di Rino Genovese

[Questo articolo è uscito su «Il ponte»].

Sono radicalmente contrario alle primarie. E provo a spiegare perché. Anzitutto, come nascono le primarie in Italia? Le volle Romano Prodi, che non aveva alcun partito alle spalle e, in quei tempi che sembrano ormai lontani, guidava una variegata coalizione di centrosinistra in chiave antiberlusconiana. Come spesso accade per le cose italiane, erano una merce d’importazione dagli Stati Uniti. Laggiù sono una cosa relativamente seria (per esempio ci s’iscrive alle liste elettorali un annetto prima), e la più tipica espressione di un presidenzialismo da sempre molto personalizzato, organizzato attorno a due grandi partiti che in realtà, più che partiti politici nel senso europeo, sono dei giganteschi comitati elettorali. Contro il berlusconismo politico-televisivo e il suo plebiscitarismo senza plebisciti (basato sulla macchina della propaganda, sull’uso dei sondaggi che anticipavano costantemente il risultato elettorale trionfalistico, ecc.), parve a Prodi che la sua figura di tecnico o intellettuale prestato alla politica, e di leader di una coalizione virtualmente rissosa (come poi si ebbe modo di vedere), avesse bisogno di un di più d’investitura popolare, che gli consentisse di non ripetere la brutta esperienza che gli accordi e i disaccordi tra le segreterie di partito gli avevano riservato nel 1998, ai tempi del suo primo governo. Di pari passo, Prodi spinse moltissimo verso la costituzione di un partito di centrosinistra, il Pd, che avrebbe dovuto essere il suo partito nato dalla fusione della parte maggioritaria della sinistra erede del vecchio Pci con quella frangia centrista o popolare di sinistra, che era un pezzo del mondo cattolico-sociale interno alla vecchia Dc.

Come sappiamo, le cose andarono molto diversamente da come Prodi aveva immaginato: al punto che oggi egli non è più nulla nel partito che pure aveva voluto, e finanche il suo messia, Arturo Parisi, è praticamente scomparso dalla scena. Che cosa c’era di sbagliato in quella prospettiva? A ben vedere, un po’ tutto. I partiti non sono pezzi da costruzione di un patchwork che darebbe come risultato proprio il partito desiderato. I “capi” o i notabili della politica precedente (che, nel caso di Prodi, andavano dai Marini ai Rutelli, dai D’Alema ai Veltroni) non lasciano il campo facilmente all’intelligenza di un pensiero ingegneristico (Prodi ebbe a definirsi una volta un professore in “scienza delle coalizioni politiche”, o qualcosa del genere), e neppure gli alleati esterni (della sinistra narcisistica come Bertinotti, o del centro clientelare come Mastella) si lasciano guidare a piacimento solo perché c’è stata un’investitura popolare sul leader della coalizione.

Lo strano risultato di tutto il confuso processo che, negli anni – bisogna dirlo -, ha dato oggettivamente una mano al berlusconismo vincente, è l’ircocervo, come l’avrebbe chiamato Croce, che abbiamo davanti agli occhi: un aggregato di sensibilità politiche e personalità diverse, il Pd appunto, che forse solo la pazienza della segreteria Bersani – di ciò gli va dato atto – ha salvato finora dalla scissione o dalla dissoluzione.

Ora, questo singolare partito, nato da una “fusione a freddo” (come fu anche definita), è oggi l’unico partito bene o male organizzato presente sul territorio italiano. Ciò può apparire del tutto stravagante – ma la politica, in Italia, ci ha abituato a così tante stravaganze che stupirsene non serve. Le classi dominanti del nostro paese (uso a bella posta questa espressione sommaria e piuttosto desueta, per brevità, e anche con una piccola dose di provocazione) sono state storicamente organizzate per consorterie, per clan, per lobbies (ma il termine è già troppo moderno), non per partiti politici. Un partito liberale italiano lo avete mai visto? Sì, c’erano i liberali, prima del fascismo, ma non organizzati in partito (e avete visto poi il bel pasticcio che combinarono); ai tempi della mia fanciullezza, un certo Giovanni Malagodi dirigeva un partitello liberal-conservatore, che si oppose al centrosinistra di allora e progressivamente si esaurì. No: con l’eccezione proprio del fascismo, le classi dominanti non hanno mai avuto un loro partito politico: e anche quello fascista, alla fine, che seccatura, con quel vecchio capopopolo socialista che metteva becco dovunque! Quando si è trattato di affrontare il periodo repubblicano, con i suoi scioperi, i suoi movimenti di piazza, e purtroppo le necessarie “riforme”, ci si è affidati alla Dc, al “gioco” delle sue correnti mostrato sadicamente da Leonardo Sciascia in Todo modo (e resta famoso, negli anni sessanta, il tentato o minacciato colpo di stato in chiave antisocialista, e anti-sinistra democristiana, messo a punto dal presidente della repubblica di allora, il democristiano Segni, esponente della destra conservatrice). Ma un partito politico vero e proprio, Dio ce ne liberi! Meglio qualche mazzetta a Craxi, la distruzione del più antico partito italiano, il Psi, e poi – perché no? – il neopopulismo televisivo, che idea! una trovata fantastica, da prolungato autoapplauso petroliniano.

