di Paolo Zanotti
[Oggi è morto Paolo Zanotti, una persona molto cara e vicina a tutti noi di “Le parole e le cose”. Dal momento che Paolo non è stato soltanto un affetto privato – un amico – ma anche un uomo pubblico – uno scrittore – e che in lui l’uomo e lo scrittore si sono da sempre trovati a coincidere in un equilibrio di grazia e meraviglia quasi sorprendente, abbiamo deciso di pubblicare qui, oggi, un suo racconto. Perché chi non lo conosce abbia modo così di leggerlo e di intravederne il volto dietro le parole, e perché chi lo ha conosciuto possa ancora una volta salutarlo e augurargli buon viaggio con tutto l’amore del mondo (im)]
Dato che comunque bisogna sempre mantenere un certo grado di distinzione, io e Licia decidemmo di iniziare in modo metodico ma non troppo conformista. Il mercatino non era in centro, non aveva bisogno di stelle comete e insegne luminose, serviva soprattutto a sbarazzare un quartiere dei suoi fondi di soffitta. Finché non hai superato una certa età, così pensavamo, finché rimani all’interno di uno scambio tra intimi, insomma finché rispetti le regole rimane socialmente accettabile andare a caccia di regali tra la roba usata. È purtroppo fin troppo facile idealizzare la varietà terra-terra, dunque più autentica, della vita quotidiana, e i mercatini dell’usato in particolare con tutti i loro sottintesi di ruvida sincerità, economia di baratto, romanticismo dell’objet trouvé, e vogliamo poi parlare di quelle estati in cui io e te (anche se ancora non ci conoscevamo) avevamo allestito due panchine su due litorali evidentemente diversi tentando di far fruttare i nostri vecchi topolini e le bamboline storpie? Sotto un cielo così uniformemente grigio da sembrare tecnologico, l’equivalente atmosferico di una padella antiaderente, il mercatino in questione si apriva con un plotone di esecuzione di picchi in plastica col mercurio e si chiudeva con un gatto che faceva la ronda attorno alla sua pappa. In mezzo (terrificante quanto possano essere tutte uguali le vite) innumerevoli varianti di mangiadischi anni ’70, chitarre sdentate, cumuli di scarpe (una vista da far rabbrividire), casse e casse con le stesse riviste e fumetti e tascabili, tra cui almeno cinque collezioni semicomplete di Urania. Che ne dici per Carlo? Ma no, secondo te è facile che li abbia già tutti, e allora proseguiamo oltre, anzi, per sbrigarci forse è meglio se ci dividiamo. Tu anneghi tra le giacche (troppo grandi, troppo piccole, troppo lise) e intanto ti fai ammirare con i tuoi capelli sciolti, bruni e lucidi come le castagne, quanto a me, beh, diciamolo pure che faccio solo finta, sorvolo distrattamente una sterpaglia di bussole binocoli cipolloni e distintivi militari, m’impunto un attimo sull’unico oggetto incongruo del pomeriggio (una copia, mai corretta, delle bozze della Possession de Loudun di Michel de Certeau), che prendo in mano, soppeso, poi provo a indovinare chi mai possa essere l’espositore perché quell’omino dalle braccia enormi non mi sembra proprio il tipo. Ma sono deviazioni, intoppi, e allora giro al largo e corro verso la fine del mercato, a dar fastidio al gatto.
Di ritorno verso la nostra nuova casa, desolatamente a mani vuote, Licia mi dice che va bene che mancano ancora tre settimane però da domani sarà il caso di darci una mossa e lasciar perdere il romanticismo del trovarobato. Io non solo le do ragione ma ci credo sul serio, su questo siamo d’accordo, perché quando ti sei appena fidanzato con qualcuno è il caso di fare le cose per bene, perché non basta avere Licia al fianco che parla con te, che pensa con te, che fa delle cose follemente simpatiche come leccarti la mano per curarti quella zampata a tradimento, no, tutto questo non basta.
