di Isabella Mattazzi
Quando Jarry scrive Le Surmâle, Dio è ormai morto già da qualche anno. Nel 1902, data di pubblicazione del romanzo, l’Europa sta di fatto facendo i conti con il cratere lasciato sulla superficie teologica e metafisica dell’essere dall’eredità di Nietzsche, senza riuscire ancora bene a perimetrarne i bordi, senza capire ancora fino in fondo l’entità del danno, la sua portata, la sua profondità. Jarry, come sempre a modo suo, sembra esserne pienamente cosciente. Fin nel titolo, Il Supermaschio, proposto nuovamente oggi in Italia da Bompiani nella riedizione della traduzione di Giorgio Agamben del ’67 (prefazione di Sebastiano Vassalli, pp.146, euro 16), traspare con ogni evidenza il legame con quell’Über-Mensch, il Superuomo, punto di arrivo al di là dell’abisso, di cui Zarathustra qualche decennio prima aveva predetto l’avvento. Fin dalle prime pagine del romanzo, la forza sovraumana e la potenza sessuale di Monsieur Mercueil, il protagonista, dovrebbero mettere da subito il lettore in guardia. Come scrive Agamben nella postfazione al testo “Mercueil non è Surmâle soltanto per il suo eccezionale vigore sessuale, ma anche perché, attraverso l’esplosione di un’infinita energia, egli fa in sé l’esperienza della morte di Dio e si abbandona per un attimo all’orgoglio incontenibile di essere il primo esemplare di una razza nuova, l’uomo post deum mortuum“. Mercueil è l’uomo nuovo, l’uomo che incarna più di ogni altro la modernità nascente. Mercueil è l’ebbrezza della velocità, con i suoi polpacci in grado di competere (e vincere) contro un treno lanciato alla massima velocità sulla tratta transiberiana Parigi-Vladivostok. È l’immagine della forza, mentre combatte a mani nude contro un dinamometro nello zoo del Jardin des Plantes. È l’incarnazione stessa della riproducibilità tecnica, nella moltiplicazione all’infinito dell’atto sessuale, senza mai arrendersi alla fatica, senza alcun riposo, nel susseguirsi dei coiti come in una catena di montaggio e delle donne come passivi pezzi di ricambio. Mercueil è l’imbattibile, il velocissimo, il mai stanco. Esattamente come una macchina, anzi meglio di una macchina dal momento che le sconfigge tutte. E così come una macchina Mercueil è al di là della morale. La sua vita non segue alcun imperativo normativo almeno tanto quanto non lo segue la vita del suo doppio capovolto, quell’Ubu Re, Cornuto e poi Incatenato di cui Jarry stesso, nel 1907, cambierà l’attributo principale da “anarchico” a “a-morale” con un tratto di penna. Che nell’espletamento delle proprie funzioni Mercueil stupri e uccida una bambina di pochi anni (letteralmente “violata a morte”) è infatti del tutto irrilevante rispetto alla perfezione dell’atto stesso. Non si può chiedere a Mercueil di sottostare alle stesse regole che governano il mondo degli uomini, così come non lo si può chiedere a un treno, al dinamometro, alla stessa “bicicletta a cinque posti” che, nel romanzo, il dottor Elson lancia in una corsa di diecimila miglia attraverso l’Europa senza curarsi affatto se i ciclisti incatenati ai pedali della macchina arriveranno vivi o morti al traguardo (dal momento che anche un corpo morto, se debitamente stimolato, può comunque continuare a pedalare tenendo i 120 chilometri orari). In un mondo di macchine, in un mondo di Supermaschi le regole degli uomini mortali non hanno, non possono strutturalmente avere più nessuna presa.
Se per Sanguineti “in Ubu di Jarry si realizza per la prima volta la pratica dell’inconscio”, se per Ubu il pensiero è un agglomerato fangoso e sporco governato da Fisica, Phynanza e Merdra, per Mercueil si tratta invece di un tipo di inconscio dominato da un Super-Io del tutto performativo i cui tre credo principali sono Dinamicità, Potenza e soprattutto Ripetitività (“l’amore è un atto senza importanza perché lo si può ripetere all’infinito”). Rispetto a Ubu dal corpo tutto appetiti, Mercueil è il corpo tutto movimento, tutto forza, tutto sesso. Tutto sesso, certo, ma un sesso completamente asettico.