È in questa situazione di storica scombinatezza che cala l’invenzione del Pd. Di un partito che dovrebbe rappresentare le passioni e gli interessi di una generica “parte migliore” del paese, quella che vuole una politica decente, di un centrosinistra moderatamente riformista, e soprattutto non ne può più delle nuove forme carismatiche plebiscitarie, nutrite di promesse mirabolanti, di protervia, e di sostanziale immobilismo. Questa “parte migliore” vuole partecipare? Le primarie sono fatte per questo. In qualsiasi passaggio elettorale, ovunque sia possibile, si scelgono direttamente i candidati. A Milano come a Napoli. Solo che a Milano esce fuori un’ottima persona come Pisapia, ma a Napoli – dove, si sa, sono sporchi e cattivi – un pasticcio che dev’essere in fretta annullato.

Le primarie sono una roulette. Certo, con le ultime modifiche procedurali, grazie all’introduzione del doppio turno per esempio, lo sono un po’ meno: ma resta il fatto che sono state pensate per un partito non caratterizzato ideologicamente, democratico in senso generico, che deve di continuo rilegittimare se stesso, e le proprie lotte interne (anche semplicemente tra gli “ego”), con quel di più d’investitura di cui già Prodi era alla ricerca.

Un personaggino come Renzi, per dire, l’allievo di Mike Bongiorno che sembra uscito da una scatola con un meccanismo a molla, è in effetti un prodotto delle primarie. Le primarie sono perfette per simili personaggini. Senza la divisione tra il candidato veltroniano e quello dalemiano, che si elisero a vicenda nelle primarie fiorentine per l’elezione del sindaco, oggi Renzi non esisterebbe. E ancora le primarie lo vedono in finale, la volta successiva, addirittura per la leadership nazionale. Chiunque può. Le primarie possono determinare il successo di chiunque. Sono in se stesse – per la maniera in cui sono state concepite in Italia – una “risposta” al berlusconismo che, in fondo, è una prosecuzione del berlusconismo con altri mezzi.

Spiace quindi che uno come Vendola si sia consumato nel tentativo d’inseguirle. Aggiunge stranezza a stranezza il fatto che il leader di un raggruppamento di sinistra che vuole  allearsi con il partito maggiore di centrosinistra, grande quattro o cinque volte più di lui, voglia assumere la leadership della coalizione. Come sarebbe? Se vuoi essere il capo dell’alleanza, diventare il presidente del consiglio e così via, allora entri in quel partito e fai tutta la trafila interna: però questo allora vorrebbe dire che, almeno all’ingrosso, ne condividi la linea. Se invece quella linea non la condividi, se trovi quel partito un po’ troppo a destra, se il governo Monti non ti va giù e al massimo lo sopporti per carità di patria, beh, allora nulla vieta che tu proponga un patto tra il tuo raggruppamento e il partito in questione, ma non puoi presentarti alle primarie che sono il “rito fondativo” di quel partito: perché, se anche vincessi, che cosa vinceresti? avresti soltanto aumentato il casino.

Meglio, molto meglio, avrebbe fatto Vendola in questi anni a costruire il suo partito: in primo luogo cambiandone il nome, perché quello attuale è un piccolo elenco di cose anche giuste ma che non trovano l’indicazione di una sintesi; poi muovendo tutte le pedine disponibili sul territorio nel senso della partecipazione democratica effettiva, quella a partire dalle “sezioni” e dai circoli; ancora, sviluppando una “cittadinanza attiva” in rete che potesse tenere il confronto con l’uso neoqualunquistico che ne fa Grillo; e infine alleandosi, sì, con il centrosinistra, ma cercando di allargare il suo raggruppamento in direzione dei movimenti, così da anticipare le mosse di una sinistra puramente sociale che ora dichiara di presentare liste elettorali “fai da te” con la quasi certa dispersione dei voti.

Per concludere, da tutte le prospettive da cui le si guardi, le primarie appaiono qualcosa che sarebbe stato meglio non fare, e che sarebbe meglio abolire. Accordi chiaramente di vertice, tra i gruppi politici, sono preferibili a una partecipazione democratica contraffatta. Che cosa si sceglie in realtà con le primarie? Che Bersani fosse il favorito, lo si sapeva già. Che Renzi, sempre che non avesse vinto proprio lui, aveva già vinto per il semplice clamore intorno alla sua persona, era altrettanto noto. Che il centrosinistra, comunque vada, sia costretto dalla situazione economica, da un’Europa che è quella che è, persino dai rapporti di forza, ad avere una politica grosso modo montiana (ammesso che non sia lo stesso Monti a proseguirla), lo si sa già.