Era il nostro primo scontro con la realtà, e non sarebbe stato l’unico. Eravamo giovani, eravamo belli, e davamo per scontato di poterci muovere per la città prenatalizia con la leggerezza di un film. Ciò non toglie che eravamo circondati da concorrenti molto, ma molto più preparati di noi. Che avevano le idee più chiare. Che ottenevano l’immediata precedenza delle commesse grazie a una specie di carisma. Che valutavano con competenza e poi sceglievano come se il verdetto del destino fosse calato sull’oggetto: quello, e non un altro. La nostra inadeguatezza ci metteva con le spalle al muro, era necessario correre ai ripari. D’ora in avanti incontro immediato appena usciti da lavoro.
Dovevamo essere metodici, dovevamo essere uniti. È per questo che la prima cosa da fare (provvedemmo un tardo pomeriggio freddissimo, mentre ci scaldavamo le mani calcolando la circonferenza delle nostre tazze di tè) era mettere nero su bianco la lista di persone che fino a quel momento avevamo lasciato aleggiare nell’aria e nei sottintesi. Incredibile accorgersi di quanta gente uno possa conoscere, soprattutto se quell’uno è diventato due, e quanta gente sarebbe passibile di ricevere un regalo. Forse non in un momento normale, ma in questo momento sì, nel primo natale che io e Licia vivevamo come coppia, e quindi eravamo smaniosi di segnalarlo al mondo, amici e parenti e qualche volta conoscenti, spiattellarlo in giro in carta regalo con tanto di fiocco e biglietto doppiamente firmato. Qui però iniziavano i dubbi. Era infatti difficile cartografare i confini della liceità, dell’opportunità, sì perché (per dire) è chiaro che Carlo un regalo se lo aspetta, ma come la mettiamo con quelli che invece non se l’aspettano? Luigi, tanto per citarne uno, sicuro che uno come lui ci rimarrebbe male, non è che puoi mettere la gente nella posizione di chi non può più contraccambiare in tempo. Licia rimane per un po’ esitante con la tazzina a mezz’aria, poi decidiamo che a Luigi e a tutti quelli come lui consegneremo il regalo in anticipo con un pretesto qualsiasi – una finta settimana bianca che ci reclama, una mamma asserragliata in Liguria con cui bisogna festeggiare – di modo che i luigi possano far finta di non aver ancora provveduto, come ovviamente avevano in programma di fare, sicuro, ma non importa perché tanto ci aggiorneremo al nostro ritorno.
L’altro problema, come già ci eravamo resi conto al mercatino, era cosa regalare. Un problema non certo secondario. Io e Licia eravamo infatti entrati in quell’età intermedia in cui non puoi più regalare quello che ti passa per la testa, basta che sia originale anche se costa poco, e dall’altro lato non puoi ancora fare spedizioni seriali di ceste col panettone, lo spumante e i barattoli di mostarda. Entrambe queste opzioni sarebbero state senza dubbio più agevoli. E invece no, ci toccava riflettere, costruirci per la prima volta nella vita una vera filosofia del regalo. Bilanciare la nostra idea di regalo da fare con l’idea altrui di regalo da ricevere. Diventare i babbi natale in incognito dei desideri del mondo. Per Aldo ci voleva qualcosa di enorme. Per Alice, ahimè, di costoso. È vero che nei regali c’è sempre una componente pedagogica, ma non bisogna esagerare nemmeno in questo senso, mai far sembrare di saperla più lunga di chi li riceve, e in più ricordarsi bene dell’effetto che ci avevano fatto certi regali decisamente troppo educativi che avevamo ricevuto da bambini. Su questo punto la conversazione (eravamo ormai usciti dal bar, raffiche di vento gelido invitavano a ballare i capelli di Licia e, ahimè, si succhiavano via la mia sigaretta) deviò prematuramene sulla questione bambini, su che bello un natale con bambini, su che regali avremmo fatto loro, sui bambini in generale considerati come specie e se poi avevamo davvero tutta questa voglia di averne.
