di Massimo Gezzi

[Queste due poesie fanno parte di una sezione inedita composta da dieci testi. Ognuno di essi ha un numero di strofe pari alla sua posizione e al suo titolo].

Quattro strati sotto Piazza Matteotti

I.
Il primo è ricoperto
di terra umida, piena di muschi
e di cemento. La pala la frantuma,
la penetra a fatica.

II.

Il secondo sono scheletri
composti, tibie, crani fracassati
di uomini sepolti in parallelo
con la testa alle colline e la spina
a perpendicolo del mare.

III.

Il terzo sono forme indecifrabili,
finché la pala non ne raschia nettamente
i contorni: e sono arcate, muri,
volte di granai e la fornace
circolare in cui cuocevano gli operai
i materiali di costruzione.

IV.

Il quarto è il buio inesplorato,
la verticale del silenzio.

.

Cinque finestre

I.

La sagoma dei palazzi in zona Fiera.
Il muro macchiato, la lampada impolverata
accesa tutta la notte. La coppia che faceva
l’amore sotto casa, non sapendo che da là sopra
si poteva esser visti.

Tieni sempre in mente
la tua conformazione.
Simmetria indeclinabile, assiale:
due orecchie, due gambe, due polmoni.
Due occhi soli.

II.

Il movimento delle foglie contro la luce
del pomeriggio di metà ottobre.
Due corpi coincidenti sopra il letto,
a porta chiusa. Passi più vicini: veloci,
ricomporsi. Risalire di gradini: via libera,
spogliarsi.

Smettila di credere che il silenzio
significhi nulla. Ripeti questa lista:
ronzii dal frigorifero,
automobili che vanno,
acufeni nelle orecchie, ambulanze,
il tuo respiro.

III.

Sul terrazzo delle domande.
Le torri come punti esclamativi
contro il viola delle sette.
Gli aerei su Malpensa in cui qualcuno
che atterra sta guardando dritto qui.

Mezza cupola di Duomo non basta
nemmeno a trattenere le tue carte.
Stacca tutti i fogli appesi ai muri.
Apri l’immondizia, getta via le pentole,
lo zucchero, le piante del balcone.
Chiuditi la porta alle spalle, butta la chiave.

IV.

Luci incolonnate, cellette di cadaveri
che ogni sabato spalancano i vetri
per battere un tappeto, o sospendere nel vuoto
un lenzuolo, due guanciali.
Una volta un cuscino rovinò dal nono piano.
La signora gridò, fu colta da vertigine.

Siediti e guarda precipitare Edna Cintron
sui marciapiedi di Manhattan. Le gambe parallele,
le mani intrecciate dietro la nuca,
nel suo volo da manichino.

V.

La geometria delle cime dei cipressi.
La luce del mattino, interrotta dalla tenda.
Poi la cena condivisa, il sonno comune,
l’abbraccio sulla soglia che dice

non muoverti, ritorna, possiamo addormentarci
prima che faccia giorno, ricomincia a tracciare
i perimetri, spegni le luci.

22 thoughts on “Due poesie inedite

  1. Gli amici poeti mi dicono che il secondo libro [escludendo plaquettes, chapbooks e consimili – insomma, quello che gli anglosassoni chiamano “full book”] è di solito il più difficile, sia da scrivere che da pubblicare: mi sembra che il nostro Jazzy sia sulla buona strada. Ottima, direi.
    E poi io mi riconosco appieno nel secondo strato della prima poesia!

  2. Immersa nelle mie leggi,decreti,interpretazioni.numeri…..oggi leggendo tutto questo riscopro che la vita è fatta di tanto altro. Grazie Massimo

  3. due sequenze notevoli, specie i “quattro strati”.
    ho l’impressione che qua e là i testi soffrano di una rigidità eccessiva (probabilmente, nelle zone “auto-imperative” che rispondono agli atti di visione-dizione delle Cinque finestre).
    ma, comprendo anche, come sia questa la via coerente a quel “fare mattoni” de L’attimo dopo. spero di poter leggere presto il resto del lavoro, per un’idea più articolata.

    complimenti a Massimo Gezzi e un saluto a tutti

    f.t.

