di Franco Buffoni
Quella perpetrata su Byron è stata una delle maggiori mistificazioni bio-letterarie dell’Otto-Novecento. Voluta dall’autore stesso per legittima difesa negli anni delle gogne e delle impiccagioni, la mistificazione è stata poi certosinamente reiterata da ricercatori fasulli e agiografi imbecilli, totalmente privi di motivazioni etiche e civili, ma ben provvisti dei propri pregiudizi omofobici.
Gli amici di Byron – in primis il suo esecutore testamentario Hobhouse e il suo editore Murray – fecero di tutto perché non restasse traccia – o comunque non si parlasse – dell’omosessualità del poeta. Che invece riuscì a costruirsi una duratura immagine di tombeur de femmes.
Byron, nella prima metà dell’Ottocento, divenne una sorta di sex symbol per le signore dei due mondi, come in seguito furono Rodolfo Valentino e Elvis Presley. Fu l’homme fatal quando non si parlava ancora di femme fatale, nata nel secondo Ottocento con Madame Bovary.
La realtà era ben diversa: Byron era sentimentalmente e ossessivamente omosessuale, capace di innamorarsi solo di ragazzi e di giovani uomini; però, grazie alla sua esuberanza sessuale, era anche ben in grado di soddisfare le numerose donne che gli si offrivano. Da qui l’equivoco, duro a morire, circa il grande amatore. Ma un conto è innamorarsi e amare (i ragazzi); un altro conto è esercitare una attività sessuale senza coinvolgimento emotivo (anche con persone dell’altro sesso).
Il servo di Byron si compone di 21 capitoli. Ne anticipo in questa sede i primi quattro in quattro successivi post.
I, 1 Sedici anni
Sono Fletcher, signori, il servo di Lord Byron, e scrivo. Scrivo! Il padrone mi credeva capace di fare la mia firma, o poco più. Rideva quando mi vedeva con un libro in mano. Credeva che fingessi di leggere. Lui preferiva avere al suo servizio individui-nature. E io la natura gliel’ho data, quella buona, quella di Scozia. Avevo sedici anni, come lui, nel 1804 e raccoglievo fieno. My Lord era in vacanza e mi spiava: lo capivo benissimo che mi spiava, per questo mi mettevo a dorso nudo e poi pisciavo dove sapevo che mi avrebbe visto bene. Un pomeriggio mi si avvicinò e disse: ho bisogno di un paggio o, se preferisci, di un aiutante… “un servo”, faccio io detergendomi il sudore. Lui sorrise, perché vigliaccamente già sapeva che ci sarei stato. E io ci sono stato, quella sera e tutte le seguenti in cui lui mi ha chiamato. Gli toglievo gli stivali, gli preparavo il bagno e poi lo massaggiavo. E quando se ne tornava a Harrow per la scuola, restavo ad aspettarlo e intanto leggevo le sue carte. Quante cose ho imparato leggendo le sue carte! Se ho resistito vent’anni accanto a lui è perché parlo poco, e solo se interrogato: guardandolo in faccia capivo cosa dovevo dire. Anche a Cambridge quasi sempre lo seguivo. Fedele sì, fedele e innamorato, quanto può esserlo uno speciale servo del suo padrone genio. Immagino che voi sappiate del mio svenimento al suo funerale nel 1824. Ne hanno parlato e scritto le persone importanti come Pietro Gamba e il capitano Trelawny. Svenni per il dolore di averlo perduto. E adesso che sono passati sei anni e gli sopravvivo, scrivo per non impazzire: la sua generosità mi permette di vivere senza dover servire più nessuno. L’iconografia mi riporta carino, carino fino alla morte. Sua. Della mia nessuno saprà nulla.
Ma è bene che cominci dall’inizio, come il mio padrone con la storia di Don Giovanni.