Sperimentammo per la prima volta l’ebbrezza dell’efficienza. Non solo andavamo fieri della nostra nuova casa, ma ora sapevamo anche che non c’era nessun bisogno di lasciarla se non il dovere che ci chiamava fuori. Io ero felice di vedere Licia saltellare come una fiammella da un marciapiede all’altro, da una vetrina all’altra, e quando ci concedevamo una nuova pausa per comprarci delle caldarroste non avevamo che da soppesare, nelle nostre mani, gli enormi sacchetti che custodivano i nuovi acquisti. Stavamo semplicemente offrendo una montagna di regali al nostro amore. Una montagna altissima, panciuta come un panettone, la cui prima parete era costituita dai regali per i parenti. Avevamo deciso di cominciare da loro un po’ in un’ottica di passaggio delle responsabilità, un po’ perché la lista concepita al caldo di quella sala da tè era comunque un oggetto temibile, e per abbordarla ci faceva comodo ricorrere a un repertorio più codificato. C’è sempre un padre appassionato di ogni nuova apparecchiatura elettronica e una madre che va matta per il ricamo, c’è sempre una nonna col bisogno di riammodernare un po’ la casa e un cugino che pratica non meno di dieci sport e allora perché non l’undicesimo? Se poi ti mancano le idee, una cravatta e un libro andranno benissimo lo stesso.
Iniziarono giorni strani, come in un sogno. Le giornate diventarono lunghe come quando, da bambini, era dura far passare i mesi neri. Mano nella mano, o sarebbe meglio dire guanto nel guanto, io e Licia battevamo la città (o un outlet che la imitava perfettamente) per rendere felice un nonno o un nipotino, spinti da un’ossessione schiumante, forse anche un po’ impersonale, e di sottofondo quella sensazione che l’aria fosse sul punto di solidificarsi in una lastra di brina, pronta per essere infranta da una rivelazione che però non arrivava ancora. La sotto-lista parenti era praticamente finita ma sapevamo che erano altre, ben più ripide, le pareti su cui si sarebbero giocate le nostre ambizioni.
Quest’ansia ci faceva perdere il sonno. Per quanto rincasassimo stanchi – tanto che avevamo appena il tempo di mangiare un boccone e di dare una sbirciata, direttamente dal letto, a una puntata del nostro telefilm – c’era sempre un risveglio notturno in agguato. Potevo essere io, alternativamente poteva essere lei, questo è indifferente, ma c’era sempre, ogni notte, a volte anche più volte per notte, un sobbalzo, un rimanere seduti sul letto a occhi sbarrati, e subito il bisogno di condividere l’angoscia con l’altro che ancora dorme accanto a te: Ops, ma Pietro? E via di seguito Margherita e Sofia, conosciute da Licia durante una vacanza, Mario Daniele e Raffaele, con cui una volta avevo organizzato un cineforum, Giorgio e Maddalena, che avevamo contattato un po’ alla cieca per consigli di arredamento. Qualche dubbio fu riservato a una questione più spinosa, su cui ci proponevamo di tornare l’indomani, su quello c’era da discutere. Ma anche così sembravano non finire mai, e a questo punto, dopo una rapida consultazione, la solita conta per decidere chi avrebbe affrontato il freddo del pavimento, chi sarebbe andato di là a cercare dove avevamo ficcato la lista, chi sarebbe sicuramente inciampato nel cumulo di regali già messi da parte, chi avrebbe frugato nella borsa o nel cassetto per infine prendere in mano quel foglio ormai imponente, una specie di cannibale che cresceva a un ritmo ben superiore di quanto non si accorciasse per i nomi depennati.
