di Gianluigi Simonetti
Era dal due marzo del 2012 che non mi capitava di vedere Marzullo in tv, nella sua trasmissione settimanale dedicata alla letteratura. All’epoca ne avevo scritto sulle Parole e le cose – poche osservazioni sugli scrittori e il piccolo schermo.
Ieri notte, dopo tanto tempo, mi destreggiavo in uno zapping compulsivo, allo scopo di allontanare cattivi pensieri: per dimenticare i brutti ricordi la televisione funziona forse meglio dell’alcool o della droga. E così di nuovo mi imbatto, nove mesi dopo, in L’appuntamento. Stavolta si parla di Ho visto cose, il nuovo libro di Clemente Mimun, ex direttore di TgUno, TgDue e TgCinque: ne dibattono con Marzullo i giornalisti Gennaro Sangiuliano, Paolo Liguori e un terzo di cui non ho afferrato il nome (“l’amato collega del Messaggero”, lo ha apostrofato a un certo punto Mimun); con testimonianze registrate di Bruno Vespa, Carlo Rossella ed Enrico Mentana, che ha citato a un certo punto “le madeleines di Proust”. Intervengono inoltre tre docenti universitari, i professori Caramiero, De Cristofaro e Bennato, i quali si distinguono dai giornalisti perché parlano del “testo”, e non del libro. Comunque Ho visto cose è piaciuto a tutti gli ospiti, senza eccezioni né riserve di nessun tipo, quindi sarà di sicuro molto bello.
Chiude la puntata una breve intervista di Marzullo a Maria Cuffaro, giornalista del TgTre, che presenta il suo Kajal. Le vite degli altri e la mia. Ci dice che l’ha scritto tutto di notte, nel giro di un mese.
Sono le due e un quarto e non abbiamo la forza di fornire ulteriori dettagli. Ripubblichiamo invece il pezzo scritto nel marzo scorso.
* * *
L’Appuntamento è una canzone che devo aver ascoltato spesso da piccolo, penso per via di mia madre, a cui Ornella Vanoni piaceva abbastanza. Per molto tempo credo di non averla più sentita; l’ho ritrovata qualche anno fa, grazie a una cover piuttosto fedele eseguita da Roberto Dell’Era durante un suo concerto romano. Tra l’altro – ma questo l’ho scoperto ancora dopo – L’appuntamento accompagna i titoli di testa di un bel film di Duccio Tessari, Tony Arzenta, con Alain Delon nei panni di un killer della mafia deciso ad andare in pensione per godersi la famiglia. La canzone della Vanoni accompagna il protagonista nel viaggio in auto tra Milano e Torino, alla ricerca di quella che dovrebbe essere la sua ultima vittima.
Venerdì due marzo mi trovavo a Bruxelles, ospite della Fiera del Libro e del Padiglione italiano organizzato da Stefania Ricciardi. Arrivo a sera stanco e un po’ influenzato; terminato il mio intervento decido di tornare in albergo, mi stendo vestito sul letto e accendo la televisione. Noto su un’emittente di calcio internazionale una sintesi di Svizzera-Argentina che mi interessa – Messi e Aguero formano la coppia d’attacco e fin dalle prime battute si capisce che faranno sfracelli – ma per scrupolo continuo a fare zapping, finché, arrivato al canale numero trentanove, sento partire le note dell’Appuntamento. “Ho sbagliato tante volte ormai, che lo so già/ che oggi quasi certamente sto sbagliando su di te”. Sullo schermo, in basso, il logo di Rai Uno. “Ma una volta in più che cosa può cambiare nella vita mia/ accettare questo strano appuntamento è stata una pazzia”. Anche stavolta la canzone accompagna dei titoli di testa: sono quelli di una trasmissione condotta da Gigi Marzullo, intitolata proprio L’appuntamento e consacrata alle novità letterarie.