Negli ultimi anni del Settecento, in Scozia, quando io e il mio padrone eravamo ragazzini, la punizione in vigore per i sodomiti colti in flagrante era ancora il rogo all’alba, come il Levitico prescrive. Le varianti erano l’annegamento, l’essere murati vivi, l’essere smembrati. Tuttavia, da qualche decennio ormai, si preferiva ricorrere alla più pratica impiccagione preceduta da gogna, come prescriveva, e tuttora prescrive, la legge inglese.[1]
Nel 1765-9 erano apparsi i Commentaries on the Law of Scotland Respecting Crimes di William Blackstone, che il mio padrone leggeva proprio in quell’estate del 1804, ogni tanto persino ad alta voce, perché sentissi anch’io: “Quel detestabile, abominevole peccato chiamato Sodomia, da non esser nemmeno menzionato tra i cristiani, un peccato contro Dio onnipotente, contro la Maestà del Sovrano, e contro la dignità degli uomini. Questa è la legge di Dio, come dimostra la distruzione con il fuoco delle due città peccatrici, il rogo è la punizione”. Poi tirava la tenda e mi veniva vicino. Ma non dovete pensare che si sfogasse solo con me. Al pomeriggio qualche volta arrivava Augusta, Augusta Leigh, sua sorella, o meglio sorellastra: non avevano lo stesso padre. Solo che Augusta – che era maggiore di cinque anni – era lei che lo stuzzicava e lo sbaciucchiava sul collo e sulle guance mentre lui stava allo scrittoio, finché non si eccitava… era facile però farlo eccitare. Allora chiudevano la porta e poi uscivano tutti scarmigliati. Io no, io dovevo solo aspettare che mi chiamasse: con me di solito era già eccitato.
Quando veniva usata clemenza, o meglio: quando viene usata clemenza – perché le cose in questi anni non sono affatto cambiate – i fortunati sono messi solo alla gogna. La gogna consiste nell’esporre per ore il condannato al lancio di fango e di ogni sorta di schifezze, che la folla va da giorni conservando: rifiuti di tutti i tipi, carogne di animali, in particolare gatti, nonché sassi e talvolta anche pietre. A Londra le più scatenate sono le puttane, coadiuvate delle pescivendole con gli avanzi della settimana. Il condannato viene legato al collo e alle braccia e non può liberarsi il viso: il risultato è sovente la cecità per via delle infezioni sulle ferite; in molti casi la morte.
Ricordo bene che il padrone ne parlava con i suoi amici. Mentre diminuivano le condanne a morte per tutti gli altri reati, il numero di sodomiti messi alla gogna e impiccati giunse al massimo storico proprio negli anni della nostra giovinezza: segno che quello era ritenuto il crimine peggiore. Ho qui la descrizione di una gogna, ritagliata dal Daily Advertiser: “Un’enorme folla si è assemblata dalle prime ore del mattino, trascinando con sé cani e gatti morti in grande abbondanza. Alcuni portano anche pietre che vengono subito lanciate, oltre a enormi quantità di fango e di escrementi”. Ma che leggo a fare? L’ho già detto che molti condannati non riescono neanche ad arrivare vivi al patibolo, soprattutto quando il nodo attorno al collo è troppo stretto. In pratica vengono linciati. Comunque, vivi o morti che siano, prima d’essere impiccati sono sottoposti al lancio di secchi d’acqua bollente perché il boia non si sporchi troppo le mani con la corda.
Ricordo una discussione del padrone con Hobhouse sul filosofo Edmund Burke, che aveva presentato un’interrogazione in Parlamento sui frequenti casi di morte causati dalla gogna. Burke sosteneva che la gogna esisteva per svergognare i criminali, non per ucciderli, e che occorreva regolarne con maggiore attenzione il ricorso, controllando soprattutto l’accesso dei facinorosi. Hobhouse elogiava il suo coraggio. My Lord era sdegnato e gli mostrava un articolo del Public Advertiser: insinuava che Burke avesse un personale interesse ad alleggerire le pene. Eravamo a Londra, nell’appartamento di Piccadilly: avevo appena finito di massaggiarlo dopo l’allenamento nella palestra di pugilato. Ci ho lasciato il cuore in quella casa… se penso a come fummo costretti a lasciarla in fretta e furia…
Persino i fogli liberali – come l’Examiner di Leigh Hunt – nei casi di sodomia non osavano schierarsi. Certo, a differenza dei giornali popolari, non irridevano alle vittime, limitandosi a descrivere i fatti e le punizioni. Ma non osavano schierarsi contro la legge e contro le pene.
