quali, negli ultimi secoli, *contro* il matrimonio – conta di più, per come la vedo io, di tutte le rivoluzioni, americana, francese, russa, cinese, cubana, e via dicendo.

    11. Avrà effetti sul sociale, inteso come redistribuzione dei poteri e delle risorse? Non credo, non ci ho pensato molto e francamente non mi interessa un gran che. O meglio: la politica e i rapporti di forze sociali mi interessano parecchio, ma qui, sempre secondo me, stiamo parlando di una cosa che nessun partito politico e nessun sindacato sono all’altezza di gestire o anche solo di pensare. Certo, fa riflettere che le sinistre profondano tante risorse umane e materiali per un obiettivo come questo, e poi votino in parlamento le leggi sul precariato e il furto di cinque anni di pensione a tutto il popolo italiano, ma sinceramente, in questo contesto ubi maior minor cessat, e per me il maior è l’altra cosa.

    12. Chi è in grado di gestirla e di pensarla? Secondo me, nessuno. Il che vuol dire che si gestirà da sè. Dove ci porterà? Non lo so. Alla felicità non credo, ma non è mai detto, riderà ben chi riderà ultimo. Io per adesso non rido.

    13. Tutto questo casino per due omini o donnine che vanno dall’assessore a dire “Sì?” e poi divorziano nel giro di 10 anni massimo? Sì. Mi sbaglio? Forse, che ne so? Hanno ragione gli altri? Può darsi. Devo però dire che li sento un po’ tanto sicuri di sì, un po’ tanto spigliati e spensierati. Da vecchio parruccone reazionario e pessimista, quando sento parlare di “lendemains qui chantent” mi viene sempre da pensare ai dopodomani con l’accecante emicrania da doposbornia. Nel frattempo, cin cin!

  156. Don Emilio non é un giudice, é solo un pastore, non attribuisca ad altri la sua vocazione egocentrica Buffagni. Tra i compiti di un pastore vi é l’intermediazione tra i fedeli e Dio, l’impostura é uno dei metodi della chiesa per avvicinare i fedeli a Dio(il miracolo):Don Emilio nn ha fatto altro che applicare il metodo in senso inverso, ma con il medesimo scopo.

  157. Buffagni, secondo la sua logica nella chiesa non sono possibili gesti provocatori, né tantomeno riforme. Invece…

    Ps: così, per curiosità, come cattolico lei lo riconosce il Concilio Vaticano II?

  158. No, secondo me già il concilio di Calcedonia s’era sbilanciato troppo.
    Caro Massino,
    che gesti provocatori sarebbero, se sono fatti di nascosto? Se uno vuole scandalizzare il pubblico borghese cosa fa, il teatro d’avanguardia a casa sua, a invito e con le finestre oscurate?
    Se don Emilio vuole fare il provocatore, celebra il matrimonio omosessuale alla Messa di Pasqua, si fa punire severamente dal suo vescovo, e finisce sulla copertina di “Time” come prete dell’anno.
    Don Emilio non mi scandalizza, mi deprime, come tutti coloro che si assumono una responsabilità e poi le vengono meno a rischio zero.
    Vuole le riforme, don Emilio? E chieda le riforme, combatta, rischi, vinca, perda, ci metta la faccia. Se poi don Emilio pensa che i sacramenti siano un bollino premio che si appiccica sui gesti quotidiani perchè così sono più poetici, perchè cavolo fa il prete, se ciò che distingue il prete dal non prete è proprio l’ordinazione sacramentale e la capacità di officiarli? Cambi mestiere, faccia l’assistente sociale, lo psicologo, l’organizzatore di eventi.
    A lei piacciono gli uomini di teatro che non credono nel teatro? Gli uomini di lettere che non credono nelle lettere? I padri che non credono nella paternità, i salumieri che non credono nel prosciutto, i profumieri che non credono nell’olfatto?
    L’unica categoria di non credenti che non ho mai incontrato sono i ricchi che non credono nei soldi. Chissà come mai.

  159. Buffagni, la cosa a me fa rabbrividire, anche se non per i suoi stessi motivi, ma evidentemente i due erano interessati a sposarsi davanti a Dio, degli uomini non gliene fregava un granche. Comunque i testimoni e invitati c’erano.

  160. Cari amici,
    mi sento un po’ in debito nei confronti di questo dibattito. Ho fatto una rapida incursione solo polemica, e la mancanza di tempo poi mi ha impedito di intervenire in modo più ragionato.
    Qualcuno mi ha interpellato, e siccome sono ossessionato dalla sentenza sartriana “il silenzio è fascista”, qualcosa devo argomentare.
    Vi chiedo scusa però, non sono riuscito a leggere con attenzione tutti gli interventi. Mi limito a dire coma la vedo. Non ne avrete a male se non replicherò, so già che non ne avrò il tempo.
    Intanto, sull'”estirpare”: ovviamente era detto polemicamente, voglio solo dire che ritengo certe tesi molto deboli, e che vanno combattute (con la discussione, ça va de soi).
    Poi, le mie tesi.
    Sono queste: io difendo non solo le unioni civili (tipo PACS o simili), ma anche i matrimoni omosessuali e l’adozione per le coppie omosessuali. Sottolineo: tutte e tre le cose. Il matrimonio infatti non esclude le unioni civili. Si tratta di diverse opzioni.
    La base della mia argomentazione è questa: l’idea di eguaglianza. Se vogliamo trattare le persone da eguali, dobbiamo rispettare allo stesso modo le istanze che le persone pongono, purché queste non violino l’eguale rispetto dovuto agli altri. L’unità morale della persona che dobbiamo rispettare, secondo me, è la sua integrità come soggetto capace di spontaneità e di scelta. In questo, ogni persona trova il rispetto dovutole se ha lo spazio in cui può diventare soggetto. Quindi:
    1) le devono essere garantiti i diritti che la tutelano come persona;
    2) deve avere riconosciuti i diritti che permettono di realizzare una sua concezione del bene, un suo progetto di vita, chiamatelo come vi pare;
    3) il progetto di vita che la realizza deve essere socialmente legittimato.
    Il punto 1) riguarda i diritti individuali, come è ovvio.
    Il punto 2) riguarda la possibilità per chiunque di accedere a diritti di coppia, anche se non si sceglie il matrimonio.
    Il punto 3) spiega perché non basta l’unione civile. Intanto ci saranno persone, omo o etero, che non vogliono solo avere unioni civili, ma vogliono sposarsi. Questo perché attribuiscono al matrimonio una carica simbolica particolare. Questa carica simbolica è anche il veicolo della legittimazione sociale di una scelta di vita. Se il matrimonio è solo per le coppie etero, vuol dire che la scelta di unirsi per tutta la vita, di fronte alla società, vincolandosi ecc., non è riconosciuta socialmente per gli omosessuali. Quindi c’è una discriminazione ingiustificata. Notate che legittimata socialmente non vuol dire approvata in termini di valori. Io posso personalmente essere contrario al matrimonio in generale, ma considerarlo una scelta legittima per altri. Però c’è una soglia al di sotto della quale questa legittimazione sociale è tolta: ed è il mancato riconoscimento simbolico.
    Sull’adozione per le coppie omosessuali: poiché nessuna ricerca dimostra in maniera definitiva che si rechino danni gravi necessariamente a bambini cresciuti in coppie omosessuali, poiché allo stesso tempo gli evidenti danni provocati da tante coppie etero non sono un argomento sufficiente per vietare a queste di fare figli, non è legittimo impedire agli omosessuali di adottare dei figli, seguendo delle normali procedure di adozione, auspicabilmente meno punitive (anzi, disumane) di quelle attualmente in vigore in Italia.
    Ecco qua, mi rendo conto che non è molto, ma riconosco che si criticano gli argomenti, non le battute. Mi scuso di nuovo se non potrò intervenire ulteriormente, questo è un periodo piuttosto carico.
    Un caro saluto,
    mp

  161. No, Piras, si sbaglia, il peggio non sta nel non rispondere alle obiezioni, ma nel rispondere ignorando bellamente tutto ciò che è stato detto ribadendo tesi ampiamente sconfessate dagli interventi che precedono: ciò è davvero molto peggio.

  162. Il mio post era “literature-oriented”, mirato a dimostrare come la letteratura e l’arte in genere, anche attraverso “testi mascherati”, riescano alla lunga ad incidere sul costume, quindi sui codici.
    Il thread mi è parso fortemente segnato dalla reiterata e insistente esposizione da parte di alcuni di concezioni omofobiche, ormai minoritarie o addirittura obsolete nel mondo occidentale.
    Ringrazio tutti coloro che con pazienza e generosità sono intervenuti a rintuzzarle.
    Mi auguro che anche l’Italia possa presto allinearsi legislativamente ai paesi più avanzati e civili.

  163. Caro Piras,
    io mi ricordavo “il silenzio è d’oro”. E in effetti, se non si può o non si vuole seguire un dibattito, perchè intervenire? Forse era meglio tacere, invece di fare un intervento che non tiene il minimo conto di tutto quel che si è detto prima. Comunque grazie della dichiarazione di voto.

    Caro Buffoni,
    a quanto pare lei trova obsolete non soltanto le mie posizioni, ma anche la buona educazione, perchè mi accusa e mi insulta (“omofobo”, omofoba sarà sua nonna) senza nominarmi; la normale decenza, perchè invece di controbattere le mie tesi o si acquatta sul fondo come un pescegatto e manda avanti dei suoi incaricati, o le etichetta in modo sprezzante; e il senso delle proporzioni e del ridicolo, visto che addirittura pretende di parlare a nome dell’ “occidente”, determinando la data di scadenza delle persuasioni filosofiche e politiche altrui. Stia buonino, e non si metta un cappello che le scende sulle orecchie.
    E a mo’ di ciliegina, ci mette la “reiterazione” e “l’insistenza” con la quale mi sarei permesso di esprimere il mio parere (scaduto come lo yogurt nel mondo occidentale).
    Uè, Buffoni: qui non siamo in commissariato o in procura, lei non è il commissario o il piemme e io non sono il sospetto o l’imputato; non siamo neanche a casa sua dove può mettere alla porta chi le dà fastidio, siamo in un luogo di pubblico dibattito dove se qualcuno si è comportato in modo incivile “reiteratamente e con insistenza” è lei, che con l’idealtipica tartuferia che la contraddistingue tira il sasso e nasconde la mano, insulta senza mostrare la faccia, e sputa sentenze sugli argomenti altrui senza sprecarsi a “rintuzzarli” con i suoi.
    Quindi, la invito alla coerenza e le suggerisco di adottare uno stile di interlocuzione compatibile con quella ” educazione, gentilezza, civiltà” necessarie a “umanizzare il mondo”, come “diceva Rilke”. Vasto e lodevole programma al quale tutti ci associamo, e che com’è noto inizia, per ciascuno, dall’opera (non facile) di umanizzazione di se medesimo.

  164. Credo che pochi siano stati i post che in questo blog hanno raggiunto gli oltre 170 commenti; commenti che superano le 2 cartelle ciascuno (di media). Cosa voglio dire, voglio dire che evidentemente si è creato dibattito, e questo non può essere che un bene. Ognuno dibatte poi a modo suo, indubbiamente, oltre tutto il dibattito per commenti ha in se delle sue pecche che definirei tecniche. Tuttavia chi sta in fondo al mar e chi sulla cresta dell’onda, c’è stato modo di confrontare pensieri. Personalmente non ho letto tutti gli oltre 170 commenti, ma solo alcuni, random, saltando allegramente. Non vorrei e non potrei certo aggiungere altro se non una piccolissima riflessone che mi porto in mente da qualche tempo: il tempo è dalla nostra parte, non si può fermare la modernità e in un modo o nell’altro riusciremo a raggiungere i traguardi che altri paesi hanno già tagliato. Su questo punto sono stranamente fiducioso; potranno rallentare, ostacolare, intralciare, sviare, ma alla fine si arriverà. Certo meglio prima che poi, ma senza dubbio con un pizzico di presunzione posso affermare che la vittoria sarà la nostra, della società civile e del diritto egualitario. Che altro aggiungere, un ringraziamento a Buffoni per l’ottimo spunto e questo lo deve riconoscere anche Buffagni, che se tanto ha speso in caratteri (avrei detto fiumi d’inchiostro in altri tempi) qualcosa vorrà pur dire. E se tante altre persone di indubbia stima e valore hanno speso il loro tempo nella lettura del suddetto post e dei commenti, anche questo vorrà dir qualcosa. Io credo di si e sarò sicuramente di parte perchè con queste mia parole prendo una posizione. Sempre meglio che non prenderne nessuna. Poi ci si confronta e si cambia parere o si affina quello che si ha. Nell’attesa di una legge giusta, nell’attesa di altre decine di commenti che seguiranno, nell’attesa del prossimo Diaro pubblico di Buffoni, non ci resta che la letteratura. E non è poco.

  165. @ Buffoni

    Vorrei farle notare anch’io che questi suoi interventi saltuari, in cui fa il tifo per la sua posizione ed etichetta ingiustamente i suoi avversari, risultano, proprio in una discussione che è proseguita e ha evitato di ridursi a bar sport (basti rileggere il confronto diventato serrato e rispettoso tra Buffagni e Donnarumma), fuori posto e puerili.
    L’avevo già invitata a ragionare assieme a noi, perché questo stiamo facendo e non può confondere ragionare con omofobia.
    Ci pensi…

    @ Buffagni e Donnarumma

    Sto preparando la risposta ai vostri ultimi commenti.

  166. Caro Piras,
    ha riletto il suo intervento? Io l’ho fatto, e mi è balzata all’occhio la seguente affermazione:

    “…poiché allo stesso tempo gli evidenti danni provocati da tante coppie etero non sono un argomento sufficiente per vietare a queste di fare figli, non è legittimo impedire agli omosessuali di adottare dei figli…”

    Il silenzio sarà anche fascista come diceva Sartre, ma come definire la sua esternazione da fiat aequalitas, pereat mundus?
    Posto che fosse possibile vietare alle “coppie etero” di fare figli, non le ha sfiorato la mente il pensiero delle conseguenze? Finisce il mondo, Piras: l’umanità si estingue, oppure si riproduce Frankenstein style…

  167. Rileggendo alcuni commenti mi pare che non si specifichi a che ordinamento giuridico si faccia riferimento. La costituzione e le leggi della Repubblica Italiana non fanno affatto riferimento al matrimonio fondato sulla ripoduzione (lo dimostra tra le tante, l’equiparazione tra figli legittimi e figli naturali). Forse il Regno Vaticano prevede l’escusivo matrimonio volto alla procreazione. Tuttavia lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica non lo ritiene esclusivo come fine ma hanno aggiornato il tiro dopo circa 5 secoli. Ma come dicevo prima ognuno può credere il matrimonio quello che vuole nel suo privato e nelle sue fatasie personali, resta il fatto che come NEGOZIO GIURIDICO DEVE, e sottolineo DEVE, essere accessibile a tutti maschi e femmine nelle possibili combinazioni essendo contratto nella libertà totale delle parti. Mi domando di cosa si stia parlando allora…

  168. Caro Vitobello,
    non cominciamo con i sofismi, perfavore. Se ha letto i commenti, sa che questa non è una discussione sul forum “saranno avvocati”, e che nessuno ha sostenuto che l’unico ed esclusivo *contenuto* del matrimonio è la procreazione. Qui si è parlato del matrimonio dal pdv antropologico e culturale. Nei secoli e nelle varie civiltà, il giure declina in modi diversi (ad es., poligamici) un’istituzione che nella sua forma resta ordinata alla procreazione. Se cerca un argomento sofistico, può trovarlo nella definizione kantiana di matrimonio, citata qui da me, che all’insaputa del filosofo di Koenigsberg vi ricomprende anche le coppie omosessuali.
    Quanto al suo ukase, che io sappia in Italia le leggi vengono varate dal Parlamento e non da lei, che comunque può sempre iniziare a raccogliere le firme per un’iniziativa di legge popolare.
    Comunque, anche qui arriva per secondo: la sua posizione, secondo la quale il matrimonio “come NEGOZIO GIURIDICO DEVE, e sottolineo DEVE, essere accessibile a tutti maschi e femmine nelle possibili combinazioni essendo contratto nella libertà totale delle parti” è già stata illustrata (un po’ meglio) nell’intervento di J. Derrida (riportato da me).
    Per finire: qui si sta parlando di una cosa seria. Cerchiamo di essere seri anche noi e di non perdere tempo.

  169. Io voglio solo dire che, al netto dell’orientamento civile e politico, Buffagni in questa discussione ha dato prova di una cultura, una preparazione, una passione e una predisposizione al dialogo eccellenti. Peraltro mai mancando di rispetto a nessuno. Comunque la si pensi, un bell’esempio. Non è così scontato incontrare tanta pazienza e tanto slancio mescolati assieme in tanta – ferma – educazione.

  170. Caro Macioci,
    lei è troppo buono. La ringrazio di cuore della stima che mi attesta, e giro i suoi generosi elogi alla mia pazienza e al resto al nostro vecchio sergente istruttore, che subito dopo il percorso di guerra, col fiatone e le mani che ci tremavano per la fatica, ci faceva smontare e rimontare le armi personali, con tutte le loro maledette molle e vitine…

  171. Dicevo sopra che il sergente V., ormai nel mondo dei più, mi ha insegnato la pazienza, e com’è doveroso l’ho ringraziato.

    Ho però scordato di ringraziare anche Franco Buffoni e i suoi incaricati, che mi danno l’occasione per un corso di addestramento e aggiornamento gratuito. Me ne scuso, e rimedio subito.

    Cito dunque, ringraziandoli, i seguenti amici, conoscenti e collaboratori di F. Buffoni.

    Corrado Benigni, recensore dell’opera di Buffoni:
    http://www.francobuffoni.it/recensione_noi_e_loro_reperto_74_benigni.aspx

    Ares, che di Buffoni è amico:
    “franco buffoni il 27 marzo 2012 alle 18:57
    Ares carissimo, ma quando ti fai vivo per davvero? […] Un abbraccio da f”
    http://www.nazioneindiana.com/2012/03/25/poesie-2-2/

    Franco Vitobello, recensore del romanzo di F. Buffoni “Zamel”
    http://www.francobuffoni.it/upload/document/vitobello_zamel_.pdf

    Sciltian Gastaldi, recensore dell’opera e della figura di F. Buffoni: http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/11/09/franco-buffoni-venti-secoli-di-storia-e-cultura-omosessuale/409030/

    Dario Accolla, autore di un libro prefato da F. Buffoni:
    “presentazione del libro
    I GAY STANNO TUTTI A SINISTRA di DARIO ACCOLLA
    prefazione di Franco Buffoni ( Aracne ed., 2012 )”
    https://www.facebook.com/events/111494362330839/

    Penso faccia parte della categoria anche Marco, autore dell’intervento del
    22 novembre 2012 alle 18:21, ma si è scelto un nickname molto comune, e in rete non ho trovato tracce di un suo sodalizio con Buffoni. Lo ringrazio dunque come battitore libero.

    In attesa di fare la conoscenza di altri componenti la cerchia di Buffoni, rinnovo i ringraziamenti e saluto molto cordialmente quelli che ho già avuto il piacere di conoscere.

  172. @ Donnarumma e Buffagni

    1. Il mio commento precedente (5 dicembre 2012 alle 06:45) s’ispirava alle “rovine” del secolo scorso. So di guardare le cose da un punto di vista che oggi non esiste più (ma esisteva anche in Italia diciamo all’ingrosso fino agli anni Settanta). È inattuale, “massimalista”, ma ha il vantaggio di tenersi a debita distanza dal borbottio manipolato dei mass media e, credo, più vicino alla complessità problematica del “reale”, mai fatta solo del presente che ci passa o ci viene posto sotto il naso; e permette di pensare amore o di sesso dentro la «ferocia» dei «rapporti storicamente istituiti fra gli uomini» (Fortini). Così mi pare di cogliere di più la miseria dell’esistente e la piattezza della realpolitik in cui ci aggiriamo.

    2. Vorrei che si approfondisse (certo non in questa sede) il problema della crisi dell’istituzione matrimonio (dato su cui pare concordiamo tutti), ma nel contesto della crisi della democrazia, che colpisce tutti (etero e omo). Ne verrebbe chiarito meglio il problema specifico degli omosessuali e del movimento gay e la proposta politica del matrimonio omosessuale (con la sua variante delle unioni civili).

    3. Le mie obiezioni e riserve in effetti sono esclusivamente politiche. Mi chiedo infatti perché i gruppi più influenti del movimento gay siano giunti a rivendicare il matrimonio, cioè una forma istituzionale che fa acque da tutte le parti, un saldo di stagione (storica); e perché abbiano rinunciato a cercare una forma istituzionale nuova e autonoma. A me pare una scelta conformista e in contrasto con le tante proclamazioni della loro differenza. Oltre che un ripiego su un obiettivo facilmente manipolabile (ad altri fini) dalle forze politiche che dicono di sostenerli o di opporsi.

    3. Mi è stato obiettato che, comunque gli omosessuali ne trarranno vantaggi economici, avranno un “risarcimento” (davvero?) sul piano simbolico, usciranno da uno stato di “minorità” (rispetto agli eterosessuali). Ma è così? C’è uscita dalla minorità imitando i costumi degli “altri”? E, da un punto di vista di esseri liberamente pensanti, cosa sarebbe la minorità omosessuale se non un pregiudizio minaccioso degli “altri”? Specie poi se ci si allea (o subordina?) con qualcuna delle grandi istituzioni o lobby che decideranno con tutta probabilità al di sopra delle volontà degli omosessuali stessi?

    4. Abbiamo numerosi esempi storici di soggetti considerati minori dagli altri (donne, ebrei, colonizzati) che hanno rinunciato (dico io) alla loro “diversità” per diventare “come gli altri”. Non si è arrivati forse ad una “eguaglianza al ribasso” in tanti casi? Non accadrà – tanto per dire – quanto accaduto col diritto al voto alle donne? Furono sì equiparate agli uomini, ma quando il voto era già strumento d’intervento politico neutralizzato o controllato da meccanismi di potere più raffinati e occulti. Di modo che si può dire – e qui torno “massimalista” – che esse abbiano raggiunto la *subordinazione* degli uomini. O, uscite dalla loro gabbia, entrarono in una gabbia più ampia, sia pur “democratica”. Temo qualcosa di simile per gli omosessuali. La loro “uscita dalla minorità” si risolverà nell’ingresso prima entusiasta e poi rassegnato in un’altra minorità (quella degli eterosessuali). Lo stesso accadrebbe agli immigrati, quando ottenessero la cittadinanza.

    5. Perché sorvolare su tutto ciò? Perché dimenticare poi che i diritti, anche quando vengono conquistati e riconosciuti, restano formali, e cioè sulla carta? E sono spesso il fumo senza l’arrosto? (Di questi tempi misurino gli effetti benefici del “diritto al lavoro” col numero dei disoccupati, quelli che, riempiendosene la bocca, ripetono che esso sta al centro della Costituzione italiana!). Si dirà: ma cominciamo a portare a casa quello che si può. Vabbè, provateci, e poi mi direte. Ci sono – ripeto – mille esempi di “conquiste” civili o politiche che sono state vanificate in modi subdoli, perché i dominati, che le avevano strappate anche con grandi sacrifici e lotte, non hanno potuto o saputo o voluto strappare di mano ai dominatori le vere leve del potere e si sono lasciati ”assimilare”.

    6. Ricordare agli omosessuali quanto sopra, invece di cedere all’apologia del matrimonio omosessuale o ad una simpatia generica per i più “moderati” Pacs, non impedisce di rispettarli (se uno già li rispetta) o volere la fine o la riduzione delle loro sofferenze reali.

    7. Quanto all’istituzione matrimonio diciamoci la verità anche su di essa. Da tempo per i mutamenti della mentalità sociale e delle soggettività dei suoi stessi “utenti”, per l’imporsi di nuovi bisogni (reali o indotti; e qui un’ulteriore complicazione…), ma soprattutto perché sempre più determinanti e assillanti sono venuti a logorarla i fattori esterni (economici, politici, culturali) tipici di una società capitalistica (falsamente democratica). Buffagni stesso è persona troppo intelligente e aperta per negare che le «condizioni di salute presenti» dell’istituzione matrimonio non siano buone. Anzi, aggiunge: «Leggendo i tragici greci, si capisce subito che il matrimonio e la famiglia sono ordigni pericolosi e difettosi». Freud parlava di «disagio della civiltà». E allora? Anche se non volessimo più pensare a soluzioni utopistiche, resterebbe appunto da « fare i conti con l’istituzione matrimonio» (Donnarumma) e stabilire il grado raggiunto da questo disagio e quanto sia sopportabile e su quanti pesa più che su altri. E questo non significa essere ciechi di fronte alla realtà delle «coppie [eterosessuali] che funzionano». E aggiungerei io: *malgrado l’istituzione*.

    8. Ce la dobbiamo tenere, comunque, come zattera di salvataggio nella bufera? (O c’impongono di tenercela così?). O possiamo sostituirla con altre più adatte ai nuovi bisogni? Queste erano domande fino a quarant’anni fa legittime. Ma oggi silenziate. Siamo bloccati al giochetto impressionistico del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, a seconda di chi giudica. E non si capisce davvero *a che punto siamo con la crisi di questa come di altre istituzioni*. Si potrebbe pensare che quelli che stanno in alto o gli specialisti delle varie discipline abbiano informazioni più precise. Ma purtroppo abbiamo spesso prove scoraggianti della loro superficialità, sappiamo che spesso ci mentono e che i più onesti o attendibili ci possono fornire soltanto opinioni controverse. Confusione e incertezze permangono. Noi che stiamo in basso dobbiamo muoverci a tentoni, tirare a indovinare, decidere a naso.

    9. Personalmente, pur disposto a ricredermi e a verificare dati contrari, mi sono fatto l’idea che l’istituzione matrimonio sia in crisi totale (proprio come *questa* democrazia); e che copre ormai (o forse ha coperto da sempre) una varietà di comportamenti e sentimenti scarsamente riconducibili al modello ideale che ci viene proposto dalle autorità religiose e civili. Per me, a differenza di Buffagni, natura e senso del matrimonio sono GIA’ cambiati.

    10. Credo pure che la proposta del matrimonio omosessuale sia solo una conseguenza e non la causa della crisi dell’istituzione matrimonio. Perciò non enfatizzo, come fa Buffagni la “minaccia”. Penso, semmai, che il movimento gay abbia esplicitato la presenza e la forza delle pulsioni omosessuali che l’istituzione matrimonio (eterosessuale) ha finora sottomesse o represse o travestite. E che la sua crisi, però, è derivata principalmente dai fattori esterni indotti dal capitalismo. Ad esempio, dalla messa in crisi del modello procreativo, man mano che le circostanze esterne – industrializzazione in primis – hanno indotto al controllo delle nascite. Perciò, invece di un “assalto” alla fortezza del matrimonio eterosessuale da parte di “barbari” omosessuali, tendo ad ipotizzare una sorta di “combinazione al ribasso” tra due crisi: quella del matrimonio eterosessuale e quella del movimento omosessuale ( che, come ho detto sopra, sta rinunciando alla sua “diversità”). Non ne sono certo. Però mi pare abbastanza evidente la confusione o la vaghezza di idee su questi temi. E soprattutto la mistificazione “progressista”, che presenta come conquista di civiltà la rivendicazione del matrimonio omosessuale, quando – ecco il paradosso – il matrimonio eterosessuale – il modello da noi principale – è in (totale, per me) crisi.

    11. Buffagni ha riportato la posizione “utopica” di Derrida nel 2004 (5 dicembre 2012 alle 15:10). Per lui è un incubo. Eppure – mi sbaglierò – io vedo quella posizione come una lucida presa d’atto della crisi del matrimonio, della Forma-matrimonio. Buffagni sostiene che il matrimonio omosessuale muterebbe “l’essenza”, o “la natura” dell’istituzione matrimoniale, e non soltanto «la sua veste storica (monogamia, famiglia nucleare, etc.) che ha indossato negli ultimi tempi». È una visione che mi pare platonica. Io mi sento più legato a una visione storico-materialistica e credo che l’istituzione matrimonio abbia risposto a esigenze storiche; e che, pur mantenendo per secoli lo stesso nome (o la stessa forma), è continuata a mutare *essa stessa* assieme al suo *contenuto* (agli “utenti” o alla «melodia» come la chiama Buffagni). Che sia una struttura, d’accordo. Ma le strutture si trasformano, anche se molto più lentamente. Non parlerei mai di «essenza», e cioè – sempre semplificando – di qualcosa di fisso , d’immutabile. E se a lungo e finora la struttura o forma-matrimonio ha potuto vedere «la compresenza di (almeno) un uomo e (almeno) una donna», forse – davvero qui andiamo a tentoni – siamo arrivati anche a una fase storica in cui la struttura (per secoli in lentissima trasformazione; dalla rivoluzione industriale in poi sottoposta a terribili scossoni e nel Novecento persino a due guerre mondiali) *potrebbe* non esigere più quella compresenza che Buffagni ritiene indispensabile.

    12. Non affaccio questa ipotesi a cuor leggero e senza sgomento. Perché vedo che l’accelerazione delle trasformazioni vengono imposte da forze che non controlliamo affatto (e che tantomeno il movimento gay controlla).

    13. Quando Buffagni scrive che «l’orientamento sessuale degli sposi è (formalmente, beninteso) ininfluente», mi pare di capire che ci sia da parte sua una sottovalutazione di come nei secoli gli “utenti” del matrimonio abbiano “lavorato” (coi loro comportamenti, trasgressioni, insoddisfazioni, ecc.) anche quella Forma, modificando pur essa e non solo le “melodie” interne ad essa. Non sono in grado di documentarlo. La mia ipotesi è, però, che essi non siano stati passivi o ininfluenti sulla stessa struttura o Forma (proprio perché la vedo come forma storica e non platonica).

    14. Quando, poi, Buffagni afferma: «Da sempre gli omosessuali possono sposarsi (in effetti da sempre si sposano) a patto che si sposino con persona del sesso opposto», da una parte mi viene da obiettare ironicamente : beh, è come dire che i *marranos* della cattolicissima Spagna potevano continuare a professare la loro fede ebraica, bastava che si battezzassero. Un matrimonio eterosessuale di copertura per l’omosessuale resta comunque una maschera. Dall’altra mi viene da dire che, se l’ipotesi freudiana della bisessualità psichica non è campata in aria, forse proprio l’omosessualità implicita o rimossa degli stessi eterosessuali dichiarati abbia influito anche nel mutamento e nel logoramento della forma-matrimonio. Insomma, a me pare che un’ottica eccessivamente formalistica, che sottrae la Forma alla storia, sottovaluti che gli “utenti” del matrimonio abbiano – dibattendosi con i loro bisogni e desideri soddisfatti o insoddisfatti o mezzo soddisfatti – contribuito a mutare/logorare quella Forma.

    15. Sotto il secolare “lenzuolo matrimoniale” è avvenuto di tutto e c’è di tutto. La procreazione – fondamentale per lo Stato, perché gli garantisce l’utilizzo di una popolazione – avvenne ed avviene anche fuori del matrimonio. Semmai è soprattutto la cura dei piccoli e la loro crescita che va controllata più della procreazione ( o quanto essa). È convenuto alla Stato (e alla Chiesa) investire di questa cura la famiglia. E credo che vada data più attenzione proprio a questo interesse del potere (della Chiesa e dello Stato) sugli atti procreativi ed educativi. (E qui dovrebbero soccorrerci le analisi di Foucault).

    16. Mi pare, comunque, strano che questi “convitati di pietra” non siano entrati per nulla nella nostra discussione. Non è stato irrilevante il ruolo di Chiesa e Stato nel plasmare l’istituzione matrimoniale stessa. Dall’alto, appunto. Come se essa si fosse consolidata solo in base alle esigenze procreative o oggettive della società. Come se non ci fosse bisogno di contestualizzarla in specifiche forme statuali ( e in specifici regimi produttivi, che possono comportare l’esigenza di una moltiplicazione della popolazione, ma anche una sua riduzione attraverso il controllo delle nascite …).

    17. Il comunismo è fallito. Abbiamo avuto solo esperienze di “comunismo da caserma”. E nessuno ha voglia più di parlarne. Eppure nelle situazioni rivoluzionarie (o, se si vuole, di disordine) sono state tentate o si è stati costretti a tentare anche altri modi di convivenza.
    Capisco i sospetti, i dubbi, le cautele, ma dei germi di soluzioni diverse forse si sono affacciati. E non vorrei che non fossimo più in grado di “fare i persiani” alla Montesquieu, come mi sono permesso di ricordare. “Fare i persiani” serve a sfuggire alle rigidità del “prender partito” in automatico. Non nego che bisogna prendere partito, ma non sul tavolo da gioco predisposto da altri (per cui tu vorresti parlare della crisi della democrazia e quelli ti danno il surrogato delle “primarie”). Più si allarga la riflessione e meglio si può prendere partito sfuggendo alle opposte tifoserie (come mi pare stia avvenendo in questo post…). Perciò, e vorrei confrontarmi su questo, io mi chiedo ancora se è pensabile o non più una società in cui la procreazione e la cura dei figli, che oggi avviene esclusivamente nella famiglia monogamica (o poligamica), possa avvenire in un’altra Forma/istituzione. Compito degli intellettuali sarebbe proprio quello di valutare tutte le ipotesi e mantenere aperta la ricerca. Da questa mia ottica anche a me la visione di Buffagni pare troppo familiocentrica e mi sembra privilegiare troppo il simbolico, che io verificherei continuamente sui bisogni reali per cui ci si accosta all’altro sesso o allo stesso.

    18. Quanto al discorso del rapporto uomo/ natura, a Preve e alla sua «ricomprensione del concetto marxiano di Gattungswesen [«essenza del genere» o «essenza umana generica»], che nella nostra discussione verrebbe assai a proposito», rimando chi volesse approfondire a http://www.filosofico.net/preve.htm. Mi pare che Buffagni condivida l’opinione di Preve, per il quale «il fatto che l’essenza umana sia storica e non naturale non significa che la natura umana non esista». Un’opinione che serve a contrastare ogni «concezione prometeica in cui la malleabilità illimitata della natura umana socialmente condizionata fu vista come il presupposto di una creatività onnilaterale». Obiettivo su cui concordo. Però,non mi pare che sia il caso di imputare alla proposta del matrimonio omosessuale o dell’adozione di figli, qui discussa, questa volontà iper-prometeica. Certo, dietro la proposta fa capolino la Tecnica. Ma io mi dico: gli omosessuali sono fatto di corpi come gli eterosessuali e restano legati alla natura da mille altri fili.

  173. @ Buffagni
    Devo ancora una risposta al suo commento del 5 dicembre 2012 alle 21:02
    2. Secondo me il suo formalismo è ancora troppo contenutista. Se il matrimonio non fosse la formalizzazione del rapporto uomo-donna, ma di un rapporto tra persone che decidono di vivere insieme ecc. ecc. (come è), le cose cambierebbero parecchio.
    3. È possibile che, soggettivamente, alcuni omosessuali la vivano come dice lei: il che, a chiamarla con il suo nome, è una forma di risentimento. Ma resta il problema di diritti minimi (e se il mio compagno si ammala? e se muoio, l’eredità che fine fa? e la casa?)
    3bis. Qui, come osserva lei, «studi su larga scala non esistono»: rischiamo di giudicare le cose prima della loro esistenza (apprezzerà lo sforzo perifrastico per evitare il termine ‘pregiudizio’).
    4. L’unione di due persone non può restare un contratto privato. Non stiamo parlando del circolo del tennis o dei fans di Lady Gaga.

    Due osservazioni fuori numero.
    a) Mi colpisce che lei difenda un’istituto essenzializzandolo e, insieme, dichiarandolo in declino (anche se non può, come dice, prevederne il futuro). È una posizione da conservatore, ma anche da nostalgico (non ci veda sfumature da rimpianti del ventennio, che non le attribuisco affatto).
    b) sul commento del 10 dicembre 2012 alle 11:45
    Mi scusi, ma è un po’ la scoperta dell’acqua calda (e, per altro, io pure ne apro il rubinetto leggendola). E poi che c’entra? Se intervenisse su LPLC, faccio per dire, Walter Siti, io non potrei parlare perché ho scritto qualche saggio su di lui dichiarando la mia ammirazione per il «maggior romanziere italiano» di oggi? Non vedo, come mi pare lei voglia insinuare, nessuno cabala oscura e nessuna connection segreta. È tutto alla luce del sole.
    Via, sia all’altezza del suo pubblico.

  174. @Buffagni
    Lei, come al solito, accecato dai suoi convincimenti e dal suo bisogno di crearsi un alibi, né legge con attenzione, né riflette prima di parlare.

    Io ho incontrato dal vero Buffoni 2 o 3 volte, presenziando a delle sue conferenze e presentandomi a lui con una stretta di mano, solo dopo averlo conosciuto come autore di post su nazione indiana. E successivamente ho approfondito la sua conoscenza, ma solo come autore di opere letterarire.

    Lei cita un commento su nazione indiana dove Buffoni mi esorta, appunto, alla conosenza dal vero… ” per davvero”:

    Buffoni:
    “Ares carissimo, ma quando ti fai vivo per davvero? […] Un abbraccio da f”

    Mi piacerebbe tanto considerarmi un suo amico, un amico di Buffoni, per ora mi accontento di essere solo un suo affezionato lettore, non potendendo di conoscere il Buffoni uomo.

    Buffagni io ho commentato in questo sede, del resto tradendo il tema proposto dal post e mostrando così poco rispetto per gli intendimenti di Buffoni – solo perché accecato dai suoi commenti ipocriti e omofobi.. senza la pretesa di istruirla, impresa impossibile per chiunque.

    Buffoni viaggia ad altro livello, al di sopra di me e di lei, forse dovremmo rispettare, e qui chiudo, le sollecitazioni del post che sono di più ampio respiro.

  175. a E. Abate.
    La ringrazio per la replica molto articolata, che merita una risposta altrettanto articolata. Gliela darò appena possibile.

    a R. Donnarumma.
    La ringrazio per la replica. Le risponderò meglio appena possibile. Intanto, replico solo, brevissimamente, ai suoi due appunti “fuori numero”.

    a) Ma io *sono* un conservatore. Se mi “secolarizzano” una istituzione alla quale sono legato e che ritengo di importanza decisiva, non vedo perchè dovrei unirmi ai “secolarizzatori”, anche se ritenessi che il pronostico è favorevole a loro. Si rimbocchino le maniche e mi/ci facciano fuori: per il suicidio, il riciclaggio sotto diversa bandiera o l’implosione tipo ex Urss non ho nessuna simpatia.
    Non sono fascista, sia perchè do un giudizio complessivamente negativo sul fascismo come esperienza storica e politica, sia perchè lo giudico una vicenda conclusa e non riproducibile: sarebbe bello facessero altrettanto gli antifascisti e, dopo settant’anni, chiudessero finalmente il conto e la ditta Antifascismo S.r.l.; ma questa è un’altra storia.
    La cosa buffa, paradossale e anche interessante perchè dialettica è che, essendo un conservatore, mi trovo inevitabilmente in rotta di collisione ultrarivoluzionaria con la società presente, che è la meno conservatrice dell’intera storia dell’umanità (in confronto, il comunismo era un nido di barbogi immobilisti).
    Non mi faccio soverchie illusioni, o almeno credo e spero, sul mondo di ieri, del quale ho conosciuto gli ultimi scampoli e che non era un paradiso; ma certo, provo nostalgia per alcuni modi di stare al mondo che mi sono/erano cari, e che l’aria che si respira oggi non facilita. Mi piaceva di più la guerra in cui tutti i combattenti rischiano la pelle ad armi pari o quasi pari; mi piaceva di più quando, passeggiando con il bel tempo per la strada, si sentivano cantare le donne dalle finestre aperte, mentre adesso pare che qualcuno gli abbia tappato la bocca.
    Con questo, non penso che la guerra fosse sempre un nobile duello cavalleresco, o che le donne canterine fossero tutte felici e belle. Mi piaceva di più, mi piacerebbe che ci fosse ancora e chissà, che un giorno ci fosse di nuovo, mai dire mai.
    Che c’è di strano o di male? Gli uomini sono fatti così. E’ anche l’età, ne riparlerà fra trent’anni (con qualcun altro).

    b) Ma certo che non c’è niente di male, nessuna cabala, lobby o complotto, per l’amor di Dio! Anzi, il cameratismo e la solidarietà fra amici sono una bella cosa, e se Buffoni ha tanti fedeli camerati, buon per lui.
    E’ solo uno scherzo, una bonaria provocazione per Buffoni, con il quale mi piacerebbe discutere direttamente, invece che solo per interposta persona. Buffoni, poi, può fare come desidera, infatti lo fa, e come vede io continuo a replicare a tutti senza nessun problema. Ogni tanto, mi piace scherzare un po’.