Le primarie sono il rito vuoto di un centrosinistra, purtroppo anche di una sinistra, che ha perso se stessa nel corso degli anni, cioè la propria “ragione sociale”, e si aggrappa alla personalizzazione e all’investitura popolare come a una zattera.

[Immagine: Dibattito fra i candidati alle primarie del centrosinistra, Sky TG24, 11 novembre 2012 (gm)].

19 thoughts on “Contro le primarie

  1. Mai votato alle primarie, mi hanno sempre annoiato. Stavolta sono andato solo per fermare il bamboccione Renzi e garantire che un’eventuale coalizione vincente di centro-sinistra sia guidata da Palazzo Chigi dal naturale pretendente, cioè il segretario del partito più grande della coalizione, che pur non voterò.
    La denuncia di Genovese dell’assurdità di un meccanismo che vuole dare investitura popolare a aggregati di partiti e consorterie che seguono altre logiche è assolutamente condivisibile. Se il Pd vuole rappresentare la parte migliore e sana del paese dovrebbe adottare una strategia sana: fare in modo che i meccanismi di selezione della sua classe dirigente siano il più possibile trasparenti e aperti, ma dentro la logica dell’esperienza maturata sul territorio e nelle sezioni e del passaggio attraverso il confronto e lo scontro tra mozioni diverse ai congressi. Se tutto ciò funziona abbastanza bene, io mi fido del segretario eletto e mi va bene pure come Presidente del Consiglio.
    Ho visto poco meno di metà dello spettacolo indecente delle primarie su Sky. Mi è parsa solo un’ulteriore compressione degli spazi di pensiero e di parola. Meglio un talk show, a questo punto. In quelli più pacati ma anche negli intervalla insaniae di quelli urlati, qualche sprazzo di argomentazione e di ragionamento appare. Infatti Renzi è stato il più efficace, visto che (politicamente) non pensa e parla solo per slogan.

  2. Anch’io sono contrario alle primarie (ma mooolto dall’esterno, rifiutandole), sia per le ragioni esplicitate dal post, sia perché la loro nullità riflette anche la nullità sostanziale, di fondo, delle differenze tra i programmi politici dei candidati, tutti firmatari di una dichiarazione preliminare in cui ciascuno si è impegnato a sostenere gli atti di governo ispirati al rispetto pedissequo dei Trattati europei (con in primis la difesa a prescindere della moneta unica). Cmq., mi pare di vedere che anche l’interesse dei cittadini veso le primarie si stia smorzando, dato che, rispetto a quelle di coalizione di Prodi del 2005, sono andati a votare un milione e duecentomila cittadini in meno. Se, a mio avviso, le primarie hanno valore praticamente nullo riguardo alle differenze politiche “strutturali” tra i programmi dei candidati, hanno invece un grosso valore politico interno al Pd, dove si organizzano e si misurano le forze politiche (o correnti) in vista di riscuotere il benefit in termini di redistribuzione di incarichi governativi qualora il candidato Pd vincente alle primarie risulti anche vincitore alle prossime elezioni politiche. Ossia la storia di sempre: io valgo tanti punti in percentuale e voglio tot seggi in Parlamento e tot incarichi istituzionali. Qui dalle mie parti quelli che tra le figure politiche note si sono schierati con Renzi sono coloro che vedevano la loro seggiola istituzionale scricchiolare nell’attuale assetto politico del Pd, mentre i soliti dinosauri (vecchi e giovani) si sono mobilitati per Bersani. Insomma, tutto fumo mediatico e niente arrosto politico, semmai la nomenklatura del Pd ha sfruttato l’occasione per calamitare l’interesse dei cittadini verso il Pd (il cui “gradimento” popolare è ai minimi storici), mobilitando poi alla bulgara la propria struttura partitica per appoggiare Bersani

  3. E’ una strana analisi. A proposito dell’assenza di partiti politici in Italia. E il PCI dove lo metteresti? magari non rappresentava la “classe dominante”, però dominava parecchio (amministrazioni regionali, locali, più il potere, altrettanto reale di quello democristiano, di cui parlava Moro in un articolo del marzo 1978), ed era parecchio “partito”, altro che. E’ dal PCI che viene giù Bersani, e il riferimento letterario pertinente mi sembra più Il contesto di Sciascia, che Todo modo. Poi nelle primarie contano molto media e denaro, è soprattutto un’iniziativa di autofinanziamento e di esposizione mediatica.