A ben guardare, la sbalorditiva possanza erotica di Mercueil, più che essere animata da un desiderio senza fine, da una pulsionalità al di là di ogni limite umano, sembra invece essere dettata da un ben più cerebrale bisogno di “dimostrazione”. Il catalogo femminile esibito da Mercueil, l’elenco spropositato delle donne con cui può giacere in una sola giornata (attrazione per i grandi numeri che, senza neppure andare a scomodare Sade, si può ritrovare anche in Le undicimila verghe di Apollinaire, scritto più o meno negli stessi anni) non è altro che la trasposizione su piano sessuale della gara di velocità di Mercueil contro il treno. Al posto dei chilometri, il numero di donne. Al posto della velocità in miglia-orarie, il numero dei coiti. Mercueil più che aver bisogno di possedere una donna, ha bisogno di essere visto, “riconosciuto” nell’atto stesso del suo possesso. Ha bisogno che gli altri sappiano del suo particolare dono, che “tutti gli Uomini” sappiano. L’intero testo sembra essere costruito infatti come una grande camera scopica. Non è un caso che Mercueil sradichi da terra un dinamometro proprio nello zoo di Parigi, in mezzo alle gabbie, nel luogo massimo di esposizione e di spettacolarizzazione per antonomasia della Natura. Così come non è un caso che il culmine del romanzo ruoti intorno a una sua performance sessuale osservata, attraverso un oblò nascosto in una parete, da un jury di “uomini di qualità” che potrà in questo modo seguirne comodamente il corso e valutarne alla fine l’eccezionalità.
Se dunque Mercueil è il Supermaschio è un Supermaschio che ha però costantemente bisogno di essere riconosciuto come tale. Ma un Superuomo così dipendente dallo sguardo dell’Altro, un Superuomo che grida all’Uomo “guardami”, che lo implora quasi di accorgersi della sua infinita superiorità può definirsi davvero tale? Un Superuomo o un Dio hanno bisogno della rassicurazione umana della propria potenza? Più che l’ebbrezza di un nuovo Dioniso, Mercueil sembra portare su di sé tutta la tristezza dell’animale da fiera, del mostro da baraccone. Dottor Caligari di sé stesso, espone la propria superiore diversità sul palco della Parigi di primo Novecento come si farebbe con un freak.
Un desiderio, il suo di essere visto, un bisogno che si rivelerà del resto una trappola. Nel momento in cui lo guarderanno, nel momento in cui finalmente lo “riconosceranno” è giocoforza che nella mente degli Uomini si insinui il germe del dubbio. Un Supermaschio è in grado di amare? Può amare, può partecipare di un moto dell’animo del tutto umano chi dell’umano non partecipa affatto? Mercueil viene così attaccato a una macchina. Una “Macchina-per-ispirare-l’amore”, una macchina che supplisca elettromagneticamente alla mancanza di umanità dell’Uomo-dio, ma che di fatto ne causerà la morte. Trovato riverso sulle sbarre di ferro del cancello della propria villa, con in testa una corona ancora fumante di valvole e elettrodi, per Mercueil non ci sarà più nulla da fare. Se Dio è morto, il Supermaschio dovrà aspettare ancora qualche anno, almeno fino all’arrivo del Futurismo e alla pubblicazione di Mafarka di Marinetti, per provare di nuovo (non si sa bene con quali esiti) a riprenderne il posto.
[questo articolo è uscito su Alias del manifesto]
[Immagine: Rainer Ganahl, I Wanna Be Alfred Jarry http://www.ganahl.info/
“Tradotto e curato oggi in Italia”? E’ la ristampa di una traduzione uscita 46 anni fa’! Ma le recensioni non dovrebbero contenere anche questo tipo di informazioni? Presentare una traduzione del 1967 come se fosse una novità è un po’ grottesco, no?