Le idee illuministe stentavano a imporsi: come disse Shelley una volta al mio padrone – ed eravamo in Italia, a Pisa – L’esprit des lois di Montesquieu era apparso nel 1748 definendo eresia, stregoneria e sodomia “arcaici crimini ecclesiastici”. Ma mentre le condanne per eretici e streghe erano andate diminuendo fino a scomparire, quelle per sodomia erano rimase ferocemente in vigore. In Inghilterra erano addirittura aumentate. Oh quella sera me la ricordo bene, perché Shelley mi fece i complimenti per i miei capelli, che disse erano ancora belli flaxen. Proprio così, disse: “Your flaxen hair, Fletcher”. E il padrone si rabbuiò. Non perché fosse geloso, non credo. Ma perché lui i capelli ormai li stava perdendo. Non voleva nemmeno più che glieli lavassi…
Non vorrei però fare confusione, vorrei procedere con ordine con la storia della mia vita, che è poi quella del mio padrone. Tutto mi viene in mente insieme. Cercherò di controllarmi. Non ho fretta. My Lord (così sempre io mi rivolgevo a lui) non può più chiamarmi.
[1] La legge scozzese, rispetto alla pur severissima legge inglese, è sempre stata più dura e conservatrice. Quando nel 1967 in Inghilterra l’omosessualità venne completamente depenalizzata, la Scozia mantenne in vigore il reato di omosessualità tra adulti consenzienti fino al 1980. E sarà soltanto nel 1990 che il più grande poeta scozzese del Novecento Edwin George Morgan (1920-2010) avrà il coraggio di fare coming out, dopo decenni di allusioni poetiche all’io narrante e al “suo tesoro” che si rincorrono tra i boschi attorno a Glasgow.
Molto interessante questo revival romanzo-documento!
“il dibattito preferirei mantenerlo centrato sul focus principale: lo stile e la mancanza di, piuttosto che sull’autopromozione”
(Gilda Policastro a ng, in “Stile e romanzo: Daniele Giglioli e Gilda Policastro”, 17 sett. 2011 alle 14:47)
Il tema è interessante, ma un capitolo è troppo poco per giudicare.
questo primo assaggio sembra molto interessante e la cosa che più mi ha incuriosito sono i riferimenti documentati che rendono la storia più vera di quanto possa immaginare.
con interesse attendo i prossimi capitoli…
Il disvelamento di una dominante omosessuale segreta in una personalità storica ufficialmente entrata nella mitologia del tombeur de femmes, mi pare utilmente al servizio di una dinamica letteraria di “ritorno del represso”, come direbbe Francesco Orlando, del tipo individualmente “accettato ma non propugnato”, (per salvarsi dagli orrori della gogna).
La voce, la lingua e il punto di vista del servo che narra la vita segreta del padrone inoltre è un espediente interessante anche filosoficamente (con riferimento alla hegeliana dialettica Servo/Padrone). Come dimostra quesa poesia, incentrata su un altro tema ma su analoga condizione sociale:
Al mio padrone piacciono le rane:
Ogni notte mi manda in riva al Reno,
Ma non le dà alla Gegia che le frigga.
Invece di curare i suoi malati
Le appende alla ringhiera del balcone,
Le pela, le tormenta con un chiodo,
Passa il giorno a guardare come ballano
E scrive lettere in latino (…)
Devo dire: non è un mestiere nuovo.
Anche quell’altro, quello di Scandiano,
Sì, proprio lui, l’abate Spallanzani:
Anche lui mi mandava per ranocchi,
Ma invece di impiccarli alla ringhiera
Metteva insieme le femmine e i maschi,
E ai maschi gli infilava una braghetta
Così che non potessero più fottere :
E poi pretende d’essere un cristiano!
I signori son quasi tutti matti.
(P. Levi, “Casa Galvani”, 3 maggio 1984)
Solo il genio illuminato ed illuministico di un grande intellettuale laico, come indiscutibilmente è Franco Buffoni, poteva riconsegnare alla storia la grandezza di un Fletcher, un eroe la cui grandezza è grandezza di tensioni sentimentali, di pulsioni omosessuali e di consapevole maturità omoaffettiva.
Così, ponendosi sulle orme di altri evidenti esempi di letteratura responsabilmente militante, quali sono i suoi Zamel e Laico Alfabeto, Franco Buffoni, narrandoci la storia del servo di Byron, scardina un’altra tessera del mosaico culturale organizzato dall’intellighenzia eterosessista di un marcescente sistema politico e sociale – il nostro, cosiddetto occidentale – che piega qualsiasi verità alla vocazione insana di normalizzare e neutralizzare “la differenza” che mette in crisi il privilegio e la credenza. Non si può che ringraziare ripetutamente Franco Buffoni per questo prezioso e godibilissimo contributo alla liberazione laica ed alla corretta revisione della storia letteraria della nostra civiltà.