  176. Non credo si debba parlare di cameratismo, di lobby o di truppe cammellate, una cosa del genere credo che sminuisca il tempo e le riflessioni che ognuno ha lasciato a questa discussione, non crede? personalmente non ho ricevuto cartoline di richiamo alle armi.
    Oltre tutto non ritengo si possa applicare a questa sede il principio “una testa un voto” nel senso “una testa un pensiero”. Un’idea ptrebbe benissimo essere condivisa e rispondere così a più teste. Senza per questo necessariamente essere state convocate e inviate a difesa del quartier generale. Suppongo presente a tutti gli intervenuti una certa dose di capacità critica e di riflessione autonoma e indipendente. Quello che scrive Buffoni poi è condiviso anche dalle associazioni LGBT, dal Movimento gay e lesbo e da tutti coloro i quali hanno posizioni progressiste e laiche, etero o omo che siano. La questione allora è sulla visione del futuro tra chi immagina un progresso e chi vorrebbe consevare lo status quo. Lei ovviamente ha una visione conservatrice per sua ammissione. Ci mancherebbe altro, è del tutto legittima e condivisa da molti anche. Non è affatto una mosca bianca anzi è in folta compagnia e personalmente sono molto felice del fatto che lei la possa esporre con totale libertà chiarezza e precisone. Eppure bisogna riconoscere come, benché lei sia affezionato ad una certa idea di matrimonio, il matrimonio è già cambiato. Quello che si chiede al legislatore è di prendere atto di questi cambiamenti e normarli. Qualora non dovessero essere normati, le famiglie gay e dunque omogenitoriali, continueranno a formarsi lo stesso come si sono formate in questi anni. Volenti o nolenti l’idea della famiglia con fini procreativi è superata. Il punto di vista attuale è quello del desiderio. Ma non mi frintenda, non parlo solo del desiderio fisico, edonistico, ma del desiderio che si ha nel vivere liberamente con la persona che si ama, il desiderio di avere dei figli, il desiderio di essere riconosciuti, il desiderio di trasmettere un patrimonio che sia materiale o morale. E questo vale tanto per i gay quanto per gli etero che alle richieste gay si uniscono. I primi passi che hanno inficiato l’idea di matrimonio procreativo sono stati la legge sull’aborto e quella sul divorzio e ne verrano altre, perché è la società nei suoi comportamenti ad essere cambiata. Come sono cambiate molte cose che si ritenevano eterne ed immutabili. La stessa relazione tra uomo e donna è cambiata. La parità dei sessi è cosa di oggi (parlando in termini di tempo profondo) eppure molti rimpiangono, perchè erano affezionati, l’idea della superiorità maschile all’interno delle relazioni e della società. Eppure c’è stato poco da fare. E molto ancora c’è da fare nel senso che la parità non è ancora del tutto compiuta, ma la direzione è tracciata e questo è solo un esempio, lo stesso vale per il matrimonio libero, riconosciuto e ampliato a tutti. Non so quante persone nell’atto supremo dell’amore stanno lì a ragionare sulla procrezione, così come lo stesso matrimonio non è valido nell’atto in cui la sposa partorisce, ma è valido nel momento in cui due persone consapevolmente decidono di unirsi in un vincolo. Nemmeno la chiesa cattolica riconosce l’annullamento per mancanza di prole e ammette la sterilità di uno dei coniugi solo se questa è stata celata con dolo. Ora non credo vi siano posizioni più conservatrici di quelle cattoliche in merito al matrimonio e all’omosessualità. Devo credere che lei sia ancor più conservatore della chiesa cattolica? A tal proposito solo gli ebrei ortodossi si rifanno strettamente al comanddamento biblico “siate fecondi e moltiplicatevi” per tanto quello della procreazione è una delle prerogative matrimoniali per la quale, nel caso in cui non fosse adempiuta, vi sarebbe la possibilità del divorzio.
    Lo stesso catechismo della chiesa cattolica al punto 161 antepone alla procreazione il bene dei coniugi. Ammesso e non concesso che il matrimonio civile non è matrimonio religioso e tenendo presente che lo stato riconosce i differenti riti sottoposti a quello civile, mi domando a quale, tra le tante forme e formule di matrimonio lei si riferisce. Perchè sappiamo bene come non esista affatto un matrimonio solo, ma tanti matrimoni differenti, e questo dal punto di vista antropologico.

  177. a F. Vitobello.
    La ringrazio per la replica molto interessante e articolata, alla quale risponderò appena possibile. Con il mio piccolo scherzo-provocazione a F. Buffoni (v. la mia ultima replica a R. Donnarumma) non intendevo sottintendere che lei o altri commentatori non abbiano un parere personale da esprimere, come d’altronde dimostra questo suo ultimo intervento. Se così le è parso, me ne scuso.

  178. Rispondo al commento di Ennio Abate del 10 dicembre 2012 alle 18:58. Dal suo lungo intervento, tutto più che meritevole di attenzione e di risposta, trascelgo i punti che mi paiono più fecondi di ulteriori sviluppi della discussione. Cito fra virgolette i brani di testo a cui replico, a volte omettendo per comodità di lettura i consueti […]

    “1. So di guardare le cose da un punto di vista che oggi non esiste più … Così mi pare di cogliere di più la miseria dell’esistente e la piattezza della realpolitik in cui ci aggiriamo.”

    Non credo esistano date di scadenza del pensiero. E l’esistente è certo misero, ma la situazione politica attuale non mi pare “piatta”: la trovo, semmai, vulcanica.

    “2. Vorrei che si approfondisse…il problema della crisi dell’istituzione matrimonio (dato su cui pare concordiamo tutti), ma nel contesto della crisi della democrazia, che colpisce tutti (etero e omo). “

    Secondo me, stiamo facendo proprio questo, anche se il tema “crisi della democrazia” non è ancora salito in superficie. Non stiamo parlando di “eguaglianza”, di “diritti”, di “differenza”? Comunque, proverò a tematizzare la questione in questa risposta.

    “3. Le mie obiezioni e riserve in effetti sono esclusivamente politiche. Mi chiedo infatti perché i gruppi più influenti del movimento gay siano giunti a rivendicare il matrimonio, cioè una forma istituzionale che fa acque da tutte le parti, un saldo di stagione (storica); e perché abbiano rinunciato a cercare una forma istituzionale nuova e autonoma. A me pare una scelta conformista e in contrasto con le tante proclamazioni della loro differenza. “

    Per inventarsi “una forma istituzionale nuova e autonoma” sostitutiva del matrimonio (saldo di una stagione durata alcune migliaia di anni) non basta mettersi volonterosamente a tavolino. La rivendicazione “massimalista” del matrimonio avanzata da una minoranza degli omosessuali, però, mi pare abbia due ragioni principali. Da un canto, è “una forma di risentimento”, come scrive Donnarumma dando esatta definizione lessicale a una mia ipotesi in proposito (v. mio post del 5 dicembre 2012 alle 21:02). Nessun gruppo sociale che sia stato lungamente oppresso e deriso va esente dal risentimento, e gli omosessuali (come gruppo, non come individualità) non fanno certo eccezione: la rivendicazione del matrimonio è, implicitamente ma poi neanche tanto, la richiesta di un risarcimento simbolico (e non solo, certo). Dall’altro, esprime plasticamente la dialettica della differenza e dell’eguaglianza nelle società individualistiche. Rivendicare la propria differenza in una civiltà “democratica”, cioè a dire una società individualistica che non riconosce gerarchie di tipo tradizionale (olistico) come quelle meravigliosamente studiate da Louis Dumont, importa *eguagliarla*. Dunque, da un lato *cancellarla* sul piano giuridico cioè ontologico, perché nella società individualistica l’ultimo riflesso del fondamento ontologico è la Legge, che ordina la potenza; dall’altro costituirla in gruppo di pressione che compete con tutti gli altri gruppi di pressione per le risorse economiche, il potere politico, il risalto mediatico. Si noti che i gruppi di pressione si strutturano secondo il modello dell’impresa capitalistica, con un centro direzionale strategico e una compagine esecutiva, l’uso di tecniche di marketing per l’individuazione e la conquista del target commerciale, rispetto del criterio del minimax, integrazione su base reciprocamente strumentale con il potere politico e mediatico, etc. Arma importante del gruppo di pressione sarà l’accesso al ruolo simbolico di *vittima*, che gli garantisce forza contrattuale sul piano simbolico ed efficacia propagandistica. Si tratta di una trascrizione del ruolo- chiave della vittima sacrificale nel cristianesimo, che trasferendosi sul piano secolare *si inverte*. Nel cristianesimo, la vittima sacrificale per antonomasia è una delle Persone della SS. Trinità, la quale sacrificandosi e rinnovando il proprio sacrificio nella Messa fino alla fine dei tempi risarcisce e riscatta la colpa dell’umanità. Il colpevole è l’uomo, la vittima è Dio, che amandolo si sacrifica per la sua salvezza. Nella trascrizione secolarizzata, vittima sacrificale è chi sia stato discriminato e oppresso dal Potere, riflesso terreno dell’unico attributo divino del quale è impossibile ridere. Colpevole è dunque il Potere-Dio, vittima l’uomo defraudato che esige di eguagliarsi a Lui, e in quanto sua vittima esige risarcimento e riscatto. (In questo senso, direbbe de Maistre, l’intera civiltà moderna post Rivoluzione francese è manifestazione di “risentimento”, stavolta contro Dio). La democrazia americana, in corso di installazione anche qui, funziona esattamente a questo modo: i partiti politici sono coalizioni di gruppi d’interesse così strutturati. Ed ecco che iniziamo ad avvicinarci al tema della “crisi della democrazia”.

    “4. Abbiamo numerosi esempi storici di soggetti considerati minori dagli altri (donne, ebrei, colonizzati) che hanno rinunciato (dico io) alla loro “diversità” per diventare “come gli altri”. Non si è arrivati forse ad una “eguaglianza al ribasso” in tanti casi? …Temo qualcosa di simile per gli omosessuali. La loro “uscita dalla minorità” si risolverà nell’ingresso prima entusiasta e poi rassegnato in un’altra minorità (quella degli eterosessuali). Lo stesso accadrebbe agli immigrati, quando ottenessero la cittadinanza. “

    E’ esattamente così; tranne che io preciserei, sostituendo “identità” a “diversità”. Per come la vedo io, chi propone di “dare la cittadinanza agli immigrati” in quattro e quattr’otto ritenendo di fargli un segnalato favore perché ne discenderebbero alcuni vantaggi e facilitazioni, manifesta un disprezzo e una cecità da levare il fiato anzitutto per gli immigrati che vuole beneficare, i quali una cittadinanza, un’identità, una cultura, una lingua e dei costumi diversi dai nostri *ce li hanno già* (oltre, naturalmente, a simmetrici disprezzo e cecità per l’identità sua propria e dei suoi concittadini). Non si decide la propria identità in base a un calcolo costi/benefici: o sì? Il problema è: di quale altro criterio dispone la nostra società? In che modo sa rispettare le differenze, se non eguagliandole e organizzandole nella forma dell’impresa in competizione sul mercato per l’allocazione delle risorse materiali e simboliche?

    “9. Per me, a differenza di Buffagni, natura e senso del matrimonio sono GIA’ cambiati. 10. Credo pure che la proposta del matrimonio omosessuale sia solo una conseguenza e non la causa della crisi dell’istituzione matrimonio… E che la sua crisi, però, è derivata principalmente dai fattori esterni indotti dal capitalismo…Perciò, invece di un “assalto” alla fortezza del matrimonio eterosessuale da parte di “barbari” omosessuali, tendo ad ipotizzare una sorta di “combinazione al ribasso” tra due crisi: quella del matrimonio eterosessuale e quella del movimento omosessuale.”

    “Natura e senso del matrimonio” in quanto fenomeno sociologico sono, se non già definitivamente cambiati, almeno in corso di cambiamento (nei paesi occidentalisti) anche per me e per chiunque non viva su Alpha Centauri. Il “matrimonio ideale eterno”, per usare l’espressione di Giambattista Vico, non cambia e non cambierà mai, come il “comunismo ideale eterno”, il ”liberalismo ideale eterno”, etc. La “Forma Matrimonio” permane tuttora, come guscio simbolico e scheletro giuridico, finché non sarà distrutta per via giuridica e simbolica con l’estensione del matrimonio alle coppie del medesimo sesso, cioè a dire a coppie che, essendo incapaci di generare la vita se non per mezzo di ausili tecnici, ne contraddicono il fondamento e la struttura. E concordo pienamente con la sua affermazione che “la sua crisi … è derivata principalmente dai fattori esterni indotti dal capitalismo”: a patto di togliere o integrare l’aggettivo “esterni”. I fattori “esterni” (industrializzazione, controllo delle nascite, emancipazione femminile, etc.) ci sono e hanno grande importanza; ma il capitalismo non agisce solo dall’esterno. Agisce *dentro* le persone, e ne cambia l’organizzazione psichica, cosciente e non cosciente. E a sposarsi sono le persone: ecco perché il matrimonio è in crisi.

    “11. Buffagni ha riportato la posizione “utopica” di Derrida nel 2004 (5 dicembre 2012 alle 15:10). Per lui è un incubo. Eppure – mi sbaglierò – io vedo quella posizione come una lucida presa d’atto della crisi del matrimonio, della Forma-matrimonio. Buffagni sostiene che il matrimonio omosessuale muterebbe “l’essenza”, o “la natura” dell’istituzione matrimoniale, e non soltanto «la sua veste storica (monogamia, famiglia nucleare, etc.) che ha indossato negli ultimi tempi». È una visione che mi pare platonica. Io mi sento più legato a una visione storico-materialistica …Che sia una struttura, d’accordo. Ma le strutture si trasformano, anche se molto più lentamente. Non parlerei mai di «essenza», e cioè – sempre semplificando – di qualcosa di fisso , d’immutabile. “

    E’ Derrida a definire la sua ipotesi “utopica”, perché non la vede interamente realizzabile in un prossimo futuro. A me personalmente sembra che, accettati i presupposti filosofici e i criteri di giudizio della nostra civiltà, la proposta di Derrida sia non solo “una lucida presa d’atto”, ma l’unica impeccabilmente logica e coerente. Poi, certo, la realtà oppone resistenza, e la politica esige i compromessi. Ma Derrida, appunto perché estremista, chiarisce i termini della questione. La questione è, molto semplicemente, il nichilismo: la proposta di Derrida è esatta, logica e coerente proprio perché è radicalmente nichilistica, in quanto nega ogni fondamento o “essenza”, individuata per via religiosa o filosofica, dell’istituzione matrimoniale, e non vi sostituisce altro che le preferenze individuali, tutte eguali ed equivalenti.
    Ora la prego di rilevare, in una digressione solo apparente, che quanto lei afferma subito dopo, e cioè che lei si sente più legato “a una visione storico-materialistica” nella quale non ci sono “essenze” d’alcun tipo, né religioso né filosofico, è un’asserzione non meno nichilistica della proposta di Derrida. La varietà di nichilismo a cui si ispira è prodotta dalla dialettica dello storicismo. Se l’unico criterio di orientamento nel mondo è la storia, quando si scopre che la storia non è orientata provvidenzialmente in una “grande narrazione” (ad esempio, verso il comunismo) la sola realtà-valore che rimane è il successo storico. Il che spiega anche, sul piano del pensiero, l’estrema ed enigmatica facilità con la quale, dopo l’implosione dell’Urss, gli ex comunisti, tutti formati in una “visione storico-materialistica” – si sono riciclati a volonteroso personale di servizio dell’antico avversario. So che non è il suo caso, il che torna a suo onore, ma la pertinenza dell’obiezione non mi pare per questo invalidata.

    “15. Sotto il secolare “lenzuolo matrimoniale” è avvenuto di tutto e c’è di tutto. La procreazione – fondamentale per lo Stato, perché gli garantisce l’utilizzo di una popolazione – avvenne ed avviene anche fuori del matrimonio. Semmai è soprattutto la cura dei piccoli e la loro crescita che va controllata più della procreazione ( o quanto essa). È convenuto alla Stato (e alla Chiesa) investire di questa cura la famiglia. E credo che vada data più attenzione proprio a questo interesse del potere (della Chiesa e dello Stato) sugli atti procreativi ed educativi. (E qui dovrebbero soccorrerci le analisi di Foucault). “

    Sì, le analisi di Foucault ci soccorrono, nel senso che spiegano meglio tante cose, tra le quali come avvenga il passaggio da una civiltà in cui il potere è esercitato direttamente da uomini su altri uomini, a un’altra in cui il potere viene esercitato indirettamente, attraverso istituzioni e pratiche educative, burocratiche, economiche. Non ci aiutano, invece, se concludiamo con lui e i suoi discepoli che esista un Potere, sempre malevolo e manipolatorio e *fascista*, che sarebbe compito del pensiero decostruire e disciogliere fino a farlo sparire. Come e peggio – molto peggio – che “sotto il lenzuolo matrimoniale”, sotto l’ombra dello scettro regale è successo, succede e succederà di tutto, compresi orrori che ammutoliscono il pensiero. Solo che del potere (con la minuscola) e delle forme, istituzioni, realtà politiche e culture delle quali il potere consente l’esistenza effettuale non si può fare a meno. Sostituire un potere a un altro, modificare la forma di potere esistente, contrapporre un potere ad altri poteri, sì. Deificare e demonizzare il Potere e pretendere di potergli/dovergli tagliare la testa è un sogno compensatorio, del quale i poteri effettualmente esistenti non possono che esser lieti.

    “18. Quanto al discorso del rapporto uomo/ natura, a Preve e alla sua «ricomprensione del concetto marxiano di Gattungswesen [«essenza del genere» o «essenza umana generica»], che nella nostra discussione verrebbe assai a proposito», rimando chi volesse approfondire a http://www.filosofico.net/preve.htm. Mi pare che Buffagni condivida l’opinione di Preve, per il quale «il fatto che l’essenza umana sia storica e non naturale non significa che la natura umana non esista». Un’opinione che serve a contrastare ogni «concezione prometeica in cui la malleabilità illimitata della natura umana socialmente condizionata fu vista come il presupposto di una creatività onnilaterale». Obiettivo su cui concordo. “

    L’opinione di Preve in merito all’esistenza della natura umana, con la quale in effetti concordo, serve anche a un altro scopo, decisamente più importante: prendere di petto la questione del nichilismo, e in particolare del nichilismo intrinseco allo storicismo, del quale ho fatto cenno più sopra; soprattutto dello storicismo marxista, perché Preve compie una revisione approfondita della tradizione e della vicenda politica all’interno della quale ha pensato e vissuto.
    “Vi è dunque nell’antropologia filosofica di Marx una feconda contraddizione. Da un lato, egli compie una scelta filosoficamente nichilistica rifiutando la via di Platone, di Spinoza e di Hegel, cioè la via della struttura veritativa logico-ontologica della realtà, ed in questo modo inevitabilmente finisce nelle secche dell’umanesimo, dello storicismo e dell’economicismo, surrettiziamente unificati nell’etichetta di materialismo. Dall’altro, la sua scelta antropologica in favore della libera individualità contro la semplice eguaglianza personale borghese è chiaramente anti-nichilistica, realistica, veritativa e di fatto anche logico-ontologica. Si tratta della più feconda contraddizione dentro Marx, la chiave assoluta del significato del suo pensiero.” (C. Preve, “Nichilismo, individuo, universalismo reale” http://www.kelebekler.com/occ/nichilismo06.htm)
    Per prendere di petto la questione del nichilismo, infatti, bisogna prendere di petto la questione della verità; e in assenza o inattualità di fondazioni propriamente religiose, la verità può essere fondata solo ontologicamente, per via filosofica, basandosi sul concetto di natura umana (o psiche, o anima che dir si voglia).
    E qui si vede bene che il dibattito sull’estensione del matrimonio alle coppie omosessuali e sul suo significato simbolico importa una discussione di rilievo formidabile, himalayano, sui fondamenti stessi del nostro modo di stare al mondo. Se c’è un filosofo in sala, è pregato di intervenire e di prestare i primi soccorsi al paziente.

  179. Rispondo al post di Raffaele Donnarumma del 10 dicembre 2012 alle 22:57

    “2. Secondo me il suo formalismo è ancora troppo contenutista. Se il matrimonio non fosse la formalizzazione del rapporto uomo-donna, ma di un rapporto tra persone che decidono di vivere insieme ecc. ecc. (come è), le cose cambierebbero parecchio.”

    Il matrimonio *può diventare*, ma attualmente non *è* “un rapporto fra persone che vivono insieme”. (La sua formulazione è un po’ frettolosa, ma non sto a dilungarmi sul fatto che si può vivere insieme anche solo per dividere le spese di casa, etc.). E non c’è dubbio che se lo diventasse, “cambierebbe parecchio.” Cambierebbe tutto, a cominciare dalle fiabe che raccontiamo ai bambini. Formalmente, sarebbe un salto di paradigma molto maggiore di quello che nella musica europea ha segnato la dodecafonia schoenberghiana. Caro Donnarumma: siamo soli con la nostra libertà, e possiamo fare *tutto* quello che vogliamo. Dio non interviene, a quanto pare, né per mandarci all’inferno né per tenderci una rete di sicurezza.

    “3. È possibile che, soggettivamente, alcuni omosessuali la vivano come dice lei: il che, a chiamarla con il suo nome, è una forma di risentimento. Ma resta il problema di diritti minimi (e se il mio compagno si ammala? e se muoio, l’eredità che fine fa? e la casa?)”

    Sì, certo, è una forma di risentimento più che spiegabile. Ne parlo replicando all’ultimo intervento di Abate, al punto 3. Quanto ai diritti minimi, mi permetto di ribadire che un conto è il matrimonio, un conto sono le unioni civili. Si tratta soltanto di un parola? Ma certo che si tratta soltanto di una parola. Che le parole, e soprattutto certe parole, contino e contino molto, non devo certo dirlo a lei che è uno studioso della letteratura. Per venire ai “diritti minimi”, l’unico tra quelli da lei citati che mi sembri presentare qualche problema davvero spinoso è l’eredità, perché le leggi che regolano l’eredità, in Italia e non solo, tendono a preservare alla famiglia e a tutti i legami di sangue una funzione di comunità anche economica. In sintesi, ai coniugi non è permesso diseredare il coniuge (anche separato) e ai genitori non è permesso diseredare alcuno dei figli, tranne i casi in cui coniuge e figli non siano indegni di ricevere l’eredità (per esempio, se hanno tentato di uccidere la persona da cui erediterebbero). Se agli omosessuali fosse permesso di accedere al matrimonio e alla filiazione non solo adottiva, a prima vista si proporrebbero i seguenti problemi giuridici. Uno: se un membro della coppia coniugale ha avuto figli da una relazione con persona di sesso opposto, nessuno dalla relazione omosessuale, a chi va la prelazione ereditaria? Due: come viene considerato, ai fini ereditari, il terzo donatore e tutta la sua parentela? Ma per valutare bene questo ordine di problemi ci vuole una competenza giuridica che non possiedo.

    “ 3bis. Qui, come osserva lei, «studi su larga scala non esistono»: rischiamo di giudicare le cose prima della loro esistenza (apprezzerà lo sforzo perifrastico per evitare il termine ‘pregiudizio’).”

    Bè: l’arte della politica è esattamente questo, giudicare le cose prima che esistano, scegliere se e come farle esistere, etc. Quanto poi al pregiudizio, non c’è dubbio che io ne abbia, in questa materia e in altre. Gente affatto priva di pregiudizi io non ne ho conosciuta mai, neanche Max Weber, che dopo aver scritto per una vita sulla separazione tra scienza e giudizio di valore, nell’agosto del 1914 scese in piazza, vociando come un tifoso del Bayern, a fare la ola per l’entrata in guerra della Germania. Aggiungerò anche che a mio avviso, è giusto e normale così. Scorgere un aspetto della la verità, che è infinita, o anche solo della realtà, che è molto grande, è la cosa più difficile del mondo. Nel bene e nel male, noi compiamo le nostre scelte esistenziali soprattutto in base a impressioni ricevute nell’infanzia, intorno ai quattro o cinque anni. Il resto è quasi sempre giustificazione, o dettaglio. Se a qualcosa serve il dialogo fra persuasioni opposte, è proprio a ricordarci questo fatto maestoso, a insegnarci lo scetticismo e la modestia, e a volte, a dischiuderci il panorama di un mondo diverso e altrettanto possibile di quello in cui viviamo noi.

    “4. L’unione di due persone non può restare un contratto privato. Non stiamo parlando del circolo del tennis o dei fans di Lady Gaga.”

    Questa è una formulazione un po’ frettolosa. Se riguarda quanto ho detto sopra, vede che non ho detto questo. Ho detto che *si modella* sul contratto privato, come si modella sul contratto privato la definizione di matrimonio kantiana. Certo che l’oggetto del contratto essendo più importante e serio della locazione o della compravendita, un contratto di questa specie assumerebbe una maggiore dignità, immagino anche giuridica.

    Rispondo al post di Francesco Vitobello dell’ 11 dicembre 2012 alle 14:27. Cito tra virgolette i brani di testo di Vitobello a cui replico, e li ordino apponendovi una lettera maiuscola. Per comodità di lettura, ometto i consueti […]

    A “non ritengo si possa applicare a questa sede il principio “una testa un voto” nel senso “una testa un pensiero”. Un’idea potrebbe benissimo essere condivisa e rispondere così a più teste. Suppongo presente a tutti gli intervenuti una certa dose di capacità critica e di riflessione autonoma e indipendente. Quello che scrive Buffoni poi è condiviso anche dalle associazioni LGBT, dal Movimento gay e lesbo e da tutti coloro i quali hanno posizioni progressiste e laiche, etero o omo che siano. La questione allora è sulla visione del futuro tra chi immagina un progresso e chi vorrebbe conservare lo status quo.”

    Senz’altro le idee, sue o mie, possono essere e sono condivise da altri. Personalmente, in questa discussione, che per il luogo in cui si tiene non ha rilievo politico, come ho già detto sostengo esclusivamente argomenti di cui sono persuaso, e non qualsiasi argomento purché convergente con la mia posizione contraria al matrimonio omosessuale, etc. Eccepisco però sulla sua formulazione, secondo la quale il conflitto è “tra chi immagina un progresso” e chi “vorrebbe conservare lo status quo”. Chi vorrebbe conservare lo status quo pensa che l’estensione alle coppie omosessuali del matrimonio e della filiazione, adottiva o meno, *non* sarebbe un progresso: o almeno io lo penso. Sarebbe certo una grossa novità, ma francamente non vedo perché le novità in quanto tali debbano rappresentare un progresso.

    B “Eppure bisogna riconoscere come, benché lei sia affezionato ad una certa idea di matrimonio, il matrimonio è già cambiato. “

    Per un commento a questa sua affermazione, la prego di leggere la mia ultima replica a E. Abate, punto 9

    C “Quello che si chiede al legislatore è di prendere atto di questi cambiamenti e normarli. Qualora non dovessero essere normati, le famiglie gay e dunque omogenitoriali, continueranno a formarsi lo stesso come si sono formate in questi anni. Volenti o nolenti l’idea della famiglia con fini procreativi è superata. Il punto di vista attuale è quello del desiderio. Ma non mi fraintenda, non parlo solo del desiderio fisico, edonistico, ma del desiderio che si ha nel vivere liberamente con la persona che si ama, il desiderio di avere dei figli, il desiderio di essere riconosciuti, il desiderio di trasmettere un patrimonio che sia materiale o morale. “

    La sua affermazione mi sembra illuminante. E’ vero, il suo e non solo suo “punto di vista è il desiderio”. Il desiderio dei singoli, infatti, è il punto di vista privilegiato della nostra civiltà, ed è anche un punto di vista compiutamente nichilista, perché non riconosce altro criterio che la preferenza individuale non altrimenti qualificata.
    A mia volta, la prego di non fraintendermi: non sto dicendo che chi lo assume è cattivo o spregevole. Da come parla, mi sembra che lei abbia formazione giuridica. Non mi sembra che sia facile, ascrivere coerentemente diritti e doveri in base al punto di vista del desiderio. Per esempio, nel caso del “desiderio di avere dei figli”, se non vado errato sinora funzione preminente del giure sarebbe la protezione del più debole, cioè a dire il figlio, adottivo o nascituro che sia: e dunque, il desiderio di aver figli dell’aspirante genitore non è riconosciuto. Le sembra un “punto di vista” sbagliato?
    In generale, il desiderio, oltre ad essere intensamente individuale e idiosincratico, tende anche all’illimitato. Come si fa a produrre norma assumendo un punto di vista idiosincratico e illimitato? Non la vedo facile. Un conto sono i bisogni, che sono limitati e universali, e dunque si possono tutelare e soddisfare: ma i desideri? Come la libertà nel liberalismo, Il desiderio deve fermarsi prima di ledere il desiderio altrui? Mi sembra un po’ tanto flou, e un po’ tanto complicato e generatore di paradossi. Chi decide, e come, dove il mio desiderio lede il suo, il suo il mio, etc.?

    D “Non so quante persone nell’atto supremo dell’amore stanno lì a ragionare sulla procreazione, così come lo stesso matrimonio non è valido nell’atto in cui la sposa partorisce, ma è valido nel momento in cui due persone consapevolmente decidono di unirsi in un vincolo. Nemmeno la chiesa cattolica riconosce l’annullamento per mancanza di prole e ammette la sterilità di uno dei coniugi solo se questa è stata celata con dolo. Lo stesso catechismo della chiesa cattolica al punto 161 antepone alla procreazione il bene dei coniugi.“

    Bè, non mi sembra quello il momento migliore per ragionare, e del resto non credo ci siano statistiche in materia. Ho sentito dire che abbastanza spesso, quando “l’atto supremo dell’amore” riesce particolarmente bene, alle donne viene in mente l’idea di aver concepito un bambino. Ma non stiamo parlando di questo, vero? Io sarò un parruccone, ma non ho mai detto, perché non lo penso, che un matrimonio sia nullo, giuridicamente o moralmente, in assenza di procreazione. Riporto solo l’elementare realtà che da sempre, il matrimonio si celebra fra uomo e donna, e che è ancora la forma istituzionale, declinata in modi anche molto diversi, entro la quale gli uomini hanno integrato la procreazione nella cultura. Tutto lì, anche se non è poco. Poi, come dicevo più sopra a Donnarumma, possiamo fare tutto quello che vogliamo, anche chiamare matrimonio l’unione di persone dello stesso sesso, eccetera. Dio non fulmina, la terra non si apre a mostrare le fiamme dell’inferno. Siamo soli con la nostra libertà, e con la responsabilità che ne consegue.

  180. Forse a qualcun* può interessare: la documentazione scientifica riguardo l’omogenitorialità si può trovare nel sito dell’American Psychological Association, interamente raccolta e commentata dalla Patterson nel documento “Lesbian & Gay Parenting” che costituisce la base del supporto dell’APA all’omogenitorialità.
    Questo è il link:
    http://www.apa.org/pi/lgbt/resources/parenting.aspx

    APA è l’associazione più autorevole nel campo della psicologia, per questo può dettare degli standard of care mondiali – come per intenderci succede con American Psichyatric Association nel campo della psichiatria, infatti compilano il più importante manuale diagnostico al mondo, il DSM. Anche American Psychiatric Association supporta l’omogenitorialità.

    Il supporto come dicevo dipende da un grande numero di ricerche empiriche condotte nell’arco di quarant’anni, che non hanno mai evidenziato una inadeguatezza genitoriale nelle coppie gay e lesbiche. Quindi non c’è ragione per applicare il principio di cautela, che come saprete deve basarsi su un pericolo concreto.
    Alcune ricerche non soddisfando i requisiti di scientificità non compaiono nel novero dell’APA.

    Anche l’argomentazione pregiudiziale tipicamente psicoanalitica della necessaria differenza sessuale dei genitori è stata superata dalle ricerche empiriche. Infatti si parla di ‘funzione genitoriale’ che è indipendente dal corpo sessuato del genitore. Insomma si possono immaginare i più orribili scenari, ma alla fine i bambini stanno più che bene.

    Se qualcun* nonostante tutto continua nelle perplessità, può mettersi in contatto con l’Associazione Famiglie Arcobaleno per chiedere un incontro.

  181. ad A. Barbieri.

    Grazie dell’informazione. Ho letto il documento a cui si riferisce. Rimando a quanto detto sopra, non solo da me, riguardo alle sue affermazioni spericolate sul “superamento” di ogni dubbio in proposito, e sulla “scienza” che deve avere l’ultima parola.
    Si tratta di affermazioni propagandistiche, e non di argomenti razionali, in quanto “certezza” ed “esattezza” scientifica, quali vengono raggiunte nel campo delle scienze dure, non si applicano alla materia in discussione.

  182. Buffagni, lei fa confusione tra conoscenza e certezza. Nessuna scienza garantisce certezza, nemmeno quelle che chiama ‘scienze dure’.
    Detto questo vorrei farla riflettere su tutt’altro.
    Ogni persona ha diritto all’onore, all’identità personale, alla salute.
    Se si fanno affermazioni incaute che possono disonorare le persone, o darne una proiezione pubblica scorretta, o causare traumi psicologici, possono esserci conseguenze se i diritti vengono fatti valere in giudizio.
    Per esempio, asserire che le persone omosessuali non siano in grado come le altre di crescere bene i figli, e dare a intendere che questi figli siano disturbati nell’identità sessuale per il solo fatto di crescere in una famiglia gay o lesbica può disonorare genitori e figli, proiettarne un’immagine pubblica non rispondente al vero, causare traumi psicologici ai figli minori, danneggiare la vita di relazione.
    Oltretutto questi ipotizzabili danni non colpirebbero una sola persona, ma una classe. Soltanto le Famiglie Arcobaleno sono, se non sbaglio, circa ottocento.

  183. Roberto Buffagni, non capisco dove vuole andare a parare con il dossier redatto su me e gli altri che, e non è affatto un mistero, siamo anche amici o solidali di Franco.

    Forse questa vicinanza rende meno vere le nostre idee? Le dirò come è nata la mia amicizia con Buffoni: ero andato a un incontro a Radio Radicale dove un prete spretato sentenziava sul concetto di natura, escludendone i gay, ovviamente. Gli risposi pan per focaccia. Buffoni guardò il video e mi contattò. Eravamo già sulla stessa lunghezza d’onda prima di conoscerci. Un po’ come lei è della stessa pasta di chi vuole portare il diritto, che dovrebbe essere per tutti, dentro le pastoie del privilegio (ovvero, prerogative di pochi).

    Chissà, magari se Ratzinger la legge la invita a prendere un tè insieme…

  184. ad A. Barbieri.
    Replico alla prima parte del suo intervento citandole il post di Daniele Lo Vetere del 23 novembre 2012 alle 13:07, con il quale concordo. Se vuole sapere che cosa ne penso io, può consultare il mio post del 14 novembre 2012 alle 14:11.

    “Scusate l’intrusione. Non ho seguito tutta la discussione, troppo lunga e articolata per il tempo che (non) ho. Mi premeva però osservare una cosa.
    Vedo che alcuni commentatori (Buffagni e Marco), citano come pezze d’appoggio pro o contro l’adozione degli omosessuali teorie scientifiche. La scienza è una costruzione del sapere irrinunciabile per la nostra epoca, e molti dei suoi assunti sono tracimati ben oltre il ristretto campo specialistico e informano buona parte dei nostri atteggiamenti quotidiani. Tuttavia questo usarla come argomento decisivo in una discussione mi spiace. Essa è un sapere fra altri, e come tutti gli altri ha un suo peculiare rapporto con la realtà, una sua retorica, ed è fondata su visioni del mondo e assunti preordinanti che sono ideologici non meno di quelli di altri saperi. La scienza non ha il privilegio esclusivo del rapporto diretto con i fatti.
    […] Si può essere d’accordo o no sull’adozione degli omosessuali, ma non sarà la scienza a fornirci la dimostrazione ultima. Sfido a dimostrare scientificamente che l’omosessualità sia “solo” naturale o “solo” culturale, la famiglia monogamica “solo” naturale o “solo” culturale, la famiglia eterosessuale “solo” naturale o “solo” culturale. Si tratta “solo” di argomenti usati per far fuori quello o quell’altro avversario dialettico da chi pensa che tutto il male stia nella corruzione culturale di una natura buona o viceversa che la natura sia ferina e la cultura un processo di ingentilimento civile .”

    Spero di non aver capito bene l’intento della seconda parte del suo post, quella dove lei dice che “Se si fanno affermazioni incaute che possono disonorare le persone, o darne una proiezione pubblica scorretta, o causare traumi psicologici, possono esserci conseguenze se i diritti vengono fatti valere in giudizio”.
    Che cosa sarebbe, una minaccia di querela, una class action intentata da parte delle ottocento Famiglie Arcobaleno contro di me e chiunque sostenga tesi opposte alle sue?
    Di modo che, se non funziona l’argomento “stai zitto perchè la scienza dice che abbiamo ragione noi” passiamo al “se non stai zitto ti mandiamo in tribunale”? Se poi non funziona neanche la minaccia di intentare causa, il terzo step quale sarebbe, ” se non stai zitto ti aspettiamo sotto casa e ti spranghiamo”?
    Sarebbe questo, lo scopo della legge sull’omofobia caldeggiata da Buffoni ed altri? Tappare preventivamente la bocca a chiunque non la pensi come lui/loro? E in questo bel quadretto di minacce e di verità ufficiali stabilite per legge lei mi tira in ballo l’onore? Mah.

    a D. Accolla.
    Come ho già detto, è un semplice scherzo, una bonaria provocazione per Buffoni che non risponde mai di persona. Non c’è niente di male se lei o altri che interloquiscono qui sono amici di Buffoni. Non abbiamo lo stesso senso dell’umorismo, tutto qui. Se poi il papa mi inviterà a prendere il tè, ne sarò onorato. Vuole che gli chieda di invitare anche lei, così facciamo quattro chiacchiere tutti insieme?

  185. @Buffagni

    Mi permetto di suggerirle che, forse, si risponde a Buffoni avendo in mente il Buffoni poeta – saggista – traduttore – insegnante – operatore culturale anche quando le sue battaglie sono legate a questioni politiche e di diritti civili. Credo sia un tipo di interazione/riconoscimento abbastanza comune, in siti a base letteraria, certamente verticale ma non in malafede. Saluti.

  186. al fuGiusCo.

    La ringrazio del suggerimento, ma non sono sicuro di averlo capito bene.
    Vuol dire che ho mancato di rispetto a Buffoni?
    O che non ho le qualificazioni per attendermi da lui una risposta, perchè lui è un mio superiore?

  187. Buffagni: entrambe le cose, purtroppo o per fortuna, e su questo *purtroppo o per fortuna* si giocano la sopravvivenza e la tramandabilita’ dello specifico letterario in contesti misti/aperti come anche questo sito. In ogni caso, non intendevo richiamarla all’ordine, quanto piuttosto suggerirle una diversa e possibile chiave di lettura sul rifiuto al dialogo diretto con i “non sodali” che scorge in Buffoni. Saluti.