“Càpita, soprattutto nel periodo dell’estro felino, di vedere un gatto spiaccicato ai bordi della carreggiata. (…) Si vorrebbe portare la vista altrove, ma lo sguardo è come calamitato e continua a seguire nello specchietto retrovisore il gatto spiaccicato fino a che scompare dietro le spalle. (…) L’effetto gatto-spiaccicato è l’unica spiegazione all’esistenza televisiva del personaggio che anima le visioni di oltre mezzanotte. Forse già nel sembiante Marzullo esercita una sorta di sinistro magnetismo in ragione del quale, nel corso di un sonnacchioso zapping notturno, nessuno può fare a meno di fermare lo sguardo sull’inquisitore occhialuto che passa al setaccio il narcisismo dell’ospite di turno. Razionalmente si percepisce l’orrore di quanto sta accadendo, per il medesimo meccanismo d’attrazione non si riesce a distogliere lo sguardo e ci si lascia rapire dalla trance ipnotica della reiterazione delle formule.”
E’ forse a causa dell’effetto “gatto spiaccicato” descritto da Gianluca Nicoletti che nel corso della mia vita di telespettatore nottambulo ho visto molte puntate, non solo di Mezzanotte e dintorni e Sottovoce, ma anche diCinematografo e Palcoscenico, dedicate da rispettivamente al cinema e al teatro. A mio parere Marzullo dà il meglio con le giovani attrici, specie se debuttanti; al contrario, per quel che mi ricordo, le partecipazioni degli scrittori alle sue trasmissioni sono rare e non particolarmente vivaci – con l’eccezione di una scoppiettante puntata di Mezzanotte e dintorni in cui un Aldo Busi ancora allegro tentava di convincere Marzullo a iscriversi all’Arcigay. L’Appuntamento non l’ho mai visto, dev’essere una novità del palinsesto, ma in breve mi rendo conto che non si discosta dai collaudati schemi marzulliani, applicandoli alla letteratura al prezzo di minimi aggiustamenti. Per esempio al posto della pianista che interviene in Sottovoce – “la bellissima e bravissima Giovanna Bizzarri” – c’è una giovane attrice che legge alcuni brani del libro di cui si discute in studio. Una rubrica intitolata Il romanzo della vita sembra prendere nell’Appuntamento il posto che la canzone scelta dall’ospite ed eseguita dalla Bizzarri occupava in Sottovoce.
Di cosa si parlava nell’Appuntamento di venerdì scorso? Di un volume appena uscito, L’albero del mondo di Mauro Mazza. Per Mirella Serri, un “romanzo a tutti gli effetti”; per un altro ospite di cui non ho afferrato il nome, un “romanzo-non romanzo”; per lo stesso Mazza, “un romanzo storico o un saggio romanzato”. Non sapevo che Mazza fosse uno scrittore: lo conoscevo come direttore di Raiuno. Né sapevo che Gennaro Sangiuliano – altro ospite in studio – fosse un critico letterario: lo conoscevo come vicedirettore del TgUno. Infine, ignoravo che Marzullo si interessasse di romanzo storico – anche se ero a conoscenza del fatto che fosse, da anni, responsabile dei servizi culturali di Raiuno. Un ruolo che svolge con la discrezione che gli è unanimemente riconosciuta: l’evidente estraneità di Marzullo al dibattito culturale italiano è infatti garanzia di indipendenza di giudizio, equilibrio e assenza di partigianeria. Non a caso il giornalista, nella vita, colleziona silenziatori per motori, e non a caso il suo programma più famoso s’intitola Sottovoce: in campo artistico Marzullo non ha opere, autori o poetiche da imporre o da difendere; non esprime idee forti, e in fondo nemmeno preferenze, perché sono tutti bravi, e tutti bravi allo stesso modo; le discussioni con gli amici le coordina al riparo dalle faziosità e dalle contrapposizioni virulente, com’è giusto che sia quando si parla di alta cultura in un servizio pubblico. In effetti, se l’obiettivo è diventare responsabile dei programmi culturali di Rai uno, perché dividere, quando si può unire? E soprattutto perché perdere tempo a leggere libri, ad assistere a proiezioni e allestimenti, quando ciò che serve è coltivare rapporti diretti e personali col potere, nelle redazioni dei giornali, nella anticamere dei partiti, alle serate mondane, allo stadio? E forse per questo la situazione che si presentava sotto i miei occhi febbricitanti, venerdì scorso, era, ricapitolando, la seguente: il responsabile dei servizi culturali di Raiuno che dedica una puntata del suo programma al primo romanzo del direttore di Raiuno, coadiuvato in sede critica dal vicedirettore del TgUno. Il romanzo in questione è importante e molto bello, lo pensano tutti i presenti in studio – anche quelli che non lavorano a RaiUno.
