cropped-Cardenal-Ratzinger-y-Beato-Juan-Pablo-II1.jpgdi Tomaso Montanari

In quale Dio crede Joseph Ratzinger?
Se da almeno mille e settecento anni l’esercizio del potere da parte della Curia romana tradisce un ateismo pratico, il discorso con il quale, l’11 febbraio scorso, Benedetto XVI ha annunciato l’inaudita decisione di lasciare il pontificato sembra presupporre un ateismo anche teorico: «Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato». In altre parole: mi dimetto perché non sono forte, non sono adatto (in latino, ha scelto la parola «aptus»: capace). E per vincere, nel mondo d’oggi («in mundo nostri temporis»), ci vuole la forza: «vigor».Per un cristiano (come me) queste sono affermazioni sconvolgenti perché negano radicalmente l’idea di Dio che la Chiesa stessa mi ha insegnato, seguendo la Scrittura e la Tradizione.
Il Dio della Bibbia è il Dio che ribalta sistematicamente la logica, umana, della forza: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà» (Luca, 9, 24). Un Dio le cui vie, lontane dalle nostre, sono vie paradossali: vie in cui vince chi perde, e in cui trionfano la debolezza e la povertà di spirito.

Il Dio che suscita una discendenza in Abramo e Sara, privi di ogni «vigor». Una promessa così fuori della prospettiva terrena che «Abramo si prostrò con la faccia a terra, e rise e pensò: “ad uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novant’anni potrà partorire?”… Ma il Signore disse ad Abramo: “C’è forse qualcosa di impossibile per il Signore?”(Gn 17,17; 18, 13-14).

Un Dio che usa David, fanciullo inerme, per sconfiggere un prodigo di «vigor», il gigante Golia. Contro ogni ragionevolezza, e infatti «Saul disse a David: “Tu non puoi andare contro questo filisteo a batterti con lui: tu sei un ragazzo e costui è uomo d’armi fin dalla sua giovinezza”» (Samuele 17, 33).

Un ragazzino, David. Una donna Giuditta, che uccide il potente Oloferne: «Il Signore onnipotente li ha rintuzzati per mano di donna! Poiché non cadde il loro capo contro giovani forti, né figli di titani lo percossero, né altri giganti l’oppressero, ma Giuditta, figlia di Merari» (Giuditta, 16, 6).

Un Dio che esplicita, e comunica agli uomini, questo continuo ribaltamento di prospettiva: «Rende vani i pensieri degli scaltri, e le loro mani non ne compiono i disegni; coglie di sorpresa i saggi nella loro astuzia, e manda in rovina il consiglio degli scaltri» (Giobbe, 5, 12-13). E che «fa andare scalzi i sacerdoti e rovescia i potenti, toglie la favella ai più veraci e priva del senno i vegliardi» (ancora Giobbe: 12, 19-20): cosa che forse avrebbe potuto consolare il vecchio sacerdote Ratzinger.

Naturalmente, questo fondamentale filone veterotestamentario si compie nel canto di Maria, il Magnificat: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore: ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Luca, 1, 39-55).

Maria trasmette ai cristiani e alla chiesa l’antico messaggio di Abramo: non contate sulle vostre forze, non pensate secondo la logica del mondo, non spaventatevi della vostra debolezza. E sarà Paolo, come sempre, a codificare tutto questo nel modo più forte e più chiaro: «Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio» (Corinzi 1, 27-28).

Come è universalmente noto, da secoli e secoli la maggioranza della Chiesa gerarchica e quasi tutti i papi hanno, nei fatti, negato questa prospettiva. La loro potenza si è manifestata pienamente nella forza, nel potere temporale, nel denaro, nella violenza. Il pontificato di Giovanni Paolo II ha segnato, da questo punto di vista, un’accelerazione notevole: il papa è divenuto il mediatico e muscolare parroco del mondo, distruggendo gli ultimi residui di dignità nell’episcopato (ridotto ad una manica di annuenti camerieri) e sradicando ogni traccia di autonomia delle chiese locali.

Ma il discorso di Ratzinger rappresenta un incredibile salto di qualità: il vecchio teologo arriva ora a dirlo esplicitamente, tutto questo. Anzi, arriva a teorizzarlo. La debolezza, inaccettabile per il papato, ora diventa inaccettabile anche per la persona del papa. Paradossalmente, egli sembra aver completamente introiettato la visione ‘relativistica’ che tanto vorrebbe condannare: il suo sistema di valori è quello relativo al nostro tempo storico in occidente, un «mondo di oggi» ipercompetitivo, basato sulla forza e sulla qualità della prestazione.