  188. @ Buffagni
    1) vedo che molti hanno insistito sul suo ultimo punto al commento del giorno 11 dicembre 2012 alle 12:34 “b) Ma certo che non c’è niente di male, nessuna cabala, lobby o complotto, per l’amor di Dio! Anzi, il cameratismo e la solidarietà fra amici sono una bella cosa, e se Buffoni ha tanti fedeli camerati, buon per lui.”

    Lei la pone sullo scherzo-provocazione cercando di attenuare, tuttavia nel suo bello scrivere fiorito e retoricamente fine, è chiara una paralessi e non faccia il modesto dicendo che ci è cpitata lì per caso. Il senso della frase e chiaro e per bello che sia e costruito ad arte, esprime comunque un sottile insulto a coloro che qui con Lei stanno dibattendo. Ma sorvoliamo.

    2) veniamo ora al suo commento del 13 dicembre 2012 alle 17:06
    “Sarebbe certo una grossa novità, ma francamente non vedo perché le novità in quanto tali debbano rappresentare un progresso.”

    Le novità rappresentano un progresso nel momento in cui appianano delle differenze. In questo senso il riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso supererebbe questa discriminazione che si applica sulla base meramente affettiva (e qui rientra il discorso del sediserio e non certo dell’edonismo come Lei l’ha intesa). Tenga presente che queto tipo di relazioni sono sempre esistite in tutti i luoghi e in tutti i tempi. Vi sono società che risconosco nella loro cultura e non le negano. Pertanto non è certo una novità del presente corrotto e degenerato che ha perso i sani valori di una volta quando si stava meglio perché si stava peggio.

    3) La “Forma Matrimonio” permane tuttora, come guscio simbolico e scheletro giuridico, finché non sarà distrutta per via giuridica e simbolica con l’estensione del matrimonio alle coppie del medesimo sesso, cioè a dire a coppie che, essendo incapaci di generare la vita se non per mezzo di ausili tecnici, ne contraddicono il fondamento e la struttura.

    E in questa frase che Lei a mio giuizio travede le cose. Ha ragione quando dice che il matrimonio è un guscio, uno scheletro, io direi una cornice. A diferenza di quanto Lei crede rispetto a quanto si affermava negli anni ’70 da parte dei gruppi più radicali che avversavano il matrimonio come forma patriarcale di dominio, oggi stiamo assistendo ad una spinta differente che reclama più matrimonio, non lo vuole affatto ditruggere. E io credo fermamente che se un negozio giuridico, quale il matrimonio, accolga più soggetti al suo interno, non fa altro che rafforzarsi ed essere più completo. La iscriminante procreativa è superata come fattore necessario. Non mi risulta che le coppie prima di sposarsi facciano test per verificare la feritlità dei coniugi. A Suo dire dovrebbero essere estromesse le coppie sterili in quanto non generanti a differenza delle coppie sterili in cui entrambi i soggetti sono procreativi, quindi, seguendo la sua logica, sarebbero il matrimonio per eccellezza, quello da sponsorizzare e diffondere. In oltre le coppie lesbiche, in teoria non ricorrerebbero nemmeno a tecniche arificiali per la fecondazione, basta un machio disponibile non crede? cosa che invece non avviene nelle coppie in cui uno dei due coniugi è sterile. Allora non è la procreazione che le interessa, questa è solo un paravento dietro al reale motivo per cui lei nega il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ovvero sia il semplice fatto che siano dello stesso sesso. Lei nega il fatto che due persone di sesso uguale possano avere una vita affettiva stabile, dei sentimenti reciproci identici a quelli tra persone di sesso diverso. Lei ritiene ancora attuale uno Stato di tipo morale, capace con i suo strumenti di dirigere la vita comportamentale dei suoi cittadini indicando ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Nel momento in cui il matrimonio tra gay non lede terzi (e non li lede affatto) non si può ostacolare in quanto tale, per il semplice fatto che si è sempre fatto così. Oltre tutto per quanto riguarda la genitorialità, per cui Lei giustamente individua la prole quale soggetto debole della accenda, non credo che la presenza esclusiva di un uomo e una donna sia sempre garanzia di successo mulino bianco. E lo dimostra la cronaca non certo io. Sono piuttosto le capacità dei coniugi, machi e femmina, maschi e maschio, femmina e femmina, a determinarli. E ancora, da quanto dichiarato al Congresso Mondiale Demografico del Cairo del 1994, la genitorialità è un diritto della singola persona e non della coppia. In fine, se Lei basa il discorso, come sta facendo, sul solo temine procreativo biologico, abbassa la questione al livello ferino. Reputo invece che non sia solo il fatto di essere in grado di mettere al mondo figli ma ritengo determinanti gli aspetti di generazione e filiazione affettivi e culturali, ovvero sia le capacità di garantire ai figli affetto e sicurezza e cultura (intenso in senso molto lato) aspetti che tanto le coppie omosessuali come quelle eterosessuali sono in grado di garantire al pari di singoli uomini e domme, mi vengono in mente ad sempio tutti i bambini che crescono cn padri e madri sole per svariati motivi. Altrimenti, a mio parere Lei non fa altro che incarnare il pensiero moralistico del celebre esponente della Chiesa Cattolica padre Pizzarro che afferma quanto in fin dei conto ciò che realmente importa sia la procreazione e la morte (fatti in un determinato e preciso modo teologicamente voluto) e nel mezzo vi sia, cito testuali parole, “un grande e-chi-se-ne-frega”. Perchè, per sua stessa ammissione di essere un conservatore, ritengo a questo punto Lei sia contrario non solo al matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma anche all’aborto, alla pillola del giorno dopo, all’eutanasia. Coerentemente con la sua visione morale della società nel condizionare i liberi comportamenti del singolo cittadino attraverso la legge. In quanto al contraddire il fondamento e la struttura del matrimonio da parte di coloro i quali non generano vita, è strano che Lei non abbia mai citato le coppie sterili. Non vorrei si sentissero discriminate pure loro.

    4) “Riporto solo l’elementare realtà che da sempre, il matrimonio si celebra fra uomo e donna”

    in riferimento a queste sue parole devo contraddirla come già fatto in precedenza in quanto non è affatto elementare tale afferamzione. Da che mondo e mondo il matrimonio non si è mai celebrato SOLO e SEMPRE tra uomo e donne. Solo e sempre sono concetti poco applicabili all’essere mutevule qual’è l’uomo. Non solo e smpre l’uomo ha portato i pantaloni, non solo è sempre l’uomo ha volato, nn solo e sempre l’uomo è andato nello spazio, non solo e sempre l’uomo è stato in grado di tenere in stato vegetale un altro essere vivente per anni. In spazi, tempi e culture diferenti, i matrimoni si sono celebrati tra fratello e sorella, tra un uomo e più donne, tra una donna e più uomini, tra donne come tra uomini oppure non poteva essere celebrato affatto, come nelle società collettive di stampo matriarcale della foresta amazonica o nelle società australiane. Se lei pone come unico, vero assoluto e immutabile, eterno e giusto il solo modello occidentale, affermatosi per giunta nell’ultimo millennio (che come saprà bene in termini di tempo profondo è come dire l’altro ieri) allora compie un’affermazione non solo errata ma capziosa e presuntuosa, alla quale potrà certo essere affezinato ma che non corrisponde al vero.

  189. Buffagni, lei scrive per celia, io no.
    Ci sono regole della convivenza civile, ci sono diritti da rispettare. L’ho invitata a riflettere sul fatto che alcuni bambini sono additati come potenziali disturbati solo perché crescono in famiglie omogenitoriali. Lei crede che frasi come quelle dell’onorevole Bindi “È meglio che un bambino resti in Africa piuttosto che sia adottato da una coppia omosessuale” non abbiano conseguenze sulla vita di quelle persone? Il limite al diritto di critica è prima di tutto la verità di ciò che si afferma. Si deve essere in grado di dimostrare che ciò che si afferma è vero, deve esserci una posizione scientifica condivisa basata su ricerche empiriche valutate dai pari e pubblicate che dimostrino l’inadeguatezza delle famiglie omogenitoriali perché crescono bambini disturbati secondo diagnosi del DSM. Non solo tutto ciò non esiste, ma quarant’anni di ricerche hanno dimostrato il contrario. Quindi non mi pare strano chiedere che quelle famiglie e quei figli siano rispettati nel loro diritto all’onore come sono rispettati tutti gli altri cittadini eterosessuali e cisgender.

    Poi lei scrive che io sarei “amico di Buffoni”.
    Non conosco Buffoni, non conosco nessuna delle persone qui.
    Mi interessano i gender studies (in particolare la gender theory) e la questione discriminazione basata sul ‘sex/gender system’ perché lei non ha idea di quanto mi faccia arrabbiare. Mi interessano domande come: Perché esiste il femminicidio? Perché un ragazzino che indossa smalto e pantaloni rosa viene spinto al suicidio? Perché si pratica chirugia cosmetica sugli organi sessuali dei baby intersex? Perché lo Stato chiede la castrazione chimica e/o la mutilazione della persona transgeder per riconoscerle un nome congruo all’identità di genere? Eccetera.

    Infine, è curioso che lei scriva “il terzo step quale sarebbe se non stai zitto ti aspettiamo sotto casa e ti spranghiamo”, quando la violenza è sempre stata omofobica. Abbia un po’ di rispetto per le persone che vengono sprangate davvero.

  190. Andrea Barbieri, mi aspettavo di avere equivocato il senso del suo primo intervento, ma vedo che lei non smentisce nulla.
    Non so se se ne rende conto, ma la tolleranza verso opinioni avverse alle proprie si regge su un equilibrio ben precario, dovendo fare i conti con la nostra aggressività a noi connaturata. Se perfino su un blog, letterario tra l’altro, lei ritiene che esprimere un’opinione che prescinde da specifici individui riguardando questioni di carattere assolutamente generale ed impersonale sia penalmente rilevante, mi pare che stiamo messi male.
    Penso che l’avrà detto molte altre volte in discussioni a cui partecipa. Per esempio, andrebbe quantomeno avvisata la Fornero quando riduce le pensioni che sta danneggiando la vita di tante persone e che queste persone potranno rivolgersi a un tribunale.
    Mi scusi, Barbieri, ma quale provvedimento di carattere generale non influenza la vita di persone fisicamente identificabili? Anzi, quanto più si parla di norme impersonali ed applicabili pertanto a una grande quantità di individui, tanto più saranno le persone danneggiabili, no?
    Poco conta in tutto questo che io la pensi diversamente da Buffagni, trovo che questi ultimi interventi di nuovi interlocutori (quello di “Il fu giusco” mi lascia senza parole, se lei si sente inferiore a Buffoni liberissimo, ma lasci che altri non provino lo stesso senso di inferiorità) sollevino questioni così odiose ed inaccettabili per chiunque crede almeno alla libertà di parola che mi trovo costretto a rompere il silenzio che mi ero imposto.

  191. a F. Vitobello.

    “2 Le novità rappresentano un progresso nel momento in cui appianano delle differenze. In questo senso il riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso supererebbe questa discriminazione che si applica sulla base meramente affettiva (e qui rientra il discorso del desiserio e non certo dell’edonismo come Lei l’ha intesa). Tenga presente che questo tipo di relazioni sono sempre esistite in tutti i luoghi e in tutti i tempi. “

    a) Per la sua tesi progresso = appianamento delle differenze la invito a leggere il mio post del 13 dicembre 2012 alle 12:06, punto 3 e sgg.
    b) Non ho inteso desiderio = edonismo. L’ho invitata a considerare il fatto che il desiderio non può costituire fondamento della norma senza dar luogo a paradossi e aporie, perché il desiderio è preferenza individuale, e la sua dinamica è tendenzialmente illimitata, mentre la norma non può che essere generale e limitante. Fondare la norma sulle preferenze (desideri) individuali è manifestazione tipica di nichilismo. Si può anche sostenere che il nichilismo è un’ottima idea e un luminoso progresso (per esempio, J. Derrida del quale ho citato la posizione sul matrimonio lo sostiene) ma sarebbe bene saperlo e dichiararlo. Veda il mio intervento succitato al punto 11.
    c) La “discriminazione” di cui lei parla si basa su tutto, tranne che sulla affettività. Si basa in effetti sul sesso, cioè sulla determinazione naturale. Per come la vedo (e per come la dico dal principio) le coppie di uomo e donna non hanno diritto di sposarsi in quanto “si amano”, esattamente come non hanno diritto di sposarsi le coppie dello stesso sesso “perché si amano”. Nessuno diritto è ascrivibile a chicchessia in ragione dell’amore (neanche quello di essere ricambiato). Le segnalo che nei paesi che riconoscono il matrimonio omosessuale, esso non può essere dichiarato nullo qualora si accertasse che i coniugi “non si amano”.
    d) “Tengo presente” eccome che “questo tipo di relazioni sono sempre esistite in tutti i luoghi e in tutti i tempi”, tant’è vero che nel mio intervento del 22 novembre 2012 alle 13:37 ho scritto: ‘nel dibattito sul matrimonio esteso agli omosessuali, la questione se l’omosessualità sia “natura” o cultura” non c’entra niente. Personalmente, non ho opinioni in materia. Nella Grecia classica l’omosessualità era largamente diffusa e socialmente accettata, e conviveva senza urti con una solidissima istituzione matrimoniale di tipo patriarcale. Il battaglione sacro tebano, temutissimo in guerra, era formato da coppie di amanti che giuravano di non abbandonarsi mai sul campo di battaglia, anche a costo della vita. Non mi risulta che le coppie di amanti del battaglione sacro tebano abbiano mai chiesto di potersi sposare, anche se sotto il profilo affettivo erano senz’altro assai più intimamente unite della media delle coppie di coniugi, di allora, di oggi e di domani’.
    Forse, nonostante l’abbia detto, ridetto e ribadito da un mese a questa parte non è chiaro che non ho niente, ripeto *niente* contro gli omosessuali, le relazioni omosessuali, le unioni civili omosessuali. Bene, se non è chiaro lo ripeto. Non ho niente contro gli omosessuali, le relazioni omosessuali, le unioni civili omosessuali. Sono contrario, per le ragioni da me abbondantemente esposte in centocinquanta cartelle di interventi, a: 1) matrimonio fra persone dello stesso sesso 2) adozione e filiazione con ausilio tecnico da parte di persone dello stesso sesso. Gradirei che mi si contestasse quello che dico, e non quello che si crede io pensi senza dirlo.

    “3). La discriminante procreativa è superata come fattore necessario. Non mi risulta che le coppie prima di sposarsi facciano test per verificare la fertilità dei coniugi. A Suo dire dovrebbero essere estromesse le coppie sterili in quanto non generanti a differenza delle coppie sterili in cui entrambi i soggetti sono procreativi, quindi, seguendo la sua logica, sarebbero il matrimonio per eccellenza, quello da sponsorizzare e diffondere. Inoltre le coppie lesbiche, in teoria non ricorrerebbero nemmeno a tecniche artificiali per la fecondazione, basta un maschio disponibile non crede? cosa che invece non avviene nelle coppie in cui uno dei due coniugi è sterile. Allora non è la procreazione che le interessa, questa è solo un paravento dietro al reale motivo per cui lei nega il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ovvero sia il semplice fatto che siano dello stesso sesso. Lei nega il fatto che due persone di sesso uguale possano avere una vita affettiva stabile, dei sentimenti reciproci identici a quelli tra persone di sesso diverso.”

    Capisco che la discussione è molto lunga, e che può mancarle il tempo e la voglia di leggere quel che ho già scritto molte volte; lei capisca se le rispondo sinteticamente, perché a me manca il tempo di ricominciare daccapo a proporre le argomentazioni che ho già esposto.
    1) Il matrimonio come istituzione non, ripeto *non* è ordinato alla produzione industriale del bestiame umano. Esso è un istituto ordinato alla riproduzione della specie e alla sua integrazione nella cultura. “Almeno per noi uomini, infatti, la natura non è, o almeno non è soltanto, un supporto sul quale costruire la cultura, mute fondazioni su cui erigere l’edificio parlante dell’umanità. La muta natura di cui è intessuto anche il corpo di noi tutti – quel corpo che per noi è insieme destino e identità, che ci è più estraneo e più intimamente vicino d’ogni altra realtà al mondo – diventa umana, diventa *io*, diventa *tu*, diventa *noi*, attraverso il simbolo e il linguaggio.” (dal mio intervento del 20 novembre 2012 alle 11:18) La determinazione sessuale genera la cultura e il simbolico, come testimoniato, ad esempio, dalla presenza dei generi maschile, femminile e neutro nel linguaggio. E’ sbagliato e destrutturante ridurre il simbolico al biologicamente determinato.
    2) Per la centomillesima e spero ultima volta ripeto che non nego, ripeto *non nego* che gli omosessuali possano amare e amarsi. Se desidera sapere per quali ragioni sono contrario alle adozioni e alla filiazione da parte di coppie omosessuali, la invito a leggere qui [http://www.psychologies.com/Planete/Societe/Articles-et-Dossiers/L-adoption-par-des-couples-homosexuels-et-l-enfant-dans-tout-ca] l’intervento già citato della dr. Claude Halmos, che esprime il mio pensiero meglio di quel che potrei fare io stesso. Se poi vuole discuterne nel merito, sono a sua disposizione. Non difendo posizioni sostenute da altri. In un’altra occasione, se vuole, si potrà parlare anche di aborto, eutanasia, etc. Qui si parla d’altro, e di carne al fuoco mi pare ce ne sia abbastanza.

    “4) ‘Riporto solo l’elementare realtà che da sempre, il matrimonio si celebra fra uomo e donna’ in riferimento a queste sue parole devo contraddirla come già fatto in precedenza in quanto non è affatto elementare tale affermazione. Da che mondo e mondo il matrimonio non si è mai celebrato SOLO e SEMPRE tra uomo e donne.”

    Francamente, non mi risulta che sinora si dia nella storia umana un esempio di matrimonio istituzionale fra persone del medesimo sesso. Come ho scritto molte volte, esistono molte forme di matrimonio, poligamiche, incestuose, etc., ma che tutte vedono la compresenza di (almeno) un uomo e (almeno) una donna. Se poi lei vuole sostenere che oggi possiamo decidere di chiamare matrimonio l’unione di persone del medesimo sesso e iscriverla come tale nel giure, non c’è il minimo dubbio che sia possibile, tant’è vero che in alcuni paesi lo si fa. Nel diritto positivo si può iscrivere quel che si vuole. Salvo errore, si discute se tale provvedimento vada adottato anche qui oppure no, adducendo valutazioni di varia specie: assiologiche, antropologiche, filosofiche, politiche, etc.

    ad A. Barbieri.
    Senta, caro Barbieri. Secondo lei, io scrivo “per celia” le cento cartelle che ho scritto? Invece di rigirare la frittata, lei la smetta di minacciare querele, e vedrà che ci intenderemo meglio.
    La “verità” che “limita il diritto di critica”, non ce l’ha in tasca lei, e non ce l’ho in tasca io. Mi risulta che si discuta per capirci qualcosa di più.
    La rabbia e il risentimento sono sentimenti che possiamo provare tutti, ma che sarebbe meglio farsi sbollire prima di impegnarsi in una discussione, se si vuole ricavarne qualcosa.

  192. a Il fu GiusCo.

    Bè, che cosa vuole che le dica? La vediamo diversamente, tanto per appellarmi al diritto alle differenze che qui va per la maggiore.

    Cosa vuole, io credevo che quando una persona, fosse anche Dostoevskji+Thomas Mann+il Presidente della Repubblica italiana e/o delle lettere+Gandhi, propone al dialogo le proprie tesi, fosse segno di rispetto nei suoi confronti replicargli quel che sinceramente si pensa, invece che adularlo, dargli sempre ragione, proclamarlo vertice sommo dell’umanità e arconte della ragion pura e pratica.

    Credevo anche che la detta persona, appunto perchè propone al dialogo le proprie tesi, implicitamente si dichiarasse disponibile a replicare alle eventuali obiezioni e critiche dei suoi interlocutori, accettandole o respingendole con argomentazioni razionali e non in base a un ipse dixit comminato da servizievoli terzi.

    Ma io sono un conservatore, e il progresso avanza, anche se le dirò che mi pare di scorgere, in questo sole che albeggia, qualcosa di molto, molto antico…

  193. Cucinotta, la frase della Bindi “È meglio che un bambino resti in Africa piuttosto che sia adottato da una coppia omosessuale” non è un provvedimento.
    Non capisco cosa c’entrino i ‘provvedimenti’ col mio discorso. Credo che lei abbia le idee molto confuse.

  194. Cucinotta: si tratta di un tipo di solidarieta’ che precede l’argomentazione politica e precede anche quella personale (io non conosco Buffoni, l’ho visto parlare dal vivo una volta quando studiavo a Pisa e stop). In un sito letterario, tale solidarieta’ e’ molto importante perche’ costituisce la base di ogni discorso e opera comune. Di opinionisti piu’ o meno illuminati e’ pieno il web, mentre di poeti e traduttori e’ povero il mondo. E’ una solidarieta’ di classe, l’omologo parla all’omologo, con le categorie (anche estetiche) dell’omologo. Saluti anche a lei.

  195. Comunque se a qualcun* interessasse la questione ‘provvedimenti’, può leggere una sentenza del tribunale di Firenze a questo link:
    http://www.famigliearcobaleno.org/Documenti.asp?id=57
    che si basa sulla seguente domanda posta al consulente tecnico nominato dal giudice:

    “Accerti e valuti quale sia l’attuale grado di maturazione dei minori, e, se in relazione allo stesso, vi siano controindicazioni ad informarli dell’omosessualità paterna, e che tale argomento sia espressamente affrontato; la CTU a tal fine dovrà effettuare la propria valutazione anche alla luce della letteratura scientifica esistente sul tema dell’influenza sui minori dell’omosessualità presente nella sfera familiare parentale; ove la C.T.U. non ravvisi controindicazioni, dovrà individuare con quali tempi e con quali modalità ed opportune cautele tali informazioni dovranno essere fornite ai minori.”
    Qui si può leggere la perizia che esclude rischi per la salute del minore:
    http://www.famigliearcobaleno.org/Documenti.asp?id=58

  196. Guardi Buffagni che in Italia esiste già il matrimonio come dice lei ‘tra persone del medesimo sesso’, è il matrimonio transessuale regolato dalla L. 164/82.
    Esistono anche matrimoni tra persone di sesso maschile o femminile e persone intersex (benché sui loro documenti venga indicato m o f in omaggio al binarismo sessuale). Oppure matrimoni tra persone intersex.
    Mi creda, c’è una bella fetta di realtà che non potrà essere invisibilizzata per sempre. Ci sono diritti umani in gioco.

  197. Caro fuGiusCo,
    per la verità io sarei, oltre che opinionista più o meno illuminato sul web, anche autore di una dozzina di opere teatrali rappresentate da primari capocomici del Regno (due anche in versi, non so se ciò mi qualifichi come poeta), e traduttore/adattatore per le scene di Sofocle, Marivaux, Thomas Kyd, Fernando de Rojas, Shakespeare, Julien Green, David Mamet, Sam Shepard, Bernanos, etc.
    Cosa dice, ci sto anch’io nella sua Confartigianato delle lettere con relativa solidarietà di classe?

    Caro Barbieri,
    io direi che a discutere così non si fa un passo avanti, e semmai se ne fanno parecchi indietro. Poi veda lei.

  198. “Se si fanno affermazioni incaute che possono disonorare le persone, o darne una proiezione pubblica scorretta, o causare traumi psicologici, possono esserci conseguenze se i diritti vengono fatti valere in giudizio.
    Per esempio, asserire che le persone omosessuali non siano in grado come le altre di crescere bene i figli, e dare a intendere che questi figli siano disturbati nell’identità sessuale per il solo fatto di crescere in una famiglia gay o lesbica può disonorare genitori e figli, proiettarne un’immagine pubblica non rispondente al vero, causare traumi psicologici ai figli minori, danneggiare la vita di relazione.
    Oltretutto questi ipotizzabili danni non colpirebbero una sola persona, ma una classe. Soltanto le Famiglie Arcobaleno sono, se non sbaglio, circa ottocento.”

    Quelle che precedono sono le sue testuali parole che minacciano e neanche in maniera larvata, sanzioni in sede giudiziaria, e non alla Bindi che lei seguita a citare, ma a Buffagni, cioè al suo interlocutore.
    Ora, certamente io avrò le idee confuse, ma ritengo tuttavia dall’alto del mio stato confusionale che coloro che sollevano nell’ambito di una discussione simili minacce facciano qualcosa di cattivo gusto e denuncino la propria carenza di tolleranza democratica.

  199. Vedo con rammarico che i ricchi spunti presenti nella risposta a me indirizzata di Buffagni (13 dicembre 2012 alle 12:06) non hanno ricevuto attenzione o interventi.
    Non ho potuto per alcuni impegni continuare la discussione con Buffagni. Cercherò di farlo appena possibile. Ma, nel frattempo, mi permetto di invitare anche i nuovi commentatori a misurarsi sui punti alti della discussione. Per non sprecare le nostre intelligenze e non svilire le nostre passioni.

  200. Cucinotta, in quello che ho scritto non c’è nessuna minaccia. Ho invitato una persona a riflettere su alcuni diritti. Utilizzi le parole con precisione, perché la minaccia è un reato, e non vorrei sentirmi attribuire un reato.

  201. Buffagni, lei scrive:
    “Caro Barbieri,
    io direi che a discutere così non si fa un passo avanti, e semmai se ne fanno parecchi indietro. Poi veda lei.”

    E perché mai? La invito a rendere esplicito il suo ragionamento, perché nella risposta rimanda a una qualche ragione implicita che io dovrei capire. Invece non la capisco. Ho scritto penso cose corrette, se secondo lei non sono corrette, spieghi il suo implicito.

    Intanto rimando chi è interessato a un testo molto bello di Valerio Marchetti, qui:
    http://www.ibs.it/code/9788861592094/marchetti-valerio/invenzione-della-bisessualitagra.html

    Cito la scheda:
    – Tra due coniugi che, per dono di natura, sono bisessuali [attenzione, il termine “bisessualità” è usato nel significato seicentesco di intersessualità] si può impedire, in nome del diritto positivo, l’uso promiscuo dei corpi?”; “Un ermafrodito il quale è capace d’usare indifferentemente l’uno e l’altro sesso può prendere in moglie una donna e nello stesso tempo sposare anche un uomo?”. L’autore, esaminando le risposte date dalla giurisprudenza e ricostruendo il dibattito medico svoltosi nel XVII secolo, sotto il controllo della teologia morale, giunge alla conclusione che le discipline che accettano l’idea di un terzo genere, e su quest’ipotesi stabiliscono i diritti dei bisessuali, non lo fanno perché accolgono le istanze dei diretti interessati. Non si trova infatti nell’età moderna un solo processo per ermafroditismo nel quale un individuo abbia pubblicamente rivendicato la sua bigenitalità come fatto naturale e abbia posto il problema del riconoscimento legale dell’ambiguità del suo corpo e della sua anima. Chi viene sottoposto a un procedimento penale rivendica sempre e solo di appartenere, malgrado le apparenze, a uno dei due generi in cui si divide l’umanità. Nelle discussioni tra teologi, medici e giuristi del Seicento si procede insomma alla costruzione di una differenza (fisica) e alla proclamazione di una uguaglianza (giuridica) come puro gioco ed effetto di potere. Per questo si può parlare d’invenzione e messa in scena della bisessualità.

  202. Barbieri, non sono un giurista, ma direi con tranquillità che minacciare di adire le vie legali non costituisca alcuna fattispecie di reato, vedo che lei si agita più del dovuto. Io, per le sue parole, la accuso di cattivo gusto e scarsa sensibilità democratica, ma non di aver commesso reati.
    Credo che qui tutti i lettori debbano ringraziarla per avere creato questo clima da caccia alle streghe nel corso di un dibattito che, malgrado le inevitabili asperità, era sembrato procedere in modo approfondito ed utile.

  203. @Il fu giusco
    Lei è padrone di avere le sue opinioni sui privilegi dei letterati, io lo sono altrettanto di non vedere alcun motivo plausibile per riconoscerli, non capisco il suo accanimento per imporli a tutti noi.

  204. Caro fuGiusCo,
    grazie, ma gli unici dialoghi per cui mi servono gli auguri sono quelli con i suoi purtroppo numerosi omologhi.

    Caro Barbieri,
    chiarisco il mio implicito.
    Discutendo così non si fa un passo avanti perchè a lei non interessa discutere; perchè non ha la minima intenzione di prestare ascolto a quel che ho detto, dico e dirò; perchè prima minaccia querele e poi fa il furbo definendole, in stile mafioso, un “invito alla riflessione”; perchè, per farla corta, lei è in malafede, e discutere con chi è in malafede è tempo sciupato.

  205. Mi scusi Buffagna ma mi ero perso dei passaggi, e stavo per criticare aspramente la sua posizione come molti in questi comenti; ma leggendo meglio, se la mette in questi termini, mi ritrovo anche io d’accordo con lei e duneque contrario a:
    1) matrimonio fra persone dello stesso sesso
    2) adozione e filiazione con ausilio tecnico da parte di persone dello stesso sesso

    che poi questa contrarietà nel suo caso cada proprio nei confronti solo delle persone dello stesso sesso è puramente un caso, non capisco proprio taluni bigotti che l’apostofano senza ragione, niente di memo che “omofobo”! Dovrebbero stare calmi ed usare bene le parole. Non è omofobia chi capisce veramente il senso e le regole della natura!

    Io per evitare tali accuse infamanti, ingiuste, fondate sul nulla, solo perchè la gente non vuole porprio capire quale sia il vero ordine naturale che governa il mondo e grazie al quale la specie umana sopravvive, aggiungo alla lista

    3) la parità tra bianchi e neri (in quanto geneticamente e naturalmente le razze esistono, ed è così lampante che mischiare chi sta su con chi deve stare sotto non mi pare proprio il caso)

    4) il diritto di cittadinanza per gli immigrati perchè il sangue non è acqua e solo chi nasce in Italia da genitori italiani deve essere Italiano (e non mi vengano a dire che il territorio nazionale segnato da confini immutabili e eterni non è qualcosa di naturale e vero!)

    in questa maniera non possono certo dire che sono omofobo. Le mia sono legittime opinioni dettate dalle certezze che la natura ci insegna così chiaramente che sarebbe follia andare contro tali leggi universali. Già stiamo vedendo i cambiamenti climatici cosa stanno facendo, se permettiamo le unioni tra ominisessuali nel giro di poco ci estingueremo e non lo possiamo permettere. La natura poi si vendicherebbe. Io come lei non ho assolutamente nulla contro gli omosessuali, per me posso fare quello che vogliono, ma poi quando è troppo è troppo, devono pur capire che devono stare al posto loro e non insistere a chiedere cose che non sono fatte per loro. Se non possono avere figli perchè ci provano con la persona sbagliata, è responsabilità loro. Andassero nel senso giusto così potrebbero anche sposarsi.

    Oltre tutto, come giustamente diceva qualche giorno fa un portavoce autorevole di una persone ancora più autorevole, questi qui, quelli dello stesso sesso seminano odio e rancore come si può leggere in questa sede. Basta vedere quanti senza ragione la stanno attaccando solo per il fatto che la natura ha stabilito così. Non è certo colpa sua, sig. Buffagni, sono le regole del mondo, se la prendessero con la natura come fece l’Islandese.

    Fortunatamente ci sono persone come Lei, di cultura che ancora ci tengono ai valori e alla tradizione, ai principi sani.

    Grazie

    Bruno G.

  206. @ Buffagni

    è da principio che seguo questo lungo ed interessante dibattito e credo che alla fine Lei si sia rispsoto da solo, cortese Buffagni:

    “per farla corta, lei è in malafede, e discutere con chi è in malafede è tempo sciupato”.

    (che non sia proprio quello che sta pensando in questo momento Buffoni?)

  207. Guardi Buffagni, anch’io penso che lei non abbia alcun interesse a una discussione razionale.
    Ora le spiego perché. Lei ha sostenuto:

    “Francamente, non mi risulta che sinora si dia nella storia umana un esempio di matrimonio istituzionale fra persone del medesimo sesso.”

    e io le ho risposto in modo pertinente che il matrimonio tra persone dello stesso sesso è già previsto dalla legge 164/1982, cioè il matrimonio della persona transessuale.
    Questa argomentazione forse può apparire peregrina a chi è completamente digiuno dalla questione, ma è la stessa che può ritrovare nell’ordinanza (3 aprile 2009) del Tribunale di Venezia con cui viene sollevata la questione di costituzionalità, infatti si legge:

    “Ne consegue che se lo scopo del principio di cui all’art. 3 della Costituzione è vietare irragionevoli disparità di trattamento, la norma -implicita nel nostro sistema – che esclude gli omosessuali dal diritto di contrarre matrimonio con persone dello «stesso sesso, così seguendo il proprio orientamento sessuale (né patologico, né illegale), non abbia alcuna giustificazione razionale, soprattutto se raffrontata con l’analoga situazione delle persone transessuali, che, ottenuta la rettificazione di attribuzione di sesso in applicazione della l. 14-4-1982 n° 164 possono contrarre matrimonio con persone del proprio sesso di nascita.”
    [Qui l’intero testo: http://www.altalex.com/index.php?idnot=45870%5D

    Quindi arriviamo a questo paradosso: tanto più le fornisco informazioni precise e utili, quanto più lei non capisce, e attribuisce a me disonestà intellettuale e mi offende.

  208. Caro Settis, Giusco, Bruno G. e Barbieri,
    perfortuna esiste un limite a tutto, anche all’obbligo di cortesia di replicare a interlocutori come voi.

  209. @ Buffagni

    mi ha contagiato nei commenti fiume ma questa volta cercherò di essere breve e chiudo i miei interventi qui premettendo che non risponderò oltre perchè non lo ritengo proficuo e sipegherò perché:

    1) non mi ha risposto in merito alla fecondazione assistita per le coppie normali, immagino sia d’accordo visto che obbediscono al disegno di dio e quindi al progetto naturale da lui fortemente voluto.

    2) mi fa specie come Lei sia preciso nell’indicare le cose che non condivide. Ok a coppie, unioni civili, etc ma matrimonio no (la propietà del matrimonio effettivamente non appartiene allo Stato ma alla Chiesa che ne detiene i diritti d’atuore). Non è favorevole a che i gay abbiano figli nè naturalmente nè con l’aiuto esterno. Nè possono adottarli (non l’ha mai detto ma lo pensa con convinzione ma non lo direbbe mai, sarebbe poco politicamente correto, come difendersi poi dalle accuse di omofobia? ) resta il fatto che un bambino cresciuto da due babbi o due mamme sarebbe abominio. Cinquanta bambini cresciuti da cinque suore dolci e amorevoli (sic) è cosa naturale, buona e giusta.

    3) Lei non ha ovviamente nulla contro i gay e ce lo ripete in maniera politicamente corretta per righe e righe. In buona fede io la credo, il suo psicanalista Le crederebbe meno.

    4) Fatto strano però, Lei esculde solo i gay dall’avere e crescere prole e dall’unirsi in matrimonio. Ma io continuo a credere fermamente che Lei non sia omofobo, ma mi risulta sempre più difficile spiegarlo al Suo analista.

    5) Non vuole sentirsi chiamare omofobo, perché i cattolici sono buoni con tutti, allora diciamo solamente che i froci gli stanno un tantino sul culo, ma nulla di personale, è la natura, non possono preocreare e poi diciamocelo, sono stati sul culo a tutti da sempre, ci sarà una ragione! Qui il suo analista si sfrega le mani ma non capisco bene perché.

    6) Lei mischia natura e diritto; la prima non si sa bene cosa sia e non lo sapete nemmeno voi cattolici una volta vi serve l’altra volta no. La seconda è frutto esclusivo dell’uomo quindi perchè appellarsi al trascendente? Poi Lei lascia fuori l’amore (proprio Lei che è ciellino per giunta, mi stupisce e mi sorprende!) aggrappandosi alla missione della specie di conservarsi, che al’imporvviso siate tutti diventati Darwiniani? non mi sorprenderebbe. Questa volta è al suo parroco che non so come spiegarla questa faccenda.

    7) Lei ha certezze, perché ha fede; conosce la verità perché Le è stata trasmessa per via scritta e per tradizione. Lei fa riferimento al magico, come dicevo prima, e non alla ragionevolezza. Per questo non ammette vie di mezzo, evoluzioni, modifiche. E’ no e basta, perché è così e si è sempre fatto così. Sa bene che non è così e sapendolo la ritengo in malafede. Se non lo sa allora non è in malafede ma la ritengo un ingenuo.

    8) Lei camuffa le vere ragioni, confonde gli argomenti, rifuta di andare all’osso della questione, a taluni coomentatori da credito altri li sminuisce e rigetta senza rispondere. Come la questione dell’omogenitorialità esposta da Barbieri. Giustamente è abominio (per lei) per me no. Per me è una realtà che va normata, e non perché lo dica io o lo dica Lei, ma perché ESISTE e va regolata. Non nuoce, non provoca danno a terzi ma benefici e va normata.

    9) Lei invece si appella ad una visione del mondo prestampata e Le fa comodo, tutto già aggiustato nella sua casella da sempre e per sempre con ricompensa per chi si attiene. Tuttavia c’è chi crede in altre magie, chi non crede affatto in nessuna magia o mito. Ecco perché Lei in definitiva non vuole dialogare ma ripete il suo mantra « Dio creò l’uomo a sua immagine; […] maschio e femmina li creò » (Gn 1,27); « Siate fecondi e moltiplicatevi » (Gn 1,28); « Quando Dio creò l’uomo, lo fece a somiglianza di Dio; maschio e femmina li creò, li benedisse e li chiamò uomini quando furono creati » (Gn 5,1-2). certo lo fa con interventi di 10 cartelle ma la sostanza è questa e lei non ammete altro perché il Catechismo dice questo e Lei crede in questo, professa e pratica questo e il suo orizzonte si chiude su questo. Da più parti sono intervenuti altri commentatori con idee differenti ma lei dice: ” sono Buffoniani, camerati, è la voce dell’emineza grigia” e invece è lei che è megafono qui una chiara visione religiosa del mondo e dei rapporti sociali. Leggittima ma che rimane visione e non legge dello stato.

    10) per questo è inutile andare oltre a mio giudizio Lei continuerà con il suo mantra, mentre altri qui cercano risposte alla realtà. E questo per sua stessa ammissione di essere conservatore, cattolico praticante. Non credo ci sia altro da dire, Non si può dire altro. E non se la prenda se Le dicono che è omofobo per due ragioni: a) lo è per davvero, se ne faccia una ragione; b) è una prerogativa dei cattolici-credenti-praticanti-conservatori. perchè offendersi? farebbe invece tanto bene alla sua analisi e al suo povero analista.

    11) e chiudo: questo mio intervento non vuole essere una accusa contro di Lei ma una constatazione amichevole. Mi ritiro dalla conversazione intrapresa per il semplice fatto che siamo su piani totalmente distanti: Lei su quello mitico-magico io su quello storico e materialista. Ho inteso quello che crede e perché, è stato bello confrontarsi, lo trovo folkloristico e affascinante come i miti greci e i racconti dello sciamano ma temo non ci sia nulla da aggiungere.
    Resta il fatto che dialetticamente è sempre molto affascinante parlare con i Ciellini deve essere la sensazone che si provava a dialogare con i sofisti greci, retorica per la retorica.

    La saluto e le auguro buon Natale.

    (Se vuole mi aguri pure buone feste, preferisco)

    Francesco Vitobello

  210. @ Buffagni
    se trova scortesi le sue parole se la prenda con se stesso, non ritengo affatto di essere stato maleducato con nessuno ho semplicemente rigirato quanto Lei diceva a Barbieri. Perché si offende?
    Solo lei è in buona fede? Bella arroganza questa!

    La saluto

  211. Rispondo al post di Francesco Vitobello del 17 dicembre 2012 alle 17:57
    Caro Vitobello,
    siccome mi chiede delucidazioni anche personali senza insultarmi, le rispondo volentieri. Poi, se preferisce non rispondere, non risponda.