A dire il vero non tutto l’Appuntamento è dedicato al libro di Mazza. Una manciata di minuti – direi cinque o sei – la impegna un’intervista a Souad Sbai, autrice di Il sogno infranto, sull’esito controverso della primavera araba (la Sbai, ex giornalista, siede attualmente in Parlamento tra i seggi della stessa coalizione cui sono legati Mazza e Sangiuliano). Pochi minuti per alcune interviste ai clienti di una libreria romana (“Lei si interessa di libri storici?”), poi Il libro della vita: l’ospite è Luigi Diberti – attore e doppiatore, secondo Wikipedia; negli ultimi tempi attivo soprattutto nella fiction di Raiuno. Gli vengono accordati dieci secondi in tutto, il tempo di farci sapere che La giornata di uno scrutatore di Italo Calvino è il romanzo che gli ha cambiato la vita. Non sapremo mai perché.
L’Appuntamento di venerdì due marzo dice molte cose, mi pare, sulla Rai, sul giornalismo e sulla politica italiana: organismi diversi ma legati ormai indissolubilmente, come gemelli siamesi. Oltre il semplice conflitto di interessi, o il più spiccio scambio di favori, la commistione tra queste burocrazie fa pensare in effetti all’atavismo, all’autoreferenzialità, alla promiscuità fatale dell’incesto – un incesto impiegatizio, ministeriale, romanesco; odoroso di pecorino, senza lo scandalo e il trionfo che a volte festeggiano la violazione di un tabù.
Ma questo, come dicono appunto a Roma, “se sa”. Mi pare più stimolante riflettere, a partire dall’Appuntamento, su cosa sta diventando la letteratura nella televisione generalista (e forse non solo in televisione): qualcosa che non è mai veramente lei. E questo in almeno due sensi.
In primo luogo, la letteratura va spesso in tv come il frutto di un ‘secondo mestiere’, e più spesso ancora come semplice hobby: qualcosa che viene fatto e discusso da politici, giornalisti, attori nei ritagli di tempo, quando non lavorano alla politica, al giornalismo o allo spettacolo (“Direttore, dove ha trovato il tempo per scrivere un romanzo?”: la prima di domanda di Marzullo a Mazza). Col passare degli anni l’attività di scrivere si rende sempre meno associabile, socialmente, all’ambizione alla buona o alla grande letteratura, per diventare nient’altro che un ingrediente tra gli altri dell’estetizzazione globale in corso. Togliatti e Berlinguer non hanno scritto opere letterarie, Veltroni, Franceschini e Vendola sì; Pupo, Faletti e Antonella Clerici hanno pubblicato romanzi, Lelio Luttazzi, Vianello e Corrado no. Se negli ultimi tempi l’editoria letteraria ha aperto le porte ai media è perché prima i media hanno vampirizzato la letteratura, cooptandola, con la complicità di molti addetti ai lavori, nel loro progetto di spettacolo integrato; in una trasmissione letteraria non si invitano pertanto letterati o critici letterari, ma soprattutto politici o giornalisti o personaggi mediatici. “La letteratura cambia la vita”, ammonisce Marzullo – e lo fa scrivere a grandi lettere sullo sfondo dello studio, tra una gigantografia di Alberto Bevilacqua e una di Alda Merini – ma i suoi ospiti sono in realtà persone che hanno dedicato la vita a fare altro, e che sono approdati alla pubblicazione di un’opera letteraria proprio perchéhanno fatto e continuano a fare altro. Se la letteratura non ha cambiato la loro vita, molto difficilmente potrà cambiare quella dei loro lettori.
