[Esce in questi giorni Le parole tra gli uomini. Antologia di poesia gay italiana dal Novecento al presente (Robin 2012, pp. 439, euro 15), a cura di Luca Baldoni. Presentiamo una sintesi dell’introduzione di Luca Baldoni e alcune poesie incluse nell’antologia. Su indicazione del curatore, abbiamo scelto testi recenti scritti da poeti nati negli anni Sessanta e Settanta].
Dall’Introduzione
di Luca Baldoni
Le ricerche che hanno portato alla creazione di quest’antologia attingono a due ordini di ragioni: uno storico-letterario e uno militante.
Per quanto riguarda il primo punto, Le parole tra gli uomini vuole rilevare, storicizzare e trasmettere, la presenza forte e continuata dell’omosessualità maschile nella poesia italiana moderna e contemporanea. Basterebbe citare i nomi di classici come Saba, Penna, Pasolini, Bellezza, ma anche quelli di poeti affermati anche se meno noti al pubblico non specializzato, quali Bona, Naldini, Wilcock, Pecora, Lolini e Buffoni, per rendersi conto che ci troviamo di fronte a una corposa tradizione di scrittura poetica omoerotica che ad oggi non è stata riconosciuta come tale.
Solo volgendo lo sguardo alle maggiori letterature europee e a quella americana, risulta evidente quanto questa ricchezza di voci poetiche omosessuali non sia un fatto scontato. La poesia francese, pure fondamentale a fine Ottocento nella formazione del canone di letteratura gay per il ruolo rivestito da Rimbaud e Verlaine, deve aspettare la metà del ventesimo secolo per trovare, con Genet, un’espressione poetica in cui l’omosessualità sia centrale. Un caso simile è riscontrabile in ambito tedesco e spagnolo, dove, dopo le esperienze di Platen e George, e a parte il caso Lorca, bisognerà aspettare molti decenni per vedere emergere poeti che parlino apertamente della loro omosessualità.
La poesia italiana moderna possiede dunque una ricchezza di voci omosessuali, omoerotiche, o gay che dir si voglia – ritornerò tra breve su queste distinzioni semantiche ma anche concettuali di non poca importanza – di cui la coscienza nazionale dovrebbe andare orgogliosa, in quanto sul fronte della prosa le cose sono andate in modo ben diverso. È infatti ormai criticamente acclarato che la letteratura italiana del Novecento, per ciò che riguarda la narrativa e dunque soprattutto la forma principe del romanzo, ha tematizzato l’omosessualità con grande ritardo rispetto alle maggiori letterature europee. Da noi non c’è stato un Wilde o una Woolf, un Proust o un Gide, o un Mann, ad aprire la strada all’espressione letteraria dell’omosessualità.
Se quindi la ragione primaria di questa antologia affonda in un contesto di storia letteraria non ancora inquadrato e analizzato nelle sue molteplici implicazioni, ciò non di meno a nessuno gioverebbe negare la componente militante che sostiene un lavoro di questo genere. Innanzitutto va registrato il ritardo trentennale dell’accademia e del mondo culturale italiano in generale nel recepire gli studi di gay e queer studies, che hanno prodotto una serie di importanti contributi sul rapporto tra omosessualità e poesia. A ciò si accompagna una politica culturale che nella maggior parte dei casi è intrinsicamente omofoba. Soffermiamoci ad esempio su quelle antologie tematiche (poesie d’amore, erotiche o sentimentali), che hanno una diffusione ben maggiore dei testi critici, spesso contribuendo in modo determinante all’idea che un lettore medio si forma della tradizione poetica. Partiamo da Poesie d’amore del ‘900, un corposo volume apparso nel 1992 per gli Oscar Mondadori e più volte ristampato che presenta un panorama di poesia non solo italiana. Benché tra gli autori italiani inclusi si trovino Saba, Penna e Pasolini, la scelta dei testi tende a prescindere dell’omosessualità dei poeti: per Saba si antologizza “A mia moglie” e nessuna poesia sui fanciulli, mentre i testi di Penna e Pasolini sono scelti tra quelli che non definiscono in alcun modo l’oggetto d’amore. In Che cos’è l’amore. Poesie per chi si ama, apparso per Einaudi nel 2011, il curatore include Saba (di nuovo “A mia moglie” e “Bocca”, poesia il cui l’oggetto d’amore è generico), e Penna, del quale si presenta soltanto un testo, “La vita… è ricordarsi di un risveglio”. Sebbene l’antologia si spinga a includere contemporanei come Cucchi e Conte, spicca la vistosa assenza di Pasolini e Bellezza, così che, tra selezioni unilaterali e vere e proprie omissioni, si termina la lettura del volume con l’impressione che chi si ama siano sempre e esclusivamente un uomo e una donna. Un quadro eteronormativo emerge con ancora più forza in Poeti innamorati. Da Guittone a Raboni, volume curato da Patrizia Valduga, dove non appare nessun testo omoerotico della tradizione medievale e rinascimentale, mentre tra gli autori novecenteschi vengono esclusi Penna, Pasolini e Bellezza.