    “1) non mi ha risposto in merito alla fecondazione assistita per le coppie normali, immagino sia d’accordo visto che obbediscono al disegno di dio e quindi al progetto naturale da lui fortemente voluto.”

    La sua domanda mi era sfuggita, me ne scuso. Sono in generale contrario alla fecondazione assistita per le coppie di uomo e donna. Non essendo un medico o un giurista, non so dirle nel dettaglio fin dove possa essere una pratica medica sensata e accettabile e da dove no. Immagino sia un po’ come con l’accanimento terapeutico. Comunque, sono in generale contrario, nonostante capisca il desiderio di avere figli del proprio sangue. Da un canto, trovo sbagliato – come nel caso delle coppie dello stesso sesso – incardinare la procreazione nella tecnica. Dall’altro, ricorrere alla fecondazione assistita mi sembra possa indicare che gli aspiranti genitori mettono al primo posto il loro desiderio di avere figli, e il bene dei figli al secondo: mentre una più esatta adesione al ruolo di genitori esigerebbe il contrario. Non ho informazioni privilegiate in merito al progetto di Dio. Se devo tirare a indovinare, direi che non sia l’incremento di produzione del bestiame umano.

    “2) mi fa specie come Lei sia preciso nell’indicare le cose che non condivide. Ok a coppie, unioni civili, etc ma matrimonio no (la propietà del matrimonio effettivamente non appartiene allo Stato ma alla Chiesa che ne detiene i diritti d’atuore). Non è favorevole a che i gay abbiano figli nè naturalmente nè con l’aiuto esterno. Nè possono adottarli (non l’ha mai detto ma lo pensa con convinzione ma non lo direbbe mai, sarebbe poco politicamente correto, come difendersi poi dalle accuse di omofobia? ) resta il fatto che un bambino cresciuto da due babbi o due mamme sarebbe abominio. Cinquanta bambini cresciuti da cinque suore dolci e amorevoli (sic) è cosa naturale, buona e giusta. “

    Ho detto più volte, e lo ripeto, che sono contrario all’adozione di figli da parte di coppie dello stesso sesso. Penso sia cosa buona e necessaria, per la costruzione dell’identità del bambino, la presenza di una coppia genitoriale, naturale o adottiva, di entrambi i sessi. Sono ancor più contrario alla filiazione con ausili tecnici, perché a queste ragioni si aggiungono quelle indicate al punto precedente. Come già detto, se desidera leggere una trattazione esauriente della questione che condivido per intero, può consultare l’articolo della dr. C. Halmos che ho citato più sopra.

    “3) Lei non ha ovviamente nulla contro i gay e ce lo ripete in maniera politicamente corretta per righe e righe. In buona fede io la credo, il suo psicanalista Le crederebbe meno.”

    Mah, guardi, io lo dico perché lo penso, e lo ripeto perché ogni tanto qualcuno mi contesta che non è vero. Se ci tenessi a essere politicamente corretto, forse non mi sarei imbarcato in questa discussione, non trova? Quanto al mio psicanalista, non so, forse ha ragione lei, i moventi inconsci sono inconsci per definizione. Però non mi pare una buona idea che ci mettiamo a diagnosticarci reciprocamente i moventi inconsci senza neanche guardarci in faccia: lei che suggerisce che sono inconsciamente omofobo, io che ribatto che lei è inconsciamente eterofobo, lei che mi aggiudica un rapporto conflittuale con il padre, io che tiro in ballo sua madre, e via (stra)parlando a vanvera.

    “4) Fatto strano però, Lei esclude solo i gay dall’avere e crescere prole e dall’unirsi in matrimonio. Ma io continuo a credere fermamente che Lei non sia omofobo, ma mi risulta sempre più difficile spiegarlo al Suo analista.”
    Non è per fare un dispetto a lei in particolare o agli omosessuali in generale.

    Capisco che le riesca difficile crederlo, ma è così. Ho cercato di spiegare perché nel corso di tutta questa lunga discussione. Se non sono riuscito a farglielo capire fino ad ora, non ci riuscirò adesso. Mi piacerebbe però che lei, o altri, mi spiegassero con un po’ di precisione che cosa vuole dire essere “omofobo”, soprattutto perché si cerca di varare una legge che punisce l’omofobia, e sinora non mai ho sentito spiegare bene che cosa costituirebbe la fattispecie di reato.

    “5) Non vuole sentirsi chiamare omofobo, perché i cattolici sono buoni con tutti, allora diciamo solamente che i froci gli stanno un tantino sul culo, ma nulla di personale, è la natura, non possono procreare e poi diciamocelo, sono stati sul culo a tutti da sempre, ci sarà una ragione! Qui il suo analista si sfrega le mani ma non capisco bene perché.”

    Il dizionario Gabrielli della lingua italiana definisce omofobo “chi manifesta avversione ossessiva nei confronti degli omosessuali.” Sviluppando un po’ il concetto, secondo me “omofobo” è chi disprezza, odia, teme, perseguita gli omosessuali, e siccome non ho mai fatto nessuna di queste cose, né qui né altrove, non mi piace sentirmi dare dell’omofobo. Se lei alla parola “omofobo” dà un altro significato la pregherei di definirlo meglio e poi ne parliamo, col mio analista e se vuole anche col suo, per un consulto.

    “6) Lei mischia natura e diritto; la prima non si sa bene cosa sia e non lo sapete nemmeno voi cattolici una volta vi serve l’altra volta no. La seconda è frutto esclusivo dell’uomo quindi perché appellarsi al trascendente? Poi Lei lascia fuori l’amore (proprio Lei che è ciellino per giunta, mi stupisce e mi sorprende!) aggrappandosi alla missione della specie di conservarsi, che all’improvviso siate tutti diventati Darwiniani? non mi sorprenderebbe. Questa volta è al suo parroco che non so come spiegarla questa faccenda.”

    Guardi che non sono ciellino. Non sono neanche focolarino, membro dell’Opus Dei, terziario francescano, gesuita, etc. Non che ci sia niente di male, ma le cose stanno così: sono un banale cattolico senza optional.
    Ho lungamente parlato di “natura umana”, un concetto che non è affatto esclusivamente religioso, o addirittura confessionale. Di “natura umana” parlano, dicendo cose interessanti anche per noi, filosofi non ciellini e non cristiani come Platone e Aristotele; che non credono in un Dio personale o nella sopravvivenza dell’anima individuale come Spinoza ed Hegel; marxisti atei come Costanzo Preve, del quale più sopra (rispondendo a E. Abate) ho citato uno scritto che viene a proposito nella nostra discussione. Quanto al diritto, la invito a considerare che a) storicamente, c’è un rapporto necessario fra l’idea di giustizia trascendente e di natura umana e le costruzioni giuridiche. Quanto al diritto naturale, nato come lei sa in Europa tra Cinque e Seicento con l’intento di fondare filosoficamente l’opposizione all’arbitrio regio e feudale, esso ha poi fatto un lungo viaggio dal quale è riemerso – irriconoscibile – appena ieri, con il nome di “diritti umani”. Ideologia in nome della quale truppe anche italiane aggrediscono nazioni straniere, giustificandosi col fatto che esse non rispettano i diritti naturali dei loro cittadini: per esempio perseguitando gli omosessuali, negando la parità giuridica alle donne, etc. Insomma, oggi come oggi il diritto naturale viene a dare manforte a lei, non a me: almeno all’estero. Vede com’è complicata la storia? B) esiste poi anche la concezione formalistica del diritto, per esempio kelseniana, conforme alla quale non esistono fondamenta naturali o filosofiche o religiose del giure, ma solo la decisione politica e la correttezza procedurale. E ne esisteranno certo molte altre che non conosco, non essendo un giurista.
    L’amore – che essendo bene rarissimo e prezioso sul quale si sostiene il mondo intero non disprezzo affatto, anzi – semplicemente non può, in nessuna concezione del diritto di cui abbia notizia, rendere ascrivibile a chicchessia un diritto positivo, perché chi e come ne accerterebbe la presenza? Con quali sanzioni se ne colpirebbe l’assenza? Come lei sa, nei paesi che riconoscono il matrimonio tra persone di egual sesso, esso, esattamente come il matrimonio fra uomo e donna, non è legalmente valido in quanto i coniugi “si amano”, cosa auspicabile ma nella quale l’amministrazione giudiziaria non può, e non deve, mettere il naso. Quindi, vedrà che non sarà difficile spiegare la questione al mio o al suo parroco.

    “7) Lei ha certezze, perché ha fede; conosce la verità perché Le è stata trasmessa per via scritta e per tradizione. Lei fa riferimento al magico, come dicevo prima, e non alla ragionevolezza. Per questo non ammette vie di mezzo, evoluzioni, modifiche. E’ no e basta, perché è così e si è sempre fatto così. Sa bene che non è così e sapendolo la ritengo in malafede. Se non lo sa allora non è in malafede ma la ritengo un ingenuo.”

    Me la fa facile. Comunque, grazie per il beneficio d’inventario. Preferisco esser ritenuto ingenuo che in malafede. Però dove ha letto, nei miei interventi, una motivazione fondata sulle Sacre Scritture, la teologia, la religione, per tacere della magia? Da nessuna parte, perché non c’è: e non ha bisogno di esserci perché le tesi che sostengo hanno un senso (condivisibile o no, certo) a prescindere dal fatto che si creda o no in una religione, rivelata o meno. Né l’unica ragione che ho addotto per le mie posizioni è il “si è sempre fatto così”. Ne ho addotto molte altre, e se sarà un po’ ingenuo anche lei le troverà in tutti i miei interventi. Ho insistito sull’antichità dell’istituzione matrimoniale per una ragione: per mostrare che, pur con tutte le varianti storiche che il matrimonio ha conosciuto (poligamia, poliandria, matrimonio sacro incestuoso, matrimonio combinato patriarcale, matrimonio romantico d’amore) la sua forma ha sempre veduto la compresenza di (almeno) un uomo e (almeno) una donna, perché si tratta di una istituzione ordinata all’integrazione della specie umana nella umana cultura: e che quindi è diversa dalle tante forme di rapporto affettivo, erotico, amoroso, etc., che si possono formare fra uomini e donne, o fra persone del medesimo sesso; e che quindi, estendere il matrimonio a coppie del medesimo sesso importa mettere fine a quella forma/ istituzione.

    “8) Lei camuffa le vere ragioni, confonde gli argomenti, rifuta di andare all’osso della questione, a taluni coomentatori da credito altri li sminuisce e rigetta senza rispondere. Come la questione dell’omogenitorialità esposta da Barbieri. Giustamente è abominio (per lei) per me no. Per me è una realtà che va normata, e non perché lo dica io o lo dica Lei, ma perché ESISTE e va regolata. Non nuoce, non provoca danno a terzi ma benefici e va normata.”

    Io non camuffo niente. Quel che dico penso, e quel che penso dico, nei limiti della buona educazione. Vero che mi sono stancato di rispondere ad alcuni interlocutori, come ad esempio Ares, Barbieri, ilfuGiusco, Bruno G., Settis, per il modo sgradevole e provocatorio con il quale mi si sono rivolti. Minacciare querele, dirmi che non ho il diritto di interpellare Buffoni, o indirizzarmi insulti veri e propri come Ares, mi fanno passare la voglia di replicare. Sbaglio? Può darsi. Diciamo che mi comporto anche io come Buffoni, così risolviamo il problema. Veniamo ora all’omogenitorialità. Certo, siccome ci sono coppie omosessuali che hanno figli adottivi o generati con l’ausilio di un terzo, o concepiti in relazione precedente con persona dell’opposto sesso, è meglio normare la posizione di quei ragazzi, perché tutelarli è interesse primario di tutti. Non mi chieda come, perché non saprei risponderle. Mi dica lei il suo parere, e lo commenterò per quanto mi sarà possibile. Poi, il fatto che un fenomeno esista non significa che sia opportuno o giusto legalizzarlo e generalizzarlo. Resto dunque contrario, per le ragioni suesposte, a concedere alle coppie omosessuali il diritto di avere figli o adottarne.

    “9) Lei invece si appella ad una visione del mondo prestampata e Le fa comodo, tutto già aggiustato nella sua casella da sempre e per sempre con ricompensa per chi si attiene. Tuttavia c’è chi crede in altre magie, chi non crede affatto in nessuna magia o mito. Ecco perché Lei in definitiva non vuole dialogare ma ripete il suo mantra « Dio creò l’uomo a sua immagine; […] maschio e femmina li creò » (Gn 1,27); « Siate fecondi e moltiplicatevi » (Gn 1,28); « Quando Dio creò l’uomo, lo fece a somiglianza di Dio; maschio e femmina li creò, li benedisse e li chiamò uomini quando furono creati » (Gn 5,1-2). certo lo fa con interventi di 10 cartelle ma la sostanza è questa e lei non ammete altro perché il Catechismo dice questo e Lei crede in questo, professa e pratica questo e il suo orizzonte si chiude su questo. Da più parti sono intervenuti altri commentatori con idee differenti ma lei dice: ” sono Buffoniani, camerati, è la voce dell’eminenza grigia” e invece è lei che è megafono qui una chiara visione religiosa del mondo e dei rapporti sociali. Legittima ma che rimane visione e non legge dello stato.”

    Visto che qui lei se la canta e se la suona, non commento.

    “10) per questo è inutile andare oltre a mio giudizio Lei continuerà con il suo mantra, mentre altri qui cercano risposte alla realtà. E questo per sua stessa ammissione di essere conservatore, cattolico praticante. Non credo ci sia altro da dire, Non si può dire altro. E non se la prenda se Le dicono che è omofobo per due ragioni: a) lo è per davvero, se ne faccia una ragione; b) è una prerogativa dei cattolici-credenti-praticanti-conservatori. Perché offendersi? farebbe invece tanto bene alla sua analisi e al suo povero analista.”

    E qui di nuovo la prego di una definizione meno flou di “omofobia”. Quando avrò capito bene che cosa vuole dire, potrò decidere a ragion veduta se prendermela o meno.

    “11) e chiudo: questo mio intervento non vuole essere una accusa contro di Lei ma una constatazione amichevole. Mi ritiro dalla conversazione intrapresa per il semplice fatto che siamo su piani totalmente distanti: Lei su quello mitico-magico io su quello storico e materialista. Ho inteso quello che crede e perché, è stato bello confrontarsi, lo trovo folkloristico e affascinante come i miti greci e i racconti dello sciamano ma temo non ci sia nulla da aggiungere. Resta il fatto che dialetticamente è sempre molto affascinante parlare con i Ciellini deve essere la sensazione che si provava a dialogare con i sofisti greci, retorica per la retorica. La saluto e le auguro buon Natale”

    Carina questa della constatazione amichevole, non è quella che si firma dopo un incidente stradale? Invece, questa fissa che sarei un ciellino la trovo preoccupante. Gliel’ha detto il mio analista? Quanto ai sofisti greci, le consiglio una ripassatina al manuale di filosofia. A sostenere che non sulla natura umana, sulla religione o sulla giustizia si fonda la legge, ma sull’utile, sulla forza o sul desiderio, furono proprio loro. La ringrazio degli auguri e li ricambio cordialmente, nella forma che preferisce.

  212. Buffagni: mi sono dato del monatto. E’ lei un appestato o sono io guarito dal morbo omologico? Nella sequenza del nostro dialogo, nella nostra storia di commentatori su questo sito e nella risposta che sceglie / ha scelto a tale domanda, sta l’estensione della “sua” malafede. Chiudo.

  213. L’articolo citato da Buffagni di questa psicoanalista di nome Halmos, pubblicato su Psychologie.com (dove vedo anche un bel link al Kamasutra) , che scrive per l’eminente ‘Psychologies magazine’ (destinato al grande pubblico e dedicato al benessere) e fa un sacco di comparsate televisive (apprendo da wikipedia qui: http://fr.wikipedia.org/wiki/Claude_Halmos)
    non dimostra un bel nulla contenendo soltanto le curiose ipotesi della signora.
    Se sostiene che l’identità di genere nei bambini cresciuti da coppie omosessuali ha degli aspetti disforici, Halmos deve dimostrarlo con ricerche empiriche che dovranno essere essere pubblicate su una rivista scientifica dopo un processo di peer review, non su un magazine popolare dedicato al benessere. Ma esistono davvero queste ricerche, è Buffagni, che si basa su questo articoletto per negare l’adozione omogenitoriale, in grado di indicarcene gli estremi?
    Se sì, le andiamo a leggere molto volentieri; se no, delle ipotesi della Halmos ce ne facciamo quanto del ‘metodo Di Bella’. Tanto più che sono già smentite dal materiale che si può leggere sul sito dell’APA.
    Le grandi associazioni come APA esistono appunto per stabilire degli standards of care mondiali, evitando la psicologia, diciamo così, ‘bizzarra’.

  214. Caro Barbieri,
    come lei sa, anche se non lo dice, la Halmos è stata richiesta di un intervento da un magazine popolare perchè in Francia ferveva, e ferve, il dibattito sul matrimonio omosessuale; e a un dibattito politico si contribuisce scrivendo su riviste a grande tiratura, più e meglio che su riviste specialistiche.
    Questo non significa che la signora sia la Wanna Marchi della psicanalisi: è una specialista con vasta esperienza clinica nella cura dei bambini, allieva di Francoise Dolto.
    Anche questo lei lo sa, anche se non lo dice, visto che ha consultato la scheda di Wikipedia dove si citano effettivamente gli interventi televisivi della Halmos, ma anche la curatela scientifica delle opere di Francoise Dolto, della quale è stata allieva, collaboratrice e coautrice, e i libri che ha scritto. Eccoli qua, dalla stessa pagina di Wikipedia della quale lei ha fornito il link.

    Éditeur scientifique
    1994 : Françoise Dolto, Articles et conférences, Gallimard, 5 vol. : vol. 1 : Les étapes majeures de l’enfance, coll. « Françoise Dolto », 289 p. (ISBN 2-07-073942-2), et coll. « Folio / Essais » (no 315), 1998, 401 p. (ISBN 2-07-040433-1)
    vol. 2 : Les chemins de l’éducation, coll. « Françoise Dolto », 389 p. (ISBN 2-07-073941-4), et coll. « Folio / Essais » (no 368), 2000, 541 p. (ISBN 2-07-041524-4)

    Auteur
    1997 : Parler, c’est vivre, avec Dominique Missika (éd.), Nil, 342 p. (ISBN 2-84111-079-6)
    2006 : Pourquoi l’amour ne suffit pas : Aider l’enfant à se construire, Nil (ISBN 2-84111-234-9), et Pocket, coll. « Évolution », 2007 (ISBN 978-2-266-16656-0), 251 p.
    2008 : L’autorité expliquée aux parents : Entretiens avec Hélène Mathieu, Nil, 167 p. (ISBN 978-2-84111-377-4)
    2009 : Grandir : Les étapes de la construction de l’enfant, le rôle des parents, Fayard, 338 p. (ISBN 978-2-213-64319-9)
    2012 : Dis-moi pourquoi : Parler à hauteur d’enfant, Fayard, 216 p. (ISBN 978-2-213-66831-4)

    Quanto precede per inquadrare l’onestà, correttezza e attendibilità, queste sì scientifiche, con la quale lei presenta i suoi argomenti.

    A proposito degli studi scientifici in generale, ripeto quanto già detto da me e da altri in questa sede:
    “La scienza è una costruzione del sapere irrinunciabile per la nostra epoca, e molti dei suoi assunti sono tracimati ben oltre il ristretto campo specialistico e informano buona parte dei nostri atteggiamenti quotidiani. Tuttavia questo usarla come argomento decisivo in una discussione mi spiace. Essa è un sapere fra altri, e come tutti gli altri ha un suo peculiare rapporto con la realtà, una sua retorica, ed è fondata su visioni del mondo e assunti preordinanti che sono ideologici non meno di quelli di altri saperi. La scienza non ha il privilegio esclusivo del rapporto diretto con i fatti.” [Daniele Lo Vetere, intervento del 23 novembre 2012 alle 13:07, con il quale concordo parola per parola]

    Se volessi mettermi a fare il giochino “il mio scienziato è più bravo del tuo”, le citerei il recente studio (che non ho letto) del sociologo Mark Regnerus dell’Università di Austin, Texas, pubblicato sul numero di luglio 2012 di “Social Science Research”, che contesta la validità dello studio dell’APA da lei citato (chi avesse voglia di leggerlo lo trova qui: http://www.markregnerus.com/).
    Però, è un giochino che non ho voglia di giocare, sia per le ragioni esposte da Lo Vetere nel suo equilibrato intervento, sia perchè non pretendo di essere onnisciente, e dunque di saper valutare attendibilmente controversie di metodologia scientifica in campi come la sociologia e la psicologia, dei quali non sono più specialista di lei.

    Trovo più istruttiva e meritevole di riflessione la vicenda che è seguita alla pubblicazione dello studio di Regnerus.
    Regnerus è stato attaccato da varie organizzazioni pro gay rights, che lo hanno tacciato di essere un impostore, un plagiario, di aver falsificato uno studio che in sintesi non vale la carta su cui è scritto, immagino anche di avere sparato alla mamma di Bambi. E fin qui, ci siamo: à la guerre comme à la guerre. Immagino che Regnerus, essendo un sociologo e non avendo dodici anni, lo avesse messo in conto.

    Poi però un blogger, Stuart Rose, ha scritto una lettera di formale protesta all’Università di Austin, nella quale sosteneva che lo studio di Regnerus fosse “omofobico”.

    L’università – che, si noti bene, aveva approvato le linee guida dello studio prima di finanziarlo – ha immediatamente istituito una commissione d’inchiesta. Se trovato colpevole di “scientific misconduct” (che l’Università di Austin definisce così: “fabrication, falsification, or plagiarism” e “practices that seriously deviate from ethical standards.”) il professor Regnerus avrebbe perso il posto di lavoro, e probabilmente avrebbe dovuto cambiare mestiere. Per sua fortuna, Regnerus è stato prosciolto dalle accuse.

    Ora, io non so se lo studio di Regnerus sia valido, non so neanche se sia metodologicamente corretto, se risponda ai criteri scientifici, etc. Magari è infarcito di sciocchezze. Se anche l’avessi letto, non sarei probabilmente in grado di valutarlo in modo attendibile, almeno sotto il profilo della metodologia adottata.

    So solo che Regnerus è un accademico e non un telepredicatore, e che le linee guida del suo studio sociologico erano state approvate dall’Università per cui lavora.
    Se il suo studio presentava dei difetti o era in toto erroneo, perchè non ci si è limitati a controbatterlo sul piano scientifico, dimostrando che i suoi risultati sono sbagliati, la sua metodologia di ricerca viziata, la sua campionatura inattendibile, eccetera? A me risulta che la ricerca scientifica, anche nel campo delle scienze sociali, si fa così.

    Perchè uno studio sul tema “omosessualità” deve ricevere un trattamento diverso?

    Come mai un blogger privo di qualificazioni accademiche, un tizio qualsiasi come me e come lei, scrive una lettera al rettore di una università avanzando contro un professore accuse che possono distruggere la sua carriera, e l’università – invece di cestinarla come avrebbe fatto se l’argomento dello studio fosse stata la mortalità infantile in Kazakhistan – immediatamente mette il professore sotto processo? Perchè non è sufficiente dimostrare, con uno studio accurato, che il suo lavoro è privo di valore?

    Non ci vuole uno scienziato, per rispondere. Non è sufficiente contestare sul piano scientifico perchè si vuole intimidire e tappare preventivamente la bocca a chiunque avesse la malaugurata idea di parlare del tema “diritti degli omosessuali” senza ripetere la linea ufficiale.

    Non essendo la maggioranza degli studiosi, degli scienziati, degli uomini in generale composta da eroi e martiri della verità, chi si arrischia a contraddire un pensiero autorizzato, se facendolo rischia il posto di lavoro, la carriera, la reputazione e il reddito?

    Secondo lei, questo metodo di attacco preventivo (per essere precisi, di ricatto) favorisce lo sviluppo della scienza e l’acquisizione di risultati scientificamente attendibili?

    Che cosa ne penserebbe, se venisse impiegato nel campo della medicina, della fisica nucleare, dell’ingegneria edile? Migliorerebbe la qualità dei medicinali, delle centrali nucleari, degli edifici?
    La politica culturale adottata dalla Santa Inquisizione dopo il Concilio di Trento ha migliorato la qualità della ricerca in campo astronomico?

    Toute proportion gardée, in questo bel quadretto scientifico di ricatto e intimidazione mafiosa si iscrive anche la cortese minaccia di farmi querelare dall’associazione “Famiglie Arcobaleno” che lei mi ha rivolto qui, definendola impagabilmente “un invito alla riflessione”.

    In Italia non è ancora stata approvata una legge contro l’omofobia, e quindi la sua minaccia di querela resta una manifestazione del suo atteggiamento spirituale e nulla più.

    Ma io gradirei tanto che qualcuno dei promotori o sostenitori di questa proposta di legge mi spiegasse, nei dettagli, quali dovrebbero essere le fattispecie di reato da essa previste e sanzionate. Perchè se fossero, come temo, piuttosto vaghe, flou, generiche, dal giorno in cui venisse pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge sull’omofobia, un “invito alla riflessione”come il suo diventerebbe una cosa seria e pericolosa, che metterebbe chiunque non la pensi come lei nella condizione di dover scegliere se aprire la bocca e rischiare ingenti spese legali, lavoro, reddito, reputazione, o stare zitto, cedendo la parola al suo ricattatore.

    Non c’è che dire. Come progresso della scienza, della libertà e dell’eguaglianza non c’è male.

  215. @ Buffoni, Barbieri, Accolla, Il fu GiusCo, Vitobello, Settis.

    Poveri omosessuali, chissà quando le loro rivendicazioni (giuste o sbagliate) dovranno aspettare per divenire realtà, se saranno difese nei modi che qui si sono visti.
    Questa discussione aveva toccato un suo punto alto nel dialogo (quello serio) tra Buffagni e Donnarumma. I successivi interventi (e gli ultimi in particolare, quelli del “secondo turno” dei commentatori-“incursori” in difesa di Buffoni contro il “provocatore” Buffagni, vi hanno introdotto di nuovo il veleno della personalizzazione e del procedimento accusatorio.
    Un osservatore spassionato noterà l’incapacità di egemonia culturale di molti dei vostri interventi. È questa che vi spingerà probabilmente a tirare per la giacca questa o quella lobby tra le più potenti, che a suo tempo concederà una briciola anche ai diritti omosessuali.
    Secondo me, dovreste almeno ringraziare la tenacia, la pazienza e la capacità dialogica (certamente partigiana) di Buffagni, che ha quantomeno svelato con la sue critiche l’insu fficienza, appunto, della vostra egemonia. (E si consideri il fatto che Buffagni è solo la punta di un iceberg, che nel suo sommerso contiene resistenze ben più oscure e pesanti).

    @Buffagni

    Rispondo in ritardo alle sue note del 13 dicembre 2012 alle 12:06 (in risposta alle mie del 10 dicembre 2012 alle 18:58), concentrandomi sui punti di maggiore importanza (per me):

    1. Il risentimento dei gruppi sociali oppressi (tra cui gli omosessuali).

    C’è molta ideologia (risalente penso a certi scritti di Nietzsche, ma acuitasi in parecchi suoi seguaci ed epigoni) nell’uso del termine ‘risentimento’. Accusare gli avversari di risentimento squalificando in partenza le loro rivendicazioni è una via facile per non andare a fondo nella conoscenza delle loro condizioni reali di vita e sul perché della loro collocazione subordinata nei rapporti sociali.
    Perché non dovrebbe esserci “risentimento” in chi patisce sfruttamento o oppressione o derisione da parte di pochi o molti rappresentanti di gruppi sociali più forti e dominanti? E perché non capire che il “risentimento” può essere, sì, una forma rozza di sentimento, ma può essere anche una delle leve (parziale, certamente) di un processo di giusta ribellione e di (possibile) fuoriuscita dalla rassegnazione, dall’umiliazione, dalla sopportazione delle ingiustizie, che i dominatori infliggono loro, presentandole, spesso con il consenso più o meno passivo dei diretti interessati, come “naturali” (o volute dalla divinità). E poi, perché mai attribuire il “risentimento” solo agli oppressi o ai dominati? Non lo provano forse anche i dominatori, appena vedono (purtroppo solo di tanto in tanto) vacillare in parte o totalmente il loro potere più o meno indiscusso? Molte loro campagne ideologiche, mobilitazioni di apparati repressivi contro dissidenti o ribelli o rivoluzionari non sono fatte *anche* di “risentimento”? O forse ogni loro atto è salomonico e neutro?

    Non mi pare poi che i gruppi oppressi (ma anche quelli dominanti) siano da distinguere solo con attributi psicologici (quali il risentimento o la pacatezza olimpica). Entrambi bene o male esprimono delle politiche. E queste a me sembrano già una prima mediazione di quei sentimenti di partenza con la realtà e un viatico quantomeno alla correzione di rapporti sociali squilibrati. E, dunque, nella rivendicazione *politica* del matrimonio da parte degli omosessuali, come lei stesso riconosce, il fattore «risarcimento simbolico» dovrebbe/potrebbe essere ridimensionato o considerato compresente assieme ad altri fattori più importanti e ragionevoli di “eguaglianza” (virgoletto per indicare la necessità di ripensamento anche di questo concetto).

    2. La rivendicazione dell’eguaglianza nelle società individualistiche.

    Riconosco che, venuta meno o oscuratasi del tutto in Occidente una dinamica di lotta tra classi sociali, i movimenti cosiddetti “antisistemici” si strutturino in questa fase storica prevalentemente in gruppi di pressione. E quelli omosessuali non fanno eccezione. Penso poi che, indebolitisi o del tutto svaniti i modelli organizzativi social-comunisti, anche le minoranze attive dei gruppi dominati abbiano rinunciato (o dovuto rinunciare per chissà quanto tempo) a costruire la loro Forma. (Come – apro una parentesi – ammesso in questa discussione e di sfuggita, quasi questione ormai irrilevante, dal solo Vitobello: «A differenza di quanto Lei crede rispetto a quanto si affermava negli anni ’70 da parte dei gruppi più radicali che avversavano il matrimonio come forma patriarcale di dominio, oggi stiamo assistendo ad una spinta differente che reclama più matrimonio, non lo vuole affatto distruggere. E io credo fermamente che se un negozio giuridico, quale il matrimonio, accolga più soggetti al suo interno, non fa altro che rafforzarsi ed essere più completo.»).
    Dunque, concordo con lei: oggi tutti i gruppi «si strutturano secondo il modello dell’impresa capitalistica, con un centro direzionale strategico e una compagine esecutiva, l’uso di tecniche di marketing per l’individuazione e la conquista del target commerciale, rispetto del criterio del minimax, integrazione su base reciprocamente strumentale con il potere politico e mediatico, etc» . (Io aggiungerei ancora: purtroppo; ma la cosa è secondaria).

    Mi pare però che i suoi argomenti non solo privilegiano (in modo unilaterale per me) il piano simbolico («Arma importante del gruppo di pressione sarà l’accesso al ruolo simbolico di *vittima*, che gli garantisce forza contrattuale sul piano simbolico ed efficacia propagandistica»), ma condannino implicitamente qualsiasi gruppo oppresso che tenti «l’accesso al ruolo simbolico di *vittima*»).
    Qui mi chiedo: E perché mai la cosa dovrebbe scandalizzare (e chi poi in effetti scandalizza)?
    E ancora: quanto e se nelle condizioni di vita di quel gruppo oppresso ci sono ragioni effettive per ribellarsi e rivendicare alcunché, perché non debba considerarsi *vittima* o essere considerato tale anche da altri (esterni a quel gruppo o in posizione più neutra)?
    Mi pare di cogliere una sorta di “veto” (di carattere religioso o sacrale) posto ai gruppi oppressi. Se non capisco male, il fatto che la figura della «vittima sacrificale» abbia assunto una sorta di “nobiltà simbolica” nella storia del cristianesimo, anche la sua (degradata?) «trascrizione secolarizzata» andrebbe respinta o svilita. Come andrebbe – deduco ancora – respinta o svilita, rifacendosi a de Maistre, «l’intera civiltà moderna post Rivoluzione francese», perché «manifestazione di “risentimento”, stavolta contro Dio».
    A me pare che così lei liquidi qualsiasi rivendicazione di “eguaglianza”, persino quella formale prevista dal diritto moderno, che io – preciso – critico (marxianamente) perché rimane puramente formale, sulla carta; mentre lei sembra respingerla assieme alla intera «civiltà moderna» originatasi dalla Rivoluzione francese in quanto “innaturale” o scaturita unicamente dal “risentimento” contro Dio e l’ordine sociale fondato sul «Potere-Dio» (e non, invece, a bisogni umani maturati nella storia e non contemplati nella visione medievale e religiosa del mondo, come io penso).

    Se ho parlato di una “eguaglianza al ribasso” e di essa mi mostro insoddisfatto è perché vi vedo un surrogato della promessa di eguaglianza reale, che la Rivoluzione francese fece intravvedere; e sono *politicamente* indispettito dalla rinuncia degli omosessuali a far valere la loro “diversità” *storica* (potrei dire anche il loro “risentimento” *storico*). E temo che lei, «sostituendo “identità” a “diversità”, stabilizzi (o ontologizzi) dei processi che io vedo fluidi e in (possibile) mutamento storico.
    Quanto all’esempio degli immigrati, un altro gruppo sociale oppresso o dominato, tengo a precisare che riconoscere la loro condizione di oppressione (rispetto ai cittadini di uno Stato-nazione) non significa affatto sottovalutare o negare che essi «una cittadinanza, un’identità, una cultura, una lingua e dei costumi diversi dai nostri *ce li hanno già*».
    Avere una o tutte queste prerogative non fa venire però meno il problema che esse costituiscono elementi per una loro discriminazione da parte di gruppi dominanti più forti (o di gruppi nazionali subordinati a gruppi dominanti più forti e spinti o portati per proprio conto a vedere gli immigrati unicamente come concorrenti o nemici). Resta il fatto che la loro identità o diversità non viene riconosciuta di pari dignità; e dunque, per loro, non sono previsti *nemmeno sulla carta* trattamenti paritari o egualitari. Il che non è secondario.

    L’”uguaglianza” non esiste “in natura”, va costruita ( o si è tentato finora di farlo) nella storia. Uguali non si nasce. In teoria si può diventare. E mantenendo la propria identità, se non la si vede come “essenza” o come monade in sé chiusa e autosufficiente. O se gli altri te la riconoscono e non te la cancellano o sostituiscono imponendoti un’eguaglianza puramente formale. Non credo neppure che la propria identità vada decisa (se capisco bene) «in base a un calcolo costi/benefici». Nel senso che la difendo o la affermo se e quando mi conviene. Questi sono stratagemmi a cui sono costretti proprio i gruppi oppressi. Infine, non mi pare che la società capitalistica rispetti le differenze «eguagliandole e organizzandole nella forma dell’impresa in competizione sul mercato per l’allocazione delle risorse materiali e simboliche». Secondo me, così non eguaglia un bel niente o eguaglia, come detto, “al ribasso” o solo formalmente. Divide e contrappone, invece, le identità (o le diversità), ne sottomette e soffoca molte e ne esalta alcune congeniali alla sua sopravvivvenza.

    3. Forma-matrimonio.

    Accetto volentieri la correzione che il capitalismo non agisce (più) solo dall’esterno ma *dentro* le persone; e quindi attraverso anche una capillare “colonizzazione dell’inconscio”, come è stato detto. Resto, invece, sorpreso nel vedermi aggregato a Derrida. Non vedo perché il mio sentirmi legato a una visione storico-materialistica d’ascendenza marxiana, «nella quale non ci sono “essenze” d’alcun tipo, né religioso né filosofico» sia «un’asserzione non meno nichilistica della proposta di Derrida». Marx, per quel poco che ho capito, non vedeva affatto la storia «orientata provvidenzialmente in una “grande narrazione”, come troppi frettolosamente affermano oggi che di marxismo non si capisce più nulla.
    La storia – mi pare di aver letto una volta in Althusser – è come un treno che non ha nessuna destinazione prefissata. Noi ci saliamo sopra per un breve tratto di vita, prendiamo atto (in parte) del tragitto già compiuto, individuiamo a stento qualche stazione, alla quale sembra diretta; e, sulla base delle nostre deduzioni più o meno scientifiche e sempre sotto la pressione costante dei nostri immaginari (“desideranti”), regoliamo più o meno razionalmente mosse o scelte. A nessuna delle stazioni previste o prevedibili neppure da un grande pensatore ( ad esempio, quella del comunismo ipotizzata da Marx) è garantito l’arrivo. Come, a fine Novecento, in parecchi abbiamo constatato. Né penso che il riciclaggio degli ex comunisti in liberisti “di riserva” discenda da posizioni marxiane. Semmai dall’abbandono della problematica di Marx o da una loro fragile formazione, più storicista che marxiana ( o, se si vuole, da una formazione avvenuta nella scolastica dello «storicismo marxista»).

    (Non affronto in questo contesto di discussione già sfilacciata il discorso di Preve sulla natura umana, che richiede attenzione e studio. Meglio rimandare a un’occasione più favorevole).

  216. Ringrazio nuovamente tutti coloro che sono intervenuti. Se a un post squisitamente letterario come il mio consegue un thread con queste coloriture credo significhi che in Italia la cultura dei diritti civili debba compiere ancora un lungo cammino.
    Stacco per tre settimane. Auguri di buona fine e di migliore inizio. fb

  217. @ Abate
    A un certo punto di questo lunghissimo thread, ho dovuto staccare. Temo anche di aver bucato qualche risposta dovuta. Mi scuso. Mi limito a fare qualche piccola osservazione a quel che scrive lei, visto che mi chiama in causa.

    1. Egemonia.
    Buffagni (che mi perdonerà se cerco di tirare le fila a modo mio) è colto, informatissimo, dialetticamente puntuto. Ma usa tutte le sue armi per difendere qualcosa che è vecchio come il cucco, e in cui non crede neppure lui: il matrimonio eterosessuale. Bella egemonia! Alla fine della fiera, e dopo tanta mostra di pensiero, si torna all’«a casa mia s’è sempre fatto così» di mia nonna (mia nonna era progressista: avrebbe ammesso le unioni civili). Devo dire che, soggettivamente, auspicherei usi dell’intelligenza meno fedeli a un senso comune delle cui magangne si è del resto consapevoli; e una cultura arroccata un po’ meno in difesa, soprattutto se si immagina destinata alla sconfitta. Come esempio di egemonia, mi pare un po’ facilotto. Che poi Buffagni abbia fatto qui la figura del bastian contrario, è un’illusione ottica dalla quale non vedo come si possa essere ingannati: fuori di questo chicchissimo blog, Buffagni sarebbe il capopolo di un popolaccio che non si merita, con il quale non lo si può confondere, e sul quale vola come un falco nero.

    2. «Sono *politicamente* indispettito dalla rinuncia degli omosessuali a far valere la loro “diversità” *storica*»
    Mi scusi, ma se per evitarle il dispetto dobbiamo starcene nel ghetto secolare della diversità, si indispettisca pure. Oltretutto, mi stupisco che lei non veda una dialettica di assimilazione/difesa di sé, e creda che, se domani mi sposassi con il mio compagno, diventerei issofatto come uno dei coniugi Brambilla di Sesto Calende.
    La diversità (se dobbiamo usare questo termine un po’ agghiacciante) non fa degli omosessuali un soggetto rivoluzionario. Accade a tutti i dominati, come lei sa bene. Ma i diritti sono diritti, e vanno garantiti a tutti. Dia una bicicletta al pupo, gli tolga le rotelle, e vedrà come pedala: ma se lo tiene legato in quella benedetta carrozzina, dove vuole che vada?
    Ergo: l’argomento secondo cui sposandosi gli omosessuali diventerebbero più conformisti di quanto non siano è specioso (e se permette, viziato da una scarsa conoscenza degli omosessuali). Rendere gli omosessuali pubblicamente responsabili delle loro scelte di vita vuol dire, prima che fare una concessione a loro, rendere un servigio a tutta la società.