Così, mentre la televisione ama proclamare la forza e l’importanza della letteratura, di fatto le chiede, per apparire sugli schermi, di mescolarsi ad altre esperienze – di diventare qualcosa di più piatto e più glamour. Un processo che implica conseguenze ulteriori – ad esempio il ripescaggio o la creazione in vitro di nuovi autori transmediali, a metà tra televisione, cinema, radio e letteratura; ma che investe perfino i classici, se per parlare di Dante è bene che si muova Benigni. Il problema, alla fine, è che anche quando in studio ci va uno scrittore vero – Saviano, per esempio – non è dei suoi libri che si parla, ma sempre di un tema, un personaggio, un caso extraletterario alla moda che trovano nello scrittore-ultracorpo il pretesto per potersi manifestare. Uno scrittore in tv è raramente soltanto uno scrittore che parla della sua opera; è spesso una figura diversa e ibrida, che è lì per parlare d’altro, in una lingua che non è la sua.
In televisione ci si traveste da scrittore solo se non lo si è; se lo si è, ci si traveste da opinionista. Non è la letteratura che cambia la vita, ma la nostra vita che sta cambiando la letteratura.
[Immagine: Alain Delon in Tony Arzenta (1973) di Duccio Tessari (gs)].
Simonetti, lei non è democratico, Marxzullo alla grande. Ecco il segreto del suo successo (e lascio in sospeso a chi dei due si riferisca “suo”)…
Caro Gigi,
apprezzo molto questo tuo contributo, che mi era sfuggito a marzo.
Anni fa, avendo un po’ di tempo da scialare, decisi di esaminare la questione Veltroni: incominciai a leggere un suo romanzo (non ricordo più quale, naturalmente) proponendomi, con neutralità filologica, di farmene un’idea in senso ‘letterario’, che prescindesse cioè dal personaggio politico e mediatico. Il romanzo mi parve veramente penoso. Il registro linguistico era intollerabile, un italiano facile facile, da studente liceale; il contenuto, la trama, ecco quelli erano da rimuovere, evidentemente, perché ripeto, non me li ricordo. Chiusi lì l’esperimento, un po’ ridendo in verità, sia di me che di Veltroni, della serie “ma mi faccia il piacere!”. E sì che io non sono una lettrice calcenterica ed esigente, perché nella vita ho sempre fatto molto altro a parte leggere.
Ma basta con l’autobiografia. Il punto è: ma queste cose, questi prodotti di consumo televisivo realizzati con carta stampata, li dobbiamo chiamare letteratura? Anche ammettendo che sia un sottogenere, un genere-monnezza, in fondo li includiamo in ciò che chiamiamo letteratura. La mia domanda non è retorica: li possiamo inquadrare in altro modo?
Anche perché mi dà da pensare, come osservi tu, questa scrittura come secondo lavoro, hobby, la notte… mah. Ma perché i politici non fanno i politici, i magistrati i magistrati, i poeti i poeti, i professori i professori? Cos’è questa posa da umanisti del Quattro-Cinquecento, tuttologi… Voglio dire, saranno mica tutti come Leonardo Da Vinci, questi qua?
Un caro saluto.
Caro Buffagni,
mi sa che è vero, in fondo non sono democratico.