Alcuni degli autori inclusi in Le parole tra gli uomini (Penna, Pasolini, Bellezza, ma anche Naldini, Bona, Santi, Wilcock, Pecora) sono tra i più notevoli poeti d’amore e/o erotici del Novecento italiano. Eppure, con l’eccezione di Penna, che comunque viene sempre presentato nei suoi testi più depurati, le antologie generaliste in circolazione escludono, chiaramente a priori, che un testo che parla di eros tra due uomini, per quanto poeticamente notevole, possa trovare spazio in un contesto di poesie d’amore, dove “amore” non è affatto termine neutrale, implicando esclusivamente la variante eterosessuale. Il meccanismo può essere osservato anche nella presentazione di classici, dove ci si attenderebbe un maggiore scrupolo filologico e una maggiore aderenza ai fatti. È forse un caso che la selezione di poesie di Catullo nella traduzione di Quasimodo riproposta di recente negli Oscar Poesia del ‘900 accolga ovviamente i celebri carmi per Lesbia mentre eviti accuratamente ogni testo omoerotico, in questo modo attribuendo all’autore un’esclusività di orientamento sessuale che poco ha a che fare con la disinvolta bisessualità del mondo antico? Come dimostra la traduzione da Catullo del poeta Cascio qui antologizzata, il poeta romano ha cantato l’amore per la donna e quello per il fanciullo con la stessa intensità e con modalità praticamente identiche. Peccato che al lettore comune si continui a offrire una versione infantilmente purgata.
Ecco allora che le domande che talvolta mi sono state rivolte nel corso di questo lavoro – Ma perché un’antologia di poesia omosessuale? Non è forse un’operazione ghettizzante? Perché parlare di affetti omosessuali quando l’amore è amore e non ha bisogno di categorizzazioni? Perché mettere un accento dove non sarebbe necessario usarlo? – andrebbero ribaltate, facendo notare che quesiti di questo tipo vogliono presentarsi, e si illudono di essere, neutrali ed ecumenici, mentre nella realtà dei fatti propongono la permPanenza di uno status quo unilaterale e fazioso. Essere personalmente convinti della mancanza di differenza sostanziale tra amore eterosessuale e amore omosessuale è irrilevante rispetto allo stato dell’arte. Il realismo, oltre che l’onestà intellettuale, obbligano a prendere nota del fatto che, anche nelle sfere dei professionisti della cultura, la differenza di valutazione è ancora presentissima, e determina le posizioni critiche e la natura delle operazioni culturali che vengono messe in campo.
Di fronte alla persistente ambiguità di tali dispositivi reali e simbolici di potere, il lavoro di Pierre Bourdieu ha molto contribuito ad analizzare da un punto di vista teorico i meccanismi di un universalismo ideologico che scarica sulle istanze di una minoranza la propria incapacità a relazionarsi con l’altro. Per lo studioso francese è imperativo smascherare “le strategie dell’ipocrisia universalistica che, invertendo le responsabilità, denuncia come rottura particolaristica o “comunitaristica” del contratto universalistico qualsiasi rivendicazione dell’accesso da parte dei dominati al diritto e alla sorte comune.” L’obiezione circa il presunto o possibile carattere ghettizzante di un’antologia come Le parole tra gli uomini non è dunque ricevibile, almeno sino a quando i lavori antologici di tipo pseudo-ecumenico, come anche le curatele di autori classici e contemporanei, non smetteranno di assumere nella stragrande maggioranza dei casi una posizione discriminatoria volta a sradicare la presenza e il ruolo culturale dell’omosessualità.
Marco Simonelli, da Will (2009)
Il Vaticano dice di non farlo.
Vuol dire che non avremo cerimonia.
Ma quello Stato che moneta conia
il nostro patto, amor, non può disfarlo.
Ci unimmo un pomeriggio nel salotto,
sfiorandoci le mani, per merenda.
“Di tue ferite io sarò la benda”
promettemmo, mangiandoci un biscotto.
In fondo non vogliamo un matrimonio.
Ci basta un bacio da scambiarci al sole,
un avvenir di giorni come prole.
È questa la ricchezza, il patrimonio.
….(Chi ci dice che quelli con le ali
….non siano anche loro omosessuali?)