    3. Forma-matrimonio
    Fra le invenzioni geniali dell’umanità, c’è il mutar uso agli oggetti. Se prendo i nudi classici e ne decoro una cappella destinata all’elezione dei palandranatissimi romani pontefici, faccio fare alla storia dell’arte (e del pensiero) un bel balzo. Vale lo stesso, se prendo uno scolabottiglie e lo piazzo come scultura in un museo (e ringrazi che non ho citato un’altra, più nota opera di Duchamp). Questo non toglie che nudi classici (e fuori di classicità) o scolabottiglie veri continuino a esistere. Così, quando in Italia si sposassero anche gli omosessuali, i matrimoni eterosessuali continuerebbero sulla loro strada, infelice o felice che sia; e la società italiana sarebbe appena un po’ meno ingiusta.

  218. ad E. Abate e R. Donnarumma.

    Grazie delle repliche intelligenti, cortesi e articolate. Risponderò appena possibile. Intanto, auguro buon Natale e buone feste, e saluto cordialmente.

    P.S. a Donnarumma: La ringrazio dei complimenti, troppo buono. Discutere con lei è un istruttivo piacere, sempre a sua disposizione. Guardi però che io al matrimonio, e in generale a quel che sostengo, ci credo eccome, a ragione e magagne vedute.
    Può darsi benissimo – è anzi probabile, dati i rapporti di forze in campo – che io e il popolaccio sanfedista che mi trascino appresso (al quale sono affezionato e non mi ritengo superiore) perdiamo questa battaglia, e che anche in Italia vengano approvati matrimonio e filiazione omosessuale. Embè? non si combatte solo quando si è sicuri di vincere, le pare? E nell’esercito del quale si fa parte – il suo, il mio, tutti – ci sono i buoni, i meno buoni, i mediocri, i cattivi, i pessimi, gli immondi [segue].
    Poi, certo, è un bel sollievo quando si può dialogare mettendo in campo i propri migliori argomenti contro i migliori argomenti dell’avversario…

  219. Le coppie omosessuali con prole esistono già e vivono indipendentemente dai voleri della maggioranza che li vuole penalizzare. Pedipiù vivono la loro vita familiare non utilizzando i numerosi servizi e privilegi, diretti e indiretti, garantiti alle famiglie eterosessuali. Questo è un fatto che merita evidenza, in questo periodo di grave crisi per tutti, e che da me, contribuente single, è motivo di elogio e stima; e di solidarietà assoluta.

  220. @ Buffoni

    Beato lei che può staccare e per ben tre settimane!
    Ma, prima di salutarci, se possibile, faccia un pensierino a quanto sto qui per scriverle.
    Possibile che lei, oltre a pubblicare su LPLC post squisitamente letterari,
    invece di intervenire come noi poveri cristi nella discussione, non fa che ringraziare elusivamente tutti, indistintamente, “urbi et orbi”?
    O ribadire, sempre telegraficamente, la sua fede nelle «magnifiche forze e progressive» della «cultura dei diritti civili» in salsa americana?
    Potrebbe – almeno una volta! – chiedersi perché il suo post «squisitamente letterario» abbia suscitato – per fortuna! – tanto insolito e acceso dibattito ben poco letterario?
    Perché alcuni commentatori sono retrogradi, non all’altezza della civiltà anglosassone e capaci solo di una lettura rozzamente contenutistica e non signorile come le sue?
    Perché il tema, che lei crede di trattare in modo «squisitamente letterario», lascia intravvedere lo stesso le sue (per me legittime e inevitabili) intenzioni persuasorie o propagandistiche?
    Non sarà che, al di fuori di cerchie ristrette di democratici e progressisti DOC, esso solleva tuttora, e non solo nella nostra Italia allo sbando, passioni oscure?
    E che queste andrebbero – a che servono gli intellettuali? – indagate, capite, approfondite (come si è cercato di fare qui, grazie alle critiche – partigiane, come ho detto, ma rivelatrici di un sommerso ben più perturbante e non del tutto chiarito nelle sue implicazioni di vario tipo- di Buffagni)?
    E non addomesticate, esorcizzate, sbeffeggiate con discorsetti progressisti sui «diritti civili», che spesso – insisto e nessuno mi risponde nel merito – sono solo vernice e, alla prova dei fatti spesso si dimostrano fumo senz’arrosto?
    Non è, infine, che sono certi letterati a dover ancora compiere «un lungo cammino» per vedere in quale pesante realtà siamo conficcati?
    Auguri comunque per le sue vacanze.

    @ Ares

    L’ho detto io pure che il lenzuolo matrimoniale copre di tutto. Nei fatti. Ma è riportare tutto ciò a livello della coscienza politica che è impresa gigantesca e piena di rischi. Guai a chi s’illude che le rivoluzioni siano un “pranzo di gala” o si accontenta delle briciole delle vere rivoluzioni.

    @ Donnarumma

    Risponderò più approfonditamente in seguito. Ma, per ora, via un equivoco: io denunciavo il difetto di egemonia o la scarsa capacità di persuadere e portare le proprie ragioni a favore del matrimonio omosessuale in modi convincenti, rispettosi e ragionevoli da parte di alcuni intervenuti; e avvertivo che le posizioni di Buffagni, che lei liquida ancora con troppa disinvoltura (se fosse stato «capopopolo» non si sarebbe neppure impegnato a discutere con voi o con me…), segnalano ai progressisti all’acqua di rose i buchi neri della loro politica.

  221. Avrei voluto scrivere molto di più, in particolare ripercorrere tutta la retorica che è stata usata nel colonnino per screditare l’idoneità omogenitoriale, retorica che è assai significativa, e in ogni discussione sul tema si manifesta uguale come un copione.
    Scrivere significa costruire – secondo le mie possibilità – un’argomentazione senza ombre nei passaggi logici, controllando le fonti e offrendole – dato che non sono certo infallibile – per una verifica diretta. Serve un sacco di tempo. Non è il mio lavoro, nel tempo libero vorrei fare anche altro che il “watchdog”. Ma allo stesso tempo non voglio che passino per vere asserzioni scorrette. Quindi ho scritto questo testo sintetico in cui parlo soltanto della ricerca di Regnerus, che già avevo citato in una discussione simile a questa avvenuta in settembre [qui il post in cui citavo Regnerus: http://vibrisse.wordpress.com/2012/08/18/meno-uguali-degli-altri/#comment-18879%5D.

    Qui si può leggere l’articolo del sociologo Mark Regnerus pubblicato sulla rivista “Social Science Research” nel 2012 con una procedura di peer review, intitolato:
    “How different are the adult children of parents who have same-sexrelationships? Findings from the New Family Structures Study”
    http://www.scribd.com/doc/96719068/Regnerus-Study

    Si legge nell’introduzione:

    “I compare how young adults from a variety of different family backgrounds fare on 40 different social, emotional,and relational outcomes. In particular, I focus on how respondents who said their mother had a same-sex relationship withanother woman—or their father did so with another man—compare with still-intact, two-parent heterosexual married fam-ilies using nationally-representative data collected from a large probability sample of American young adults”

    Ovvero la ricerca di Regnerus non compara figli di famiglie stabili eterogenitoriali con figli di famiglie stabili omogenitoriali – ciò nonostante Regnerus sostiene di aver individuato il “gold standard” nella famiglia stabile eterogenitoriale.
    La ricerca non è nemmeno focalizzata sull’idoneità genitoriale in relazione all’omosessualità, poiché non viene definita alcuna classe “omosessuale” nel senso dell’orientamento sessuale. Lo studio semplicemente accorpa persone che almeno una volta nella loro vita hanno avuto una relazione omosessuale.
    [Infatti regnerus chiarisce che: “LMs, which refers to “lesbian mother,” an acronym I state is not about sexual orientation, but rather about relationship behavior (i.e. the mother has had a same-sex relationship)” e del chiarimento c’è davvero bisogno perché la scelta terminologica è inspiegabilmente ambigua e trae facilmente in inganno. Da una lettera di Regnerus pubblicata qui:
    http://www.slate.com/articles/double_x/doublex/features/2012/gay_parents_study/gay_parents_study_mark_regnerus_and_william_saletan_debate_new_research_.html%5D

    La critica che ho avanzato corrisponde alla posizione, tra altri, di:
    AMERICAN PSYCHOLOGICAL ASSOCIATION
    AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION
    AMERICAN ACADEMY OF PEDIATRICS
    AMERICAN PSYCHOANALYTIC ASSOCIATION

    In un documento a firma congiunta di queste associazioni infatti si legge (che sarebbe bene leggere interamente perché tocca vari argomenti tra cui il supposto rischio per lo sviluppo dell’identità di genere):

    “”The Regnerus study placed participants (individuals between the age of 18 and 39) into
    one of eight categories, six of which were defined by the family structure in which
    they grew up — e.g., married biological parents, divorced parent, divorced but
    remarried parent, etc. There was no category for “same-sex couple.” Instead, the
    final two categories included all participants, regardless of family structure, who
    believed that at some time between birth and their 18 th birthday their mother or their father “ever ha[d] a romantic relationship with someone of the same sex.”

    Hence the data does not show whether the perceived romantic relationship ever in
    fact occurred; nor whether the parent self-identified as gay or lesbian; nor whether
    the same sex relationship was continuous, episodic, or one-time only; nor whether
    the individual in these categories was actually raised by a homosexual parent
    (children of gay fathers are often raised by their heterosexual mothers following
    divorce), much less a parent in a long-term relationship with a same-sex partner.
    Indeed, most of the participants in these groups spent very little, if any, time being
    raised by a “same-sex couple.”

    Hence the Regnerus study sheds no light on the
    parenting of stable, committed same-sex couples – as Regnerus himself
    acknowledges – and thus it is gravely misleading to say, as the American College
    of Pediatricians does (p. 6), that the study involved 175 participants who “were
    raised by two women and 73 by two men.””

    pertanto le suddette associazioni concludono:

    “”Accordingly, the conclusions by the leading associations of experts in this
    area reflect a consensus that children raised by lesbian or gay parents do not differ
    in any important respects from those raised by heterosexual parents.””

    [qui: http://www.ca9.uscourts.gov/datastore/general/2012/07/10/12-15388_Amicus_Brief_Psychological.pdf, pagg. 22-23]

    La ricerca quindi ci dice soltanto dell’importanza della stabilità familiare per la crescita dei figli. La stabilità si può avere in una famiglia eterogenitoriale come in una omogenitoriale. Il discorso implica chiaramente – al di là delle intenzioni dell’autore – che è bene esistano norme sul matrimonio a garanzia delle coppie omogenitoriali, perché il riconoscimento istituzionale non può che favorire la stabilità familiare.

    Questo per quanto riguarda la sostanza dello studio di Regnerus, ed è, mi pare, facilmente comprensibile anche ai non ‘addetti ai lavori’.

    Poi si può aggiungere la considerazioni pragmatica che purtroppo lo studio si presta a facili fraintendimenti, come se davvero dimostrasse l’inidoneità omogenitoriale. Non so dire – nemmeno mi interessa essendo sufficienti per me i rilievi sostanziali – se il ‘design’ della ricerca è costruito appositamente per ottenere questi fraintendimenti, e trasformare quella che dovrebbe essere una ricerca scientifica in arma politica.

    Di certo la ricerca è stata finanziata da “The Witherspoon Institute” [lo dichiara lo stesso Regnerus per esempio nella lettera pubblicata qui: http://www.slate.com/articles/double_x/doublex/features/2012/gay_parents_study/the_gay_parents_study_research_can_only_show_the_odds_.html%5D che è un ente conservatore contrario all’omosessualità.

    Di certo The Witherspoon Institute ha anche pubblicato un apposito sito per pubblicizzare la ricerca [qui: http://www.familystructurestudies.com/summary, qui il referente del sito: http://www.familystructurestudies.com/faq#faq2%5D in cui, direi, si lascia pensare che la ricerca possa davvero contraddire il corpus di ricerche empiriche di cui dà conto APA per basare il proprio supporto all’omogenitorialità.

    Di certo Mark Regnerus ha studiato al Trinity Christian College, nel cui sito si legge “Students acquire invaluable knowledge from dedicated professors who integrate a Christian worldview into the curriculum.”

    [qui: http://www.trnty.edu/index.php?option=com_content&view=article&id=73&Itemid=466%5D

    e nella scheda dedicata a Mark Regnerus leggiamo alcune sue dichiarazioni tra cui:

    “I like the tension of the anti-faith atmosphere that big state universities present. I’ve heard how professors totally dismiss the principles of their students’ faith, particularly Christian principles. That is consummate disrespect. Those beliefs are invaluable to the people who hold them.”

    e ancora:

    “That’s why I want my students to recognize the connection between my faith and my work. I want them to know that they don’t have to lay their beliefs aside although the environment may suggest otherwise. I feel that I’m exactly where God wants me to be.”

    [qui: http://tcc.trnty.edu/alumni/profiles/regnerus/%5D

  222. Replico insieme agli interventi di Ennio Abate del 19 dicembre 2012 alle 10:59 e di Raffaele Donnarumma del 20 dicembre 2012 alle 01:11

    1. Risentimento.

    La letteratura e la civiltà occidentale iniziano raccontando il risentimento di un uomo, che ne viene liberato dal cocente dolore per la morte del suo amante e dalla necessità di vendicarlo. La predicazione storica di Gesù di Nazareth è anzitutto rivolta a disinnescare il risentimento di un popolo crudelmente oppresso dall’occupante e dai collaborazionisti che lo governano, e che egli invita a “porgere l’altra guancia”, cioè al perdono e alla riconciliazione. Nietzsche, che definisce il cristianesimo in quanto tale una manifestazione di risentimento, fa traboccare di risentimento ogni sua penetrante invettiva contro i deboli e gli umanitari. Insomma, se il gruppo sociale degli omosessuali andasse esente da risentimento, sarebbe il primo gruppo sociale a me noto composto da Santi.

    2. Egemonia, sistema, antisistema.

    Come nota Donnarumma, le mie persuasioni in materia di matrimonio e filiazione omosessuale sono largamente maggioritarie nella società italiana (e non solo italiana). Non è perciò detto che siano egemoni. “Egemonia” è, non a caso, termine tecnico della scienza militare, che in origine indicava la preponderanza di uno stato all’interno di un’alleanza militare. Nella valutazione dei rapporti di forze, la quantità di truppe disponibili è solo uno degli elementi in gioco, e, specialmente oggi, non il più importante. Nella Operazione “Desert Storm” del 1991, l’Iraq schierava in campo all’incirca 800.000 soldati, la coalizione guidata dagli USA circa 700.000. Alla fine delle (brevissime) operazioni, le perdite irakene furono valutate tra le 100.000 e le 200.000 unità (non sono disponibili dati ufficiali del governo irakeno). Le perdite statunitensi furono 148, il 24% delle quali causate dal “fuoco amico”; più altri 145 morti in incidenti non legati ai combattimenti.
    Le mie opinioni sarebbero senz’altro egemoni, oltre che maggioritarie, se il quadro culturale e politico all’interno del quale si esprimono fosse: a) sovranità almeno monetaria dello Stato nazionale b) democrazia parlamentare proporzionalista c) partiti di massa ideologicamente definiti. In questo caso – che è il caso della cosiddetta “Prima Repubblica” – nessun partito politico, tranne gli strutturalmente marginali quali il Partito Radicale, avrebbe motivo di perseguire un obiettivo che interessa una frazione percentualmente minima della popolazione, non corrisponde agli interessi di un blocco sociale, ed è destinato a suscitare energiche opposizioni sia nel proprio bacino elettorale, sia da parte di istituzioni forti e radicate come la Chiesa cattolica. In questo quadro, gli omosessuali politicamente organizzati sarebbero (come furono) una forza politicamente antisistemica, e impossibilitata a raggiungere l’egemonia.
    Però, oggi non ci troviamo in questo quadro culturale e politico. Oggi, ci troviamo in quest’altro quadro: a) sovranità monetaria dello Stato nazionale alienata ad organismi sovrannazionali non elettivi b) democrazia parlamentare maggioritaria sottoposta a supervisione ed eventuale commissariamento dei medesimi organismi di cui al punto precedente c) partiti sulla via di compiere la propria trasformazione “americana” in comitati elettorali che coordinano gruppi di pressione.
    In questo nuovo quadro le mie posizioni, per quanto condivise dalla maggioranza del popolo italiano e da una istituzione come la Chiesa cattolica che ne orienta una significativa percentuale, non sono egemoni: perché non sono in generale egemoni in Italia le posizioni e gli interessi – giusti o sbagliati che siano – del popolo italiano, il quale non può farli valere dando il suo voto all’una o all’altra formazione politica. Lo si è nitidamente veduto con l’ultimo governo Monti, insediato dal Capo dello Stato con una forzatura della Costituzione in seguito a pressioni da parte di UE, USA e “mercati”, e che senza chiedere il parere degli elettori italiani ha approvato misure ad essi poco gradite quali l’aumento di cinque anni dell’età pensionabile. Solo ieri, il sen. Monti ha definito, con la sua “Agenda Monti”, il quadro politico all’interno del quale *tutte* le forze politiche sistemiche devono operare; ed ha aggiunto, concordando con Alain de Benoist e Costanzo Preve, che la contrapposizione destra/sinistra è superata e non rispondente al reale clivage politico, che va invece individuato in UE-euro sì/UE-euro no, forze europeiste e progressiste vs. forze populiste e conservatrici. In Italia, comunque, gli strappi costituzionali e la neutralizzazione della democrazia parlamentare non sono una novità assoluta: nel 1991, il governo italiano presieduto da M. D’Alema ordinò un’aggressione militare contro la Serbia senza sottoporre la decisione al voto del Parlamento (atto incostituzionale che avrebbe legalmente giustificato il rifiuto di obbedienza dei piloti incaricati delle missioni, i quali, come tutti i soldati italiani, giurano fedeltà alla Costituzione e non al governo in carica).
    In questo nuovo quadro, gli omosessuali in quanto cittadini italiani appartenenti a tutti i ceti sociali e a tutte le persuasioni politiche, culturali, religiose, etc., sono politicamente *più deboli*, molto più deboli di quanto non fossero nel quadro culturale e politico precedente, esattamente come il resto del popolo italiano del quale fanno parte. Invece, il gruppo di pressione che persegue l’agenda politica dei “gay rights” è *più forte*, molto più forte di prima, in quanto beneficia dell’egemonia di altri, più vasti e potenti, organismi politici non elettivi (quali i centri decisionali UE) che hanno cultura e soprattutto interessi in comune con esso.
    Quali sono, questi interessi in comune? Anzitutto, la riduzione del potere decisionale delle maggioranze elettorali, e la tendenziale neutralizzazione della democrazia rappresentativa e delle sovranità nazionali che ne consentono l’esercizio. Né i centri decisionali UE, né i gruppi di pressione “pro-gay rights” possono raggiungere e consolidare i propri obiettivi politici per mezzo di elezioni democratiche, e quindi hanno interesse a rafforzare i meccanismi decisionali non elettivi e non democratici (battezzati “governance”), e a dare alla parola “democrazia” il nuovo significato “politically correct” di affermazione dell’eguaglianza di diritti delle minoranze costituite in gruppo di pressione, con relative misure compensatorie di “affirmative action”.
    Sul piano della cultura e dell’ideologia, le coincidenze d’interesse sono a) ideologia del progresso, che saluta come una liberazione dalle pastoie conservatrici la disgregazione delle sovranità statuali e delle identità nazionali b) individualismo, che dà il benvenuto alla decomposizione dei partiti, dei corpi intermedi, delle organizzazioni sindacali, delle istanze educative tradizionali, tra le quali in prima fila la famiglia, per sostituirvi un soggettivismo radicale plasticamente rappresentato dalla “gender theory” di J. Butler, con la sua persuasione che le identità sessuali siano pura e semplice costruzione sociale: lo saranno dunque, a maggior ragione, tutte le altre, che non essendo radicate nella costituzione psicofisica ma solo nelle tradizioni culturali e nelle coscienze, si possono “decostruire” (e poi ricostruire da ground zero, come nelle guerre umanitarie) a piacere. Dalla “gender theory” al “posto fisso noioso” del sen. Monti, alla delocalizzazione di capitali e merce-lavoro, alla concessione automatica della cittadinanza di qualsiasi paese a chiunque vi paghi le tasse sul reddito, il passo non è lungo e la via non è tortuosa.
    Certo, tenere in piedi le pareti esterne della democrazia rappresentativa e svuotarne l’interno non è facile: per evitare il crollo ci vuole un sapiente, inesausto lavoro di puntello. Di qui la necessità di manipolare gli apparati della mediazione simbolica tra dominanti e dominati, e l’opportunità di introdurre un sistema di scossettine elettriche pavloviane per incanalare le opinioni nei percorsi predefiniti: ad esempio, le leggi contro l’omofobia, contro il femminicidio, contro ogni definizione storica dello sterminio nazista degli ebrei discordante dal dettato del Tribunale di Norimberga (che garantisce l’autodefinizione USA come potenza antifascista benefica, progressista, protettrice delle minoranze tutte, e permette di qualificare come antisemiti, fascisti, reazionari e sterministi tutti i suoi oppositori). Si noti che tutte queste leggi-scossettina pavloviana da un canto definiscono in modo quanto mai vago le fattispecie di reato, e dunque sono insieme ansiogene e applicabili a discrezione; dall’altro non comminano pene raccapriccianti, tali da provocare reazioni indignate nell’opinione pubblica. Servono infatti a indurre autocensura preventiva in chi voglia e possa esprimersi in pubblico, non a punire censurando clamorosamente con roghi, esili, processi politici, etc. Ogni tanto, si rovina la vita e/o la carriera a un poveraccio “pour encourager les autres”, ma nessun imputato può sperare di assurgere allo status di martire o di vedersi dedicare una statua in Campo de’ Fiori: fa solo la figura del minchione che “si è messo nei tumulti”.
    Tutto quanto precede, ovviamente, non ci dice se sia eticamente, moralmente, simbolicamente, politicamente, socialmente giusto o sbagliato, opportuno o inopportuno, bello o brutto estendere il matrimonio alle coppie del medesimo sesso. Un uomo solo può aver ragione contro tutto il resto dell’umanità (anche viceversa, però).
    Ci dice solo che oggi, i gruppi di pressione “pro-gay rights” sono forze sistemiche quant’altre mai, e partecipano – certo in una posizione non di primo piano – dell’egemonia culturale, politica, militare dei più potenti ed egemonici powers that be, in primo luogo i centri decisionali politici ed economici degli Stati Uniti d’America, in secondo luogo quelli della Unione Europea; e infatti attivamente ne appoggiano l’operato per ottenerne reciproco sostegno.
    E’ appena il caso di ripeterlo: questo fatto oggettivo non implica che gli omosessuali, in quanto cittadini e in generale esseri umani, condividano soggettivamente e appoggino con l’azione le posizioni culturali e gli obiettivi politici dei suddetti powers that be. E’ solo una ulteriore dimostrazione che i sociologi Luc Boltanski ed Eve Chiapello, un direttore di studi all’EHESS e una specialista di management all’École des hautes études commerciales, ci hanno imbroccato in pieno.
    Boltanski e Chiapello, nel loro *Le nouvel esprit du capitalisme* (Gallimard 1999), sostengono infatti che nel periodo 1848-1968 circa, le forme di critica al capitalismo erano due : la « critica sociale », che lottava contro la miseria e l’ineguaglianza dovute all’egoismo degli interessi particolari, e la « critica artistica », che denunciava l’inautenticità della società borghese, spietata nei giorni feriali e moralista la domenica, e il soffocamento delle potenzialità creative degli individui, in particolare le donne, gli artisti, i marginali tutti, tra i quali in prima fila gli omosessuali. E’ in questo periodo che si allaccia l’alleanza “di sinistra” tra intellettuali e popolo prima, proletariato organizzato poi. Ma a partire dal ’68, il capitalismo si trasforma, abbandona e ripudia la sua veste borghese e la borghesia in quanto classe eticamente definita, e recupera i temi della “critica artistica”, promuovendo un capitalismo reticolare e costumi libertari, individualisti e “desideranti” omologhi alla massificazione dei consumi. Da allora in poi, l’alleanza fra “intellettuali” e “popolo” inizia a rompersi, insieme alla validità della contrapposizione destra borghese e capitalistica/sinistra antiborghese e anticapitalistica, sociale e “artistica”: perché gli “intellettuali” e gli “artisti” hanno avuto quel che volevano, il popolo no (e neanche la borghesia, che se a volte ha salvato il reddito, ha pur sempre perduto l’identità e l’onore). Oggi infatti il popolo, quando persegue obiettivi conformi ai suoi interessi, quali ad esempio un alt all’immigrazione che deprime i salari, viene seccamente redarguito dagli intellettuali e dalla sinistra in generale, e stigmatizzato come “populista”. Uno sguardo alle percentuali di voto operaio e popolare per il Front National in Francia, o per la Lega in Italia, ci informa che anche i proletari cominciano a giungere, per via empirica, alle stesse conclusioni elaborate con la ricerca sociologica da Boltanski e Chiapello.

    3. Simbolico.
    Certo che insisto sul piano simbolico. Fosse un conflitto sociale tradizionale per l’eguaglianza nell’accesso alle risorse, la rivendicazione sarebbero le unioni civili e la loro regolamentazione, obiettivo condivisibile da una larga maggioranza dei cittadini italiani, tra i quali anch’io. Questo, invece, è un conflitto simbolico inteso come tale anzitutto da chi lo ha cercato, cioè i gruppi di pressione “pro-gay rights”, e che gli avversari sono costretti, volenti o nolenti, ad accettare come tale. Vi si combatte per cambiare significato a istituzioni, concetti, leggi, parole simbolicamente *centrali*: matrimonio, padre, madre, figlio, famiglia, etc. Se non è un conflitto simbolico questo! E’ anzi un conflitto simbolico “pro aris et focis” come quelli che combattono, nel loro paese invaso da truppe anche nostre, i popoli “arretrati” e “conservatori” ai quali andiamo ad insegnare la buona educazione occidentale e il rispetto dei diritti umani. L’unica differenza è che colà, il conflitto si svolge anche sul piano materiale: volano i missili, le fucilate, gli spezzoni, e si riempiono le bare. Ma come diceva il maggiore e più originale studioso di strategia contemporaneo, il colonnello S. Boyd, USAF, straordinario esegeta di Sun Tzu, “prima gli uomini, poi le idee, poi i mezzi.” La dimensione morale della guerra viene prima, in ordine logico d’ importanza, della dimensione operativa.

    4. Eguaglianza, vittima.

    A me, l’eguaglianza piace. Davanti alla legge; nell’accesso alle risorse indispensabili (cibo, cure, tetto, istruzione, lavoro), nella dignità davanti a Dio e davanti agli uomini. Comincia a non piacermi più quando si eguaglia quel che non può essere eguagliato senza mentire o senza reinventarsi l’aldiquà e l’aldilà, per esempio quando si dice che un maschio è uguale a una femmina perché entrambe le identità sono frutto di pura e semplice costruzione sociale; e dunque una coppia di due maschi o due femmine è eguale a una coppia di maschio e femmina. Per giustificare questa reinvenzione dell’universo viene a proposito la trascrizione secolare del ruolo sacro della vittima, con il suo antico prestigio. Dire pari pari che io sono io, o noi siamo noi, e decidiamo a nostro piacere se siamo maschi o femmine, è un po’ forte e rischia di non essere capito. Se diciamo che io, o noi, siamo stati vittime di lunga (e reale) oppressione, e dunque ci meritiamo di decidere, d’ora in poi, chi e che cosa essere, perché fino a quando sono altri, fosse pure la Natura o il Destino o Dio, che decidono per noi, non saremo liberi e qualcuno di nuovo farà di noi una vittima, bè, il discorso fila meglio, almeno a prima vista.

    5. Forma-matrimonio.

    Certo, si poteva anche chiamare Pollock a ridipingere la Cappella Sistina e dirgli “Jackson, fai tu.” Si può fare, possiamo fare *quello che vogliamo*. Se anche in Italia il matrimonio sarà esteso, come già è stato esteso in altri paesi, a persone del medesimo sesso, il matrimonio tra uomo e donna continuerà ad esistere. Continuerà ad esistere, per un tempo imprevedibile, tutto quel che esiste oggi. Poi non esisterà più, ed esisteranno altre cose, altre forme, altri contenuti, altre giustizie e altre ingiustizie, eccetera. Come diceva Antonio Delfini, la vera fine del mondo è che il mondo non finisce mai.

  223. Scrive Buffagni:
    “quando si dice che un maschio è uguale a una femmina perché entrambe le identità sono frutto di pura e semplice costruzione sociale; e dunque una coppia di due maschi o due femmine è eguale a una coppia di maschio e femmina. Per giustificare questa reinvenzione dell’universo viene a proposito la trascrizione secolare del ruolo sacro della vittima, con il suo antico prestigio.”

    Buffagni, ciò che secondo lei “si dice”, lo dice soltanto qualche professore di teologia in malafede o incompetente. In ambito multidisciplinare tra gender studies, biologia, psichiatria, neuroscienze si dice tutt’altro. Un buon libro per iniziare a capirci qualcosa, molto rigoroso ma alla portata dei non addetti ai lavori è: “Donne e uomini. Si nasce o si diventa?” della neuroscienziata Raffaella Rumiati, ed. Il Mulino.
    [qui il libro: http://www.ibs.it/code/9788815136961/rumiati-raffaella/donne-uomini-nasce.html
    qui il curruculum: http://www.sissa.it/cns/scin/rumiati.html%5D

  224. Una buona illustrazione divulgativa della Gender theory mi sembra questa di Buffoni.

    http://www.uaar.it/news/2010/08/08/gender-theory-e-identita/

    Gender Theory e identità

    Franco Buffoni*

    1. “Donne non si nasce, si di­ven­ta”, diceva Simone de Beau­voir. Chi nasce di sesso fem­mi­ni­le è in­dot­to a cre­sce­re come la sua so­cie­tà ri­tie­ne che debba essere una donna. Lo stesso po­treb­be dirsi per l’o­mo­ses­sua­le, almeno per quanto at­tie­ne alla sfera della co­sid­det­ta “omo­fo­bia in­te­rio­riz­za­ta”, cioè a quelle istan­ze an­ti­o­mo­ses­sua­li pre­va­len­ti nel mondo so­cia­le che il bam­bi­no in­con­sa­pe­vol­men­te as­sor­be e poi volge an­zi­tut­to contro se stesso.
    In so­stan­za, l’i­den­ti­tà ses­sua­le di ogni per­so­na è sta­bi­li­ta dal sesso bio­lo­gi­co, dal­l’i­den­ti­tà di genere (il sen­tir­si ma­schio o fem­mi­na), dal ruolo di genere (i com­por­ta­men­ti che ogni cul­tu­ra de­fi­ni­sce ap­pro­pria­ti per un ma­schio e per una fem­mi­na) e dal­l’o­rien­ta­men­to ses­sua­le. L’o­rien­ta­men­to ses­sua­le nulla ha a che fare con l’i­den­ti­tà di genere.
    Genere ma­schi­le, specie omo­ses­sua­le/ete­ro­ses­sua­le; genere fem­mi­ni­le, specie omo­ses­sua­le/ete­ro­ses­sua­le. De­si­de­ra­re la donna non è una pre­ro­ga­ti­va solo del genere ma­schi­le, e de­si­de­ra­re l’uomo non è una pre­ro­ga­ti­va solo del genere fem­mi­ni­le.
    La con­se­guen­za più dram­ma­ti­ca della so­vrap­po­si­zio­ne del genere alla ses­sua­li­tà con­si­ste nel dare per scon­ta­to la se­con­da in base al primo, dalla na­sci­ta. Questo è il fon­da­men­ta­le luogo comune da sfa­ta­re. Il sesso bio­lo­gi­co si ri­co­no­sce subito (salvo in alcuni par­ti­co­la­ri casi); per l’o­rien­ta­men­to ses­sua­le oc­cor­re at­ten­de­re almeno un de­cen­nio. Ed è pro­prio questa so­vrap­po­si­zio­ne, questo luogo comune, la causa di ine­nar­ra­bi­li sof­fe­ren­ze, am­bi­gui­tà, men­zo­gne, iso­la­men­ti, crisi esi­sten­zia­li e quan­t’al­tro. Fou­cault, al ri­guar­do e con ri­fe­ri­men­to alla pazzia, ha scrit­to pagine fon­da­men­ta­li. Ma ci ren­dia­mo conto che – quando l’u­ni­ver­si­tà ita­lia­na si de­ci­de­rà ad aprire ai Gender Stu­dies – do­vre­mo ri­scri­ve­re interi ca­pi­to­li di storia della let­te­ra­tu­ra: da Pa­sco­li a Pa­laz­ze­schi a Mon­ta­le, da Rebora a Gadda a Pavese…?
    In sin­te­si: conta non il sesso bio­lo­gi­co ma l’o­rien­ta­men­to ses­sua­le. Da qui la ne­ces­si­tà di co­di­fi­ca­re nuovi di­rit­ti umani, ses­sua­li e ri­pro­dut­ti­vi.
    Judith Butler è la stu­dio­sa sta­tu­ni­ten­se che mag­gior­men­te ha con­tri­bui­to alla co­di­fi­ca­zio­ne di una Gender Theory. In base alla quale, nel mondo mo­der­no, la dif­fe­ren­za tra uomo e donna fi­ni­sce ine­vi­ta­bil­men­te con l’es­se­re più un fatto so­cia­le che bio­lo­gi­co e l’o­mos­ses­sua­li­tà di­vie­ne un de­sti­no cul­tu­ral­men­te ac­cet­ta­bi­le.
    Da qui il con­flit­to con il Va­ti­ca­no. Espli­ci­to il pro­cla­ma lan­cia­to l’8 ot­to­bre 2009 dal se­gre­ta­rio della Con­gre­ga­zio­ne per l’E­van­ge­liz­za­zio­ne dei Popoli, mon­si­gnor Robert Sarah. Che ha de­fi­ni­to la Gender Theory “una ideo­lo­gia omi­ci­da”. 

Per Sarah, la Gender Theory “de­sta­bi­liz­za il senso della vita co­niu­ga­le e fa­mi­lia­re, si oppone al­l’i­den­ti­tà spon­sa­le della per­so­na umana, alla com­ple­men­ta­rie­tà an­tro­po­lo­gi­ca tra l’uomo e la donna, al ma­tri­mo­nio, alla ma­ter­ni­tà e alla pa­ter­ni­tà, alla fa­mi­glia e alla pro­crea­zio­ne”. Si tratta, per Sarah, di una “ideo­lo­gia ir­rea­li­sti­ca e di­sin­car­na­ta”, “che nega il di­se­gno di Dio”, e che spinge la so­cie­tà a “for­gia­re il genere ma­schi­le e fem­mi­ni­le sulla base delle scelte mu­te­vo­li del­l’in­di­vi­duo”.

 “Es­sen­do il di­rit­to di scelta il valore su­pre­mo di questa nuova etica, l’o­mo­ses­sua­li­tà di­ven­ta una scelta cul­tu­ral­men­te ac­cet­ta­bi­le, e la pos­si­bi­li­tà di questa scelta viene in tal modo pro­mos­sa”.

    2. Vio­len­za fisica e vio­len­za morale sono stret­ta­men­te con­nes­se: non si può pen­sa­re di con­dan­na­re la prima solo quando l’o­mo­fo­bia de­ge­ne­ra in fatto di cro­na­ca, giu­sti­fi­can­do nello stesso tempo la se­con­da. Ri­cor­do la di­ret­ti­va ap­pro­va­ta dal Par­la­men­to eu­ro­peo il 26 aprile 2007 che – ri­pren­den­do l’art. 13 del trat­ta­to di Am­ster­dam, sempre di­sat­te­so dal­l’I­ta­lia – ri­ba­di­sce l’in­vi­to agli stati membri “a pro­por­re leggi che su­pe­ri­no le di­scri­mi­na­zio­ni subite da coppie dello stesso sesso” e con­dan­na “i com­men­ti di­scri­mi­na­to­ri for­mu­la­ti da di­ri­gen­ti po­li­ti­ci e re­li­gio­si nei con­fron­ti degli omo­ses­sua­li”.
    Alcuni nostri de­pu­ta­ti – nel boc­cia­re la pro­po­sta di legge Concia contro l’o­mo­fo­bia nel­l’ot­to­bre 2009 – hanno fatto ri­fe­ri­men­to a “di­scri­mi­na­zio­ni” ri­spet­to ad altre ca­te­go­rie di cit­ta­di­ni; “pri­vi­le­gi” che si sa­reb­be­ro “con­ces­si” agli omo­ses­sua­li e “at­ten­ta­to alla li­ber­tà di pen­sie­ro” (ov­via­men­te dei cle­ri­ca­li). Spin­gen­do sempre più ai mar­gi­ni della cit­ta­di­nan­za il 10% dei cit­ta­di­ni.
    E’ im­por­tan­te fare chia­rez­za almeno su un punto della pro­po­sta di legge re­spin­ta, con­cer­nen­te l’o­rien­ta­men­to ses­sua­le. Una legge che pre­ve­da ag­gra­van­ti sulla base di questa mo­ti­va­zio­ne non in­tro­dur­reb­be ele­men­ti di di­scri­mi­na­zio­ne in base al sog­get­to che su­bi­sce vio­len­za, ma in base al mo­ven­te di chi com­met­te il reato.
È scan­da­lo­so che alcuni par­la­men­ta­ri e gior­na­li­sti (tra gli altri But­ti­glio­ne, Vo­lon­tè, Sto­ra­ce, Renato Farina del Gior­na­le) ab­bia­no cer­ca­to di fare bieca spe­cu­la­zio­ne su questo punto. Nes­su­na di­scri­mi­na­zio­ne ver­reb­be in­tro­dot­ta ma una norma di re­spon­sa­bi­li­tà che, come già accade da anni per vio­len­ze mo­ti­va­te da odio raz­zia­le o re­li­gio­so (legge Man­ci­no, 1993), ri­co­no­sca la realtà della vio­len­za mo­ti­va­ta da odio omo­fo­bo e tran­so­fo­bo. Una norma di ci­vil­tà ele­men­ta­re pre­sen­te ormai nella le­gi­sla­zio­ne di tutti gli stati mo­der­ni e avan­za­ti.
    Coin­ci­den­ze: mentre in Italia un Par­la­men­to di no­mi­na­ti nel­l’ot­to­bre 2009 boc­cia­va la pro­po­sta di legge contro l’o­mo­fo­bia pre­sen­ta­ta da Paola Concia, di­ve­nen­do così og­get­ti­va­men­te com­pli­ce di chi istiga odio e vio­len­za nei con­fron­ti degli omo­ses­sua­li, negli Stati Uniti Barack Obama fir­ma­va una legge spe­ci­fi­ca contro le vio­len­ze nei con­fron­ti dei gay. Il testo prende il nome da Mat­thew She­pard, stu­den­te di col­le­ge tor­tu­ra­to e ucciso da due bulli nel 1998, e da James Byrd, un uomo di colore che nello stesso anno fu legato a un’au­to e tra­sci­na­to per di­ver­si chi­lo­me­tri a Jasper, in Texas. Con la nuova legge, negli Stati Uniti, le vio­len­ze contro i gay ven­go­no ac­co­mu­na­te a quelle sca­te­na­te da motivi raz­zia­li, re­li­gio­si e etnici. La firma di Obama con­clu­de una lunga bat­ta­glia da parte delle as­so­cia­zio­ni per i di­rit­ti degli omo­ses­sua­li, in primo piano la Human Right Cam­pai­gn, l’or­ga­niz­za­zio­ne da­van­ti alla quale il pre­si­den­te ha par­la­to du­ran­te la cam­pa­gna elet­to­ra­le e dopo l’e­le­zio­ne.
    Negli stessi giorni, il car­di­na­le Ennio An­to­nel­li, pre­si­den­te del Pon­ti­fi­cio con­si­glio per la fa­mi­glia, nella lectio ma­gi­stria­lis con la quale ha aperto l’anno ac­ca­de­mi­co del­l’a­te­neo Regina Apo­sto­lo­rum, ha di­chia­ra­to: “Se fino a ieri la fa­mi­glia era sotto l’at­tac­co del­l’i­deo­lo­gia col­let­ti­vi­sta, oggi su­bi­sce il fuoco con­cen­tri­co di una deriva in­di­vi­dua­li­sta nella quale con­flui­sco­no il fem­mi­ni­smo ra­di­ca­le e i mi­li­tan­ti gay. Il sup­por­to ideo­lo­gi­co è of­fer­to dalla teoria del gender: conta non il sesso bio­lo­gi­co ma l’o­rien­ta­men­to ses­sua­le. Si ri­ven­di­ca­no i co­sid­det­ti nuovi di­rit­ti umani, ses­sua­li e ri­pro­dut­ti­vi: il di­rit­to degli omo­ses­sua­li ad adot­ta­re bam­bi­ni…”.
    Perché “i car­di­na­li An­to­nel­li”, intesi come ca­te­go­ria, pos­sa­no con­ti­nua­re a di­scri­mi­na­re agendo da og­get­ti­vi isti­ga­to­ri alla vio­len­za contro gli omo­ses­sua­li, il Par­la­men­to ita­lia­no boccia la pro­po­sta di legge Concia, di­sat­ten­de l’art. 13 del Trat­ta­to di Am­ster­dam, e ignora le di­ret­ti­ve del Par­la­men­to eu­ro­peo.