Per quanto possa valere il mio parere di attento e pervicace lettore, al di là del piacere che trovo sempre nella lettura dei romanzi di Buffoni per la snellezza, l’originalità, la levità e l’ironia che permea ogni loro pagina, trovo come sempre interessante il richiamo a dati storici e ad analisi sociologiche ed etiche delle tematiche omosessuali.
D’altronde, ho potuto approfondire gli eventi di Stonewall (“Zamel” docet) grazie a lui!
Come spesso accade, però, con la conoscenza aumenta anche l’indignazione: mentre scopro che nonostante solo nel 1967 l’Inghilterra depenalizzò gli atti omosessuali (“nameless crime”) tra adulti consenzienti, oggi lo stesso Paese è all’avanguardia nella difesa dei diritti civili degli omosessuali, alcune settimane fa, alla Camera, è stata bocciata per la seconda voltala legge contro l’omofobia che prevedeva di introdurre l’aggravante dell’omofobia nei reati a rilevanza penale. La Camera ha accolto le pregiudiziali di costituzionalità presentate da Pdl, Lega e Udc. In altre parole, ha respinto la legge come incostituzionale.
“Noi non abbiamo nessun atteggiamento omofobo e la nostra posizione di fondo è quella di considerare i gay come dei cittadini uguali agli altri e proprio per questo contestiamo ogni trattamento giuridico specifico e differenziato che come tale ammetterebbe e accentuerebbe una diversità, sostanzialmente incostituzionale” – così ha tuonato il compagno di cappucci (dis)onorevole Cicchitto.
Questo ragionamento è, a mio avviso, quantomeno discutibile. Se può reggere a livello teorico, si rivela capzioso e ipocrita al confronto con la realtà. Infatti, se il principio deve essere “lo stesso trattamento per tutti”, allora perché, ad esempio, discutere di quote rosa? Perché riservare dei posti di lavoro ai portatori di handicap? Forse perché la legge, se davvero vuole tutelare tutti nello stesso modo, deve saper fare delle differenze.
D’altronde “non c’è ingiustizia peggiore che fare parti uguali tra diseguali”.
Un’ultima considerazione: nonostante il libro di Buffoni e tutti gli altri testi, saggi ed articoli da lui citati, ecco cosa appare nel sito di Wikipedia a proposito del fascinoso Lord: George Gordon Noel Byron, VI barone di Byron, meglio conosciuto come Lord Byron RS (Londra, 22 gennaio 1788 – Missolungi, 19 aprile 1824), è stato un poeta e politico inglese.
Wikipedia non fa alcun cenno alla sua omosessualità.
Di Franco Buffoni, ahimè, ce ne sono e ce ne saranno sempre, troppo pochi!
Save the date: 23/9 ore 10: “Lista Outing” a cura di Aurelio Mancuso
Più che di una rivelazione, si tratta di un disvelamento. L’operazione di Buffoni acquista una survalenza di fascino proprio perchè va a smontare l’immaginario collettivo: una comunissima e straordinaria icona romantica del tombeur de femme.
Pensavo alla necessità di una simile operazione e la trovo straordinariamente necessaria oggi ed ora.
Riverbera su una contemporaneità fatta di omissis: basti pensare, che da queste parti, si glissa su un autore come Testori (molto amato da un cotè cattolico che però dimentica quanto sia intramata la sua opera ad una componente omosessuale e sessuale irredimibile). E penso al povero Tondelli: gay dichiarato che in ogni libro ci ha raccontato una porzioncina del suo mondo (molto gay).
Dopo la sua morte qualche critico a ‘lui molto vicino’ si è affannato a non dire dell’incidenza della sua sessualità nell’opera letteraria. E un suo editore, anch’esso ‘a lui molto vicino’, in un convegno ha pubblicamente parlato della eterosessualità di Pier: perchè? c’era bisogno di arrivare a palesi mistificazioni? Sono fatti gravi, che accadono nella vita come nella letteratura. La necessità di un romanzo su Byron si traduce nella urgenza di fare chiarezza, e di contribuire alla edificazione di una sana utopia che si declina secondo verità, ratio, e dantesca ‘volontà di dire’ (La vita Nova). In bocca al lupo.