Cara Mariangela,
mi pare difficile negare che questi “prodotti”, come lei li chiama, siano, tecnicamente, letteratura. Direi anzi che l’offerta letteraria dei nostri tempi si compone soprattutto di prodotti come questi. Poi, certo, li possiamo inquadrare anche in altri modi – possiamo perfino fingere che non esistano, e dedicarci esclusivamente al culto dei capolavori. Però a me sembra non privo di interesse verificare ogni tanto come questa letteratura ” debole” influenza e contamina l’altra letteratura, quella “forte”, che continuiamo a pensare come la vera e sola, e invece socialmente è sempre più minoritaria e di nicchia…
Simonetti, ” il semplice conflitto di interessi, o il più spiccio scambio di favori “, possiamo dire che esiste solo da Marzullo? Non le pare che si sia marzullizzata tutta la ” cultura ” italiania? E Saviano Fazio, nel trattare la letteratura, non sono più marzullosi ancora? Non è che l’acqua è poca, e i troppi paper-i non galleggiano più? Voglio dire, non è che il pensiero critico abbia perso completamente di cittadinanza, a favore dell’endorsement continuo? In rete stessa, nei nobili Litblog, e qui medesimo, in LPLC, se ti provi ad avere un’opinione critica su una qualsiasi opera o su un qualsiasi articolista, come vieni trattato?
Comunque – l’ho detto altre volte – per sottrarsi a questo troiaio bisogna inventarsi un nuovo statuto. Nelle cosiddette arti visive, per esempio, tutti producono e smerciano croste, però c’è un sistema che seleziona e valorizza i pochi artisti ritenuti di valore (magari a torto, ma questo è un altro discorso…).
Grazie per la risposta. Non volevo assolutamente negare l’interesse di un’indagine come quella che tu* prospetti, al contrario; però così, ipotizzavo il conio di un neologismo che potesse inquadrare il fenomeno. Non mi azzardo a proporne uno perché non sono all’altezza.
E comunque bisognerebbe dedicarsi anche al tandem Fazio-Saviano, come suggerito qui sopra.
* (non rispondermi con il ‘lei’)
@Massino
Non sono tanto d’accordo con lei. In particolare:
1. Non ho scritto, e non penso, che ”il semplice conflitto di interessi, o il più spiccio scambio di favori “ esistano solo da Marzullo – anche se è vero che da Marzullo sono concertati in modo particolarmente virtuosistico, direi grandioso (e di questo spettacolo è facile ridere; anche se poi ci sarebbe poco da ridere, se si pensa che il potere di Marzullo è reale e non piccolo, e che da molti anni è soprattutto lui a occuparsi di arte e cultura su RaiUno). Ho ammesso per primo che questo aspetto autoreferenziale è comunque il più scontato delle sue trasmissioni (“se sa”), e che il lato più interessante secondo me è un altro: quello che riguarda l’identità e il ruolo della letteratura secondo Marzullo. Interessante non solo e non tanto perché abolisce quello che lei chiama “il pensiero critico” (anche questo non è un tratto esclusivo di Marzullo: è tutta la televisione, anzi tutta la comunicazione di massa che fatica a conciliarsi col pensiero critico), ma più specificamente perché contribuisce a ridurre la letteratura a pratica sociale tra le altre, ad attività glamour tra le altre, ad esercizio mondano accanto ad altri esercizi mondani. In questo senso sì, si potrebbe parlare di marzullizzazione di una parte della cultura italiana degli ultimi anni, o decenni.
2. La letteratura secondo Saviano ha in effetti almeno una cosa in comune rispetto a quella secondo Marzullo: la propensione ad aggregarsi attorno a nuclei extra-letterari, a fuoriuscire dalla letteratura tradizionalmente intesa – culto della forma e scuola di concentrazione. Però mi sembra ingeneroso tacere delle differenze, che sono tante e importanti: a cominciare dal fatto che Saviano interpreta la letteratura come strumento capace di cambiare un mondo che non va, mentre per Marzullo e i suoi amici il mondo va benissimo così com’è, e la letteratura ha scopi blandamente decorativi. Si può (e secondo me si deve) nutrire delle riserve sulla poetica di Saviano, ma non mi pare giusto metterlo sullo stesso piano degli amici scrittori di Marzullo.