*
Tiziano Fratus, da La torsione (2006)
Triangolo nero per Henny Shermann
una lesbica nel mio campo?
l’indignazione solcava la fronte alla sharpei del generale volk
himmler consegnò le chiavi del futuro nelle sue piccole mani di falegname
un futuro radioso colmo di speranza per i popoli della terra
ma andava combattuta una battaglia all’ultimo sangue
e non esiste battaglia che non richieda organizzazione disciplina e
precisione
i nemici del partito e dell’umanità si annidano nei gangli più interni
dell’organismo
ebrei malati terroristi politici omosessuali
andavano raggruppati e torchiati
ma cosa fare con una lesbica?
un grattacapo che andava a guastare i piani di battaglia
anche qua dentro si combatteva una guerra
non meno che al fronte e non meno che nella vita
una battaglia per la sopravvivenza
la prassi consigliava la catalogazione di pervertita
alla stregua delle prostitute che indossavano il triangolo nero
henny sara schermann
nata il 19 febbraio 1912 a francoforte
non coniugata commessa di negozio
lesbica licenziosa frequentatrice di bar omosessuali
non ha adottato il nome di sarah
apolide ebrea
due anni a berneberg e doccia a gas
*
Gandolfo Cascio, da Admeto (2005)
Sforzavo il cuore al mio amore
quasi sempre inconsolabile.
Mi spezzavi costola e fianco
alla musica ripetuta del tuo petto.
Sei venuto
a cercare la mia piccola
anima e l’hai sterminata
in continua strage. Espugnato
guardavo il braccio stanco
e assassino, la guancia stretta,
la terra che strappa carni
ai miei ginocchi, la luce
che ha spaccato i giorni
in ore precise, segnate al minuto
e ogni minuto invocando il nome
tuo e quello di ogni santo.
*
Pierre Lepori, da Qualunque sia il nome (2003)
Ci si esilia soltanto da se stessi
e un dolore privato è poca cosa.
Solo, gridare dentro non è
gridare per tutti.
Ma se vivere ha un senso
sfilare con rabbia sotto le finestre
del disprezzo passato
sarà un modo per dire
“noi”, “noi tutti”.
*
Massimiliano Chiamenti, da di & con Daniele (inedito)
PROLOGO
tradimento
questa poesia la scrivo in segreto
mentre sei a cena dalla mamma
e firmo pure un contratto per la pubblicazione
che tu disapproveresti
ma ho fretta di pubblicare
a 43 anni vissuti così – bello mio – il futuro sembra un soffio
e non ti tradisco con un altro ragazzo
perché tu sei il più bello e profondo del mondo
una fonte inesauribile
di amore e bellezza
ma ti tradisco con queste parole
che spedisco dal tuo letto
al mio amico mirko fuggitivo per la svizzera
e al pio nuovo editore
che raccoglie di me
le prime ceneri del nostro amore
come la cenere che si mette sotto la coca basata
perché la scrittura è solo detrito
e la mia vita a tutto tondo sei tu
scriverò per te
“quello che non fue mai detto di alcuno”
nel mio prossimo libro
che poi è ormai questo qui
possano gli dei tenerti accanto a me
in ogni vita in ogni tempo e in ogni luogo
in ogni regno di esistenza
dove tu mi sarai principe e consorte
[Immagine: Wolfgang Tillmans, Studio (1991) (gm)].
Bene!
Sono abbastanza d’accordo e in ogni caso apprezzo il coraggio di una presa di posizione letteraria e sociale. Per fare le cose per benino, e rompere in un gesto solo anche la seconda, millenaria prevalenza di testi maschili – forse andava (andrebbe?) fatta uscire nello stesso momento anche un’antologia di parole tra le donne.
Ma chissà, magari è già in cantiere…
Non per irenismo e ingenuità. Capisco perfettamente l’osservazione che disciogliere le forme varie d’amore in un’unica sostanza senza aggettivi sia un modo per soprassedere sul problema che alcune di queste forme non sono accettate come le altre. Anzi, direi di più, in qualcuno (certo non in tutti) quest’obiezione nasconde magari la voglia di nasconder la polvere sotto il tappeto.
Tuttavia un’obiezione la farei.
Stabilire una categoria – in senso meno preciso e forse più ambiguo “un’etichetta” – crea uno spazio semantico chiuso e individuabile, una differenza. Un’antologia dell’amore omosessuale stabilisce una differenza con l’amore eterosessuale. Dicevo, non vorrei esser irenico e ingenuo: le differenze ci sono, ma sono, diciamo pure, infinite, molteplici. Mi lasciano sempre perplesso le categorizzazioni che tendono alla polarizzazione e alla sostanzializzazione delle differenze. Preferirei che le differenze fossero colte come sfumature, varietà infinita, imprendibilità. Questo vale, credo, sia in campo storico-letterario che politico (militante). Leggere un autore o la realtà non deve mai essere sussumerlo entro una categoria, e basta.