Grazie a coloro che sono intervenuti. Mi auguro che i prossimi tre capitoli possano soddisfare le curiosità sin qui inevase. Mi congedo con l’ultima pagina del romanzo:
* Io, Fletcher – fool of passion, scemo dell’amore, come il mio padrone – termino la prima parte di questo libro il 30 novembre 1830. Il giorno in cui a Parigi viene firmata la “Convenzione intesa a rendere più efficaci i mezzi di repressione della tratta degli schiavi”. Io che fui schiavo in tutto un altro modo. Gradevolissimo.
Io, Fletcher, che concludo la seconda parte il 31 agosto 1833, mentre mi giunge la notizia della condanna a morte per sodomia del capitano Henry Nicholas Nicholls: un caso che ha suscitato molto scalpore per l’alto grado dell’imputato e perché era sembrato che il Reform Bill, promosso dal nuovo parlamento whig l’anno scorso, avesse in qualche modo allentato le pene. Invece ciò è accaduto per tutti i reati, ma non per il crimine senza nome.
Io, Fletcher, che chiudo la terza e ultima parte oggi, 30 dicembre 1848, con tra le mani “The Recollections of the Last Days of Shelley and Byron” del capitano Edward John Trelawny, appena uscito: è il regalo che mi sono concesso per Natale. Emozionandomi tanto perché parla anche di me. Mi definisce “Byron’s yeoman bold”: un’espressione molto letteraria, molto cavalleresca. Fletcher, l’audace scudiero di Byron. Quanto mi piace! Ma c’è anche un’altra considerazione che mi inorgoglisce: racconta Trelawny che il mio padrone ed io venivamo percepiti “as a couple” da coloro che ci conoscevano. Siamo stati una coppia per vent’anni! E se cerco Yeoman sul dizionario trovo: “a youngman, a man in the service of – or in attendance upon – a person of high rank, a lover, a male sweetheart”. A lover, a male sweetheart: io.
Un finale, da nodo alla gola.
Sono davvero felice che qualcuno, in Italia, si decida di parlare anche di questo lato della vita di Byron, sempre ignorato!Non vedo l’ora che esca il tuo libro. Devo rendere merito alla Fazi per fare scelte finalmente controcorrente.
Quando dovrebbe uscire?
Qualche tempo fa lessi un libro fantasy-horror come protagonista Byron e la famosa notte a villa Diodati, e da allora ho cercato di leggere tutto quello che c’era in italiano su di lui.
Aspetto con ansia il libro!
Gentile Ailinon,
grazie per l’attenzione… il libro è in stampa e sarà in libreria a partire dall’11 maggio. La invito a seguire nel mio sito
http://www.francobuffoni.it
in basso alla homepage tra gli appuntamenti le presentazioni che verranno organizzate.
Molto cordialmente. Franco Buffoni
Un nuovo romanzo di Franco Buffoni e per giunta su Byron! Due buone notizie in una volta sola. Mi auguro di cuore che almeno una presentazione sia in programma anche in zona Varese/Como. Terrò d’occhio il sito!
Ho comprato il libro e lo sto leggendo. (L’unica mia pecca è che non so l’inglese accidenti!)
E’ un saggio-romanzo coraggioso, e devo rendere merito che qualcuno in Italia si decida a parlar chiaro. E da quello che scrive, anche in Ighilterra hanno sempre voluto tenere la testa sotto la sabbia…
La verità non fa mai male, ed è tempo che la si dica. Davvero complimenti!
Se vuole, il mio forum di cultura generale sarebbe ben lieto di avere anche le sue opinioni.
C’è anche un post su Byron e Shelley che aprii tempo fa.
http://cortedelgaiosapere.forumcommunity.net/?t=38223105&st=30#lastpost
E’ curioso il fatto che i fantasy-horror che lessi con citato Byron, avessero avuto più coraggio di parlare della sua omo o bisessualità, che i saggi su di lui.
Se vuole, parlo di “i licantropi” di Hardebusch Christoph e “il vampiro” di Tom Holland.
Grazie mille per il suo bellissimo libro!
Aily