  4. È un’analisi che dice certe cose e ne suggerisce altre, sia per brevità sia nel tentativo di attirare l’attenzione del lettore, che dovrebbe ricostruire da sé certi passaggi impliciti. Evidente, spero, una mia simpatia per la tanto vituperata forma partito. L’anello mancante – ma in fondo chiaro, mi sembra – è quello tra la disaffezione, oggi del tutto manifesta, dei gruppi di potere italiani per la politica dei partiti, e la costituzione del Pd, che un po’ è ancora veramente un partito e un po’ non lo è (specie quando si affida a forme di “direttismo” come le primarie), proprio per l’influsso di quelle “classi dominanti” di cui si parla nel pezzo. Le stesse che prima hanno fatto a pezzi il Psi, e poi – anche grazie al loro appoggio al berlusconismo – hanno indirettamente spinto gli eredi del Pci a “berlusconizzarsi”, in una certa maniera.
    Sul riferimento a Sciascia, mi pare che “Todo modo” sia quello giusto: c’è anche un film di Petri tratto dal libro, che consiglio.

  5. In effetti…adesso io che ho votato Vendola non saprei proprio chi scegliere fra Bersani e Renzi. Non m’interessa scegliere fra questi due. E sono d’accordo che Vendola avrebbe dovuto promuovere di più la rete di opposizione civile che c’è e si fa sentire sempre più forte in movimenti come quello per l’uso comune, di Alba di Ugo Mattei. Non si può far tanto clamore in periodo preelettorale e chiudere la sede subito dopo! Personalmente mi piace anche il percorso di Laura Puppato, anch’ella del tutto estranea alle logiche dei due contendenti rimasti, anche se, anche se la carta d’intenti firmata è valida per tutto il centro sinistra quindi da questo punto di vista è un errore non scegliere..mi sa che si deve farlo!

  6. Sì, d’accordo, condivido il giudizio negativo sulle primarie, ma ciò non mi permette egualmente di condividere l’articolo.
    Innazitutto, non capisco la critica alle primarie di coalizione, anzi in verità le uniche primarie che possano avere senso in Italia potrebbero essere soltanto quelle di coalizione. Infatti, come può un partito che abbia suoi organismi dirigenti e tenga periodicamente i propri congressi stabilire attraverso le primarie chi debba candidarsi a premier? Con tutta evidenza, al congresso (ed agli organi dirigenti che esso elegge) come massima istanza del partito non può essere sottratto il privilegio di definire a chi tocchi guidare il governo in caso di vittoria elettorale.
    La critica a vendola è del tutto lecita, ma in verità è la stessa esistenza delle coalizioni che andrebbe criticata, indipendentemente dal fatto che si celebrino o no primarie di coalizione. E’ il modello elettorale che non va, secondo una logica tutta italiana che quando ha voluto spostarsi dal modello proporzionale ha avuto paura di abbracciare un sistema di tipo maggioritario, e così è andata verso una soluzione a metà strada di tipo bipolare. Ora, se la legge fino ad oggi vigente, prevede che ogni coalizione indichi un candidato premier fino a scriverlo sulla scheda, non è proprio a livello di coalizione che possa avere un senso esprimerlo? Trovo alquanto strano spostare il problema dal modello elettorale al fatto che ne consegua la celebrazione di primarie di coalizione. Poi, naturalmente rim ane il fatto che le primarie vengono trapiantate senza badare alle differenze tra gli USA e noi.
    In ogni caso, riguardo a Vendola il punto è ancora una volta politico, e cioè come condividere una politica partendo da posizioni così distanti. Ma, a questo punto, uno potrebbe chiedersi come possano partiti che per più di un anno hanno appoggiato lo stesso governo, riscoprire improvvisamente di essere alternativi, ma stavolta la colpa va attribuita prevalentemente a Napolitano.
    Alla fine, nel casino in cui l’operazione Napolitano-Monti ha fatto piombare l’Italia, sembra perfino marginale il demerito che possiamo attribuire alle primarie, se manca la politica, è inevitabile che questa venga sostituita da una specie di circo in cui atleti di ogni tipo garreggino a chi sa compiere l’esercizio più spettacolare.

  7. E’ da molto tempo che rifletto sul punto. Le primarie sono per lo più canalizzate dai media, che , in un certo qual senso, preparano il terreno di battaglia. A cosa, pero? Allo scontro televisivo, agli articolo da prima pagina. Sembra davvero la vittoria del One-man-show. Si mostrano i muscoli, si gonfiano i pettorali, e per fortuna girano qui pochi parrucchini. Ma, va detto, che la politica è qualche cosa a lunga gittata, non da sprinter dell’ultimo minuto. La selzione della nuova calssa dirigente può anche passare per le primarie, purchè i candidati che arrivano siano il frutto di un lavoro precedente dietro le quinte, di spessore.