Ovviamente è evidente che quando si tratta di fare battaglie politiche, sociali, culturali, si ha bisogno di slogan, di parole d’ordine, molto meglio: di simboli. Dunque la categorizzazione è in questo senso necessaria. Ma come strumento d’azione. E’ un mezzo, da usare laicamente.
L’altra sera guardavo Milk di Gus van Sant, la storia del primo consigliere comunale gay della storia americana, a San Francisco (ovviamente non primo in assoluto: primo in quanto dichiaratamente tale). Nella comunità gay di Frisco esistevano già degli omosessuali che agivano politicamente, ma nell’ombra, appoggiandosi a politici etero (“politicamente” etero). Temevano che l’esposizione fosse controproducente. Milk si offre invece come simbolo (lo teorizza esplicitamente) e probabilmente ottiene molto più e in minor tempo di quanto non avevano ottenuto fino a quel momento i cauti. Ovviamente ottiene anche l’effetto di risvegliare molto odio, di polarizzare la battaglia politica. (Qui si entrerebbe nel campo delle riflessioni sulla maggior efficacia delle rivoluzioni contro le riforme o viceversa, ma soprassiedo). Ecco, forse quel film mi smentisce. Tuttavia contiene una cosa che forse un po’ mi dà ragione. Ad un certo punto Milk lancia una campagna per l’outing. Scoprirsi, uscire in pubblico, aveva però lo scopo di far percepire appunto che i gay sono l’amico, il vicino di casa, il parente. Farli percepire insomma non come un’alterità pericolosa, ma come una sfumatura del nostro essere uomini e donne.
In questo senso, evidentemente anche un’antologia gay serve a ricordare alla nostra tendenza a rimuovere e ignorare che ci sono anche uomini che amano uomini e donne che amano donne. Capisco insomma l’esigenza di una battaglia culturale.
Tuttavia continuo a difendere criteri di valutazione di un poeta del tutto indifferenti alle categorie dell’omo o eterosessualità. Io leggo belle o brutte poesie. Non tutte quelle che leggo qui sopra lo sono, secondo il mio irrilevante parere (mi guardo comunque bene dal valutare un poeta sulla base di un solo componimento per cui il mio è un semplice giudizio interlocutorio).
Insomma, io continuo a far come se certe differenze non avessero bisogno di essere sottolineate. E continuo a invitare gli altri a farlo (o a educarli a farlo, visto il mio mestiere). Almeno in campo letterario credo che sia possibile e auspicabile. Poi lo so, nel mondo non è così. Ma imparare in letteratura a non dar rilievo a certe cose forse le “normalizza” quasi impercettibilmente, e questo ha ricadute anche sul mondo, sulla realtà.
La letteratura che non pone in essere evidenze sociali critiche, o sentimenti generazionali storici non può che essere fine a se stessa, e il fine a se stesso ha importanza solo se rivolto a esprimere una dimensione concettuale complessa.
Saluti
Vi invito sul mio blog per commentare, condividere, collaborare.
PostScrittore
Impallidisco sensibilmente quando leggo che le differenze non dovrebbero essere messe in rilievo per amore del “bello”. Certo, esistono belle poesie, brutte poesie. Cito: “meglio guardare le belle ragazze che essere gay” (silvio berlusconi, 2 novembre 2010).
Gentile @Simonelli, il suo mi pare un po’ un riflesso condizionato anticrociano (“il bello” contro cui non bisognerebbe mettere in rilievo le differenze). Non mi faccia così attardato su posizioni idealistiche: non è quel che dico, mi pare.
Saluti
@ Ilena. Ecco un’antologia di parole delle donne, almeno, una discussione su.
http://www.leparoleelecose.it/?p=6455
trovo l’articolo molto esauriente, ben scritto e ben strutturato.
per quanto riguarda altri ”spunti” circa la letteratura queer o che, quantomeno, tratti questo tema vorrei ricordare un grande militante della letteratura postmoderna italiana: Pier Vittorio Tondelli. vi invito a leggere Altri Libertini e Camere Separate come trampolino e per capire bene la sua poetica.
Per un legame fondamentale fra “opere mai nate” e violenta repressione omofobica, segnalo gli articoli “STORIA DEL MASSIMO REATO” ai link http://www.bandieragialla.it/node/19534 ,
http://www.bandieragialla.it/node/19711 ,
http://www.bandieragialla.it/node/19783 ,
dove si può lasciare qualche commento o riflessione personale, magari per aprire un approfondimento.