La questione spinosa, che poi come sempre era quella degli ex, fu abbordata davanti a un boschetto di stelle di natale, tra cui sicuramente ce ne sarà stata una meglio riuscita delle altre e quindi pronta a fare un figurone come centrotavola della prozia. Il discorso ci era abbastanza difficile, perché non potevamo farlo veramente insieme, molti dei suoi ex a me sfuggivano, e ovviamente viceversa. Quante possibilità ci sono che apprezzi? In che rapporti siete rimasti? Quand’è stata l’ultima volta che vi siete sentiti? Si trattava anche di fidarsi. Venne raggiunto l’accordo su alcuni ex che lei mi aveva fatto conoscere e su alcune ex di cui io le avevo parlato (da questo punto di vista io ero sempre stato più esotista e, alla base, meno stanziale). Dal lato suo rimase problematica la questione Stefano (che l’aveva piantata in asso a un passo dal matrimonio, cosa che lei era riluttante a perdonare e quindi insomma regalo fuori discussione), dal mio la pratica Églantine. Con Églantine avevamo fatto insieme l’università e avevamo discusso di tante cose, compreso Michel de Certeau, strana gente i gesuiti e che effetto farà mai vedere una pallina nera volteggiare di notte in refettorio. Dopo un anno di amicizia e altri due a far finta di non stare insieme avevamo incrociato una giovane ricercatrice coi capelli color castagna con cui avevamo condiviso un bel tratto di strada, ma all’incrocio successivo loro due avevano guardato in che direzione andavo io e poi se l’erano battuta nell’altra. Contatti alternanti, poi persi del tutto, e ora vallo a spiegare a Licia che dopo tutto Églantine ormai è morta, credo, o almeno sono rimasto (tra me e me) a un incidente sbalorditivo e speranze poche, per cui in fondo se era morta o no poco cambiava, perché non mi ero fatto più vivo, mai uno squillo né una lettera, insomma una mascalzonata esemplare, e questo era anche servito a tagliare i ponti col vecchio giro di amici, laggiù nella città universitaria. Per cui non era proprio il caso di pensare a loro, i nostri regali non sarebbero stati graditi. Quanto agli altri ex, concordammo che per alcuni si poteva anche fare. E giù altri nomi sulla lista, ulteriormente ritardato il suo completamento.
Non so se sia normale pensarci, ma io e Licia avevamo l’impressione che a girare per la città nei giorni dello shopping si continuasse a incontrare sempre la stessa gente. Sarà solo un’impressione, ma magari è vero. Mentre invece nel tempo normale, quando gli incontri assai probabilmente si diradano, fai più fatica a rendertene conto. Questo varrà però solo per la nostra città? La nostra infatti è una città media, nella città grande forse nemmeno nei giorni dello shopping ti incontri così spesso da tenere a mente le altre persone.
Il più curioso di questi incontri regolari era un signore con un naso da totem accompagnato una volta sì e una no da una signora conseguente, mentre il piccolo bulldog dagli occhi a mandorla era una costante che gli si strusciava ai piedi. La quinta volta che lo avvistammo stava entrando in un negozio di accessori per l’equitazione. Scambiatoci uno sguardo d’intesa, io e Licia decidemmo di mettere a frutto il suggerimento. Le coincidenze, così ci dicemmo, sono sempre significative, per esempio non era forse stata una coincidenza a farci mettere insieme? Anche se ci conoscevamo già, certo, anche se ci conoscevamo già. Più in generale (questa la filosofia che ci eravamo ritagliati) nei regali c’è sempre una coincidenza. Nei regali c’è sempre un destino in agguato. Perché gli oggetti hanno un’anima, non sei tu a scegliere loro, sono loro a scegliere te, è come una scossa, un’illuminazione. È esattamente per questo che la lista deve essere completa: perché il tuo passato e i tuoi regali coincidano, diventino praticamente la stessa cosa. Mica da scherzarci sopra. Per esempio, scusa non è per rinvangare, ma alla fine cos’hai deciso di fare con Stefano? Neanche un biglietto di auguri? Quello sarebbe molto meno impegnativo. Mi dici che ci penserai, ma credi di no, lui ormai s’è sposato, è più giusto così. E io, mi chiedi, io, con Églantine? Anche se fosse morta, non sarebbe il caso di fare una visita a questa ipotetica tomba, non sarebbe il caso di dare un segnale di presenza? Ci penserò, ti dico, e intanto penso che a Églantine, eh, si sa che a Églantine saresti piaciuta, proprio il suo tipo, con gli occhi golosi e i capelli color castagna. Mica è la prima volta che ci penso. Questa volta sono quasi sul punto di dirtelo ma ecco che finalmente il signore totemico e il suo cane paziente stanno uscendo (a mani vuote, sembrerebbe) dal negozio d’equitazione. Tu ti precipiti come una forsennata a chiedergli che tipo di cane è, lui all’inizio è diffidente ma tu sai essere veramente petulante quando vuoi e così apprendiamo che è uno shar-pei, e che è una razza che viene dalla Cina, cosa che si poteva anche immaginare.