3. Non mi sembra affatto che la discussione letteraria in rete somigli a quella in tv (specialmente poi nella tv di Marzullo). In rete il confronto sulla letteratura è prevalentemente polemico, da Marzullo esclusivamente digestivo e sedativo. Nei blog il dissenso si può esprimere, e di fatto si esprime molto spesso (lei lo sta esprimendo qui e ora); da Marzullo il dissenso non esiste – e non perché vi sia censura, ma perché da lui non si parla di nulla da cui valga la pena dissentire.
Temo che il poco dissenso residuo, avendo perso di mira il rinnovamento delle sue forme, sia nella odierna società qualche cosa di più disgustoso del consenso… quindi catalogare qualcuno, in questo caso me, tra i dissenzienti… potrebbe essere una maniera vieppiù raffinata per denigrarlo… Sono certo che non è il suo caso, Simonetti, ma va ammesso che in generale potrebbe essere come sto dicendo (do you remember i seminatori d’odio di giusto un anno fa?). Vabbè, lasciamo perdere…
Che ”il semplice conflitto di interessi, o il più spiccio scambio di favori “ siano un problema generale, e non un problema di quella trasmissione, lei non l’aveva scritto, né lasciato intendere…
Che Saviano sia diverso da Marzullo, lo so vedere anch’io. Ma a parte il ciuffo, in cosa sono diversi i due portabandiera del culturaio televisivo, nel divulgare la letteratura? Saviano dice spesso che scrive per il grande pubblico (dunque in una forma letteraria spiccia, adatta al consumo). Ha scritto un solo testo importante, definito romanzo dall’editore, ma da tutti consumato e descritto come contenitore di verità (quando noi sappiamo che Gomorra fallisce prima di tutto il bersaglio verità, perché collocandosi l’autore in mezzo ai fatti, come io narrante, e non all’esterno di essi, il suo lavoro può produrre al massimo EMPATIA, che è tutt’altro che verità). Insomma, senza farla tanto lunga: alla letteratura ” vera “, quella che garba a noi, quella che in genere si fa spazio con il tempo, a partire da un lavoro non sempre prevedibile su temi, lingua e forma, non fa più danno Saviano, collocandola nell’ambito dell’utile, del sociale, del giudiziario, del politico, in definitiva nei processi di produzione di merci e consenso?
E ancora, i programmi di Fabio Fazio – o se vogliamo di Baricco, Augias, Bignardi, Dandini, Volo o chi altro, provenienti da fornitori a noi più graditi -, dal punto di vista della comunicazione letteraria, non sono un vergognoso elogio continuo? Lo sa che l’ultimo programma della Dandini fu un’imbarazzante sfilata di contenuti e soci del suo produttore (Fandango, che già ci guadagnava per la gestione del milionario appalto…)? Rivabbè… Rispetto al trattamento di un testo letterario nei programmi di approfondimento, possibile che a nessun cervellone venga in mente di far anticipare la presentazione dei libri da due opinioni autorevoli, una pro e una contro? O i testi da presentare (promuovere?) sono così fragili da non sopportare nessuna opinione contraria? Tornando a Saviano, e chiudo: possibile non si sia mai confrontato in tv con chi lo critica, mettiamo uno autorevole come Alessandro Dal Lago?