    L’obiezione di fondo a questo ragionamento è la partecipazione del cittadino al sociale, alle regole, alle scelte di vita politica. Il trend in dimunzione per l’affluenza a queste primarie del 2012 può essere letto come un disamore generalizzato verso la politica, piuttosto che per questo metodo di processo selettivo della classe dirigente. Crisi econimica e risvolti penali che hanno lambito vari settorei della politica hanno inciso notevolmente su questa delicata fase di transizione. Va detto però che la sinsitra sta in questo torpore transizionale da troppo tempo. Ci vorrebbe una maggiore identità partitica con valori seri. Quella da bandiera, che trascinano l’anima, il sogno, la speranza. (I have a dream…)

    L’esito, cioè il modello prescelto, quello delle primarie apicali, d’altro canto, non rappresenta un modello chiarmente distintivo. Ormai tutti tendono a copiarlo. E sono soldi, dentro un meccanismo che esalta solo gli slogan, che potrebbero essere messi in bocca a chiunque con un grado medio di intelligenza: rappresentano poco o niente. Fare primarie è comunque fare propaganda, fare regolamenti di conti interni. Però, c’è un però: il Berlusca è riuscito a venire un’altra volta fuori esautorando il suo delfino. Davanti agli occhi degli affectionados del PDL. Una verità scomoda uscita per vie traverse.

  8. Perdonate se ho premuto il tasto di ‘commenta articolo’ senza volerlo con qualche errore di troppo. . .ma il telefono ribolliva!

  9. Io vivo io Toscana e tra famigliari, parenti, amici e conoscenti siamo qualche decina di persone che in passato ha sempre votato PD o Sel o altri partiti di sinistra e che ha partecipato alle precedenti primarie. Questa volta di noi ne sono andati non più di tre o quattro, per varie motivazioni che qui non sto a spiegare. Non aggiungo altro, non credo che costituiamo un campione attendibile scientificamente, ma qualche domanda ce la siamo posta, ad esempio cosa ci facevano in fila nella nostra città, tante persone che conoscevamo come simpatizzanti del centrodestra.

  10. Caro Rino,
    direi che questa volta non sono d’accordo su niente.
    Intanto, tolto il caso di Napoli, le primarie hanno sempre permesso di dare una scossa sia alle liturgie e rigidità dei partiti, sia agli accordi puramente strategici, al ribasso. Senza le primarie, a Milano avremmo avuto accordi al ribasso, e una nuova sinistra non avrebbe avuto la possibilità di vincere.
    Poi, le primarie nazionali, di coalizione, hanno avuto in effetti l’origine ricordata. Ma hanno in questa origine una legittimazione che torna anche adesso: le primarie servono a superare l’incapacità dei partiti di fare la sintesi politica, nonché la loro crisi di rappresentatività. Dico dei partiti in quanto organizzazioni. Nessuno si illude più che i congressi siano forme reali di legittimazione democratica. Il PD ha un limite pesantissimo: l’apparato, la cooptazione chiusa, interna, che non seleziona i migliori. Certo, questo è un male. Ma in un momento di crisi della democrazia, di cui questo è un aspetto, le primarie sono un mezzo per scuotere queste rigidità.
    Inoltre sono un mezzo per trovare nuovi canali di legittimazione: questa crisi delle grandi organizzazioni rappresentative (partiti e sindacati) è endemica, e collegata probabilmente alla fine di un certo tipo di militanza politica, quella del lavoro quotidiano nelle sezioni o negli attivi sindacali. Basta frequentare cose di questo genere per vedere quanto è profonda la crisi. Allora le primarie possono essere un nuovo canale di legittimazione delle scelte politiche. Ovviamente, devono essere regolate con serietà, cosa che è mancata a lungo e ora si inizia a fare; e devono essere accompagnate da altre forme di partecipazione più regolare, che però vanno ancora trovate. Caro Rino, sono queste le ragioni che spiegano perché le ha adottate anche il PS francese.
    Poi, il PD. Trovo incomprensibile, al di là della valutazione sulle scelte politiche, questo sparare continuamente sull’unico partito politico che, al di là delle previsioni di tutte le menti raffinate, continua a durare come partito. Io credo che qualsiasi elettore di sinistra, anche se più orientato verso Vendola, debba avere come ambizione di riuscire a vincere le elezioni e realizzare una politica un po’ migliore di quella vista finora. Se si pensa di farlo auspicandosi la fine del PD, la cosa mi sembra piuttosto irreale.
    Infine, un’ultima cosa: la gente ha voglia di partecipare, di fare qualcosa, di contribuire, di dare un segnale “semantico”, che vada oltre l’asemantica protesta del non voto. Questo spiega il successo delle primarie così come il successo del Movimento 5 Stelle: sono spazi offerti alla vera partecipazione politica. Trovo stucchevole questo atteggiamento intellettuale, dominante tra l’altro nei commenti a questo post, di snobismo nei confronti di questa esigenza e della voglia di partecipare. Pensiamo piuttosto a come organizzare meglio queste cose, a come inserirle in un progetto politico serio, ma evitiamo questo sterile piagnisteo di intellettuali disoccupati alla finestra.
    mp

  11. Le primarie sono una stampella per la claudicante legittimazione del nostro ceto politico.
    Dopo il – 50% alle elezioni siciliane, ci voleva proprio una bella “festa della democrazia” e della partecipazione popolare.