Variante dei risvegli notturni. L’incubo di ogni riserva di regali abbastanza consistente. Rendersi conto come in un’illuminazione che nel nirvana dei regali l’abbinamento perfetto sarebbe stato un altro, che il libro per Simona piacerebbe di più a Mirella, che Giulio (ci hanno detto) ha ormai smaltito la passione per la pesca, mentre Marco, sì, Marco, potenzialmente… Anche a Églantine piaceva pescare, lo so che non c’entra niente, ma è che sembra così incongruo. Scusa, mi ero distratto. E allora alzarsi di nuovo, farsi di nuovo strada nella giungla di pacchi e sporte e carta da regalo, occhio soprattutto alle forbici rimaste per terra, senza contare che bisogna evitare di svegliare il cucciolo nello sgabuzzino con tutti i rischi del caso tipo guaiti e porta raspata (il cucciolo è per Valentina, ma io e Licia siamo più o meno sicuri di essere allergici), e alla fine rinvenire la lista, cambiare gli abbinamenti, un nome se ne va, un altro riappare come un fantasma brontolone.
Il terrore a questo punto era quello di non finire. Mancavano solo dieci giorni e fu così che ci trovammo costretti a chiedere una settimana di ferie anticipate per andare, un giorno sì e uno no, a esplorare anche l’offerta della grande città, il nostro capoluogo a mezz’ora di treno. Là avremmo trovato qualcosa all’ultimo grido. Avevamo i nervi a fior di pelle, no, non solo per il freddo, ma per la clessidra che scorreva e ci faceva sentire come in uno di quegli incubi in cui corri corri ma fai la figura di Achille con la tartaruga, oppure vorresti proprio salvare la tal persona da un agguato di alberi animati ma non riesci neppure ad aprire la bocca per avvertirla. In questa impresa non ci aiutava di certo l’aver dato un’occhiata, giusto per essere sicuri, ai nostri conti in banca, e renderci conto di quanto eravamo sprovveduti nel calcolo delle spese. Persino il cucciolo, persino lui, chi se lo aspettava che i cani di razza costassero così tanto?
A proposito del cucciolo. Io e Licia ci eravamo quasi affezionati a quella pallottola piagnucolante dietro la porta e, per una volta, avevamo deciso di affrontare la paura delle allergie. Lo lasciammo libero. Del resto, come avevamo letto su un’enciclopedia, lo shar-pei è un cane tranquillo e sereno, ma ha bisogno di molto movimento, tenerlo chiuso nello sgabuzzino era stata una vera crudeltà.
Per l’ultimo rush fu presa una decisione incredibile. La lista era diventata intrattabile, sfuggente e muscolosa come un’anaconda, e io e Licia ci rendemmo conto che dividerci era diventato inevitabile. In questo modo diminuivano anche i rischi di tentazioni, i vari ti ricordi di, ma chi era quel tuo amico che abbiamo incontrato a, non è che per Chiara sarebbe stato meglio un, tutte cose purtroppo sempre dietro l’angolo.