Forse non tanto paradossalmente, visto che Ratzinger non si seppellisce nottetempo in un monastero sconosciuto, ma sceglie un finale da kolossal: decollando in elicottero verso Castel Gandolfo. E il tutto a favore di telecamera, e non prima di aver lanciato un ultimo tweet. Una fine spettacolarmente in sintonia con lo spirito dei tempi. E, quasi fosse l’amministratore delegato di una grande multinazionale, l’avveduto Joseph Ratzinger si libera dalle responsabilità ma conserva i benefit: il titolo (grottesco) di ‘papa emerito’, la veste bianca, il diritto di esser chiamato ancora (contro ogni logica) Benedetto XVI e ‘santità’, e infine un’abitazione di 450 mq in Vaticano (con segretario e suore-cameriere) dove presumibilmente passerà le sue giornate scrivendo best-seller per il suo editore (Rizzoli, per l’Italia).

Non per caso l’abdicazione è stata largamente apprezzata da osservatori e commentatori non cristiani. Ha desacralizzato il papato, hanno scritto.

La fine di Wojtyla è stata opposta perché basata sull’incondizionata accettazione della volontà di Dio, ma anche in quel caso l’insopportabile esibizione mediatica del dolore obbediva a logiche del nostro tempo: the show must go on. Logiche normali in una Chiesa che si ritiene ormai una holding (anche) televisiva: in una recentissima intervista il cardinale papabile Gianfranco Ravasi (il ‘grande intellettuale’ che introdusse l’entrata a pagamento alla Biblioteca Ambrosiana) si è lamentato che dovunque vada a dir messa, nel pubblico non si vedano giovani. Ha detto proprio (e ripetuto due volte) «pubblico»: non fedeli, e – per carità – non popolo, o ‘popolo di Dio’.

Ma ciò che davvero ha catturato la simpatia del mondo è stato l’atto di fede nel mondo, e di sfiducia in Dio: come se nell’orizzonte interiore di Benedetto evidentemente non si affacciasse più un Dio capace di contestare e ribaltare la prospettiva di questo mondo. Se Abramo «ebbe fede, sperando contro ogni speranza» (Romani 4, 18), Ratzinger non ha – umanamente – più speranze: e sembra dare per scontato che, oltre questo piano umano, non ce ne sia un altro. A differenza di Abramo, Benedetto XVI crede che per Dio sia impossibile guidare la Chiesa attraverso un pontefice debole: non lo sfiora l’idea che proprio la debolezza del governo centrale e l’abbandono delle pratiche di potere potrebbero essere il disegno di Dio sulla Chiesa. No: la Chiesa va salvata dalla sua debolezza, ci vuole un papa forte. Perché – questo l’inevitabile sottotesto – il cielo è vuoto, e la Chiesa deve cavarsela da sola.

Ma se la fede non è scandalo, se i cristiani sono per il mondo, se il papa perde la speranza in Dio e crede solo nelle proprie forze: ebbene, cosa rimane, oltre alla struttura della ‘Chiesa spa’?

«Ti basta la mia grazia, la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio della mia infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte» (Corinzi 2, 12, 9-10).

Ma questo lo ha scritto San Paolo: uno che in Dio ci credeva.

[Immagine: Joseph Ratzinger e  Karol Wojtyła]

14 thoughts on “ll Dio di Ratzinger

  1. Cara pecorella smarrita,

    ho apprezzato molto il suo intervento. Il suo afflato apologetico per difendere la cultura della debolezza nella chiesa è ammirabile. La soffiata che diedi anni fa’ a Gianni Vattimo sta avendo i suoi frutti.

    La sua cultura teologica non è certo la mia, ma è apprezzabile. Ma le confesso di non capire perché si sforza di apparire più pio e diligente del mio amato figliuolo Joseph Ratzinger, che ha servito e onorato la causa con un’intelligenza e un’astuzia che -modestamente- veniva da me. Come sa benissimo non abbiamo mai apprezzato i primi della classe: preferiamo sempre i più stupidi, i fratelli minori, i più sfortunati. Perché mai, se è cristiano e crede in me, gareggia con il vicario del mio figliuolo su terra? Non le è mai venuto in mente che sia stato io a suggerire a Benedetto XVI il gesto come le parole? Spero solo che la sua non sia una candidatura sussurrata al conclave: mi creda, non è la persona più adatta a svolgere un simile incarico.
    Stia attento a non lasciarsi ammaliare dal dono dell’intelligenza (che le viene da me): l’arroganza spesso ottunde lo spirito. Non si è accorto della chiave di tutto il discorso, su cui lo stesso Paolo di Tarso ha lavorato per due giorni assieme a me e a mio figlio. Il suo ammirabile sforzo esegetico crolla dinanzi all’evidenza delle parole: si è dimenticato che il testo dice etiam vigor quidam corporis et animae necessarius est. Etiam: anche. Per governare la chiesa serve anche la forza. Legga bene la prossima volta, e abbia fede nella mia parola.