    Poi, certo, il popolo partecipa all’espropriazione dei propri poteri, ma come diceva il barone de Coubertin, l’importante è partecipare, anche se vince Monti (il quale non gareggia perchè lui, invece, non può perdere e non può chiedere mai).
    Cara Italia! Qualcuno dice che has a dream. Io invece ho un nightmare…

  12. Per Cucinotta.
    Ho parlato delle primarie in generale, non solo di quelle di coalizione. La critica a Vendola sta nell’avere troppo insistito sulle primarie, e nel non avere, invece, costruito il partito sul territorio e anche sul web, in chiave anti-Grillo. I sistemi elettorali non li ho proprio chiamati in causa. Ma è chiaro che quello attuale è ricalcato sul berlusconismo, sulla personalizzazione della politica, etc., ed è il peggiore possibile. Certo, anche questo elemento incide sul fare o non fare le primarie. Mi pare però che il problema del Pd, la sua mancanza di identità politica a cui cerca di reagire con investiture elettorali semipopulistiche, scontando poi l’emersione di personaggini come Renzi, vada al di là del sistema elettorale.

    Per Piras.
    Vuoi essere un po’ ottimista sull’esito del rinnovamento attraverso strumenti come questi? Bene, altrettanto potresti essere un po’ pessimista. Quello che ha scritto Sagna, qua sopra, mi trova del tutto d’accordo. Non si può surrogare una militanza che non c’è più con forme di partecipazione distorta. Alcune settimane fa ho sentito a Bologna un dirigente locale del Pd sostenere che c’è bisogno di un modo di partecipazione anche per chi ha da spendere solo dieci minuti per la politica (le primarie, quindi). Ma chi ha da spendere solo dieci minuti ha già uno strumento: votare alle elezioni per il parlamento. Il fatto che i partiti siano diventati macchine burocratiche, con lotte interne di apparato e simili, risale ai tempi della nascita del partito politico in quanto tale. La soluzione starebbe nell’allargare la democrazia alla base, non nel vedere in tv dibattiti sul niente e poi andare a (non) scegliere alle primarie. Infine, che il partito socialista francese abbia adottato una soluzione simile a quella italiana per cavarsi d’impaccio dalla lotta degli “ego”, è vero: ma intanto non sarebbe stata possibile, in Francia, proprio perché il partito un’identità ce l’ha, l’emersione di un Renzi; e poi il sistema elettorale francese davvero impone un candidato unico alla presidenza della repubblica. In Italia invece, fino a prova contraria, c’è una repubblica parlamentare. Non scordiamocelo.

  13. Caro Mauro,
    sono d’accordo quando ti scagli contro lo “sterile piagnisteo di intellettuali disoccupati alla finestra”: non si va da nessuna parte se si continua su quella strada, lasciando da parte il fatto – altrettanto se non più importante – che esiste per di più una certa inerzia, secondo me, da parte di tutta la società, inerzia che porta in generale ad atteggiamenti di passiva rassegnazione, salvo poi esplodere in generiche e rabbiose proteste – non vorrei usare l’aggettivo “qualunquistiche” -, intercettate da movimenti e parapartiti di non ben chiara collocazione. Figuriamoci dunque se ci si mettono anche gli intellettuali!
    Per il resto invece dissento. Crisi di delegittimazione: e le primarie sarebbero la risposta? Io penso (come te) che la politica sia una cosa seria, che richiede – weberianamente – dei professionisti, e non dei guitti da prima serata sui vari talk show straccia cervelli, variamente assortiti su tutti i canali televisivi. Questi professionisti si devono formare nei partiti e non nella società civile, come è sempre stato sino a quando si è affermato – da trent’anni a questa parte – il paradigma economicista per cui devono essere altri tipi di tecnici – che se vogliamo anche i politici di professione sono dei tecnici – a preoccuparsi dei problemi di quella stessa società, guarda caso con una tendenza sempre vigile a lenire i mal di pancia del capitale a discapito del lavoro. Quindi non sono d’accordo sull’idea per cui si deve semplicemente prendere atto che “questa crisi delle grandi organizzazioni rappresentative (partiti e sindacati) è endemica, e collegata probabilmente alla fine di un certo tipo di militanza politica, quella del lavoro quotidiano nelle sezioni o negli attivi sindacali”, e che “[n]essuno si illude più che i congressi siano forme reali di legittimazione democratica”. Mi domando solo: chi lo ha detto? Se mai l’illusione è quella per la quale una certa forma di partecipazione popolare sia il modo giusto di selezionare la classe politica.
    Che fare? Questo: è proprio all’interno dei partiti che devono essere selezionati coloro i quali dovranno assumere cariche e avere investiture di primo piano, senza andare a chiedere “il permesso” al di fuori di essi. Bisogna recuperare, secondo me, la forma partito con tutte le sua articolazioni – utilizzando ovviamente anche i nuovi strumenti comunicativi -, anche perché è l’unica che può permettere l’elaborazione di una linea politica chiara da proporre per la competizione elettorale. Bisogna far ritornare la gente “dentro” i partiti, smettendola con questo atteggiamento di meri spettatori che devono solo premere il bottone del televoto, o, peggio, di meri consumatori di slogan e proclami più o meno semplicistici – mi ricordo che una volta c’era almeno un tentativo di elaborazione e di ragionamento politico anche al livello delle sezioni e delle cellule di partito.
    Non affronto – perché lo do per scontato in un consesso di persone intelligenti – l’aspetto etico di questa selezione, anche perché sta diventando, un po’ fastidiosamente, l’unico tasto su cui batte ipocritamente la cosiddetta antipolitica e l’ignavia – oltreché l’insipienza – coltivata da molti dei nostri concittadini.
    Puro velleitarismo? Forse, ma secondo me non c’è altra strada per non perdersi nella grande notte delle idee dove tutti i gatti sono bigi.
    E qui veniamo al PD, che tu lamenti essere l’unico bersaglio politico “che, al di là delle previsioni di tutte le menti raffinate, continua a durare come partito”. Bene. Perché allora non fa il partito ed elabora una politica chiara su cosa vuole fare di concreto, senza ondeggiamenti che non vogliono scontentare nessuno tra capitale e lavoro, tra clericalismo e ossequiosità verso la chiesa cattolica e laicità convinta, tra sindacato (quello vero) e padronato? Perché “così non si vince”? Però così non si fa davvero niente e si aumenta il senso di frustrazione, soprattutto a sinistra. Questo è ciò che non mi convince del PD e del suo progetto. Certo, ci possono essere mille “se” e “ma” a questo mio ragionamento forse un po’ troppo lineare – i vincoli europei, la presa d’atto della forma (forse) irreversibile presa dalla globalizzazione, il fatto che la società italiana è tendenzialmente conservatrice (se non peggio), eccetera, eccetera, eccetera…
    Allora che si fa? Si accetta come ineluttabile il relativo immobilismo politico – quando nella società gli avversari della sinistra sono tutt’altro che immobili -, o si spera che il riformismo dei piccoli passi – appunto del tipo “non disturbiamo troppo i manovratori” – ci possa per lo meno regalare qualche piccolo sollievo se mai ce ne sarà uno? Magari sarà un mio limite dovuto alla poca informazione, ma non mi sembra che il PD stia dando delle risposte convincenti – e se per questo neanche molte ne danno le sinistre più antagoniste.

