cropped-Dylan1.jpegdi Pierluigi Lucadei 

[Questa è la versione integrale dell’intervista a Nicola Lagioia pubblicata sul numero di SUONO di febbraio 2013 all’interno della rubrica “Ascolti d’autore”, ideata e curata dal giornalista Pierluigi Lucadei per indagare i rapporti tra musica e letteratura. Ne approfittiamo per segnalare che, a partire da domani, Nicola Lagioia inizierà a collaborare alle playlist del sabato di LPLC]

Nicola Lagioia, barese, è tra i più autorevoli scrittori italiani under 40. Autore dei romanzi Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj, Occidente per principianti e Riportando tutto a casa, è anche il responsabile di Nichel, collana di narrativa italiana dell’editore minimum fax, e una delle voci di “Pagina Tre”, la rassegna stampa culturale di Radio3.

Il titolo del tuo ultimo romanzo (Riportando tutto a casa) è una conscia eredità dylaniana?
Sì, è un’eredità dylaniana. Ricordo il mio primo Dylan, Blood On The Tracks: avevo 15 anni e fu una folgorazione. Dylan non mi ha mai deluso perché, come molti eroi letterari che amo anche più di lui, è un vero autistico geniale. Si approccia alla cultura alta con la stessa goffa impraticità di Battiato, ma quello che ne viene fuori funziona, e soprattutto è imprevedibile, sfuggente, laterale, spiazzante e a volte anche profondo. Ovvio che siamo lontani dai Wagner, dai Bach, ma me lo faccio bastare perché Dylan ha una sottigliezza quasi sempre sconosciuta agli altri autori di musica popolare nell’epoca della sua industrializzazione.

Nella carriera di Dylan Bringing It All Back Home è il trampolino verso la svolta elettrica di Highway 61.
Anche per me Riportando tutto a casa è stata una svolta, ma di segno contrario. Dopo anni di postmoderno, è stato cominciare a riappropriarsi delle ancora inesaurite scorte moderniste e usare quelle per mettersi più in gioco rispetto ai precedenti miei romanzi. E’ la prima volta, per esempio, che ambiento un mio romanzo a Bari, mia città di nascita e mia Moby Dick personale, nel senso che laggiù ci sono tutti i traumi e tutti i tesori della mia vita.

«L’ironia e il genio di John Cage sfuggono tanto alla grossolanità  quanto ad un approccio drammatico»: è un passaggio di Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj. Ci spieghi il rapporto tra Cage e il finale del tuo romanzo d’esordio?

Di Cage mi seduceva il (non)metodo perché io ne ho uno completamente opposto. Lui faceva dell’aleatorietà una possibile componente estetica, io credo molto di più a un metodo ma non perché il metodo basti a se stesso ma a causa del fatto che è la gabbia che meglio so mettere a punto per catturare sulla pagina (e sempre temporaneamente) i demoni che mi visitano da quando avevo 4 anni. Come ogni cosa lontana, Cage mi attirava molto. Ora di meno. Anche se il mio romanzo d’esordio qualche debito con l’aleatorietà come altra faccia del destino ce l’ha: uscì l’11 novembre 2001. Io ero fermo a Hemingway che parlava di Addio alle armi uscito il giorno del crollo della borsa.

Se dovessi spiegare brevemente perché “rock italiano” non è un ossimoro, che diresti?
CCCP. Federico Fiumani. Demetrio Stratos. Anche Teatro degli Orrori. Persino (ora il dio del rap si incazzerà…) Fabri Fibra! E poi: Negazione, “17 Re” (il gruppo è un omonimo di un altro molto più famoso), Vasco Rossi (proprio così), Vinicio Capossela, Fabrizio De André, il primo Elio e le Storie Tese (prima che diventassero scarsi anche a suonare). Potrei continuare addirittura a lungo. Ma tutti questi sono esempi virtuosi e non epigonali.

C’è una band italiana di cui ammiri le liriche?
Sì, se ci metto sotto la musica. Altrimenti, le liriche da sole non reggono proprio letterariamente. Comprese quelle di De André. In musica: magnifiche. Da sole: prova a metterle accanto a una lirica di Campana, di Montale, di Eliot, di Pound. Ovvio che non c’è paragone.

Può una canzone, ascoltata ad un’età sbagliata, trasformare il più tranquillo dei ragazzini in un vagabondo?
Sarebbe bello se fosse così. No, non è sufficiente. Ma può aiutare.