Sorry, ” un’imbarazzante ” nun se po’ vède…
Ha ragione Simonetti: non è che la roba marzulliana non sia letteratura, così come sarebbe assurdo pensare che i film commerciali non siano cinema, e che cinema sia soltanto quello (cosiddetto) d’autore. Aggiungerei, addirittura, che anche in questo campo possono darsi dei “capolavori”: capolavori di genere ma pur sempre lavori migliori di altri altrettanto di genere. Il punto è che l’osmosi tra ciò che un tempo era l’ “alto” e il “basso” (questione aperta almeno dai tempi di Balzac) è diventata sempre più difficile, sempre più – si direbbe – presa in una rete di fili più o meno invisibili, in cui anche il giudizio critico rischia di rimanere invischiato. La cautela è necessariamente il principio guida del critico oggi.
Caro Massino,
1. Non intendevo mica assegnarla al girone dei “dissenzienti” per l’eternità, né dare una connotazione negativa alla categoria; le facevo solo presente che in questa discussione lei è intervenuto esprimendo dissenso rispetto ad alcune tesi dell’articolo, il che dimostra che il dissenso in rete esiste. Ed è certamente un bene, quando chi dissente ha qualcosa di interessante da dire.
2. Scrivendo che “questo, come dicono appunto a Roma, se sa”, e che “mi pare più stimolante riflettere, a partire dall’Appuntamento, su cosa sta diventando la letteratura nella televisione generalista (e forse non solo in televisione)” mi riferivo al fatto che non è l’autoreferenzialità l’aspetto più interessante e tipico della trasmissione di Marzullo. Del resto il pezzo si intitolava “Ritagli di tempo”, e non, per esempio, “Compagni di merende”. Non ho mai visto le trasmissioni della Dandini e di Volo, quindi non mi pronuncio; immagino che abbia ragione lei. Il fatto è che da un po’ di anni non posseggo la televisione, quindi le mie incursioni in materia sono casuali e abbastanza estemporanee (il che mi rende forse troppo impressionabile).
3. Su Saviano il discorso sarebbe lungo e ci porterebbe molto lontano. Per restare sul pezzo, mi limito ad osservare che molta letteratura “vera” è nata, magari suo malgrado, “nell’ambito dell’utile, del sociale, del giudiziario, del politico” – cioè come letteratura minore, o anche come non-letteratura, come scrittura che supera o aggira o teme la letterarietà. Comunque lo si giudichi (e a me non piace molto, quindi non mi metterò a difenderlo), Saviano incarna comunque una poetica; la sua divulgazione ruota attorno a un’idea della scrittura sicuramente parziale, e forse ingenua, ma forte e specifica. Non mi pare che della Bignardi o di Marzullo – per fare due esempi – si possa dire lo stesso.
La poetica di Marzullo è: “Tutto qui? Tutto qui. [Pausa] Bè, che ora abbiamo fatto?”
Francamente, lo trovo eccelso. Di lui ho ricordi abbastanza lontani, risalenti al periodo in cui, in caso di insonnia, guardavo la televisione (poi ho smesso).
Lo trovavo maestoso. L’ultimo uomo di Nietzsche a Marzullo je fa ‘na pippa, in confronto questo spauracchio del babypensionato è un modello eroico al livello di un Teseo Tesei…(ecco perchè ho smesso di guardare la tv, temevo di subirne il fascino).
Marzullo….quel teatrino cinematografico che mette insieme è impagabile e comunque dove altro si parla di cinema? A Radiotre, a Hollywood party ma da Marzullo capita che magari vedi tra la gente intervistata qualcuno che non vedevi da anni ed è bello vederlo lì che spiega se il film gli è piaciuto o no…Con la letteratura non va, ma a suo modo è mitico, non fosse che appare di notte come un vampiro…con le attrici giovani e carine specie un tempo, ora un po’ meno, passava dalla domanda: Cosa pensa dell’amore? a “E cosa pensa dell’aborto?”…ti lascia stecchiti ogni volta che rifà la pappardella della trasmissione che chiude il palinsesto della Rai mentre il vecchio giorno se n’è andato e un nuovo giorno sta per cominciare…a suo modo è davvero unico!