    Con la fiducia della sua penitenza,
    suo affezionatissimo Padre e Creatore dell’Universo Mondo
    DIO

  2. D’accordo con l’Onnipotente che per governare la Chiesa ci vuole anche la forza: appunto per ciò, forse era meglio se papa Benedetto XVI non rimetteva l’ufficio (a chi? qui forse la Seconda e la Terza Persona della Trinità ci potrebbero illuminare).
    Aggiungo che va bene la kènosis, ma dalla kènosis al suicidio ce ne corre un bel po’, come ci illustra Mt 4, 5 – 7: ” Allora il diavolo lo portò con sé nella città santa, lo pose sul pinnacolo del tempio, e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; poiché sta scritto: “Egli darà ordini ai suoi angeli a tuo riguardo” e “Essi ti porteranno sulle loro mani, perché tu non urti col piede contro una pietra”».

  3. Ah, che amenità si scrivono su internet per il nostro quarto d’ora di celebrità… e no, non mi riferisco al mio principale, Dio, che ha commentato.

  4. “Naturalmente, questo fondamentale filone veterotestamentario si compie nel canto di Maria” (@Montanari)

    Mi permetterei di dissentire su questo luogo comune che forse è venuto il momento di sfatare.

  5. “Naturalmente, questo fondamentale filone veterotestamentario si compie nel canto di Maria” (@Montanari)

    Mi permetterei di dissentire su questo luogo comune che forse è venuto il momento di sfatare. E vi prego di perdonare questo sfogo. Ma sono duemila anni che sento lodare l’umiltà di mia moglie, e mai una buona parola per me. Mai.

    Ora lo dico: Maria è una donna di un arrivismo insopportabile. Le sue manie di protagonismo sono irrefrenabili. L’ho scoperto solo dopo che Gabriele ci ebbe consegnato brevi manu la missione segreta abbiamo di cui entrambi (lo ripeto, entrambi) eravamo incaricati. Ma sono nate immediatamente delle discussioni animate. Maria riteneva che sarebbe stato molto meglio inventarsi la parte della ragazza-madre: diceva avrebbe avuto più effetto. Le ho ripetuto fino alla morte: «Ti prego, facciamolo insieme questo bambino». Lei è stata di una fermezza disumana. Vi immaginate l’imbarazzo per me? La mia famiglia, i miei amici, la mia impresa. Nessuno capiva. Sono diventato l’oggetto di dileggio per anni. E non solo, la mia carriera ne ha subito danni enormi. In tutte le rappresentazioni, in tutti i quadri, le statue, le chiese, per venti secoli, sono stato sempre scritturato sempre e solo come attore non protagonista. E gli onori tutti a lei. Sempre. Non si è mai fatta da parte.

    Per questo, vi dico: il gesto di Benedetto XVI è una grande speranza per tutti noi, Giuseppe, emarginati dalle manie di protagonismo di troppi cristiani passivo-aggressivi o falsamente umili. Il messaggio di Joseph Ratzinger (sottolineo: Joseph, Giuseppe appunto) è stato chiarissimo: evitate le manie di protagonismo, evitate il primodonnismo alla Maria. Sono queste le “virtù” che hanno portato il precedente pontefice a imporre per due anni il proprio coma vegetativo alla Terra intera.

    Lasciate spazio agli aiutanti, agli emergenti. Lasciate il mondo ai giovani. O voi, Giuseppe sparsi nel mondo, è venuta la vostra ora!

  6. Mi sono molto divertita e condivido quanto soprascritto. Un vecchio a portare avanti il peso di una chiesa qual’è quella attuale non ce la può fare. Si è però dimenticato dello Spirito Santo che l’ha eletto e che lo dovrebbe guidare passo passo, si cambia le scarpe da rosse in marroni, aggiunge “l’emerito” e se ne va come una star a fare il monaco. Ma chi ci crederà? Finché c’era questo papa non piaceva, ora si spargono fiumi di lacrime per la sua partenza. Mah ,l’uomo è una bestia alquanto scema

  7. “Confesso” che a vedere “la scena dell’elicottero” non ho potuto non pensare alla “scena dell’elicottero” ne “La dolce vita” di Fellini; cerco la scena; la trovo.
    Il video è stato caricato su youtube da famigliacristianatv.