Può una canzone spingere quello stesso ragazzino a scrivere un libro?
Credo di no. Il vero grande motivo ispiratore della letteratura, al di là della vita, sono gli altri libri, non le canzoni. Te lo dice uno che ha amato perdutamente Mongoloid dei Devo e Love Will Tear Us Apart dei Joy Division, che andava a dormire con Coney Island Baby e si risvegliava con When The Music’s Over, che si faceva gli acidi con Astronomy Domine e sfrecciava in bicicletta con Siamese Dream sparato a palla dalla prima all’ultima traccia. Ma nulla di tutto questo mi ha scosso come un romanzo di Faulkner.

Cosa ne pensi dei musicisti rock che si ostinano a scrivere romanzi?
Che sono proprio scarsi. Ce n’era uno bravino, si chiamava Boris Vian, ma anche Vian non arrivava al tallone di quelli veramente bravi.

E delle case editrici che li pubblicano?
Fanno schifo anche a loro ma gli fanno fare soldi. La settimana scorsa parlavo con l’editor di uno di loro. Il musicista in questione (sempre che si possa definire rock) vendeva e vende moltissimo anche in libreria. Il suo editor è lettore raffinato e uomo cinico. La parola più gentile che ha proferito a proposito di questo suo autore musicista è stata: “fa veramente vomitare, ma ci aggiusta i fatturati. Così grazie alle sue cacate possiamo pubblicare con meno rischi i libri veri, quelli che amiamo davvero”. La cosa terribile è che questi musicisti ci credono! Come si fa a essere così ingenui, viziati e fessi, non lo so.

Una canzone per ricordare gli ultimi dieci anni della tua vita?
It’s Alright, Ma (I’m Only Bleeding)

Che tipo di musica ci vorrebbe per rappresentare al meglio la tua Bari?
Il sound di Manchester va benissimo.

I tuoi cinque album di tutti i tempi.
Maledetto, ora sì che mi metti in difficoltà. 5) Never Mind The Bollocks, Sex Pistols; 4) Da Siberia al prossimo Week End, Diaframma; 3) The Queen Is Dead, The Smiths; 2) Unknown Pleasures, Joy Division; 1) Bringing It All Back Home, Bob Dylan.

[Immagine: Daniel Kramer, Copertina di Bringing It All Back Home (1965) di Bob Dylan].

 

9 thoughts on “Ascolti d’autore: Nicola Lagioia

  1. Argomento affascinante che meriterebbe di essere sviscerato più a fondo quello tra rock e letteratura. L’intervista è condotta molto bene e ne emerge un autore che parla di cose musicali con la stessa autorevolezza con cui tratta le cose di ambito propriamente letterario.

  2. Comunque davvero a Lagioia piacciono così tanto i Diaframma da metterli tra i migliori album di tutti i tempi? Esagerato!

  3. Altro che viziati e fessi. Quei musicisti che pubblicano libri schifosi sono dei furbacchioni che sanno come riciclarsi anche tra gli scaffali delle librerie, sfruttando l’hype commerciale legato alla loro attività di cantanti…e che, così facendo, tolgono spazio a autori molto più meritevoli. Non tiene il discorso con cui si giustifica l’editor citato ma non nominato da LaGioia: “grazie alle sue cacate possiamo pubblicare con meno rischi i libri veri, quelli che amiamo davvero”. Non trovo giusto questo modo di fare dell’editoria italiana.

  4. @the the: sì può darsi che il discorso sia più generale e non confinato ad un ambito italiano. l’indignazione di fronte ad una logica editoriale per la quale vengono pubblicati libri di merda per potersi permettere la pubblicazione di libri d iqualità rimane.

  5. Bella intervista. Di molto opinabile c’è solo l’affermazione “Ce n’era uno bravino, si chiamava Boris Vian, ma anche Vian non arrivava al tallone di quelli veramente bravi.” Ho come l’impressione che certe volte negli scrittori il “tono autorevole” prenda un po’ il sopravvento e sfumi nel compiacimento del “tono autorevole”, e così si finisce per essere lapidari inutilmente.

  6. @dm: il compiacimento del tono autorevole, come molto gentilmente dici tu, si chiama spocchia… molti scrittori di casa nostra ne sono purtroppo affetti in modo grave. sono d’accordo con te: l’intervista è molto bella ma passaggi come “Lui faceva dell’aleatorietà una possibile componente estetica, io credo molto di più a un metodo ma non perché il metodo basti a se stesso ma a causa del fatto che è la gabbia che meglio so mettere a punto per catturare sulla pagina (e sempre temporaneamente) i demoni che mi visitano da quando avevo 4 anni” non aiutano a simpatizzare con lo scrittore.

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