Nella divisione delle incombenze le spedizioni per gli amici lontani erano toccate a me. Alla posta centrale, ben nascosto dietro la colonna di pacchi (in particolare quello per Aldo, grande come un paracarro o la sua vanità), compilai frettolosamente una cartolina con Babbo Natale e le renne che su mia iniziativa avevo deciso di mandare a Stefano, giusto per evitare che si facesse vivo lui per primo. Subito dopo, mentre passeggiavo attorno all’edificio delle poste con la leggerezza di chi si è appena confessato, mi venne in mente una certa idea, dopo tutto Nicola era abbastaza superintellettuale da apprezzare. Corsi al mercatino ma niente, le bozze erano ormai scomparse nella borsa di un acquirente assolutamente inimmaginabile oppure (più probabile) andate in fumo come carta da camino. Tagliai la corda, diretto a una libreria dove cercare qualcos’altro per Nicola, ora che mi era tornato in mente era il caso di provvedere subito. A prima vista incredibile come il natale imminente (l’antivigilia ormai) non ispiri una maggior rilassatezza nelle persone, però è comprensibile, è così che funziona, anch’io se potessi salterei da un isolato all’altro per far prima, mentre gli altri, sì, sembra che tutti gli altri acquirenti della città stiano facendo a gara a chi ha la macchina più potente e a chi ha la guida più veloce, in modo da falciare la folla natalizia. In libreria scopro una copia di La lanterna del diavolo (edizioni Medusa, euro 6) di Certeau, libro che non ho mai letto ma che a Nicola andrà pur bene, è sempre bello regalare qualcosa che si vorrebbe conoscere, il regalo è doppio anche se costa poco, è un po’ di te stesso che regali con lui. Già che sono in libreria, mi procuro anche qualche copia dei bestseller non ancora esauriti, da tenere giusto come regali spersonalizzati, carne da cannone, riserve fresche nel caso di visite inattese.
La sera dell’antivigilia io e Licia ci ritroviamo a guardarci circondati dai cori angelici dei regali. Pacchi beati, pacchi sgargianti nelle loro livree azzurro e rosso e oro, pacchi belli pronti per essere recapitati a maggior gloria del nostro amore e dello spirito di completezza. Lo shar-pei, accoccolato sotto l’albero di natale, ci guarda interrogativo, aspetta coccole e forse questo può essere un problema, perché si sta affezionando. Ma noi siamo stanchi, molto stanchi (ho capito, le ho toccate, che le mani di Licia sono tutte screpolate per lo sforzo di trascinare le borse, quanto a me ho le vesciche ai piedi). Eppure siamo contenti. È un momento di gioia, un momento di spossata perfezione. Ce l’abbiamo fatta. Sotto lo sguardo geloso del cucciolo e servendoci un po’ impunemente del tappeto messo da parte per zia Anna io e Licia facciamo l’amore in un modo così bello che, siamo onesti, ma non era stato così nemmeno la prima volta.
La mattina ci svegliamo ristorati al primo tocco della lingua dello shar-pei. È la vigilia e bisogna subito scattare in piedi, restano ancora le consegne da fare. Sarà dura anche così, ma per evitargli lo spaesamento di una casa che ti si svuota sotto le zampe iniziamo dallo shar-pei, che Valentina sembra apprezzare. In cambio ci consegna, un po’ vergognosa per lo squilibrio, una zuccheriera a forma di pacman, ma io e Licia mostriamo grande apprezzamento. Ciao ciao a Valentina e allo shar-pei e via con le altre consegne. Nicola, Luigi, Chiara, Emiliano, Elena, Teresa, Mario, Samantha e ogni volta che qualcosa viene data via ecco che un’altra la rimpiazza, di solito qualcosa per la casa. Io e Licia troviamo questo genere di regalo prevedibile ma sensato: è senz’altro il modo più pratico per fare un regalo che vada bene a tutti e due, come per esempio portacandele, portafotografie, porta cd, calendario, frullatore, bruciatori di essenze e una sedia stile Luigi XVI in plexilas. Contemporaneamente io e Licia distribuiamo inviti a