    3. Colage – Chil­dren of Le­sbians and Gays Eve­ry­whe­re – è una as­so­cia­zio­ne a cui ade­ri­sco­no figli ormai adulti di coppie omo­ge­ni­to­ria­li; Fa­mi­lies like Mine di Abi­gail Garner è un volume che rac­co­glie le te­sti­mo­nian­ze di molti cit­ta­di­ni nati e cre­sciu­ti in fa­mi­glie omo­ge­ni­to­ria­li, ivi com­pre­si quelli nati tra­mi­te ge­sta­zio­ne di so­ste­gno, alias ma­ter­ni­tà sur­ro­ga­ta. E sono equi­li­bra­ti, sani, ben in­se­ri­ti nella so­cie­tà. Hanno in­con­tra­to le dif­fi­col­tà che in­con­tra­no tutti gli ado­le­scen­ti del mondo. L’al­tro e pe­cu­lia­re tipo di “dif­fi­col­tà” even­tual­men­te in­con­tra­to è andato di­mi­nuen­do fino a scom­pa­ri­re al­lor­ché è sce­ma­ta la cu­rio­si­tà so­cia­le nei loro con­fron­ti. Cioè a dire, quando – agli occhi dei vicini – sono di­ven­ta­ti “nor­ma­li” figli di “nor­ma­li” coppie di ge­ni­to­ri. Esat­ta­men­te come av­vie­ne, da qual­che anno, per le co­sid­det­te coppie mul­tiet­ni­che. (Non si di­men­ti­chi che fino a qual­che de­cen­nio fa, in molti stati, questi ma­tri­mo­ni erano “il­le­ga­li”). L’u­ni­co vero scan­da­lo­so punto al ri­guar­do è che in Italia cen­ti­na­ia di mi­glia­ia di bam­bi­ni sono privi di alcuni di­rit­ti fon­da­men­ta­li, in primis il di­rit­to alla con­ti­nui­tà del rap­por­to con il ge­ni­to­re non bio­lo­gi­co, in caso di morte di quello bio­lo­gi­co. E a quanti av­ver­sa­no la ma­ter­ni­tà sur­ro­ga­ta, mi sento di ri­spon­de­re: cer­ta­men­te nel mondo ideale che tutti noi vor­rem­mo, il rap­por­to ma­dre-fi­glio-am­bien­te cir­co­stan­te do­vreb­be svi­lup­par­si in modo idil­lia­co. Ma la ter­ri­bi­le realtà og­get­ti­va di tante gra­vi­dan­ze mi fa aprire porte e fi­ne­stre anche a quella sur­ro­ga­ta. Nella con­vin­zio­ne che i fat­to­ri in gioco siano tal­men­te mol­te­pli­ci e com­ples­si da ren­de­re im­pos­si­bi­le qua­lun­que esclu­sio­ne a priori, se non per ra­gio­ni ideo­lo­gi­che. Se do­ves­si­mo porci nel­l’ot­ti­ca del­l’i­do­nei­tà alla ge­ni­to­ria­li­tà, a quante per­so­ne di sesso fem­mi­ni­le do­vrem­mo – e con fer­mez­za – dire as­so­lu­ta­men­te NO?

    4. Per secoli si pensò che la con­di­zio­ne dei man­ci­ni fosse “in­na­tu­ra­le” e si cercò di cor­reg­ger­la, di “gua­rir­la”. Furono og­get­to di gran­dis­si­ma osti­li­tà. E anche per loro – poi – si fece l’e­len­co dei grandi uomini, ar­ti­sti o con­dot­tie­ri, che lo erano o lo erano stati. Anche per loro si sfo­de­ra­ro­no per­cen­tua­li: si dice che fos­se­ro (e che siano) at­tor­no al quin­di­ci per cento, mentre gli omo­ses­sua­li sono quo­ta­ti al dieci. Oltre cinque mi­lio­ni di ita­lia­ni, se­con­do le stime Eu­ri­spes. L’a­na­lo­gia po­treb­be pro­se­gui­re con la ca­te­go­ria del­l’am­bi­de­stro, che var­reb­be il bi­ses­sua­le. Mi do­man­do: in Italia siamo ancora a questo punto? Chi decide che cosa è na­tu­ra­le e che cosa non lo è? Gli scien­zia­ti, i de­pu­ta­ti del­l’U­dc, il comune buon senso? Padre Georg?

    5. E’ na­tu­ra­le pro­dur­re il fuoco, mun­ge­re e ad­do­me­sti­ca­re gli ani­ma­li, arare il suolo, pro­dur­re frutti at­tra­ver­so in­ne­sti, far fer­men­ta­re l’uva? E’ na­tu­ra­le pro­dur­re ener­gia, fab­bri­ca­re pla­sti­ca, te­le­fo­na­re, ac­cen­de­re la luce?
    Questo ai cle­ri­ca­li non sembra in­te­res­sa­re. I cle­ri­ca­li e i loro ac­co­li­ti il pro­ble­ma “di ciò che è na­tu­ra­le” se lo pon­go­no solo per l’o­mo­ses­sua­li­tà e per la ma­ter­ni­tà sur­ro­ga­ta. Tut­to­ra vie­ta­ta in Italia a sin­go­li e le­sbi­che, in ciò con­trav­ve­nen­do alle di­ret­ti­ve eu­ro­pee e alle ri­so­lu­zio­ni della Con­fe­ren­za del Cairo su Po­po­la­zio­ne e svi­lup­po, che nel 1994 sancì: “I di­rit­ti ri­pro­dut­ti­vi fanno parte dei di­rit­ti umani. Ogni SIN­GO­LO in­di­vi­duo ha il di­rit­to di de­ci­de­re quanti figli avere e quando; e ad essere scien­ti­fi­ca­men­te in­for­ma­to onde ot­te­ne­re il mas­si­mo pos­si­bi­le di salute ses­sua­le e ri­pro­dut­ti­va, libero da ogni di­scri­mi­na­zio­ne, coer­ci­zio­ne e vio­len­za”.
    Perché questa osti­li­tà in Italia? Forse per per­met­te­re ai cle­ri­ca­li di con­ti­nua­re ad af­fer­ma­re che gli omo­ses­sua­li sono ste­ri­li?
    Perché nei paesi del­l’Eu­ro­pa oc­ci­den­ta­le (in Fran­cia dal 1966, in In­ghil­ter­ra dal 1976) ai single è con­sen­ti­to ac­ce­de­re al­l’i­sti­tu­to del­l’a­do­zio­ne e in Italia no? E perché in Italia, dove fino al terzo mese è con­sen­ti­to l’a­bor­to, è invece il­le­ga­le la se­le­zio­ne degli em­brio­ni basata sulla dia­gno­si pre-im­pian­to? Qui siamo dav­ve­ro al ri­di­co­lo. Qui la deriva bio­lo­gi­sti­ca della chiesa cat­to­li­ca tocca il fondo, ri­du­cen­do il giu­di­zio sull’”ido­nei­tà” di una coppia a cre­sce­re un minore alla “natura” del loro sesso; e ri­du­cen­do la na­sci­ta di una per­so­na alle av­ven­tu­re e di­sav­ven­tu­re di un em­brio­ne. Pur­trop­po – a causa dei par­la­men­ta­ri cle­ri­ca­li e atei devoti – queste os­ses­sio­ni della chiesa cat­to­li­ca ri­ca­do­no poi sul­l’in­te­ra so­cie­tà ita­lia­na, dove è in corso la pro­gres­si­va so­sti­tu­zio­ne del wel­fa­re (a misura di sin­go­lo cit­ta­di­no) con mo­del­li ve­te­ro-fa­mi­li­sti. Una co­stru­zio­ne nor­ma­ti­va spac­cia­ta per “na­tu­ra­le” e invece mirata a per­pe­tua­re vio­len­za e op­pres­sio­ne sui sog­get­ti ri­te­nu­ti non-con­for­mi, in primis sugli omo­ses­sua­li.

    6. Perché tengo tanto a co­niu­ga­re la ri­fles­sio­ne sul­l’o­mo­ses­sua­li­tà a quelle sul­l’a­tei­smo e sulla dif­fu­sio­ne della cul­tu­ra scien­ti­fi­ca? Perché sono con­vin­to che una vera e pro­fon­da ac­cet­ta­zio­ne del­l’o­mo­ses­sua­li­tà nelle nostre so­cie­tà non possa che con­se­gui­re al­l’af­fran­ca­men­to dal re­tag­gio abra­mi­ti­co. Quel re­tag­gio in virtù del quale si ri­tie­ne che un “crea­to­re” abbia voluto generi e specie così come sono, im­mu­ta­bil­men­te: l’or­di­ne del “creato”. Con con­se­guen­te fio­ri­tu­ra del pre­giu­di­zio an­ti-omo­ses­sua­le (pra­ti­ca­men­te as­sen­te nel mondo gre­co-la­ti­no) e de­scri­zio­ne degli omo­ses­sua­li come coloro che osta­co­la­no la “vo­lon­tà divina”. Da tale re­tag­gio viene l’ot­tu­so trin­ce­rar­si di molti dietro al co­sid­det­to di­rit­to na­tu­ra­le. Da qui i feroci at­tac­chi da parte dei vari fon­da­men­ta­li­smi abra­mi­ti­ci – in primis quello va­ti­ca­no – contro il mo­vi­men­to Lgbt.
    Co­sto­ro non hanno di­ge­ri­to Darwin. Co­sto­ro – se messi alle stret­te – giun­go­no a in­ven­tar­si la teoria del­l’In­tel­li­gent Design. Per co­sto­ro le ri­ven­di­ca­zio­ni fem­mi­ni­ste e gay – vedi gli at­tac­chi che ri­ser­va­no alla Ru486 e alla Gender Theory – vanno contro l’or­di­ne na­tu­ra­le e dunque contro la crea­zio­ne. Lo di­ce­va­no anche delle suf­fra­get­te un secolo fa.
    Con co­sto­ro non si può di­scu­te­re: co­sto­ro devono solo essere scon­fit­ti po­li­ti­ca­men­te. Come è av­ve­nu­to in Spagna e in Ar­gen­ti­na. Come pur­trop­po non sta av­ve­nen­do in Italia.

    p.s. Spagna e Ar­gen­ti­na – mi si po­treb­be re­pli­ca­re e con­di­vi­do – non hanno i cat­to­li­ci di si­ni­stra, i cat­to­li­ci adulti. I loro cat­to­li­ci stanno tutti a destra. Questo sem­pli­fi­ca molto le cose.

    * Poeta e scrit­to­re. Ultimi suoi libri pub­bli­ca­ti: Zamel, Marcos y Marcos 2009 (nar­ra­ti­va), e Roma, Guanda 2009 (poesia). In ot­to­bre uscirà per Tran­seu­ro­pa il suo nuovo libro: Laico al­fa­be­to in salsa gay pic­can­te, di cui si an­ti­ci­pa­no qui alcuni pas­sag­gi.

    Questo articolo è stato pubblicato domenica, 8 agosto 2010 alle 7:32 e classificato in Generale, Opinioni. Puoi seguire i commenti a questo articolo tramite il feed RSS 2.0. Non puoi né inviare commenti, né inviare trackback.

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  225. Il testo di Buffoni sembra divulgativo, in realtà ha dei passaggi molto difficili. Comunque va benissimo per dimostrare che un’asserzione come questa:

    “quando si dice che un maschio è uguale a una femmina perché entrambe le identità sono frutto di pura e semplice costruzione sociale; e dunque una coppia di due maschi o due femmine è eguale a una coppia di maschio e femmina.”

    è una banalizzazione irreale (un fantoccio di paglia) – così come il paradigma della supposta “scelta” individuale del genere – utilizzato da alcuni teologi per screditare varie discipline che adottano la distinzione ‘sex-gender’: gender-studies, psicologia/psichiatria, sociologia, antropologia, giurisprudenza.

  226. Caro Barbieri,
    ha ragione, ho formulato in modo frettoloso. La gender theory, naturalmente, è una cosa più complessa e seria di così. Vede però dal contesto del paragrafo che il mio intento non era distorcere, ma presentare, nel linguaggio corrente, un effetto d’eco ideologico della teoria.
    E quanto al “divulgativo” a proposito del pezzo di Buffoni, non è una critica diminutiva, ma la descrizione del tipo di comunicazione da lui adottato, tra l’altro utilissimo, visto che i testi della gender theory non brillano per chiarezza espositiva.
    Comunque, se il pezzo di Buffoni anche a lei pare un buon riassunto di quelle posizioni, lo si può adottare come base per la discussione.
    Se è così, vede che la qualifica di “soggettivismo radicale” che ho attribuito alla “gender theory” non è pretestuoso. Poi lei concorda e io no, ma quando si dice “In sin­te­si: conta non il sesso bio­lo­gi­co ma l’o­rien­ta­men­to ses­sua­le… [in base alla] Gender Theory, nel mondo mo­der­no, la dif­fe­ren­za tra uomo e donna fi­ni­sce ine­vi­ta­bil­men­te con l’es­se­re più un fatto so­cia­le che bio­lo­gi­co…” si fa un’affermazione radicalmente soggettivistica.
    Nel mio intervento precedente ho parlato della funzione ideologica della Gender Theory, e non ne ho fatto una critica filosofica. Ammesso e non concesso che ne sia in grado, dovrei prima studiarla a fondo, per analizzarla in termini filosofici.
    Credo di saperne abbastanza, invece, per analizzare la sua funzione ideologica, cioè a dire il modo e le ragioni per cui viene usata a scopi politici, sia dai gruppi “pro gay rights”, sia da altri gruppi sociali che hanno interesse a servirsene, magari anche strumentalmente. Capita a tutte le filosofie, del resto.

  227. credo che in molti dei commenti precedenti ci sia, per lo più, il gusto di esercitare una forma di masturbazione mentale, l’ansia di ottenere ragione, cavalcando le categorie del politicamente corretto per poi far passare elementi di omofobia, implicita o agita.

    Credo che dovremmo fare un passo indietro e ritornare al reale, senza soffermarci troppo sulle sovrastrutture filosofiche, sicuramente valide per i massimi sistemi, ma poco utili per la concretezza delle cose.

    Vi lascio la mia testimonianza, recentemente pubblicata su Carmilla:

    http://www.carmillaonline.com/archives/2012/12/004570.html#004570

    ripartiamo da lì. Chissà che anche un tipo come Buffagni provi vergogna per far parte dell’esercito di chi, anche se inconsciamente, discrimina, disprezza e suicida giovani gay.

  228. Il pezzo di Buffoni non mi pare un riassunto. Un ‘riassunto’ potrebbe essere il libro di Vera Tripodi “Filosofia della sessualità” (Carocci).

    Etichette come “soggettivismo radicale” che vengono dai teologi bigotti non hanno nulla a che fare con la distinzione sex-gender.

    Per comprendere la questione sex-gender bisogna prima di tutto descrivere due paradigmi che si scontrano.
    Coloro che identificano sex e gender (deterministi sessuali) ritengono che i vari aspetti dell’identità sessuale (sesso, orientamento sessuale, identità di genere, ruolo di genere) sono determinati attraverso un rapporto di causa-effetto inscritto nella biologia umana. Una femmina sarà naturalmente portata per il colore rosa; un maschio sarà naturalmente portato per le scienze e l’ingegneria. Secondo questo modello omosessualità, transessualità sarebbero disturbi psichiatrici, e l’intersessualità una malattia. La critica che si pone a questo modello è di utilizzare idee prescientifiche della biologia, di naturalizzare aspetti culturali, di non servirsi di evidenze scientifiche. Viene anche suggerita una relazione tra determinismo sessuale e dominio patriarcale.

    Coloro che accolgono la distinzione sex-gender si rifanno a un modello interazionistico ‘natura- cultura’, cioè ritengono che l’identità sessuale sia il prodotto delle caratteristiche biologiche (da conoscere scientificamente) e di sollecitazioni culturali-sociali. Quindi da un lato la questione è stata affrontata per quel che riguarda la biologia (es. Fausto-Sterling), dall’altro lato per la cultura (es. Butler).

  229. “Credo che dovremmo fare un passo indietro e ritornare al reale, senza soffermarci troppo sulle sovrastrutture filosofiche, sicuramente valide per i massimi sistemi, ma poco utili per la concretezza delle cose.” [Dario Accolla]

    Non credo sia così. Per esempio il suicidio di Andrea è stato letto – anche da lei su Carmilla – come vicenda di (presunta) omosessualità/omofobia, mentre il concetto – proveniente dai massimi sistemi – di “gender nonconformity” sarebbe stato utile per descrivere le cose correttamente, ci avrebbe avvicinato alla realtà.

  230. Caro Accolla,
    ho letto la sua testimonianza su “Carmilla”. Presentandosi con sincerità e coraggio per quel che è, ha ottenuto dai suoi allievi il rispetto che merita.
    Io mi presento per quel che sono, dico quel che penso, non perseguito nè offendo alcuno, e mi assumo la responsabilità di quel che dico e faccio, quindi non vedo proprio perchè dovrei vergognarmi. Pentitismo e vittimismo sono ipocrisie gemelle, lasciamole perdere.

  231. @ Buffagni

    Qui
    http://www.giovannidallorto.com/saggistoria/queertheory/queertheory.html
    si trova uno scritto critico verso ciò che Dall’Orto ritiene la “queer-theory”.

    Alla nota 2 ci spiega che:
    “”Una definizione rapida di “queer-theory” si trova su Wikipedia. Per approfondire: Elisa Arfini e Cristian Lo Iacono (a cura di), Canone inverso. Antologia di teoria queer, Ets, Pisa 2012 e Marco Pustianaz (a cura di), Queer in Italia. Differenze in movimento, Ets, Pisa 2011. Tra i “fondamenti”: Eve Kosofsky Sedgwick, Stanze private. Epistemologia e politica della sessualità, scritto nel 1990 ma tradotto da Carocci, Roma, nel 2011 e Judith Butler, Corpi che contano. I limiti discorsivi del “sesso”, Feltrinelli, Milano 1996 [1993].
    Per una critica accurata, ma in linguaggio comprensibile dagli esseri umani: Maria G. Di Rienzo, La teoria queer spiegata ai deficienti (fra i quali va inclusa l’autrice).””

    Riesce difficile definire ‘accurata’ la critica di Maria G. Di Rienzo – già dal titolo si capisce che aria tira.
    Il testo di dall’Orto è più che altro una parodia di quella che considera luna ‘queer-theory’, indicata come pensiero ‘neoinvenzionista’ (neologismo di Dall’Orto), che viene esemplificato in questo modo: “Un queer? Un “cioè, non voglio definirmi perché, cioè, definirzi è ‘n po’ llimitarzi?”

    Curiosamente, nella sua ansia di etichettatura sessuale, Dall’Orto scrive:
    “omosessuali o bisessuali o transgender o si è o non si è, indipendentemente dal quel che si va in giro a dire di essere”
    usando appunto la parola ‘transgender’ che è un termine-ombrello per nominare uno spettro ampio di identità molto diverse tra loro. Insomma gli sfugge il paradosso di voler nominare ‘ciò che è’, con un termine tanto generico da non poter nominare ‘ciò che è’.

    L’argomentazione si conclude con l’accusa di disincarnare gli individui:
    “”Il solo vantaggio di avere trasformato i “ruoli sessuali” in “ruoli di genere” è quindi essere riusciti a far sparire dal quadro e dal linguaggio la parola “sesso”, che tanto fastidio dava a puritani e puritane. Quelli/e che fra le gambe non hanno un sesso, bensì un genere grammaticale. “”

    che ricorda molto la critica ratzingeriana:

    “”[secondo quella che chiama teoria del gender] Maschio e femmina come realtà della creazione, come natura della persona umana non esistono più. L’uomo contesta la propria natura. Egli è ormai solo spirito e volontà.””
    qui: http://www.queerblog.it/post/39321/per-il-papa-la-teoria-gender-mette-a-rischio-la-dignita-dei-figli

    Nonostante questo Dall’Orto chiude con una reductio ad Ratzingero in funzione screditante:

    “”In questo modo le zitelle di tutti e tre i sessi che abitano le cattedre dei puritanissimi Stati Uniti sono riuscite a renderci persone letteralmente senza più sesso.
    Il sesso [nella queer-theory] è relegato a una funzione esclusivamente riproduttiva… per tutto il resto c’è il genere grammaticale.
    E però a me sa che questa qui del sesso che deve avere una “funzione esclusivamente riproduttiva” io l’avevo già sentita…
    Dal papa.””

    Tutto questo per dire che i gender-studies raccolgono risolini anche da parte di alcuni attivisti, specialmente se rimandano a identità giudicate a loro parere irriconoscibili come quella intersex o di gender-nonconformity, identità insomma che scuotono il binarismo.

    @ tutti

    Qui invece:
    https://www.youtube.com/watch?v=k0HZaPkF6qE

    c’è un video molto bello in cui:
    “Judith Butler and Sunaura Taylor went for a walk and engaged in a [‘terrific’ lo tolgo perché non ha nulla di terrific] conversation about disability as not merely some physical status but largely a social status, and that is also true for so called ‘able-bodied’ persons.”

    Dura soltanto quattordici minuti, sottotitolato in inglese. Mi pare interessante per capire come un pensiero di ‘decostruzione/costruzione’ sia utile per capire davvero gli altri. Per esempio la riflessione sullo ‘standard di movimento’, cioè il giudizio sociale sul modo di muoversi che porta alla discriminazione della persona disabile perché ‘like a monkey’, come all’omicidio del ragazzo dalla camminata effeminata da parte dei compagni di scuola (Butler cita anche in un’altra intervista questo episodio di cronaca).
    La chiusura del video mi pare sia un momento etico molto alto. Secondo la Butler la semplice richiesta di aiuto di Sunaura Taylor per la tazzina in un bar pone domande profonde alla collettività.
    “”Do we or do we not healp each other with basic needs?
    And are basic needs there to be decided on as a social issue, and non by may persona individual issue or you personal individual issue?
    So I mean ther’s a challenge to individualism that happens at the moment you ask for some assistance with the coffee cup.
    And hopefully people will take it up, and say “Yes I too live in this world.”””
    Ovvero è permettendo alle individualità di emergere per quel che sono, che la comunità trova il proprio senso.

  232. Caro Barbieri,
    la ringrazio delle informazioni. Guardi però che nell’americano di oggi “terrific” significa “fantastico”, non “terrificante”.
    Non sono un esperto delle Gender e della Queer Theory e neanche un fan, ma ho letto, anni fa, due opere di J. Butler, “Performative Acts and Gender Constitution” e “Gender Trouble,etc.”
    I miei supereroi filosofici non sono gli stessi della Butler, preferisco Platone, Aristotele, Spinoza, Vico, Hegel. Abbiamo insomma idee assai diverse in merito a che cosa sia il mondo, l’uomo, il pensiero, etc.
    Qui, poi, non stiamo discutendo della Gender Theory sul piano teorico (tra l’altro, non so se sarei in grado di farlo men che rozzamente), ma sul piano ideologico-pratico, cioè a dire delle rivendicazioni sociali, politiche, giuridiche, etc. che magari alla Gender Theory si rifanno, ma che assumono, come sempre accade nel passaggio dalla teoria alla pratica sociale, una dinamica tutta loro.
    Per questo ho citato l’articolo di Buffoni, che mi è parso un buon esempio di trascrizione ideologico-pratica della Gender Theory.
    Tra l’opera di Marx e il movimento comunista, tra l’opera di Tocqueville e il liberalismo politico, etc., ci sono certo rapporti, ma non di causazione diretta e tantomeno di congruenza esatta. Altrettanto avviene in questo caso.

  233. @Andrea Barbieri
    Mi scuso innazitutto per la mia ignoranza sulla Butler. Forse lei mi può aiutare a chiarirmi se ho ben capito il senso del filmato che lei c’ha gentilmente proposto.
    A me è sembrato di capire, ma non ne sono certo, che la Butler proponga il caso di una persona che soffre di un handicap di tipo fisico per sostenere che bisogna fare emergere le individualità per quello che effettivamente sono.
    Ora, non trova sorprendente che, nel momento in cui la Butler sostiene la specificità della donna con cui si accompagna, trascuri colpevolmente come in questo genere di specificità non vi sia nulla di discrezionalmente individuale, ma che dipenda da fattori fisici e come tali obiettivamente accertabili? Insomma, che la sostenitrice del far prevalere le tendenze sessuali sulle appartenenze sessuali, dell’aspetto mentale su quello anatomico, si serva del caso di un handicap di tipo fisico, mi pare francamente in opposizione logica.
    Il fatto è che il fattore mentale, qualunque cosa designamo con questa espressione, non può in alcun modo essere assimilato a un fattore fisico-anatomico. Inanzitutto, manca un metodo per accertare inequivocabilmente gli stati mentali che possa anche lontanamente somigliare a quelli che si possono utilizzare in campo fisico-anatomico.
    La cosa che però è più importante, almeno dal mio punto di vista, è che ciò che popola la nostra mente deriva in maniera incontrovertibile anche dalla cultura in cui viviamo, direi anzi che vi operi mediamente a una quota superiore al 95%. Se le cose stanno così, qui non vi è un individuo da difendere dalla società in cui vive, ma il punto sta nello stabilire non il fatto che la società debba o non debba influenzare i singoli individui, ma piuttosto le modalità specifiche tramite cui la società esercita questa inevitabile influenza.

  234. Premesso che la Butler sta semplicemente facendo una chiacchierata con Sunaura Taylor, attivista per i diritti delle persone disabili e artista visiva. Insomma non è che presenta un caso, più che altro è un piccolo confronto.
    La T. porta il pensiero dei disability studies
    http://en.wikipedia.org/wiki/Disability_studies
    la B. quello dei gender studies
    http://en.wikipedia.org/wiki/Gender_studies

    E’ proprio la T. a spiegare che nella prospettiva dei disability studies si distingue tra “impairment” e “disability”, il primo (analogamente alla categoria “sex” dei gender studies) riguarda la condizione oggettiva del corpo; “disability” invece viene definita come “social repression of disabled people” “disability social model” (quindi una categoria che al pari di “gender” riflette sulla costruzione sociale di una individualità/soggettività/ruolo).
    Per esempio, B. chiede “quali condizioni ti danno la possibilità di fare una passeggiata”.
    S. risponde: “Mi sono spostata a San Francisco soprattutto perché è il luogo con più accessibilità al mondo … e ciò che questo produce è portare le persone disabili al riconoscimento/accoglienza (acceptability) sociale, questo perché c’è un accesso fisico, ci sono più persone disabili in grado di uscire nel mondo.”

    Ovvero: la presenza di barriere architettoniche e la mancanza di mezzi pubblici attrezzati non è soltanto una questione di ciò che la persona disabile può o non può fare (imparement), ma anche di ciò che può e non può essere per la comunità (disability).

    Come nel caso di femminismo, gender studies, ethnic studies, siamo davanti a una “filosofia della dignità” imprescindibile per costruire la comunità.

  235. @ Buffagni

    Grazie per la traduzione di ‘terrific’. Infatti non capivo che ci stesse a fare ‘terrificante’ lì… ci ero anche rimasto un po’ male!

  236. @Andrea Barbieri
    La ringrazio delle delucidazioni, effettivamente mi era sfuggita la distinzione tra “imparement” e “disability”.
    Tuttavia, mi pare che l’assimilazione tra le questioni dell’handicap e quelle dell’appartenenza sessuale sia abbastanza forzata.
    Ciò che si rivendica in campo sessuale è lo svincolo totale dagli aspetti fisico-anatomici, e quindi l’appartenenza legata esclusivamente al proprio orientamento sessuale, e quindi ad un fattore squisitamente mentale.
    Nel campo dell’handicap invece, non esite una “disability” che non sia correlata in maniera più o meno corretta e più o meno arbitraria a un “imparement”, e quindi si basa su un solido fondamento fisico-anatomico. Trascurare queste differenze mi pare significhi rendere le questioni più confuse e non più chiare.

  237. A V. Cucinotta e A. Barbieri.

    Qual è la logica della Butler, si chiede Cucinotta. La logica è quella sintetizzata anche da Buffoni nell’intervento riportato qui: che tutte le differenze sono “più un fatto sociale che biologico”.

    Qual è l’analogia fra omosessuali, transgender etc., e disabili? Lo spiega Barbieri: “si distingue tra “impairment” [menomazione] e “disability” [disabilità], il primo (analogamente alla categoria “sex” dei gender studies) riguarda la condizione oggettiva del corpo; “disability” invece viene definita come “social repression of disabled people” “disability social model” (quindi una categoria che al pari di “gender” riflette sulla costruzione sociale di una individualità/soggettività/ruolo)… la presenza di barriere architettoniche e la mancanza di mezzi pubblici attrezzati non è soltanto una questione di ciò che la persona disabile può o non può fare (impairment), ma anche di ciò che può e non può essere per la comunità (disability).

    Questa è la logica. Proviamo a vedere quali conseguenze pratiche ha.

    Ricordo anzitutto che l’obbligo sociale e morale di rispettare e curare i disabili è una diretta conseguenza del precetto cristiano della carità, e del valore infinito che il cristianesimo attribuisce alla singola persona umana, in quanto segnata da un destino eterno e degna del sacrificio del Redentore. Nell’antichità classica e in genere nelle società della scarsità, gli unici disabili in circolazione sono quelli che lo divengano in età adulta per ferita, incidente o malattia: chi, nascendo disabile, alla comunità porti più pesi che vantaggi, viene ucciso. La stessa cosa sta avvenendo oggi, per iniziativa privata anziché sociale: grazie alle diagnosi prenatali e alle leggi che liberalizzano l’aborto, un numero sempre crescente di disabili anche non gravi (per esempio, gli affetti da sindrome di Down) viene ucciso nel grembo materno. Con il progresso della medicina e dell’ingegneria genetica, si può prevedere, in un futuro non troppo lontano, un mondo occidentale eugenetico, dove non nascono più menomati fisici e psichici.

    Ma nell’analogia omosessuali e transgender/disabili, la Butler mette in primo piano *lo sguardo degli altri*. Come si fa a trasformare il modo in cui *gli altri*, i *normali*, guardano omosessuali e disabili? Come si può impedire che i passanti guardino il disabile con un misto di pena e disgusto perché si muove “come una scimmia”? Come si può impedire che tre ragazzini, vedendone un altro che ancheggia come una femmina, abbiano voglia di aggredirlo? Certo, con l’educazione e il controllo sociale. Ma è sufficiente educare, controllare ed esortare senza punire? E’ vero che nei casi più gravi, per esempio l’aggressione omicida al ragazzino di cui parla la Butler, il codice penale di tutti i paesi del mondo prevede dure pene e severe aggravanti; lo stesso vale, naturalmente, per chi aggredisca un disabile.

    Ma per le forme non penalmente rilevanti di persecuzione, quali le offese, le derisioni, le discriminazioni, che sono l’humus dal quale sbocciano come fiori velenosi le aggressioni e gli omicidi, che si fa? Bisogna varare leggi ad hoc, e introdurre apposite sanzioni. Di qui, ad esempio, le proposte di legge “anti omofobia”. Per poter sanzionare i comportamenti suddetti, che non si possono facilmente categorizzare e definire, le fattispecie di reato dovranno essere “a maglie larghe”, insomma vaghe, flou.

    Ad esempio, nella proposta di legge Di Pietro (Camera dei Deputati n. 2807) , che estende il campo di applicazione della legge Mancino ai comportamenti omofobici e transfobici, all’articolo 1 si dice: “1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato…è punito: a) con la reclusione fino a tre anni chiunque, in qualsiasi modo, diffonde idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati sull’omofobia o sulla transfobia; b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, in qualsiasi modo, incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati sull’omofobia o sulla transfobia ».

    Ora, mentre l’incitamento “a commettere violenza” è una fattispecie di reato abbastanza precisa (“Spranghiamo i froci!”) l’incitamento a commettere ”atti di discriminazione …fondati sulla omofobia o la transfobia” (anch’esso punito con la reclusione fino a tre anni) è una fattispecie di reato quanto mai flou.

    Per esempio: quando un cristiano, un islamico, un ebreo, o un ateo o un agnostico che la pensi così, sostiene pubblicamente che non è giusto estendere il matrimonio alle coppie del medesimo sesso, commette un atto di discriminazione fondato sull’omofobia?

    Nel suo articolo riportato più sopra, Buffoni ritiene di sì:
    “Vio­len­za fisica e vio­len­za morale sono stret­ta­men­te con­nes­se: non si può pen­sa­re di con­dan­na­re la prima solo quando l’o­mo­fo­bia de­ge­ne­ra in fatto di crona­ca, giu­sti­fi­can­do nello stesso tempo la se­con­da. Ri­cor­do la di­ret­ti­va ap­pro­va­ta dal Par­la­men­to eu­ro­peo il 26 aprile 2007 che – ri­pren­den­do l’art. 13 del trat­ta­to di Am­ster­dam, sempre di­sat­te­so dal­l’I­ta­lia – ri­ba­di­sce l’in­vi­to agli stati membri ‘a pro­por­re leggi che su­pe­ri­no le di­scri­mi­na­zio­ni subite da coppie dello stesso sesso ’ e con­dan­na ‘i com­men­ti di­scri­mi­na­to­ri for­mu­la­ti da di­ri­gen­ti po­li­ti­ci e re­li­gio­si nei con­fron­ti degli omo­ses­sua­li’.”

    Faccio notare che per prevenire una “violenza morale” ai danni di una parte (percentualmente molto piccola) della popolazione si finisce per esercitare una *violenza legale* su un’altra parte (percentualmente molto grande) della popolazione, vietandole con gravi sanzioni la libertà di parola, di pensiero e di religione, e persino la libertà di educare i figli secondo le proprie convinzioni.

    Si può pensare che queste siano preoccupazioni trascurabili, ispirate a un pregiudizio sfavorevole al matrimonio omosessuale, forse addirittura a malafede; e che invece la fine della discriminazione legale tra matrimonio tra uomo e donna e matrimonio tra persone di egual sesso non menomerà in alcun modo la libertà di chi non condivida il provvedimento.

    Vediamo allora che cosa è successo in Canada (le fonti si trovano facilmente in rete) dove la legge sul matrimonio tra persone di egual sesso è stata varata nel 2005. I procedimenti legali – nei tribunali, nelle “human rights commissions” e negli “employments boards” contro i critici e gli oppositori del matrimonio omosessuale sono stati fra i 200 e i 300 (non ci sono statistiche ufficiali, e restano ignoti tutti i provvedimenti, dalla reprimenda al licenziamento, presi dai datori di lavoro contro dipendenti che non abbiano fatto ricorso).

    Qualche esempio. Nel 2011, un giornalista sportivo della TV viene licenziato in tronco per aver scritto su Twitter che sosteneva “il VERO e tradizionale significato del matrimonio”. Stava appoggiando il procuratore di un giocatore di hockey, minacciato di morte e variamente dileggiato e insultato sui media per essersi rifiutato di sostenere una campagna “pro-gay marriage”.

    Il vescovo di Calgary, per aver scritto una lettera pastorale alle chiese della sua diocesi nella quale ribadiva l’insegnamento tradizionale della Chiesa cattolica in materia di matrimonio, viene minacciato di querela e deferito alla “human rights commission”. Per evitare una causa legale costosa e dall’esito incerto, l’arcidiocesi preferisce transare con i querelanti.

    Nella provincia di Saskatchewan, un omosessuale cerca al telefono un “marriage commissioner”, il funzionario pubblico che celebra i matrimoni civili in Canada, per fissare la data del suo matrimonio. Caso vuole che il primo a rispondere sia un cristiano evangelico, il quale gli spiega che in obbedienza ai precetti della sua religione non può celebrare lui stesso il matrimonio, ma gli farà telefonare da un collega. Lascia il suo nome all’interlocutore, e pensa che sia finita lì. Dopo essersi sposata senza problemi, la coppia di omosessuali fa un esposto all’amministrazione pubblica, chiedendo che il “marriage commissioner” evangelico sia punito. Il governo della provincia risponde che in quanto pubblico funzionario, il “marriage commissioner” è tenuto ad applicare le leggi dello Stato, ma un governo attento al bene pubblico deve accettare che un cambiamento tanto radicale provochi divisioni e divergenze; e visto che il matrimonio è stato celebrato senza inconvenienti e disagi per nessuno, si rifiuta di punire il funzionario. Aggiunge che tutti gli impiegati assunti dopo il varo della legge saranno obbligati a celebrare i matrimoni omosessuali, ma che costringere tutti i dipendenti pubblici ad adeguarsi provocherebbe un’ondata di dimissioni, spesso di persone con decenni di servizio pubblico alle spalle. Sembra un compromesso equilibrato e intelligente, ma non basta. La questione viene deferita ai tribunali, che dissentono dall’amministrazione provinciale. I “marriage commissioners” con obiezioni religiose al matrimonio omosessuale rischiano il posto in tutto il Canada.

    Fino ad ora, le chiese canadesi hanno avuto il permesso di rifiutarsi di consacrare i matrimoni fra persone del medesimo sesso (in Danimarca, nel giugno del 2012 il Parlamento ha varato una legge che costringe la Chiesa Luterana di Stato a celebrare i matrimoni religiosi omosessuali, misura che probabilmente provocherà una larga apostasia). E’ però già iniziata la campagna per privare delle esenzioni fiscali le chiese che scelgano di non celebrarli.

    In una città della British Columbia, i Cavalieri di Colombo (un’associazione degli emigrati italiani) affitta la sua sala per un ricevimento nuziale. Non sanno che è il matrimonio di una coppia lesbica, mentre naturalmente la coppia di spose sa benissimo che i Cavalieri di Colombo sono una organizzazione cattolica, e l’ha scelta apposta per provocare quanto segue. Quando vengono a sapere di che si tratta, i gestori della sala si scusano con le spose, e propongono di trovare un’altra sede per il ricevimento, accollandosi le spese per la ristampa degli inviti. Le spose li denunciano alla “human rights commission”, che li condanna a pagare una multa. Le spose dichiarano che non basta, e si riservano ulteriori rivalse.

    Due province canadesi stanno dibattendo leggi che proibiscano a tutte le istituzioni educative, comprese le scuole private religiose, di insegnare che disapprovano il matrimonio omosessuale.