  14. Caro @Mauro, io continuo a sperare che la crisi di legittimazione dei partiti e l’assenza di basi e militanti possa in un futuro non troppo lontano essere sostituita da una nuova legittimazione e da una rinnovata partecipazione. Certo, in forme diverse dal passato. Anche io non credo che le sedi dei partiti torneranno ad essere quello che erano, ma esistono forme di partecipazione differenti che possono egregiamente sostituire quel vecchio modo di far politica. Proprio il M5S da te citato è riuscito a fare qualcosa di simile: far partecipare, discutere i programmi, fare proposte (taccio del dirigismo di Grillo e del suo guru-ombra).
    Ai partiti dovrebbe spettare poi il compito di dialogare con queste proposte e farle proprie. Ovviamente: in forme sostanziali e non simulate. Proprio perché credo in questa funzione di mediazione dei partiti neanche io mi auguro la fine del Pd, che pur non voto. Tutto questo equivarrebbe ad avere sedi dei partiti piene e discussioni democratiche, che, non vedo perché no, dovrebbero anche sfociare in congressi.
    Per me le primarie restano un orrore: quando si limitavano a controfirmare l’investitura del leader già investito erano perfettamente inutili (e un poco ridicole), ora io ho visto solo litigi costanti sulle regole, boutade, slogan, semplificazione della discussione, tutto celebrato nella plasticosa liturgia su Sky.
    Perdonami, ma quella non è politica: non c’è più pensiero, parole, argomenti, intelligenza. Che il possibile futuro Presidente del Consiglio possa essere scelto perché ha scelto l’adatto pendant tra cravatta e camicia e ha la favella adusa a parlar per spot, lo trovo detestabile. Sarò un intellettuale piagnucolone, ma la mia (ampia) disponibilità ad accettare i compromessi del mondo ha comunque un limite.

  15. (Volevo scriverlo ieri, poi l’ho dimenticato. Lo aggiungo ora perché casca a fagiolo).
    Le primarie con dibattito televisivo sono anche un’ulteriore espropriazione delle funzioni della politica da parte della tecnica: per parlare efficacemente in quel contesto non bisogna possedere la buona vecchia ars oratoria, da sempre appannaggio dei politici, nei suoi risvolti positivi e negativi, ma le moderne tecniche di comunicazione di massa.
    Già parlare in un salotto televisivo distorce la discussione, ma almeno c’è tempo per ragionare. Mi sgomenta veder parlare un manichino imboccato da un esperto di marketing.

  16. Alle primarie io mi sarei appassionato parecchio se si fosse parlato di cosette come queste, che spigolo dal blog in francese di Panagiotis Grigoriou, uno storico e antropologo greco, che racconta con grande sensibilità di etnologo attento alla vita quotidiana quel che succede nel suo ex paese. Consiglio a tutti di leggerlo con regolarità.