    http://www.youtube.com/watch?v=RReJMvPMneg

    PS: Allego (per senso di completezza) il riassunto della scena (completa) (come riportato nella sempre efficace Wikipedia): Nel primo episodio due elicotteri sorvolano Roma. Il primo trasporta una statua del Cristo, mentre sul secondo si trova Marcello, col fotoreporter Paparazzo, che probabilmente deve scrivere un pezzo sull’avvenimento. I due elicotteri trasvolano un antico acquedotto romano, poi un quartiere popolare seguiti da un gruppo di bambini vocianti, indi si alzano in quota sopra la città, permettendo di osservare i tanti cantieri della capitale, in pieno boom edilizio. I due velivoli passano infine sopra una terrazza. sulla quale prendono il sole alcune ragazze in costume; l’elicottero di Marcello e Paparazzo si sofferma sopra la terrazza ed i reporter tentano di abbordare le ragazze, le quali chiedono dove portino la statua. Il rumore dell’elicottero però copre le loro voci, Solo una comprende che la destinazione del Cristo è il Vaticano, quindi Marcello chiede il numero di telefono alle ragazze che, divertite, glielo negano. Il volo degli elicotteri termina su piazza San Pietro, affollatissima, dove suonano le campane a festa.

    Un saluto
    Adelelmo Ruggieri

  8. spero con tutto il cuore di essere un ateo radicale.
    detto questo, che poco conta, sono d’accordo con l’autore e vedo sconfessata dal gesto del teologo tedesco ogni ipotesi teologica. mi verrebbe da dire che era anche ora. però non è vero. non è ora, visto che la sintesi religiosa a cui inevitabilmete molte coscienze non possono rinunciare continuerà a essere manipolata, peggio se da chi non crede (vedi paradosso dell’attore).
    se esiste un modo laico per associarsi alle ansie di questo articolo, lo sto facendo.

  9. Caro Montanari, la conosco da molto tempo attraverso i suoi scritti, limpidi, talora bruschi, molto spesso acuti, intorno all’arte e al Sistema che la circoscrive. Inutile che citi i suoi stessi libri e interventi, che mi hanno sempre dato l’impressione di uno sforzo teso a disvelare le ragioni profonde, quelle oscure, indicibili, ma ovviamente umane, di certi comportamenti aberranti che stanno dietro alle scelte politico-culturali. E’ per questo con molta sorpresa che leggo questo suo articolo, in cui sembra indossare le vesti di un teologo, vesti sfarzose, vesti ricamate di citazioni bibliche, vesti che non si attagliano alla figura di interprete della realtà che le avevo finora cucito addosso. Credo di non avere gli strumenti per capire come possa lei concedersi alla confortante schiavitù della fede, e come riesca a concedersi a noi in un inutile, anacronistico, sibaritico e sconfortante dibattito sul potere della Chiesa.
    Le sarei grato se mi aiutasse a capire.

  10. Si è trattato di una mancanza di fede (mostrata, invece, fino all’ultimo istante da Giovanni Paolo II) nel sostegno dello Spirito Santo, a prescindere dalla propria forza, o di un atto di fede nella Provvidenza, che in ogni caso dirige le nostre azioni, a prescindere da come esse possano apparire?
    ‘Il cielo è vuoto, e la Chiesa deve cavarsela da sola’ o ‘the show must go on’?
    Due dispositivi (di fede o di non-fede) intrecciati e irrisolvibili che perciò generano permanentemente senso e conseguenze estetiche.

    http://www.facebook.com/SpaziDocili

  11. Riguardo l’uso dei linguaggi estetici, da leggere l’articolo di Aldo Grasso sul Corriere della Sera sul valore ‘cinematografico’ del congedo di Benedetto XVI: se noi tutti viviamo totalmente immersi in un flusso non interrompibile di immagini, sequenze filmiche, visioni, parole e discorsi, suoni, etc, come è possibile evitare l’interferenza tra eventi incoerenti tra di loro ma che echeggiano immaginari simili? (vedi il valore filmico dell’attacco alle Twin Towers, che ha cambiato per sempre la nostra percezione del rapporto tra cinema/video e realtà).
    Ed è ancora realizzabile o auspicabile tale separazione dell’immaginario? Non procediamo irrimediabilmente verso ‘Ghost in the Shell’?
    E allora quanto i Potenti subiscono e quanto riescono a manipolare i linguaggi estetici? Andiamo verso una ‘ideologia automatica’, implicita nel medium?
    Il ‘Grande Fratello’ di George Orwell si è alfine materializzato, ipostatizzato nei nostri sensi, nella nostra carne, nella nostra memoria, nei nostri sogni?

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