    Ecco: la logica della signora Butler conduce (senza che lei lo desideri, immagino) qui. Il risultato è, da un canto, un’ imponente menomazione delle fondamentali libertà della maggioranza dei cittadini, e dall’altro un prevedibile aumento esponenziale prima del fastidio, poi del risentimento e dell’odio nei confronti degli omosessuali. L’eterogenesi dei fini funziona (anche) così.

    « Pur gli uomini hanno essi fatto questo mondo di nazioni…ma egli è questo mondo, senza dubbio, uscito da una mente spesso diversa ed alle volte tutta contraria e sempre superiore ad essi fini particolari ch’essi uomini si avevan proposti » (G.B. Vico, “Scienza nuova”)

  238. @ Cucinotta

    La disabilità e la condizione glbt non sono assimilabili. La Butler dice che ci sono convergenze tra ciò che i movimenti dei disabili e glbt fanno, e tra queste indica: “ripensare ciò che il corpo può fare”.

    Lei scrive “Ciò che si rivendica in campo sessuale è lo svincolo totale dagli aspetti fisico-anatomici, e quindi l’appartenenza legata esclusivamente al proprio orientamento sessuale, e quindi ad un fattore squisitamente mentale.”

    L’orientamento sessuale (ma anche l’identità di genere) non sono scelti. Non ha senso non ritenerli in qualche modo parte della natura di un individuo.
    Insomma non c’è niente da svincolare: si nasce coi propri caratteri sessuali, la propria identità di genere, il proprio orientamento sessuale.

    @ Buffagni

    “Ma è sufficiente educare, controllare ed esortare senza punire?”

    La legge Mancino doveva tra l’altro contrastare l’hate speech razzista, ma è evidente che i discorsi razzisti in Italia dal 1993 sono andati sempre aumentando. Una legge penale sarebbe inefficace anche nel caso dell’hate speech omotransfobico, perché l’omotransfobia è parte della nostra cultura e dovremmo cominciare a ammetterlo per riuscire a combatterla. Quindi la domanda va ribaltata: E’ sufficiente punire, senza educare, controllare esortare? No.

    Per quel che riguarda invece gli ‘atti di discriminazione’ (che sono atti concreti, tipo il licenziamento a causa dell’orientamento sessuale), e gli ‘atti di violenza’ o incitamento alla violenza, credo che l’estensione della legge penale sarebbe efficace.

    Comunque a scanso di equivoci la legge penale è per principio costituzionale tassativa, non esistono fattispecie vaghe, e se anche esistessero non potrebbero essere applicate.

  239. Caro Barbieri,
    suvvia. Se fossero in vigore matrimonio omosessuale e la legge Di Pietro della quale ho riportato il primo articolo, io sarei querelabile per quel che ho detto qui, per quanto non abbia offeso nessuno e non abbia minimamente incitato alla violenza contro chicchessia. Non è detto che sarei condannato, ma querelabile lo sarei eccome, e come minimo mi toccherebbe spendere qualche migliaio di euro per le spese legali. Se poi fossi un dipendente pubblico, un giornalista, un insegnante, guai a me.
    Nessuna legge che colpisca i reati di opinione ha lo scopo di far sparire l’opinione proibita: ha lo scopo di intimidire chi la condivida, e di espungerla dal discorso pubblico a mezzo autocensura.

  240. @Buffagni
    sostituisca la parola “omosessuale” con la le parole “di etnia africana” e le parole “coppia dello stesso sesso” con “coppia di etnia africana” e si renderà conto su quanta mediocrità si regge tutto il suo discorso. La sua difesa degli atti discriminatori del funzionario pubblico cattolico evangelico canadese e delle scuole private discriminatorie è imbarazzante, oltre che vergognosa.

    Dica 100 padre nostro e 500 ave o Maria e si penta !, si penta !, prima che S.Pietro smarrisca la chiave a lei riservata che le aprirebbe le porte del paradiso. Si penta e chieda scusa al suo Dio per i suoi pensieri impuri, e agli uomini per la costruzione ideoloca mediocre dei suoi pensieri.

    Si Penta!!!!, per ora l’inferno è pieno di omosessuali che non le darebbero scampo!!!!. ;o)

    Amen

  241. “suvvia. Se fossero in vigore matrimonio omosessuale e la legge Di Pietro della quale ho riportato il primo articolo, io sarei querelabile per quel che ho detto qui, per quanto non abbia offeso nessuno e non abbia minimamente incitato alla violenza contro chicchessia.” [Buffagni]

    Naturalmente il matrimonio omoaffettivo non ha conseguenze penali per nessuno.
    Per quanto riguarda l’offesa del bene dell’onore personale compiuto con discorsi omotransfobici, c’è comunque una tutela nelle norme penali dell’ingiuria e della diffamazione.

    L’estensione della Legge Mancino come proposta da Di Pietro
    qui: http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/stampati/pdf/16PDL0029540.pdf
    (cui si aggiunge e.c. qui: http://www.camera.it/camera/browse/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=16&codice=16PDL0031690&back_to= )
    o dalla Concia
    qui: http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/stampati/pdf/16PDL0052470.pdf
    non cambierebbero niente di ciò che si può e non si può dire, perché comunque questa norma dovrebbe essere bilanciata con il principio della libertà di critica che non può essere eliminato.

    Del resto la Legge Mancino riguarda già la religione, e non mi pare che in Italia non si possano fare critiche alle religioni.

    Quindi le persone glbt che si ritengono offese non devono aspettare l’estensione della legge Mancino. Le faccio un esempio concreto, recentemente una persona transessuale ha ritenuto che la propria onorabilità fosse offesa da discorsi sulla transessualità pronunciati durante una trasmissione radiofonica. Quella persona ha querelato la trasmissione.
    Per esempio la notizia è stata data qui: http://www.giornalettismo.com/archives/133667/una-trans-querela-lo-zoo-di-105-facebook-scatena-lomofobia/

    [Per favore, non faccia come venti commenti fa che ha interpretato la cosa come una minaccia a lei… parlo in generale e parlo di ‘hate-speech’.]

  242. Caro Barbieri,
    in effetti, le norme per proteggere l’onorabilità delle persone e per punire le aggressioni ci sono già.
    E allora a che serve introdurre le leggi sugli “hate speech”, sull’omofobia, il femminicidio, etc.?
    A che cosa serve in teoria, me lo spiega bene lei. Mi consentirà di dubitare sulla pratica.
    Nessun cattolico o valdese reagisce con una querela quando si insulta la sua religione.
    Raro che si insultino gli islamici perchè tendono a passare subito alle vie di fatto.
    Ma per esempio le comunità ebraiche si valgono delle leggi che impongono di accettare il dettato del Tribunale di Norimberga in merito allo sterminio nazista per querelare revisionisti e negazionisti, alcuni dei quali sono effettivamente finiti in galera. Altrettanto può fare un qualsiasi gruppo di pressione, gruppi “pro gay rights” compresi
    E’ evidentissimo, nel caso delle leggi antirevisioniste, il grave danno inferto non solo alla libertà di pensiero e parola, ma alla stessa ricerca storica; ma non sarebbe meno grave il danno alla ricerca nei campi della psicologia e della sociologia se una legge condannasse come omofobici tutti i pareri negativi sulla omosessualità, il matrimonio e la filiazione omosessuale, etc.
    E naturalmente il matrimonio omosessuale in quanto tale non fa andare in galera nessuno, ma quando diviene legge dello stato, chiunque continui a ritenere (per motivi che possono essere religiosi, o no) che non sia altrettanto valido del matrimonio fra uomo e donna non lo può più dire pubblicamente, e tanto meno insegnare nelle scuole anche private, senza rischiare serie conseguenze. E’ questo uno dei motivi per cui le leggi in materia dovrebbero essere varate solo dopo essere state messe al vaglio dell’elettorato, con referendum o perlomeno con ampio dibattito pubblico, e non fatte passare semiclandestinamente a mezzo interpretazioni fantasiose della Costituzione etc.
    Gli esempi canadesi che le ho indicato parlano chiaro, e lo stesso Buffoni invoca apertamente, nell’articolo qui citato, azioni legali contro i “commenti discriminatori”. E’ un gioco pericoloso, il gioco dei reati d’opinione, e non andrebbe giocato con tanta disinvoltura, se non altro perchè una volta iniziato, oggi a me domani a te.

  243. @Buffagni,
    introdurre le leggi sugli “hate speech”, sull’omofobia, il femminicidio, etc. si rende un atto necessario in attesa che la comunità italiana si emancipi verso una forma di civilizzazione coerente.
    Diciamo che queste leggi si rendono necessarie proprio perché esistono comunità religiose e no, come le scuole cattoliche da lei citate, che “insegnano” che il matrimonio omosessuale non ha pari valore del matrimonio tra un uomo e una donna e che l’omosessualità è una malattia dalla quale si può guarire(ma questo viene detto anche durante l’ora di religione nelle scuole statali); e finché ci saranno sacerdoti di provincia che istigano al femminicidio e allo stupro, se una donna non si comportasse “come dovrebbe”

    capisce Buffagni ?

  244. C’è una cosa da capire, tra diritto di critica e diritto all’onore c’è conflitto che viene risolto attraverso un bilanciamento perché sono due diritti di uguale rango costituzionale. Bilanciarli significa che nessuno dei due termini può avere tutela assoluta.
    Funziona così, la libertà di critica è legittima anche quando offende l’onore personale purché:
    – le asserzione sui fatti siano vere, o almeno ritenute vere utilizzando la diligenza opportuna (verità putativa)
    – i fatti siano di interesse pubblico
    – il discorso sia espresso pacatamente, in modo rispettoso (continenza).

    Rispettando questi limiti – che a me sembrano assolutamente condivisibili – si può parlare di tutto anche all’interno della Legge Mancino. Quindi non è perché i cattolici o i valdesi sono ‘buoni’ che si possono criticare, ma perché il diritto di critica è garantito dallo Stato.

    Le legislazioni a protezione di minoranze oppresse sono un obbligo per lo Stato, l’obbligo viene dall’art. 3 della Cost. quando dice che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

    Ovvero, dato che l’orientamento omosessuale e l’identità di genere transessuale sono un ostacolo per l’uguaglianza sostanziale di alcuni cittadini, si rendono necessarie tutele particolari per i beni dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, che corrispondono a diritti umani proprio come la libertà religiosa che già è tutelata.

  245. Caro Barbieri,
    solo una precisazione: i cattolici e i valdesi e in generale le Chiese cristiane non si ricorrono abitualmente allo strumento della querela quando vengono attaccati non perchè siano più buoni, ma perchè non si autointerpretano come “club of interest”, come “parte”, avendo vocazione universale.
    Direi che abbiamo illustrato in modo esauriente le reciproche posizioni, e che si può interrompere qui questo lungo dialogo. Se poi lei o qualcun altro desidera continuarlo proponendo nuovi argomenti o ritornando sui vecchi, io sono qui. Augurandole buon anno la saluto cordialmente.

  246. Le Chiese cristiane non querelano, non perché sono buone o per le loro, non chiare, posizioni “universali”, ma semplicemente perché è bene non smuovere le acque quando il proprio privilegio è garantito, comunque. Quando anche loro apparterranno ai “club of interest” discriminati, visto che ora non lo sono, non sono discriminate, vedrà che anche loro tireranno fuori i loro artigli retrattili.
    Suvvia, Buffagli, meno ipocrisia intellettuale per favore.

  247. La Corte di Cassazione con sentenza n. 601, ieri ha sancito che non esistono verità scientifiche contro l’idoneità omogenitoriale.
    Questo a riprova che il mio discorso che va dall’argomentazione, ripresa da Buffoni, che i padri costituenti avevano una nozione prescientifica dell’omosessualità, l’argomentazione che indica nel rapporto dell’APA sul gay parenting lo standard scientifico, l’argomentazione che sono infondati i pericoli paventati da alcuni psicoanalisti per lo sviluppo dell’identità di genere, l’argomentazione che lo studio di Regnerus non riguarda l’idoneità del gay parentig, erano ben fondate.
    Scusate, ma sono soddisfazioni.
    http://www.repubblica.it/cronaca/2013/01/11/news/cassazione_bimbo_pu_crescere_bene_anche_in_famiglia_omosessuale-50330615/

  248. Caro Barbieri, condivido la sua soddisfazione. E la ringrazio per tutti i suoi interventi – puntuali, acuti, parenetici – non solo in questo thread, ma anche in tante precedenti occasioni. Finalmente la modernità – e l’onestà intellettuale, dopo decenni di dinieghi e di umiliazioni – sembra avere iniziato su questo tema un dialogo con le istituzioni italiane.

  249. Abate, lei fa confusione, la fiducia non è nella magistratura ma nel discorso razionale. Se alcuni fanno in modo che la ragione non possa essere utilizzata fuori dei tribunali, ritenendo che dovremmo ‘ragionare’ secondo pregiudizi, menzogne e passaggi logici sgangherati, dovrebbe prendersela con questi alcuni.

  250. Per aggiungere un altro motivo di soddisfazione a Barbieri e Buffoni,
    segnalo una notizia recente.

    “Coppia di gay fa nascere ed alleva due bambini

    Uno è professionista, l’altro lavoratore dipendente nel commercio. Abitano in provincia di Prato e sono felici per aver trascorso il primo Natale assieme ai gemellini che hanno contribuisto a far nascere e ora allevano fra amorevoli cure. Da sei mesi la coppia ha coronato il proprio sogno di «genitorialità», con la nascita avvenuta negli Stati Uniti dei loro bambini. Una nascita costata lunghe procedure all’interno di un ospedale californiano e avvenuta grazie alla collaborazione di due donne. [..]”

    http://www.lanazione.it/prato/cronaca/2013/01/04/825064-coppia_nascere.shtml?utm_source=mrsend&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter

    E’ stata necessaria la collaborazione (a pagamento) di due donne, e non di una sola, perchè prelevando l’ovulo da una donna e impiantandolo nell’utero di un’altra, si evita lo spiacevole inconveniente verificatosi negli USA nel 1988: il caso di “BabyM”.

    In quella sfortunata occasione, una signora americana che aveva stipulato un contratto come madre surrogata con una coppia (di marito e moglie non sterile ma affetta da sclerosi multipla), dopo essersi fatta inseminare con lo sperma del marito partorì una bambina e la consegnò agli acquirenti.

    Il giorno stesso, però, cambiò idea, si presentò alla loro porta e chiese che le restituissero il bambino. Ne conseguì una vertenza legale, al termine della quale la Corte Suprema del New Jersey annullò il contratto di surrogacy e però, nell’interesse del minore, lo affidò alla coppia dei committenti concedendo diritti di visita alla madre naturale.

    http://en.wikipedia.org/wiki/Baby_M

    Per evitare simili fastidiosi contrattempi, la coppia di moderni italiani di cui parla l’articolo succitato ha seguito la modernissima procedura di comprare l’ovulo della donna A per impiantarlo nell’utero della donna B, in modo che nessuna di due possa vantarsi di essere la madre biologica del figlio e provocare disordini.

    Mi sembra una buona e pratica idea.
    Tra l’altro, ho letto di recente sul “Corriere della Sera che “Tommaso Giartosio ha spiegato a Lia, la sua primogenita nata nel 2006 in California, che per metterla al mondo sono stati necessari un seme, un ovetto e una pancia. Il papà aveva solo il seme, l’ovulo lo ha donato una donna e un’altra, Nancy, ha fatto crescere in pancia prima Lia e, nel 2008, il suo fratellino Andrea. Prosegue Tommaso: «Nancy ha fatto anche da testimone di nozze a me e a Franco. Veniamo chiamati entrambi “papà”, o Papacco e Patò. Per adesso nessuno chiede dov’è la mamma. Quando sarà il momento, rintracceremo la donatrice».

    http://27esimaora.corriere.it/articolo/la-cassazione-e-le-famiglie-omosex2nuoto-e-catechismo-la-nostra-vita-arcobaleno/

    Dunque, come accortamente fa rilevare la giornalista del Corriere Elvira Serra , “Dopo, come dimostrano il caso che cito di Tommaso Giartosio e tanti altri, si crea un legame e un’amicizia tra i protagonisti”, cioè fra acquirenti e venditrici.
    http://27esimaora.corriere.it/articolo/la-cassazione-e-le-famiglie-omosex2nuoto-e-catechismo-la-nostra-vita-arcobaleno/

    Inoltre – e di questi tempi non è poco – pare che tutta l’operazione non costi poi molto, meno di un’automobile di media cilindrata:

    “Surrogacy for Gay Couples & Singles Starting at $26,500 in India and Panama

    India offers the most amount of experience in gay surrogacy at extremely reasonable prices. We currently work with two gay positive clinics in India and take care of each and every step along the way including getting your sperm tested to identifying donors, all the way to bringing your baby or babies back home. Read more about our gay surrogacy doctors in India below and then call us to help you get started.”

    http://www.surrogaycy.com/

    Immagino ne sarà lieto Buffoni, per il quale (v. sopra) “la ter­ri­bi­le realtà og­get­ti­va di tante gra­vi­dan­ze mi fa aprire porte e fi­ne­stre anche a quella sur­ro­ga­ta”.

    Insomma, “Finalmente la modernità – e l’onestà intellettuale, dopo decenni di dinieghi e di umiliazioni – sembra avere iniziato su questo tema un dialogo con le istituzioni italiane”.

    Attendiamo gli sviluppi di questo dialogo, tra i quali, forse, gli emozionanti temi della vendita di organi, di figli già confezionati…quanti bei legami di amicizia fra tutte le persone coinvolte, quanto amore gratuito…

  251. Chiariamo: la Corte Suprema del New Jersey annullò il contratto della coppia eterogenitorale (caso Melissa) perché era stato previsto un corrispettivo per ciò che in sostanza era un’adozione (essendo una surrogazione tradizionale), non perché la gravidanza assistita sia in sé un abominio.
    Dopodiché rinviò il caso al tribunale per i minorenni affinché decidesse la soluzione migliore per la bambina. Il tribunale stabilì che la bambina fosse allevata dalla coppia che era ricorsa alla surrogazione, a conferma, appunto, che la surrogazione avveniva nel bene della minore.
    Quando la bambina poi raggiunse la maggiore età, ritenendo che la sua famiglia fosse quella che l’aveva allevata, formalizzò l’adozione.
    Che questi passaggi (furono tre corti) siano evitati imponendo per legge che l’ovulo sia di una ulteriore donatrice, cioè che la surrogazione sia soltanto gestazionale, mi pare un’ottima soluzione.
    Il rapporto diretto – quello che chiama ‘legame’ – con la gestante è assolutamente necessario per verificare che la gestazione sia decisa e portata avanti liberamente.
    Rivelare la nascita surrogata alla bambina/o è assolutamente necessario, sono gli psicologi a dirlo. Il danno non è certo nel rivelarlo, ma nel mantenere un segreto di questo tipo.
    Quindi sono due atti compiuti non per bizzarria, ma per assunzione di responsabilità sulla base di protocolli medici e legali.

    Ho anche qualche dubbio che la surrogazione sia una pratica contemporanea, probabilmente esiste dall’alba dei tempi, ma solo oggi viene – opportunamente – regolata dalla legge.

  252. Va bene, allora chiariamo.

    Anzitutto, pane al pane e niente fumogeni. Non chiamiamo la maternità surrogata “gravidanza assistita”, come se si trattasse di badare alla signora mentre aspetta il suo bambino per evitare che si stanchi troppo.

    Poi. Il fatto che il tribunale USA abbia stabilito “che la bambina fosse allevata dalla coppia che era ricorsa alla surrogazione” non, ripeto *non* conferma “che la surrogazione avveniva nel bene della minore.” Non ho letto la motivazione della sentenza, ma è presumibile che il tribunale dei minori, dovendo decidere nell’interesse del minore e scegliere fra una famiglia con un reddito decente e una disgraziata che si era venduta la figlia per poi pentirsene, abbia scelto la famiglia degli acquirenti. Il che non implica affatto una approvazione giuridica o morale della surrogazione.

    Dovendo poi scegliere di chi dichiararsi legalmente figlia, la ragazza, fra la coppia con la quale era sempre vissuta e che certo l’amava ricambiata, e una madre che se se l’era venduta e che incontrava saltuariamente, ha più che comprensibilmente scelto la coppia.

    Il fatto è, che nessuno, ripeto *nessuno* dovrebbe essere mai, ripeto *mai* costretto a fare queste scelte impossibili e atroci.

    E adesso veniamo al punto. La maternità surrogata è produzione industriale di esseri umani a fini di lucro, e quindi *è* un abominio eccome. Chi la ritiene una cosa normale, giusta e rispettosa della dignità umana autodefinisce se stesso e il suo sistema di valori, e per quanto mi riguarda si qualifica come persona alla quale non stringerei la mano neanche indossando guantoni da saldatura.

    Chi sostiene che sia una cosa buona e giusta invoca tre giustificazioni: l’amore tra genitori/acquirenti e figli, il “legame”, eventualmente “l’amicizia” tra i clienti e la madre surrogata, e soprattutto “la libera scelta” di quest’ultima, che non viene costretta con la pistola alla nuca a fare quel che fa.

    Quanto alla “libertà di scelta” della madre surrogata, trovo curioso che a sbandierarla siano persone che in generale si autodefiniscono “di sinistra”, e in effetti lo sono, visto che a propugnare queste pratiche sono partiti e governi “di sinistra”.

    Curioso, perchè quando Berta filava, la destra capitalista contrastava il diritto dei lavoratori a organizzarsi in sindacato e a scioperare sostenendo che i lavoratori erano “liberi di scegliere” se accettare o meno le condizioni di lavoro “liberamente offerte” dai datori di lavoro. Allora, la sinistra ribatteva che la “libertà di scelta” liberalcapitalista era vuota e ipocrita, perchè i lavoratori avevano la libertà di scegliere se campare o morire di fame. A ciascuno giudicare se aveva ragione la sinistra di allora o la sinistra di oggi. Ma dimenticavo: oggi, in compenso, la sinistra lamenta la mercificazione del corpo femminile sulla quale lucrano i giornali pubblicando foto di donne nude, o la tv quando mostra le vallette, e stigmatizza Berlusconi quando organizza le sue “cene eleganti”.

    Veniamo all’amore fra genitori/acquirenti e figli, e all’amicizia fra clienti e madre surrogata.
    Non dubito che fra i genitori/acquirenti e i loro figli ci sia amore reciproco. L’amore può nascere nelle circostanze più diverse e più avverse: nella storia romana, ad esempio, si ricordano casi di schiavi morti sotto tortura pur di non tradire i loro padroni; o più di recente, il terzo presidente USA, Thomas Jefferson, contrario alla schiavitù ma proprietario di schiavi per eredità, dopo la morte della moglie visse more uxorio con una sua schiava, che gli diede sei figli.

    Quanto precede, naturalmente, non trasforma l’istituto della schiavitù in una cosa buona e giusta: nonostante tutti i rapporti di autentica simpatia o amore che si siano potuti allacciare fra schiavi e padroni, la schiavitù resta una istituzione malvagia e contraria alla dignità umana.

    Lo stesso vale per questa pratica della quale si sollecita la legalizzazione anche in Italia, la quale non è definibile altrimenti che produzione industriale di esseri umani a fini di lucro, e in quanto tale è contraria alla dignità umana, ingiusta e malvagia, dunque abominevole non meno della schiavitù.

    Chi la definisca con eufemismi, giri di parole, fumisterie sentimentali che tendono a contrabbandarla per un accordo solidale fra persone che si aiutano in nome dell’amore e del bene dei bambini, o si inganna o mentisce sapendo di mentire: compie insomma una vera e propria inversione dei valori spirituali, chiamando il male bene e il bene male, cosa che è eticamente, moralmente e socialmente molto più grave che fare il male sapendo e ammettendo almeno tra sè che è male.

    Essendo una impresa industriale globalizzata, la maternità surrogata risponde alla logica di tutte le imprese industriali globalizzate, qual che ne sia il prodotto finale, bambini o condizionatori d’aria.

    Dunque, nel primo mondo le condizioni di lavoro delle maestranze e i loro salari saranno migliori che nel terzo mondo. Saranno però più elevati i prezzi delle merci al consumatore.
    L’acquirente di bambini che preferisca acquistare prodotti made in USA o in Canada, vuoi per garantirsi una migliore qualità del prodotto, vuoi per uno scrupolo etico, spenderà di più; avrà anche l’occasione di conoscere la madre surrogata, appartenente a una cultura più prossima alla sua, per poi eventualmente simpatizzare con la manodopera.

    L’acquirente che invece, vuoi per una sua minore disponibilità economica, vuoi per una sua maggiore propensione al risparmio, preferisca comprare un prodotto meno costoso, commissionerà bambini made in India o made in Panama. Gli sarà comunque possibile ordinare un bambino dotato degli optional da lui preferiti (per esempio, il colore della pelle), perchè la madre surrogata riceve l’impianto di un ovulo altrui: anche di una norvegese, se il cliente – che ha sempre ragione – lo desidera.

    Colà, le condizioni di lavoro delle maestranze e i loro salari sono nettamente peggiori; ma del resto, la globalizzazione ha le sue leggi che la ragione conosce fin troppo bene.
    Per esempio, in India le madri surrogate (che di solito non sanno leggere o capire una obbligazione sinallagmatica formulata in linguaggio tecnico) firmano un contratto nel quale si prevede che in caso nasca un bambino difettato, non saranno pagate (non si sa che fine faccia il prodotto di scarto); e che in caso sia necessario procedere a un triage, la salute del bambino avrà sempre la precedenza sulla salute della madre.

    Di recente, in India una madre surrogata ha avuto un infarto sul finire della gravidanza, e prima che le venissero prestate le cure del caso è stata trasportata in clinica per un cesareo d’urgenza. Il bambino è stato salvato, mentre la madre surrogata, purtroppo, è deceduta. (Premila Vaghera, trent’anni, madre di due bambini: http://articles.timesofindia.indiatimes.com/2012-05-17/ahmedabad/31748277_1_surrogate-mother-surrogacy-couples)

    Visto che questo è un blog letterario, sarà interessante ascoltare l’opinione in materia di una scrittrice indiana, Kishwar Desai.

    La signora Desai pensa che “”India is becoming a baby factory. Last year over 25,000 babies were born out of IVF and surrogacy in India. Rich people in the country can afford designer babies now […] “Earlier it was a form of colonisation, but now studies show the numbers are divided equally – 50 percent of surrogate babies are born to rich Indian parents and 50 percent to foreigners by Indian surrogates […] In the UK, a child can find out the name of the father and mother, but in India, there is no law. The donors are very poor and usually use the money to give their own children a better start in life…” (http://articles.timesofindia.indiatimes.com/2012-08-02/books/31958240_1_surrogacy-designer-babies-baby-factory)

    Se poi si desidera leggere un istruttivo studio sociologico sulla surrogacy in India, si può leggere (qui: http://csrindia.org/blog/2012/03/01/surrogacy/) la recente ricerca del Center for Social Research di New Dehli: “Surrogate Motherhood – Ethical or Commercial” (la conclusione è: commercial).

    Per concludere. Belli o brutti, occidentali o orientali, primo o terzomondisti che siano i contorni e i luoghi della maternità surrogata, essa resta quel che è: produzione industriale di esseri umani a fini di lucro, cioè un abominio infame e uno sfruttamento malvagio, indecente e perdipiù ipocrita di più ricchi ai danni dei più poveri.

    Vero che anche nel peggio ci sono tante sfumature di male. Anche nella schiavitù c’erano infinite sfumature: un conto essere schiavo ad metalla, un conto essere schiavo grammaticus, come avvenne a tanti sapienti greci nelle case dell’aristocrazia romana, dove spesso erano trattati con rispetto, simpatia, amicizia e chissà, a volte anche con amore; ricambiato, perchè no. Però, schiavi erano e schiavi restavano, a meno che il padrone non li liberasse.

    Mi pare di aver chiarito.

  253. La conversazione ha preso molte strade, soffermandosi su molti temi, ciascuno dei quali merita una meditazione a parte e, soprattutto, che non sia di parte: la propria-parte soprattutto. Un sereno giudizio dovrebbe rivolgersi contro i propri desiderata, le proprie pretese, contro il proprio egoismo.

    In merito agli ultimi passaggi, in merito alla maternità surrogata, vorrei riportare qui queste parole dello scrittore Aldo Busi
    ( il testo intero è a questo
    link http://www.altriabusi.it/2012/11/25/i-miei-figli-sono-i-fogli/#comments )

    “Se mai avessi voluto un figlio, anche a prescindere dalle tre signore, molto eugenetiche e pertanto molto sceme, che nel corso della mia esistenza mi hanno chiesto il dono di un paio di miliardi di spermatozoi, avrei contribuito alla sua nascita e di sicuro senza ricorrere a un utero in affitto, l’orribile pratica adottata dai gay più famosi, più ricchi e più spostati che basano la loro genitoriale felicità sull’ennesimo trauma di una donna, anonima o no, che per prestarsi a una cosa così degenere deve essere fuori di testa dal dolore pregresso, inemendabile, che può solo essere esasperato, tanto che mi chiedo come questi padri possano guardare i loro figli sorridenti senza vedervi in contro luce la faccia inespressiva e mortuaria di chi li ha partoriti.”

    Credo sia corretto dire la mia: la maternità surrogata, per angeliche che siano le sue intenzioni, è un fine che ha per mezzi almeno un altro essere umano. E questo me la rende insopportabile.

    I miei saluti,
    Antonio Coda

  254. Coda e Busi, siamo degli essere umani la nostra natura è destinata ad un evoluzione per voi inconcepibile, vi rimpiangeremo, ma neanche tanto.

  255. Cucinotta anche se lei non sembra esserne cosciente, è un processo già in atto ed è inevitabile, non dipende né da me né da lei, fa parte della natura umana, raggiungere l’impossibile. Possiamo rallentarne il processo ma è inevitabile, quella è la direzione, nonostante le sue paure caro. Le decine di migliaia di anni che lei pronostica sono nella sua mente, di quella stessa quantità di anni, così lontana dalla realtà.
    Io sono già sul Galaxy Express 999 ;o9

  256. Ares, su, non tiri fuori r-impianti ed evoluzione futuristica, perché “La storia siamo noi” (anche detta la “scoria”, nel romanzo di Busi che è uno spasso duro a lasciarsi estirpare) è il jingle aggiornato un cincinino del gott-mit-uns, cantato dopo un opportuno cambio di abiti da lavoro.

    Capisco che ha un nick battagliero da dover giustificare in qualche modo – ma fin quando utilizzerà lo scudo dell’anonimato, i suoi affondi saranno sempre un po’ spuntati e posticci.

    D’altronde anche io ho sforato di brutto: la natura dell’intervento di Buffoni sembra essere diventata un reperto archeologico ( e dire che proprio nell’articolo si rivendica l’equità del diritto da non confondere con il pregiudizio della prepotenza al potere), e questo spazio dei commenti è diventato un agone per fobie e presunzioni reciproche.

    Io ho una passione per i diritti, e mi piace la vita ovunque si ingegni con una nuova trovata tramite cui rigenersarsi a dispetto di tutte le smanie ordinatrici che la vogliono solo inaridire ed essiccare; ma non li voglio vedere precipitati in abusi e trasandatezze, i diritti, o farne mascherine per i prossimi arbitrii.

    Se da me venisse una coppia di uomo-donna o di uomo-uomo o di donna-donna e mi chiedesse se possono impiantarmi l’ovolo di una e il seme di un altro per far crescere dentro di me un bambino da restituire loro a mesi contati, credo che farei quel che posso per portargli via e salvare in qualche modo i figli che già hanno, se ne hanno.

    Va da sé che auguro a tutti un tale avanzamento tecnologico da poter concedere di partorire a ciascuno il suo, applicandosi direttamente un’ampolla a questo o a quell’organo deiettore: chi non sa che fare, spesso fa un figlio, convinto di aver fatto chissà cosa. Così chi ci ricorrerà, al suo prestofatto, almeno smetterà di intravedere nei suoi simili delle utilissime incubatrici o sacche da viaggio o cintinure in vera pelle: pagati onestamente e venduti di propria volontà, ci mancherebbe.

    Non ho nessuna nostalgia per una Grecia retoricamente beata e praticamente narcisista, ingiusta e schiavista. D’altronde, in quel caso la storia ha già parlato: e ad estinguersi non sono stati gli uomini capaci di pensare la libertà pensandola principalmente come la libertà dell’altro al di là del proprio profitto; ma certe divinità tutto fumo che si davano tante ares, ehm: arie.

    I miei saluti!,
    Coda

  257. http://www.lemonde.fr/sciences/article/2012/10/25/biologie-et-homoparentalite_1781091_1650684.html

    Ces évolutions sociétales sont contestées par certains psychologues au motif, notamment, que l’adoption par les homosexuels risque de provoquer des troubles psychologiques chez les enfants à qui on impose une filiation impossible. “Un couple homosexuel, ce ne sera jamais un engendrement crédible”, a récemment affirmé le docteur Pierre Lévy-Soussan dans Le Point. Pourtant, ce qui semble aujourd’hui un propos de bon sens va devenir biologiquement faux. La technologie va permettre aux homosexuels d’avoir des enfants biologiques porteurs de gènes des deux parents, comme les couples hétérosexuels.

    La technique des cellules souche iPS – dont l’inventeur japonais Shinya Yamanaka est lauréat du prix Nobel de médecine 2012 – permet de fabriquer des spermatozoïdes et des ovules à partir de fibroblastes, des cellules que l’on trouve sous la peau. Il est déjà possible de fabriquer un souriceau à partir de deux pères. Le passage de ces techniques à l’espèce humaine est juste une question de temps, et les associations homosexuelles militeront pour que ce délai soit bref. En outre, grâce aux cellules souches IPS, un même individu pourra produire à la fois des ovules et des spermatozoïdes. La seule limite, pour l’instant, étant que l’enfant d’un couple d’homosexuelles ne pourrait être qu’une fille.

    Dans quelques décennies, les couples d’hommes pourront en outre bénéficier de l’utérus artificiel. Le biologiste et philosophe Henri Atlan – grand spécialiste du sujet – défend l’idée qu’il n’y a guère de différence fondamentale entre une couveuse pour prématurés et l’utérus artificiel.

    Bien lointain paraît le temps où Jeannette Vermeersch-Thorez, grande dirigeante du Parti communiste français, déclarait à propos de la pilule contraceptive : “Depuis quand les femmes travailleuses réclameraient-elles le droit d’accéder aux vices de la bourgeoisie ? Jamais !” L’expérience montre que la vitesse de glissement du “défendu” au “toléré” puis au “permis”, voire à l'”obligatoire”, dépend essentiellement du rythme des découvertes scientifiques, quelles que soient les questions éthiques soulevées.

    Chirurgien urologue, Président de DNAVision

    l.alexandre@dnavision.be

  258. Perdoni Antonio Coda ma non credo che un nome proprio di persona determini l’efficacia di un commento…
    Perdoni ma per me sapere che Coda Antonio è il suo nome non aggiunge nulla di fondamentale alla discussione, né rende più punzuti i suoi commenti.
    Si rassereni, non ho un blasone, il mio nome non le direbbe assolutamente nulla. Non sono una personalità nota per il suo nome, non ho, semplicemente, ispirazioni di eternità: i pensieri spesso muoiono non appena proferiti, altri percorrono l’eterno solo per merito di altri. Porre il proprio nome accanto al proprio pensiero, mi appare tanto un epigrafe posta alla testa del cadavere non ancora sotterrato.

    Vi sono varie forme di maternità surrogata, andare a prendere esempi limite come fa lei Coda mi sembra un operazione faziosa. Spesso le madri surrogate sono amiche che desiderano la maternità, sorelle o anche madri o semplicemente amiche omosessuali che si prestano a tale pratica. Desiderare un figlio non è un atto di egoismo solo se chi lo desidera è un’omosessuale.

  259. Luttuoso, cigolante e cimiteriale Ares,

    efficacia? Ah, è un agone retorico per aumentare il numero dei pro e dei contro! Io ci vedevo uno scambio di convinzioni. Non m’ero accorto della competizione, scusi, ero troppo indaffarato a innaffiare fiori per farmi bello il sepolcro: con sopra incisi nome e cognome però, così che le mie parole, assieme alle mie ossa, non vadano perse o confuse con quelle degli altri, e possano testimoniare: io c’ero e ho fatto e detto questo piuttosto che quest’altro.
    Perché ognuno o risponde di sé o non fa che tacere, più o meno rumorosamente.

    Qui le parlano i pensieri del futuro cadavere di Antonio Coda, epigrafi a venire ecco, però Ares, io non so se lei lo abbia da copione il frasario da becchino, comunque un po’ di ariosità non guasterebbe, non più di quanto fa la terra che ci decompone e prima e dopo la fossa, e le dico perché credo che un nome e cognome (specie se veri: i miei lo sono, ma che lo siano lo dico io, quindi si figuri che qualità di autocertificazione): per me sono una assunzione, per via orale, non di una fama, ma di una responsabilità. Perché nel caso qui dicessi cose che altrove ritrattassi e non affermassi alla stessa maniera, avrei una dimensione più chiara di quanto io stesso creda nelle cose che dico. Mettere nome e cognome secondo me segna la differenza tra la retorica e la politica, la metto così. Lo veda come un principio di lealtà verbale, ma queste sono fisse che riguardano quelli come me, prossimi all’estinzione eccetera eccetera.

    Per cui se lei si aprisse al dialogo dicendo una cosa banale come le mie, tipo: salve, sono Antonio Coda, vivo a Napoli e ho trenta anni; mi fiderei immediatamente di più di lei e della sua visione del mondo. Oh no, non che ci sia qualche obbligo a farsi conoscere da me: il saluto non è mai obbligatorio. Tutt’al più piacevole.

    Ares, temo di doverla deludere su un punto: l’omosessualità rispetto al tema della maternità surrogata , per me, non ha niente in più e niente in meno alla eterosessualità: che ci ricorra un/a omo o un/a etero, credo sia una prevaricazione uguale.

    Non si usano i corpi, ecco il mio pensiero, che, le assicuro, non mette con ciò in discussione le qualità di tutti coloro che hanno ricorso, ricorrono e ricorreranno alla maternità surrogata. Le idee non sono scomuniche, sono espressioni di sensibilità. Una idea differente non è una offesa.

    Preferisco, questo sì, che, laddove avvenga, possa essere sempre nel più trasparente e tutelato dei modi, per evitare le scappatoie dei ricchi che vanno all’estero e dei poveri che vanno negli scantinati. Una regolamentazione è sempre preferibile a una ipocrita prescrizione. Ciò non toglie che è una pratica che ha alla sua base un atto di violenza e che non riceverebbe il mio sostegno.

    Che lo compia un omosessuale, che lo compia un eterosessuale, mi spiega lei cosa può cambiarmi?

    I miei saluti a tutti, e a lei Ares, così combattivo da non saper forse riconoscere più chi le è nemico da chi, semplicemente, le è diverso.

    Antonio Coda

  260. Vede Coda quel “io” é sempre un gran ostacolo quando si parla di discriminazioni che sentiamo non riguardarci.

    Dunque lei ,a parte la figliazione surrogata d’oltre oceano, é a favore del riconoscimento del diritto all’omogenitorialità ?

    p.s. sa quanti omonimi esistono in Italia? la sua é una posizione di principio che nn ha utilità.
    l’importante é non estendere lo stesso metodo sulla pelle altrui

  261. Ares,

    risposta lampo, giusto per sgomberare il campo: credo che la genitorialità sia un diritto/dovere, e che il modo in cui una persona si prende cura di un bambino è al centro, perché tutto (quasi, non voglio esagerare) avviene qui, in questo passaggio. Dopodiché, quello che mi frega meno è con chi facciano sesso e che sesso abbiano i genitori. Mi interessa, e profondamente, che i genitori rispettino i loro figli come i loro figli chissà se li rispetteranno mai. L’orientamento sessuale dei genitori, a questo punto, è profondamente insignificante.