    Spigolatura 1

    “La néo-colonisation de la Grèce, mise en œuvre par les élites du grand pays réunifié dont 20% de la population est officiellement pauvre ne nous enchante pas forcement. Vivre en zone européenne occupée (via la dette) est en somme une situation dont nous commençons tout juste à prendre la mesure, et encore pas complètement : La carence la plus grave subie par le colonisé est d’être placé hors de l’histoire et hors de la cité, d’où la mise à mort de nos institutions démocratiques. Là où la situation nous semble plus compliquée à résoudre, c’est lorsque nous réalisons que le sort réservé aux autres peuples… élus de la zone euro ne serait guère différent à terme, et toute proportion gardée. Car ailleurs, on ne parlera pas encore d’occupation, ni de dictature en gestation, et on évoque même pour une énième fois, la prétendue fuite en avant dans la construction de l’Europe (Le Monde 22/11), sauf que les mythologies, même les plus tenaces, n’ont qu’un temps. Y compris chez certains magnats de la presse grecque, qui viennent de l’apprendre à leurs dépens. ”
    http://greekcrisisnow.blogspot.it/2012/11/lhiver-europeen.html#more

    Spigolatura 2

    “C ‘que venant d’une initiative allemande, on vient de suggérer au ministre de l’Education, la restructuration des études secondaires en Grèce selon le modèle de ce pays, et ceci dès 2014” (Epikaira – 29/11), mais selon cette même presse, “il se montrerait (pour l’instant) dubitatif’. ”
    http://greekcrisisnow.blogspot.it/2012/11/chauffage-central.html#more

    Spigolatura 3, di particolare attualità anche per l’Italia dopo le dichiarazioni del Presidente del Consiglio Monti sul SSN:

    “C’est ainsi que la nouvelle du jour en somme significative, m’a été rapportée par un journaliste ce matin : ‘Les malades mentaux ne seront plus acceptés par les établissements de santé publique appropriés, sans une participation s’élevant à 170 euros par mois, ce qui veut dire que ceux qui n’y arriveront pas, seront expulsés et privés de traitement… je suis écœuré, il s’agit de l’Europe… au XXIème siècle’.”
    http://greekcrisisnow.blogspot.it/2012/11/automates.html#more

    Spigolatura 4

    “Charalambos Athanassiou, ancien haut magistrat et actuel député Nouvelle Démocratie, a proposé l’abrogation du premier paragraphe de l’article 60 de la Constitution, à savoir, “[le] droit des députés d’exprimer leur opinion et de voter selon leur conscience [qui] est illimité”. Selon l’ancien magistrat et ami personnel de Samaras, les députés ne devraient plus s’écarter de la ligne imposée par leurs partis (Epikaira – 15/11).
    Ce qui au demeurant, nous donne une idée plus précise de ce que sera la gouvernance européenne par le MES, bénéficiant de l’appui de l’ensemble des “experts”, exécutants locaux (politiques ou technocrates). Il s’agira ni plus ni moins, du parti unique européen et mémorandaire déjà en gestation en Grèce, si l’on s’en tient à quelques déclarations officielles faites récemment, par le chef de la Nouvelle Démocratie et Premier ministre, ainsi que par certains ténors du pasokisme… réellement inexistant qui se déclarent prêts à rejoindre “le grand parti unique de la responsabilité”.

    http://greekcrisisnow.blogspot.it/2012/11/mourir-pour-la-democratie.html#more

  17. “ma evitiamo questo sterile piagnisteo di intellettuali disoccupati alla finestra.” (Piras)

    Non tutti gli intellettuali, costretti a stare alla finestra, fanno piagnistei, ma criticano il “popolo”, che alla TV – finestra ben più pericolosa – segue o persino applaude i pifferai magici addetti alle primarie, fa qualcosa di peggio: partecipa, sì, ma alla preparazione delle “secondarie” (la sua eutanasia).

  18. I have a dream. Non è il dibattito televisivo. Non è neppure la forza propulsiva di una dialettica che sfoggia l’uno contro l’altro. Questa, l’ultima, è per le aule dei tribunali. Lasciamola a chi, davvero, lo da fare questo mestiere.
    I have a dream that one day…Il futuro, e non il presente. Questo insano lavorìo di perditempo nelle file dei partiti per preparare battute ad hoc è il passato. E non funziona più.
    I have a dream that one day this nation will rise up and live out the true meaning of its creed. Dopo aver sentito parlare di insegnanti, io stesso darei l’esempio di devolvere (almeno) quei due euro raccolti per le primarie a sostegno di un progetto, sì, un progetto, in una città, innovativo, che ristabilisca davvero il ruolo primario della cultura. Nell’insegnamento. Per l’insegnamento. Per i nostri figli.
    Perché le parole diventino cose. E non vento.

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