Interessante questo romanzo che sembra preannunciare gli esiti estremi della “morte di Dio” in questa ricerca coattiva della soddisfazione di ogni “desiderio”, senza più alcuna regola e senza alcun limite, di cui vediamo chiaramente le tracce nell’epoca attuale. In questo senso, però, trovo impreciso il riferimento al “Super-io”, che in ambito psicoanalitico rappresenta proprio ciò è scomparso dalla scena, ossia l’istanza interna portatrice della Legge, del limite, della regola, appunto, che induce il differimento della soddisfazione degli impulsi (istintuali o dell’io), favorisce la riflessione e dunque la vera socializzazione che implica il riconoscimento e il rispetto dell’altro.
Caro/a Dinamo, la ringrazio molto per il suo intervento. In effetti l’apparato critico, l’introduzione è del 2012 mentre la traduzione è del ’67. Mi sono lasciata ingannare dalla scheda di presentazione del libro e non sono andata a controllare sulla pagina del copyright. In genere è una cosa che faccio sempre, ma questa volta ho peccato di leggerezza. Questo non cambia di molto la sostanza della mia recensione, ma certamente da un punto di vista filologico è una precisazione più che importante. Ora cambio il testo. Ancora grazie
Complimenti per il garbo della replica, cose da altri tempi.
Il disUmano uccido “dio” ( qualunque/chiunque cosa sia ) ogni giorno..
Oltre l’umano, non si giunge al superamento dell’umano ma alla disUmanizzazione
Non ho letto questo testo di Jarry, ma dalla tua recensione, che trovo eccellentemente esplicativa, parrebbe il tracciamento del mito di riferimento del maschio postmoderno che immagina di cercare il nuovo in una serie di duelli all’ultimo sangue tra funzione e funzionale che dall’oggetto vengono irrimediabilmente trasposti al soggetto; interessantissimo e lo gusterò anche se dovessi rendermi conto di aver preso fischi per fiaschi riguardo quello che ho appena scritto. Ottimissima recensione
mattazzi potrebbe anche dare una controllatina random alla traduzione, e riferirci. grazie.
L’ osservazione di lallaerre sull’ uso improprio del termine ‘Super-Io’ è giusta e la sottoscrivo.
@db
la traduzione a me è sembrata molto buona. Ovviamente per dare un giudizio che abbia un minimo di criterio bisognerebbe avere sottomano l’originale francese (che io non ho); come traduttore editoriale dal francese però posso dire che ho un occhio abbastanza allenato ormai nel cogliere quelle che possono essere eventuali divergenze rispetto al testo (gli “errori” insomma) , e qui non ho trovato nulla che mi abbia dato particolare fastidio. La parte centrale poi, molto patafisica, con la gara tra la bicicletta e il treno rende perfettamente tutta l’ironia inventiva della scrittura di Jarry
@lallaerre e Dolgorukin
Ho utilizzato il termine Super-Io nella sua classica accezione freudiana di istanza psichica costituita da un insieme eterogeneo di modelli e di imperativi categorici che regolano il comportamento e presiedono alla coscienza morale del soggetto.
Nel caso di Mercueil, in quanto soggetto ultra-umano, l’imperativo categorico sul quale si trova fondata la propria coscienza morale non può più prendere le forme limitative e castratrici di un differimento (o divieto tout court) rispetto al godimento, ma al contrario viene a rappresentarsi come istanza performativa di moltiplicazione e reiterazione del godimento stesso. La Legge, nel Superuomo di Jarry, non è più il limite, bensì il superamento del limite; l’imperativo categorico secondo cui conformare il proprio comportamento non è più “Non godere!”, ma “Godi!”, costi quel che costi
grazie. forse un accenno al catalogo di don giovanni ci stava anche nell’articolo.
Caro db,
sì, in effetti “Madamina il catalogo è questo” è stato il primo riferimento a cui ho pensato anch’io. Non è presente nell’articolo per un puro fatto logistico. Originariamente questa recensione è uscita sul supplemento culturale del manifesto e, come tutti i pezzi per la stampa, aveva un numero di battute piuttosto rigido da rispettare. Nella mia scelta quasi obbligata tra un nome e un altro, tra una citazione e un’altra, ho optato – come faccio sempre – per inserire un’informazione su un testo meno conosciuto, “Le undicimila verghe” (e forse anche più pertinente da momento che Apollinaire e Jarry si conoscevano benissimo) rispetto a uno più universalmente noto.
I problemi del critico, anche se apparentemente non sembra, sono molto spesso di ordine eminentemente pratico :-)