    I miei genitori, per dire, sono uomo e donna, ma se dovessi dirle qualcosa della loro sessualità, farei scena muta. Il fatto che ne possiedano una, quale che sia!, mi renderebbe enormemente felice. Con ogni probabilità sono stati due eterosessuali che varcata la sogna dei quaranta anni e del terzo figlio si sono adagiati nel tepore e nell’educazione a loro volta ricevuta, secondo la quale ogni sessualità è qualcosa di disdicevole; e necessaria, biologicamente e teologicamente.

    Se le cose andranno come un po’ mi auguro, immagino che anche io avrò dei figli, con la donna che amo. Quindi saremmo, di nuovo…, una coppia di etero, i soliti. Alleverò per questo i miei figli in modo eterosessuale? Non so neanche come sia possibile. Anzi, il rischio sarebbe quello di scimmiottare un orientamento. Mi auguro di crescere i miei figli con allegria, con attenzione, con discorsi che anticipano tutte le verietà del vivere che sicuramente incontreranno, e di farlo rendendo sempre evidente quanto io sia innamorato della loro madre: ma non perché così capiscono che maschio e femmina cosa buona è, ma che dove c’è amore non può esserci niente che non va. Mi sposassi con un uomo, vorrei far lo stesso.

    Poi Ares, la vita sa come è fatta: può anche darsi – io che ne so, ora? – che i miei spermatozoi facciano cilecca, o che gli ovuli della donna che amo non ne vogliano sapere. E allora che si fa? Ben venga la scienza, nei limiti del rispetto del corpo umano però: verso di noi, verso gli altri. Perciò non è affatto detto che io non sostenendo la maternità surrogata stia facendo un mio tornaconto: il contrario, eventualmente. In ogni caso, un pensiero, e una vita, con un po’ di estetica e dell’etica che la sorregge, dovrebbe provare a non farsi i conti in tasca, prima di tirare le somme.

    Premesso questo – e cioè che qualsiasi distinzione a monte di orientamento sessuale è una noia e una fobia per lo più degli etero vittime di una educazione che vede negli omo chissà cosa – faccio un piccolo e finale appunto anche a lei: è più importante il tema della omogenitorialità o della genitorialità? Fatto fare quel passo di civiltà che finalmente cancella le discriminazioni insopportabilmente ultrasecolari, secondo lei siamo al traguardo o è più corretto dire che non ci siamo messi di un metro dal nastro di partenza, dopo aver giustamento incluso gli altri partecipanti?

    La genitorialità è un tale inghippo, e per i genitori e per i figli. Una volta esaurita la ricombinatoria – oh, tutti possono essere cresciuti da tutti, bene – si dovrà pur cominciare a pensare la solitudine e l’incomprensione e l’incomprensibilità all’interno del micromondo detto ‘famiglia’.

    La divisione eterosessuali/omosessuali è vecchia e lei sì sterile. Quel che penso io è che sono ben altri i temi e le questioni attorno alle quali riunirci, come persone, o per le quali separarci definitivamente.
    … E meno male che doveva essere lampo, questa risposta: è stata il solito acquazzone.

    … Eppoi, essù ce lo dica il suo nome, Ares: sarebbe un sorriso democratico, un piccolo impegno pubblico e politico, un esempio allegro de – Nessuna astrazione, nessun nascondimento: io sono questa Persona ed è a nome mio e non confondendomi in nessun comodo anonimato virtuale che mi pronuncio!

    Dai, sarebbe bello. Ovunque. Che ogni piazza virtuale non sia che l’anteprima dell’unica piazza che c’è: quella reale.

    I miei saluti!,
    Coda

  262. Caro Barbieri,
    non vorrei essere nei suoi panni: vede dove si annida il dogmatismo che lei sembra voler combattere con le armi della razionalità? Qui, abbiamo un esempio di chi, invece di credere alla santa trinità, crede che durante l’arco della sua vita, la natura umana subirà un’evoluzione!
    Però, l’aytollah, Ares lo sa fare davvero bene, metteremo un sette più!

  263. Coda ovviamente è più importante il tema della genitorialità, certo, se il ragionare fosse inclusivo, e non mi pare che lo sia. Il problema è che c’è una parte discriminata al 100% e un’altra che è messa in difficoltà seria ma che comunque gode di un certo privilegio. Siccome parlare di genitorialità, non sembra l’obbiettivo di nessuno, tranne che il suo, se permette io griderò, nel frattempo, il mio dissenso alla prassi richiedendo interventi immediati e d’urgenza.

    Che bello sentirla parlare con tanta linearità e serenità della sue prospettive di genitore, mi commuove. In particolare mi commuove la sua intenzione di insegnare ai suoi figli: “dove c’è amore non può esserci niente che non va”… eh… diciamo che nel caso di una coppia omoaffettiva è proprio li ..il problema: in quell’’Amore… che, a quanto pare, non va. Mi commuove non poter avere la sua stessa possibilità di visione, ecco.
    In più, l’idea di dover corazzare i miei figli – più di quanto non debba fare una coppia eterosessuale – per proteggerli dal mondo armato fino ai denti che li circonda, mi dissuade da ogni velleità genitoriale. Resta il fatto che, c’è chi questo impegno titanico è in grado di assumerselo, anzi ha già deciso di assumerselo da molti anni, e queste unioni hanno e avranno tutta la mia stima e tutto il mio sostegno.

    Enialio ;o9

  264. “”Anzitutto, pane al pane e niente fumogeni. Non chiamiamo la maternità surrogata “gravidanza assistita”, come se si trattasse di badare alla signora mentre aspetta il suo bambino per evitare che si stanchi troppo.”” [Buffagni]

    La maternità surrogata è una tecnica di procreazione assistita, che è un termine medico.

    “Non ho letto la motivazione della sentenza, ma è presumibile che il tribunale dei minori, dovendo decidere nell’interesse del minore e scegliere fra una famiglia con un reddito decente e una disgraziata che si era venduta la figlia per poi pentirsene, abbia scelto la famiglia degli acquirenti. Il che non implica affatto una approvazione giuridica o morale della surrogazione. [Buffagni]

    Per quella corte l’accordo di surrogazione aggira le norme sull’adozione/affido portandole sul piano privato di un contratto con corrispettivo, e questo secondo la corte è illegittimo e forse criminale. La corte non ha approvato questo comportamento, non ha dato alcuna tutela ai contraenti, dunque ha dichiara radicalmente nullo il contratto.
    Questo giudizio di disapprovazione riguarda la modalità (contratto privato, corrispettivo), non il fatto che una coppia ritenga di tentare la maternità surrogata per avere un figlio, né che una donna liberamente si presti alla gestazione. Tant’è che la corte non ha deciso di privare i contraenti della potestà per affidare la figlia a una terza coppia; e il tribunale dei minori, valutando l’interesse supremo del minore, ha attribuito proprio alla coppia che si è avvalsa della surrogazione il ruolo genitoriale. Dato significativo perché realizza in sostanza ciò cui tendeva l’accordo.

    A mio parere alcuni diritti fondamentali, anche contrastanti, vengono coinvolti:
    – protezione della dignità della madre surrogata
    – diritto all’autodeterminazione della madre surrogata (diritto di disporre del proprio corpo)
    – diritto del minore a crescere coi genitori di sangue (ovviamente se possibile)
    – diritto del minore a una famiglia genitorialmente adeguata
    – diritto alla procreazione

    Secondo lei – lo esprime nel suo discorso iperbolico – si deve vietare assolutamente la surrogazione.
    Secondo una prospettiva più ragionevole il divieto assoluto è impraticabile perché è bene bilanciare i diritti che ho elencato trovando una giusta strada, senza perdere di vista le differenze e l’analisi. Del resto il bilanciamento avviene anche con l’istituto dell’adozione/affido.

    Per esempio:
    c’è differenza tra una gravidanza tradizionale (come il caso Melissa), e una gravidanza gestazionale (ovulo di una donatrice ulteriore).
    c’è differenza tra surrogazione a scopo di lucro, e a scopo solidaristico.
    c’è differenza tra prevedere un corrispettivo, e prevedere un rimborso delle spese documentate.
    c’è differenza tra prevedere la coercibilità degli obblighi di consegna, oppure prevedere l’incoercibilità.
    c’è differenza tra surrogazione di maternità in un paese in cui le donne sono discriminate nei diritti fondamentali (come l’India), e surrogazione in un paese europeo o in America.
    E così via.

    Dunque, sensatamente, occorre una regolamentazione di questa forma di procreazione assistita a tutela dei beni che ho elencato sopra, come è già avvenuto in tanti paesi, in modo appunto che non avvengano abusi.

    Quello che ho scritto risponde anche all’invettiva di Aldo Busi.

  265. Qui:
    http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2013/01/16/beatriz-preciado-chi-protegge-il-bambino-queer/#comments
    potete leggere l’articolo “Chi protegge il bambino queer?” di Beatriz Preciado (traduzione di Sara Garbagnoli).
    I tradizionalisti (stavo per scrivere gli omofobi) si astengano, leggereste cose tipo:

    “Nell’intimità del nucleo familiare, mio padre esprimeva un sillogismo che invocava la natura e la legge morale per giustificare l’esclusione, la violenza e addirittura la messa a morte di omosessuali, travestiti, transessuali. Cominciava così: «un uomo deve essere un uomo e una donna deve essere una donna, come Dio ha voluto », continuava con «ciò che è naturale è l’unione di un uomo e di una donna, per questo gli omosessuali sono sterili » fino all’implacabile chiusa: «se mio figlio o mia figlia fossero omosessuali, preferirei ucciderli ». La figlia ero io.”

    oppure:

    “I manifestanti del 13 gennaio non hanno difeso il diritto dei bambini. Difendono il potere di educare i bambini secondo la norma sessuale e di genere, di educarli come presunti eterosessuali. Costoro sfilano nelle strade per mantenere il diritto di discriminare, di punire, di correggere qualunque forma di dissidenza o di deviazione, ma anche per ricordare ai genitori di bambini non-eterosessuali che il loro dovere è quello di vergognarsene, di rifiutarli, di correggerli. Noi difendiamo invece il diritto dei bambini a non essere educati come forza-lavoro e forza-riproduzione dell’ordine sessuale eteronormativo. Noi difendiamo il diritto dei bambini di non essere considerati come futuri produttori di sperma, come futuri uteri. Noi difendiamo il diritto dei bambini ad essere delle soggettività politiche irriducibili ad una identità di genere, di sesso, di razza.”

  266. @ Cucinotta, a me non pare strano quel che dice Ares, nel suo modo un po’ paradossale e simpatico perché è evidentemente una persona che sa stare con gli altri.
    Guardi le cito wikipedia:
    “La teoria dell’evoluzione delle specie è uno dei pilastri della biologia moderna. Nelle sue linee essenziali, è riconducibile all’opera di Charles Darwin, che vide nella selezione naturale il motore fondamentale dell’evoluzione della vita sulla Terra.”
    http://it.wikipedia.org/wiki/Evoluzione

  267. Appunto, basta leggerli i tempi dell’evoluzione. Difatti, invitavo Ares a portare pazienza per appena qualche decina di migliaia di anni…!!!
    Questi filosofi, mai capire l’importanza della categoria della quantità…!!!

  268. Cucinotta, senta, glielo dico in confidenza: l’Europa ci imporrà di dare valore giuridico alle coppie omosessuali in un tempo relativamente imminente, questo per garantire un’omogeneità del diritto sul territorio europeo .. e poi da li il passo è breve..hihih.. e spunteranno famiglie e famiglie e famiglie, si ritroverà famiglie omosessuali con prole ovunque, al supermercato, sul pianerottolo, in fila in posta, in macchina ferme al semaforo, nei musei, nei teatri, allo stadio, andranno a prendere i loro figli all’asilo e i loro figli frequenteranno i suoi di figli, magari i loro figli si sposeranno con le sue figlie o i suoi figli, l’italia sarà piena di figli e famiglie di ogni genere e tutte figlieranno figli e figlie e continueranno a nascere come ora figli omosessuali che a loro volta figlieranno e questi figli e figlie si sposeranno con le sue nipoti e suoi nipoti …uuAAhuuaahuAAAA…
    Insomma non cambierà nulla, ma almeno tutti saranno tutelati giuridicamente.

    Cuc..la immagino, tra qualche anno, asserragliato in un bagno fatiscente, accovacciato sul cesso, con gli occhi sgranati e insanguinati, armato fino ai denti, preda di attacchi di panico, che tenta di proteggersi da queste famiglie che vivacchieranno nella sua casa, nella sua camera da letto, nel suo soggiorno, e in salotto guarderanno Buona Domenica … e da li, dal cesso intendo, sentirà una voce provenire dalla cucina che le dirà : “ Dai nonno vieni a mangiare, la cena è prontaaa !!”

    ;o))))

  269. Andre Barbieri,

    “l’invettiva di Aldo Busi’? Massù, il dialogo sembra debba soccombere a tutti i manierismi delle buone-maniere-progressiste, secondo le quali o ti fai piacere tutto o sei un intollerante sotto mentite spoglie. Non impaludiamoci nella farsa di coloro che sono moderati nei modi perché tanto l’inflessibilità massimalista ce l’hanno negli obiettivi.

    Andrea Bariberi, c’è il rischio che il suo invito ricalchi l’ipocrisia di Beerbohm: chi non condivide alcuni principi (non perché siano malefici o chissà cosa, ma perché contraddicono una sensibilità che non si può sempre rubricare a “retriva educazione eterosessuale”) deve applicarsi sulla faccia la maschera da George Haven: così il George Hell che è muterà grazie al nuovo conformismo.

    Il suo testo è chiaro, ragionevole, intelligeente e largamente condivisibile (e il link inserito molto importante), ma – per provare a rientrare nell’articolo di Buffoni che ha generato centinaia di commenti – credo riproponga il motivo per cui Dante Alighieri si apprezza ancora e Cecco d’Ascoli no. Perché va bene la ragione – e a Dante, ghibellino che ora deve passare come promoter del purgatorio e del papato, la ragione non manca – ma occorre qualcosa in più: una forma, una narrazione, una estetica.

    In pratica, più che le distinzioni giuridiche a monte – più del diritto ‘prima’ della letteratura, più del ‘more law than literature’ – si avrebbe, o meglio: io ho bisogno; della prossima illuminazione sull’umanità, manca cioè uno scrittore e quindi non c’è l’estetica e quindi l’etica che esprime.

    La letteratura, significativamente, conosce il tema della dissimulazione. Altrettanto significativamente sono sicuro che ripropone dentro di sé anche il plot del far compiere a terzi atti che si desiderano per sé, e sarebbe interessante scoprire come sono stati trattati e cosa implicavano, questi desideri.

    Mi accorgo che potrei essere stato criptico – peggio, verboso e basta – e allora provo a ricorrere ai soldoni: per quanto riguarda tutte le battaglie dei diritti per equiparare gli omosessuali agli eterosessuali, io credo che il “lavoro estetico” c’è, ci sia, e che è finalmente ora che la giurisprudenza si adegui alla società liberata (perché, principalmente, sono proprio gli omosessuali a essersi liberati dalla cattività mentale in cui li hanno tenuti per epoche gli omofobi).

    Per quanto riguarda invece altre frontiere, totalmente nuove anche perché tecnologicamente nuove, che vanno oltre la discriminazione sessuale e che riguardano proprio altre interpretazioni dell’esistenza umana, come appunto è la frontiera della maternità surrogata, credo sia scorretto, e anche violento, far di tutto per immischiare i piani e equiparare a una giusta lotta per la parificazione dei diritti il tentativo di far passare un nuovo criterio antropologico, criterio secondo il quale possono avverarsi le condizioni ideali per cui cui un corpo umano può essere utilizzato come mezzo di produzione, di un altro corpo umano nel caso specifico.

    E dicendo questo non escludo, o non fingo di non sapere, che già oggi la procreazione eterosessuale ha preso troppe volte i binari dell’inerzia produttiva, della riproduzione meccanica, del cieco e facile equivoco secondo il quale nessuno può metterci bocca, se a generare figli alla come viene viene sono “loro”.

    La mia visione ‘sospettosa’ della materintà surrogata – l’ho già detto – non ha niente a che fare con la discriminazione degli etero sugli omo, anche se mi rendo conto che, di fatto, le coppie omo sarebbero più orientate di quelle etero a poterci ricorrere. Non metto per niente in dubbio le migliori e comprensibili e umanissime intenzioni, ma le migliori intenzioni non bastano, secondo me, a valicare un principio che, so anche questo!, non è un dogma: i principi cambiano, e tante volte è anche un bene che cambino. A volte, vedi mai, è un male.

    Nel caso specifico, ho bisogno di vedere – e leggerne, e saperne – di più. Ad ora non la condivido. Per questo – e le assicuro la completa e trasparente ‘curiosità’ – le sarei grato Barbieri se mi sapesse indicare opere di pensiero, d’arte o di quel che sia che toccano questo tema verso il quale – ci tengo – non esprimo una “condanna pregiudiziale” ma quasi un timore, come quelli che si provano al cospetto di certi limiti che non rappresentano una repressione ma una presa di consapevolezza del nostro esseri finiti e non onnipotenti.

    (Ah, e per piacere, non facciamo della teoria evoluzionistica di Darwin le solite strumentalizzazioni ideologiche di parte, quale che sia, la parte!)

    L’ultimo commento di Ares è una meraviglia.

    I miei saluti!,
    Coda

  270. Caro Barbieri,
    secondo me c’è differenza soprattutto tra produrre industrialmente esseri umani e commerciarli, e non farlo.

    Quante sono, quante potranno mai essere le maternità surrogate solidaristiche in rapporto alle maternità surrogate a pagamento?
    Sono maligno se penso che siano poche, molto poche?
    Che la sostanza e la realtà della maternità surrogata come pratica sociale nel mondo sia quella di una impresa industriale che segue i medesimi criteri e ha gli stessi obiettivi di profitto di tutte le altre imprese industriali?

    Il mio discorso lei lo definisce “iperbolico”. Sarà anche iperbolico, ma io trovo iperbolica soprattutto la malvagità e l’ipocrisia di questo commercio infame.

    Le centinaia di migliaia di coppie, omosessuali, eterosessuali, transessuali, extraterrestri, che per coronare il loro sogno d’amore ed esercitare il loro (inesistente) “diritto alla procreazione” sfruttano altri esseri umani, quale che sia il loro grado di povertà, bisogno e/o accecamento, utilizzandoli come fattrici salariate, alto o basso che sia quel salario; che commissionano i bambini come automobili, se li comprano e poi “li amano”, sono complici di una impresa non meno sciagurata e disumana dello schiavismo; e come un tempo gli schiavisti, si inventano mille giustificazioni ipocrite, mille opportunistici distinguo ai quali finiscono per credere anche loro, perchè pensare d’aver commesso un atto malvagio compromette la buona digestione, e ricordare d’essersi comprati i figli rischia di guastare le tombole natalizie e le festicciole di compleanno.

  271. Ares, lei ha bisogno di curarsi, io non ho parlato e certo non con lei di coppie omo, come si suol dire, le piace cantarsela e suonarsela da solo, prima immagina un’opinione dell’interlocutore e poi si risponde fingendo di rispondere a qualcun altro. Forse, dovrebbe provare ad astenersi dai blog, potrebbe esserle di giovamento. Magari ne parli col suo analista…

  272. Buffagni ma siamo tutti d’accordo con lei stia tranquillo: nessuno vuole un’industrializzazione della procreazione, anche se devo dirle che una forma di industrializzazione della procreazione è già in atto, e lei stesso è un suo prodotto, che è servito, fin che è servito, alla causa militare.

    Poi.. tutta questo essere contro alla procreazione surrogata da parte di un cattolico integralista come lei non me lo aspetto:
    dopotutto la Maria Vergine Immacolata non è mica una gestante surrogata; per gli scopi celesti va bene, per quelli terreni no? Suvvia Buffagni le chiedo sempre di più coerenza ideologica !!!

  273. Probabilmente è sotto una discussione dal titolo “Giustizia e letteratura” che sta bene questo commento. Ho appena saputo, per puro caso leggendo un intervento sul Primo Amore, della morte di Aldo Braibanti, avvenuta il 6 aprile. La risonanza minima, se non inesistente, data dai media italiani a questa notizia è lo specchio eloquente di questo paese disgustosamente omofobo, caciarone, intollerante e supervacuo.

  274. Caro Marchese,
    condivido il suo sdegno. Ho sentito Braibanti al telefono l’ultima volta qualche mese fa; ho parlato di lui e della sua vicenda a Roma domenica scorsa al Circolo Mario Mieli in occasione della presentazione de “La casa di via Palestro”, e proprio oggi pomeriggio a Milano al Milk. Avevo scritto della dimensione ormai storica del “caso” Braibanti in “Zamel” (Marcos y Marcos 2009) e sono contento che Aldo abbia potuto leggere quel libro. Ancora più grave, se possibile, mi appare la sorte del suo compagno Giovanni Sanfratello, svuotato d’ogni energia e volontà dagli elettroshock e dai coma insulinici a cui lo costrinse la sua cattolicissima famiglia per “guarirlo”.

  275. Già. Così siamo.
    Sanfratello è ancora vivo, che lei sappia? Braibanti ha dichiarato, in un’intervista se ben ricordo, che non ne ha avuto più notizie da allora …
    Cordiali saluti

  276. Mi chiedo perche LPLC non possa riprendere su un piano storico-critico tutta la penosa (per la “sinistra”) vicenda di Braibanti e approfondirla.

  277. Caro Marchese, qualcosina s’è letto, per fortuna. Sorseggiando un caffé al bar, ho appreso la notizia su un quotidiano non così marginale. Non un trafiletto, una pagina intera che spiegava dettagliatamente la mestissima vicenda. E’ servito, perché io personalmente la ignoravo.

    http://lastampa.it/2014/04/09/cultura/aldo-braibanti-il-suo-plagio-scandalizz-litalia-del-pJjdqrVIvnVQPts0ZrnoyL/pagina.html

    Non basta, certamente, ma non sarei sempre così spietato contro il nostro paese omofobo e caciarone. Qualcosa di buono c’è. Non dico solo per la notizia sul quotidiano.

    Pochi giorni dopo la mia lettura di quell’articolo, in classe si leggeva l’Iliade. Una mano alzata: “ma è vero che Patroclo non era solo un amico di Achille ma qualcosa di più”? Ormai è una specie di passaparola o leggenda metropolitana.
    “Ad esser precisi, nell’Iliade non si dice nulla di più del fatto che Patroclo era l’amico più caro di Achille, voi so già che vi immaginate il racconto di chissà che storia d’amore fra i due… Tuttavia in Grecia…” Mi metto a spiegare: l’omosessualità, la pederastia, la donna reclusa in casa, la conseguente segregazione sociale dei due sessi, la socialità maschile, l’amicizia, l’intimità, ecc… (l’ho buttata in sociologia, e senza particolari titoli per farlo, speriamo bene…, ma mi sembrava più materialisticamente soddisfacente della storia di Socrate e dell’educazione del giovane – insomma, una difesa alla Wilde – che ho sempre trovato un po’ troppo idealizzante e forse anche un po’ imbarazzata, un modo per girarci attorno). Alla fine della spiegazione un’altra domanda, non insinuante, anzi direi proprio stupita e ingenua (quest’anno ho studenti molto piccoli): “quindi i greci erano gay?” “Direi di più, bisessuali!”. Nessuna sghignazzata o battutine sceme. Certo, stupore e qualche fatica a comprendere alcune cose (direi soprattutto la pederastia), ma tutto sommato è andata bene.
    Cosa mi fa essere un po’ meno pessimista di lei? In primo luogo il fatto che i ragazzini abbiano accolto tutto con discreta naturalezza e apertura di mente, facendo molte domande sinceramente interessate e mai maliziose o sciocche, anche se lo sforzo di comprendere una cultura altra non è mai facile. In secondo luogo il fatto stesso che abbia potuto fare questa lezione senza nessun problema, voglio dire recriminazioni da parte di genitori o presidi. Se lo immagina, nel ’68?
    Anzi, proprio per scompaginare un po’ l’eccessiva naturalezza di molti (che evidentemente danno per scontato troppo, loro che si credono sulla vetta della Storia e dalla parte giusta della Geografia), abbiamo parlato del fatto che poter camminare ragazzi e ragazze insieme per strada è una cosa che non è sempre stata lecita, figurarsi tenersi per mano o baciarsi, tutte cose che oggi ci paiono così naturali (“oggi anche i gay possono farlo”. “Sei così sicuro che se vedessi due uomini camminare mano nella mano per strada la cosa passerebbe ai tuoi occhi inosservata come se fossero un uomo e una donna?”). Poi ho raccontato della vicenda di Braibanti, del legame atroce tra accusa di plagio, omosessualità, carcere, elettroshock (“cos’è l’elettroshock?”. Spiegazione. Ho letto nei visi incredulità e sgomento). “Accadeva in Italia, cinquant’anni fa, i vostri nonni erano giovani e i vostri genitori bambini”. Destino fortunato, che l’avessi letta proprio pochi giorni prima.

    Queste questioni non si risolvono – io penso – con la stizza, le accuse di idiozia e caciaronaggine, o, in altri casi, con le battaglie ideologiche (che di solito producono solo reazioni di difesa, imbecilli, lo so anch’io, ma quelle sono). Io vado sempre più rafforzandomi nell’idea che dobbiamo avere poche intenzioni (morali, civistiche o pedagogiche) e molta naturalezza. “I Greci omosessuali? Come no. Vi stupisce? Praticamente succedeva questo…”.
    (Poi lo so, io ero in classe e lei ha scritto su un blog, son due cose diverse, lo riconosco).

    Saluti.

  278. Caro Daniele,

    davvero un interessante intervento, su come la letteratura possa essere utilizzata per comprendere una cultura e mentalità del passato e confrontarla con quella presente. La mia impressione però è che nella nostra scuola, soprattutto nella letteratura, di fatto viene sottintesa una visione della cultura come “patrimonio trasmesso dalla tradizione occidentale” che include solo una piccola percentuale di quanto l’umanità ha prodotto nel corso dei secoli e che di fatto presuppone una specie di (ormai mitologica dal punto di vista storiografico) “staffetta” storicistica e unilineare dove lo scettro della “civiltà” (e di conseguenza, un’idea di “discendenza culturale”) viene passato dai greci ai romani all’europa cristiana medievale e poi moderna, (che in letteratura fino a poco tempo fa la si vedeva quasi esclusivamente dal punto di vista italiano) fino alla nostra civiltà occidentale. Insomma, è ancora presente una visione “identitaria”, ovvero “tracciamo per bene i confini tra noi e gli altri” o, in modo più edulcorato “prima di conoscere gli altri dobbiamo conoscere chi siamo noi e da dove veniamo” discorso che poteva benissimo andare bene al tempo De Sanctis in cui bisognava “fare gli italiani” ma adesso, in un periodo in cui i mutamenti sociali, tecnologici e culturali cambiano nel giro di una sola vita e dove culture diverse sono sempre più in contatto, questo discorso “identitario” non può più essere la guida linea per una didattica di letteratura. Per questo l’affermazione di Armellini che hai citato qui:

    http://www.laletteraturaenoi.it/index.php/scuola_e_noi/190-leggere-a-scuola-poeti-del-presente,-del-passato-prossimo-e-del-passato-remoto.html

    ovvero, “Un autore non vale un altro, nessuno è perfettamente sostituibile. Un ottimo scrittore di cose di scuola, insegnante, Armellini, ha suggerito una sorta di “Credo laico” di conoscenze, autori, da ricordare, per salvaguardare la continuità culturale che fonda le comunità”

    la trovo potenzialmente molto pericolosa in quanto questo “salvaguardare la continuità culturale che fonda le comunità” fa venire in mente un’idea di comunità avente una cultura immodificabile, pietrificata, che non si arricchisce mediante contatti interculturali ma semmai si sente minacciata da essi. Non voglio certo affermare che ogni richiamo a valori appartenenti al passato, greco, romano, cristiano medievale porti ad affermare visioni totalitarie ed intolleranti, tuttavia non si possono idealizzare le “radici” (o meglio solo alcune di esse) senza tenere conto che il “tronco” e “rami” hanno molto criticate queste ultime (per esempio la schiavitù e la condizione della donna nell’antica Grecia, così come l’intolleranza religiosa nell’Europa medievale, la pena di morte fino a tempi recenti e così via).

    Insomma, il problema di questa preoccupazione di “salvaguardare la continuità culturale che fonda le comunità” oltre al rischio di derive escludenti e intolleranti nei confronti delle culture “altre” (il che non vuol dire non criticare eventuali aspetti negativi di altre culture) è che per la scoperta di nuovi aspetti culturali e valoriali positivi si obbliga di utilizzare solo un materiale culturale che oltre ad essere “passato” è anche ristretto alla propria comunità, ignorando i ricchi spunti che si possono trovare anche nelle culture “altre” (e mi sembra sia il caso anche del discorso da te fatto dell’omosessualità, fermo restando che in culture “altre” come quella dell’antica Grecia concezioni sociali come quella di “persona costantemente attratta da altre dello stesso sesso” erano assenti, ma si potrebbero fare tanti altri esempi, si pensi alla visione in realtà risalente più meno all’Ottocento del matrimonio come libera scelta privata di due persone legate da sentimento d’amore romantico mentre le visioni del matrimonio come legame combinato tra famiglie a scopo di conseguenze sociali ed economiche positive come alleanze e discendenze erano altrettanto diffuse in passato e magari potrebbero far comprendere le reali radici della visione della Chiesa Cattolica attuale sulla famiglia).

    Insomma, vorrei proprio essere chiaro, secondo me questo enfasi di un “patrimonio culturale” da trasmettere non sto dicendo che qualcosa di negativo in assoluto e che l’alternativa di una didattica non trasmissiva ma basata sull’acquisire strumenti per poi imparare per tutta la vita sia un valore positivo in assoluto, semplicemente la didattica del “patrimonio culturale” aveva un valore positivo e producente in un periodo passato, quando la società e lo sviluppo di essa era di un certo tipo mentre in questo presente questa società, il suo sviluppo tecnologico e culturale e i rapporti con altre società e culture sono cambiati radicalmente (società molto più dinamica, novità culturali e tecnologiche che avvengono nell’arco di una sola vita, culture “altre” sempre più a contatto). Questo è un aspetto della nostra epoca con cui non possiamo evitarci di affrontare e non possiamo più dare soluzioni vecchie a problemi nuove in situazioni nuove.

  279. Caro Lo Vetere,
    La mia non è stizza, è indignazione (“indignation, la parola più bella della lingua inglese”).
    Credo che il suo cauto ottimismo pedagogico derivi dal contatto quotidiano coi ragazzi. Educare è un lavoro della speranza, la invidio.
    Riguardo a La Stampa, una rondine non fa primavera, sebbene faccia sperare.
    Se le capita, faccia vedere ai suoi studenti “Felice chi è diverso” di Gianni Amelio: apprezzeranno …

  280. Caro Michele, non aprirei però qui il dibattito sul canone e sul rapporto tra patrimonio umanistico e cultura tecnico-scientifica. Per quanto riguarda le identità e l’alterità, che un’identità italiana (scolastica) fondata sulla sola letteratura italiana sia oggi asfittica, d’accordo.
    Per il resto, non ci vedo nulla di male se uno l'”identità” propria la approfondisce con lo studio e l’esperienza. Peraltro, di solito se uno l’identità propria la approfondisce con interesse vero, ci scopre dentro tanta alterità, e abbiamo risolto il problema delle derive intolleranti che temi. Sono le identità fragili e superficiali quelle che di solito si irrigidiscono contro il Nemico.
    Io posso anche studiare solo greci e latini, ma invece di disporli sull’asse del Medesimo, farò la spola tra Medesimo e Altro. Es. “con le guerre persiane, o con la battaglia di Poitiers, si crea l’identità europea in antitesi con quella orientale o musulmana”, che diventerà “com’è che è successo che i Greci e i Franchi cominciassero a percepirsi come un’identità di fronte alla minaccia di un nemico? come si creano le identità?”, ecc…, insomma tematizzando esplicitamente il problema “identità”. Tra l’altro, ridimensionando notevolmente la portata sia della battaglia di Maratona che di quella di Poitiers, quest’ultima una scaramuccia, pare, e magari tematizzando anche il rapporto tra fatti storici e Grande Narrazione. Ma, direi, facendolo tranquillamente con la “nostra”, volendole anche un po’ di bene. Nella sua Storia della mia vita quel cosmopolita e italiano infranciosato di Casanova, di ritorno a Venezia si commuove davanti alla sua città natale “per quel pregiudizio umano di considerare migliore la propria patria”. Un pregiudizio, che però fa piangere.
    Peraltro posso anche far entrare a iosa tutte le culture altre nei programmi, e ridurle meccanicamente a un altro piuttosto pittoresco ed esotico, che spesso camuffa solo un identico medio e anodino (in questo ci soccorre la cultura di massa planetaria). Quanto era “esotico” il Cacciatore di aquiloni che commouoveva una delle mie migliori allieve 14enni di qualche anno fa…

  281. Caro Daniele,

    in effetti, senza divagare sulla questione del canone (tra parentesi, nel mio intervento di prima non mi sembra di aver citato la relazione tra scienze e umanesimo, se non nel far notare che i progressi tecnico-scientifici sempre più veloci impongono mutamenti didattici inevitabili), fermo restando che il rifiuto di un etnocentrismo intollerante non si realizza con un appiattente esposizione acritica di tutte le culture ritenendole a priori equivalenti nel loro sistema di cultura e valori, occorre comunque ammettere che non si possono comprendere le identità dei Greci e dei Franchi se non mediante il confronto con i Persiani e gli Arabi e soprattutto occorre sottolineare sempre di più che la propria identità per quanto sia qualcosa a cui istintivamente si vuole bene più delle altre è qualcosa di inevitabilmente mutevole, costruito, e inscindibile dai fattori ad essa esterni (con tanti saluti a ogni “Grande Narrazione”, avente al centro lo sviluppo e l’ascesa della propria “identità”, che sia una Chiesa, il proprio stato nazionale, la lotta di classe, la democrazia liberale attuale od ogni altra filosofia della storia teleologica che si possa concepire). Questo discorso peraltro dovrebbe essere applicato anche all’insegnamento della filosofia, ad esempio, non dico che si debbano studiare a scuola tutte le principali filosofie orientali, ma ad alcuni cenni alle tesi argomentate del buddhismo (che infatti è tutt’altro che una religione rivelata e dogmatica), per il loro valore dovrebbe essere dato uno spazio almeno pari a quelle dei grandi filosofi greci e moderni come Aristotele o Kant, ma certo è un tema vastissimo quello dell’interculturalità a scuola che meriterebbe approfondimenti in ciascun aspetto.

  282. Piccola nota: si accede alle identità altrui a partire dalla propria.
    Non si conoscerà mai una lingua straniera meglio della materna, non si amerà o odierà mai di più una cultura o una nazione di più della propria, non si avranno mai amici o nemici più intimi di chi ti è simile o prossimo, eccetera.
    First things first.

  283. Pistoia, Biblioteca Forteguerriana, 6 aprile 2014. Presentazione di “La casa di via Palestro (ed. Marcos y Marcos), conduce il dibattito Alessandra Repossi. Un buon aggiornamento delle tematiche esposte nel post. Buon ascolto!

  284. @ roberto buffagni:

    d’accordo con il fatto che possiamo conoscere le identità altrui solo a partendo dalle precomprensioni della propria identità (è uno degli aspetti fondamentali dell’ermeneutica), aggiungo comunque, che come disse Borges nel 1981 in un’intervista:

    “Non sono sicuro di esistere, in realtà. Io sono tutti gli scrittori che ho letto, tutta la gente che ho incontrato, tutte le donne che ho amato, tutte le città che ho visitato.”

  285. a Michele Dr,
    Certo. Sono anche tutte le preghiere che ho recitato, le bistecche che ho mangiato, e le fregature che ho preso.
    Appunto per questo, se fin dalla prima infanzia ti ficcano in testa che la tua lingua serve al massimo per chiacchierare con la mamma e gli amici,la tua nazione è composta da poveri scemi marginali, corrotti, superstiziosi e vigliacchi, la tua cultura museale e/o provinciale e/o fascista, mentre lingua nazione e cultura altrui sono sempre più ganze e verdi delle tue, cominci decisamente male, probabilmente ti identifichi con l’aggressore, lo scimmiotti, ci fai la figura del servo e del villan rifatto (lo sei), e non capendo un tubo di quel che sei capisci anche meno di quel che sono gli altri.

  286. ll riconoscimento dell’idoneità omogenitoriale da qualsiasi parte si giri la frittata è un aberrazione sia biologica che culturale. L’articolo poi è molto dotto ma tace proprio su cosa dovrebbe dire che cioè che la parola stessa matrimonio è formata dal genitivo singolare di mater (cioè madre) unito al suffisso –monium, ‘dovere, compito (quindi matris munio, rendere madre). Dunque l’etimologia di matrimonio, fa riferimento sin dall’ origine, alla finalità procreativa dell’unione. E da ciò si dovebbe partire, il resto sono chiacchere e fantasie.

  287. Ciò che conta in uno stato laico non è l’etimologia del termine che definisce il contratto di convivenza e reciproca assistenza stipulato tra due persone, ma la sua sostanza, il suo contenuto, i diritti e doveri che ne conseguono. Su questa linea si è mossa, negli ultimi 30 anni, la giurisprudenza delle nazioni civili.

  288. Per tornare al tema principale della discussione…

    Sono per la netta separazione tra etica ed estetica. Non è detto che una tesi in quanto ben presentata o ben poetata o ben cantata, sia anche vera. L’opinione degli artisti su questioni etiche vale quanto quella di qualsiasi cittadino, non è affatto illuminata, un bel sonetto o un bel dipinto non aggiungono nulla alla forza (o debolezza) etica di un pensiero. Facciamoci tutti un bagno di umiltà e ammettiamo che i poeti sono dei simpatici giullari dediti all’intrattenimento e nei migliori casi stimolano anche la riflessione, ma la ricerca della verità o della giustizia non è il loro mestiere; sono indispensabili alla società perché la bellezza è indispensabile alla società, e questo è il loro mestiere: rendere belle le verità e le falsità, le giustizie e le ingiustizie, a seconda dei punti di vista. Il buon critico letterario riesce a scindere il bello dal vero, e a occuparsi soltanto del primo, o del primo separatamente dal secondo.
    E’ già difficile per un filosofo indagare il vero, il giusto , figuriamoci per un poeta (pensiamo alle tesi razziste e schiaviste del citato Aristotele ad esempio, del quale oggi si ricordano le grandezze ma mai le piccolezze che pure c’erano nel suo pensiero, così come di Petrarca ricordiamo i bei versi ma non i versi scadenti che pure ha scritto specialmente in latino). E’ già difficile per un poeta scrivere bei testi, gradevoli, degni di nota. Come essere umano (e forse anche come intellettuale) l’artista ha tutto il diritto di esprimere le sue idee-riflessioni filosofiche/religiose, ma ricordiamoci sempre che non è il suo mestiere. La verità/giustizia è una cosa seria, non può essere liquidata in qualche verso e una canzonetta. Almeno io la penso così. Un saluto.

  289. Caro Gabriele, ricambio cordialmente il saluto. Quanto alla sostanza delle sua riflessione sono in completo disaccordo. Per argomentare tale disaccordo non posso che rimandarla al post da cui questo lungo thread prese le mosse. In particolare ai punti 7 e 8.

  290. Gentile Franco Buffoni, senz’altro la preferisco come poeta che come saggista/opinionista, e questo mi conferma l’idea di cui sopra.
    Ho da poco finito il suo ultimo libri Jucci che è veramente bello, versi raffinati, riflessivi; letto dopo gli Amoretti di Spenser (capolavoro, come lei sa da esperto di poesia inglese) e devo dire il suo non ha sfigurato rispetto al maestro del Rinascimento inglese.
    Perciò oggi mi ha già regalato un’ora di alta lettura… e diciamo che voglio ricordarla nella sua abilità migliore, quella poetica. Buone feste.

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