passare a bere qualcosa da noi dopo capodanno, o magari anche per cena. Loro accettano sorridendo e io e Licia sorridiamo di risposta. Riprendiamo: con Mario Daniele e Raffaele è più lunga del previsto, tanto tempo che non ci rivediamo e ricordi del cineforum da rievocare; Giorgio e Maddalena non li troviamo e quindi lasciamo sulla soglia; assolutamente memorabile Bruno che, in cambio del catalogo di una mostra, ce ne consegna un altro uguale. La giornata prosegue in questo modo fino alla messa di mezzanotte, particolarmente utile per le chiacchiere spicciole e le piccole consegne, un freddo pazzesco sia dentro che fuori la chiesa e addirittura qualche bava di neve (come sarà il natale agli antipodi?, si chiedono sempre i bambini) ma tutto sommato sensazione di sollievo, calma soddisfazione di aver fatto bene il nostro lavoro, c’è proprio della stima nello sguardo che io e Licia ci scambiamo rincasando, sì perché il più è fatto, vero che restano quasi tutti i parenti (compresi i genitori e le nonne, che verranno a pranzo), ma i parenti danno meno ansia, il loro è un numero finito, lasciando da parte improvvise riapparizioni da sudameriche e ostracismi vari è del tutto inconcepibile che capitino brutte sorprese. Tornati a casa e rinfrancati dal tepore, finalmente io e Licia possiamo scambiarci i regali per noi, poi ci diciamo buonanotte.
La mattina di natale io e Licia ci svegliamo sicuri che con i genitori e gli altri parenti tutto andrà bene. La sera, dopo che tutto sarà andato bene, andremo al cinema a vedere un film appunto di natale. Su questo io e Licia siamo d’accordo anche se non ne abbiamo mai parlato. Ci siamo alzati presto perché è bello alzarsi presto di natale.
Anche se c’è ancora molto da fare io e Licia indugiamo in soggiorno, sorseggiamo del caffè solubile, valutiamo i pigiami che ci siamo regalati ieri sera e fissiamo tutto lo spazio che si è liberato dopo la visitazione momentanea dei regali per gli amici. All’improvviso scoppiamo a ridere: ci è venuta voglia di una battaglia a cuscinate. Poco importa, ci diciamo, che i genitori e le nonne arrivino e non trovino ancora la tavola apparecchiata, tanto i regali sono belli, l’albero ben decorato e il pranzo l’abbiamo preso in catering.
Quando ci stanchiamo delle cuscinate, io e Licia usciamo per le consegne a zii e cugini, veniamo ringraziati, ci scusiamo che abbiamo poco tempo e rientriamo a casa poco prima che arrivino i genitori e le nonne. Licia ha ancora il tempo di fare un salto dalla vicina per chiedere dell’olio e, se possibile, un po’ di caffè vero.
Con i genitori e le nonne va tutto liscio, anche se la nonna di Licia mi chiama Stefano per tre volte, ma questo succede solo dopo lo spumante. Se proprio si vuol cercare il pelo nell’uovo, io e Licia abbiamo l’impressione che i genitori siano ancora un po’ legati, speriamo che tra un po’ faranno l’abitudine a conoscersi tra loro.
Finito il pranzo e lo scambio dei regali i genitori ripartono, perché devono portare le nonne a fare un sonnellino, si sa che le nonne a natale si stancano presto. Io e Licia ci diciamo che è andato tutto bene, difficile che andasse meglio, abbiamo fatto contenti tutti e non abbiamo dimenticato nessuno. Forse lo shar-pei ci manca un po’.
Mi spiace tanto per Paolo, mio compagno di collana, era così giovane. Ci eravamo incrociati diverse volte ma scambiati solo poche parole di circostanza per timidezza. Poco dopo essermi trasferito a Roma andai ad ascoltare la presentazione dei suoi Bambini bonsai, quando non avevo ancora la minima idea che un anno dopo sarei entrato nella stessa scuderia. Di suo lessi e apprezzai pure il saggio sulla letteratura francese contemporanea, non sapevo nemmeno che avesse quella specializzazione. Ciao Paolo.
Bello Zac, ci mancherai!
Paolo, ti ricordo come uno dei migliori prof della mia università. Che tu possa trovare la tua strada..