  4. sono molto belle. So che è un dire acritico, ma la prima cosa che viene da scrivere è proprio questa.
    E poi dirci di una vita comune, delle parole e delle cose, e degli uomini, non con le Twin towers o una data: ma pronunziando il comunissimo nome di Edna: in cui ci ritroviamo, tutti noi, mentre cadiamo

  5. Complimenti, le trovo bellissime, un sillabato perfetto, un vedersi reciproco in un silenzio sospeso, un gioco di prossemica sofisticato e lieve…

  6. Piccole icone spazio-temporali. Sguardo genealogico e tellurico sulla superficiale quotidianità. Sono notevolissime davvero!

  7. c’è, mi sembra, una chiarezza inedita, nel senso che le immagini vengono a galla in maniera quasi istantanea, immediata, per accensioni che quasi si sovrappongono … molto belle!

  8. in ritardo, ma, appena lette le due poesie, voglio esprimerti anch’io apprezzamento per esse – e, in particolare per la seconda, che trovo davvero riuscita e matura; insomma, bella.

  9. Caro Massimo, ho letto con piacere le tue due poesie, e lascio, se mi è concesso, un mio breve commento e un saluto a te e agli amici di “Le parole e le cose”.
    Prima poesia (quattro strati sotto Piazza Matteotti): una curiosità e una riflessione
    – curiosità: dov’è la Piazza Matteotti a cui fai riferimento?
    – riflessione: come in altre tue poesie, il tuo sguardo, anche qui, lavora su più dimensioni e restituisce: materia, piccole storie che sono Storia, frammenti di assoluta incandescenza. Inoltre, questo tipo di immagini “stratigrafiche” mi sono particolarmente care, e le tue, nello specifico, le trovo molto efficaci. Può essere una buona cosa scavare con e nella parola; è un lavoro prolifico anche quando non gratifica – anche quando sotto la terra trovi altra terra ancora – più in là “è il buio inesplorato,/ la verticale del silenzio” – appunto.

    Seconda poesia (cinque finestre): in questo caso, ciò che più mi ha colpito è una sorta di nuova architettura d’insieme (rispetto ad altre tue cose), congeniale al sistema del racconto in versi – i tuoi “mattoni” partecipano e raccontano della casa degli uomini, dei loro luoghi, voci, delle loro occasioni di elevazione e di sconfitta. La casa degli uomini – l’uomo tecnologico che sa erigere grattacieli e sa farne olocausti.
    Poi c’è questa cosa del silenzio, che è evidente in entrambe le poesie, ma nella seconda si fa più consistente, e per assurdo, questa densità del silenzio diventa maggiore proprio grazie ai rumori che vengono elencati nella “lista” della seconda finestra che è, tra le cinque, quella nella quale lo sguardo è più deciso, quasi severo, ma necessario, per ciò che mi riguarda.
    Credo che le tue “liste” siano dei veri e propri imperativi di esistenza – e resistenza.

    Un saluto

  10. Con molto ritardo, ringrazio Sergio, Francesco Dalessandro, Pietro Russo e Andrea Lanfranchi.
    Credo che tu abbia colto le motivazioni più autentiche che stanno all’origine di questi testi, caro Andrea. E spero che tu abbia ragione, quando li definisci “imperativi di esistenza – e resistenza”. La piazza in questione, ricostruita di recente, è quella della mia città: i “reperti” di cui parlano i “Quattro strati” sono reali e ormai di nuovo invisibili, ricoperti dai nuovi lavori di pavimentazione.
    Di nuovo grazie a tutti per l’attenzione.

  11. Massimo, cosa aggiungere alla parole di un maestro come Franco? L’augurio di diventare un maestro come lui e la strada, come ha detto Damiano Abeni sopra, è davvero ottima. Presto o tardi di traduco in inglese.

  12. Conosco i fatti e il luogo e sono rimasta incantata dalla prima poesia. Perdonami se non ho dedicato prima del tempo a seguire le tue opere. Prometto che ti seguirò di più e un grosso in bocca al lupo per la tua nuova grande avventura.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *