di Giacomo Giubilini
Ammettiamolo senza indugi: anch’io, elettore di Grillo, ho contribuito ad eleggere dei perfetti dementi che, forse proprio in quanto tali, mi rappresentano.
Un cretino illuso non può che eleggere dei cretini.
Il perché lo abbia fatto mi sembra una domanda assurda: non potevo fare altrimenti e l’ho fatto convinto e speranzoso. Non potevo fare altrimenti anche grazie alla legge elettorale che i partiti, in una fede avariata nel loro potere, i hanno consegnato per perpetuarsi, per rieleggere cioè i loro vassalli e zerbini il cui unico merito di vita è essere stati pappagalli addomesticati, aver trovato un alveo alla loro miseria e al loro masochismo di soccombenti per un tempo così lungo che persino uno schiavo avrebbe trovato la forza quantomeno per suicidarsi. Io come altri, in realtà, non ho scelto alcunché: me lo ha impedito una legge elettorale senza voto di preferenza, quindi senza alcun confronto democratico sulle storie e le competenze dei singoli, che ha ridotto il dibattito pubblico ad uno spettacolo blaterante di questa ortodossia oligarchica di zombie sicumerici, abili ad usare il concetto di democrazia per spiegare la propria inesistente superiorità morale ma incoerenti e costretti a negare la democrazia stessa ogni giorno nelle leggi che approvano e conservano per mantenersi in vita. Almeno fino a ieri, prima di essere travolti.
Ora, i grillini sono in tutta evidenza gente senza storia, senza nessuna arte del compromesso o della politica, esangui senza alcuna retorica, nemmeno quella del loro nuovo potere, animati da una teologia di muggiti informatici. Senza un pensiero sufficiente per pensare la vastità delle sfaccettature e dei toni del reale, e ancor meno in grado di analizzare i microcosmi di cui la complessità stessa è composta. In grado però di ripetere un vocabolario pericolosamente medio – quella mediocrità tipica dell’italiano che ha fatto l’università, colto quel che basta per essere ignorante; quella spocchia risolutiva da moralisti sdentati ma affamati più dei ladri che vogliono cacciare, che quantomeno sono già satolli; infuriati contro un nemico che è già morto. Rappresentanti perfetti di un ceto medio marsupiale, mammario, pragmatico nei pasticci e piagnone nei rimpianti, feroce e ansioso nell’utopia della palingenesi – saltando però tutti i passaggi per renderla possibile.
Dei barbari. Animati dal più orrido buon senso quando va bene mentre; quando va male, dall’istinto propulsivo della vendetta contro quelli che ora odiano e che fino a ieri eleggevano. Insomma propugnatori di una carica per ora a salve – comunque senza avere la mira di colpire alcunché, nemmeno le proprie pudenda.
Eppure c’è un altrove, c’è qualcosa oltre il cretino. La conseguenza più tragica o comica di questa presenza inquietante di totali incompetenti, una foresta anonima e in movimento, un agitarsi di fronde, è che le loro afasie, i loro balbettamenti sacerdotali e identitari finalizzati al “serriamo le fila”, senza peraltro essere assediati da nessuno, i loro abulici rancori per ora senza vera violenza perché privi di un oggetto reale (avendo di fronte dei cadaveri), la loro mancanza di vera tristezza, il loro pragmatismo che riduce la complessità al gioco dell’oca virtuale – tutti questi loro difetti che potrebbero farli sparire in un attimo, invece funzionano perfettamente. E funzionano perché riducono al mutismo, all’assenza, a quella che chiamerò la sindrome di Oltre il giardino. Il sistema non li capisce come non capisce il protagonista del film con Peter Sellers; non li capisce perché sono dei completi dementi e non c’è nulla da capire, non c’è alcun progetto – ma intanto il sistema li teme e li legittima, mentre si autodistrugge per paura che alberghi in loro qualche verità.
Luogo per eccellenza di questo suicidio collettivo è “l’approfondimento” televisivo – rito che ha nel proprio etimo l’idea di fondo, fossa, fondale; il circo mediatico degli indaffarati esperti, esperti quasi sempre di nulla ma ora orfani di verità consolidate e consolanti, e di toponomastiche in cui collocarsi: nella placenta ora di destra ora di sinistra di un banchetto che non ha più il tavolo e le sedie e vede i commensali aggirarsi come zombie senza testa cercando cibarie perdute e esegesi al nulla. Più parlano, più blaterano, più si accusano, più svaniscono in polvere. Più fanno il gioco del nemico assente, più lo resuscitano. Per questo Grillo non serve più.
Ieri, mentre trapassavo sul divano da una pizza fetida con birra ad un sonno tombale, in un panorama onirico molto simile ad un incubo, si stagliavano di fronte a me le ombre agitate dal televisore acceso: un Bruno Vespa, sciolto dai soliti guinzagli di servile vassallaggio, poteva dare libero sfogo al suo talento innato di diplomatico servo, alle sue sulfuree pose da gran cerimoniere e orrido camaleonte – ma questa volta trasformato, suo malgrado, in brillante becchino. Cercava di tirare fuori qualcosa dai suoi ospiti, da quelli che una volta erano i suoi padroni e compari munifici; tentava di spremere qualche goccia residuale di senso, qualche prospettiva per sé e quindi per loro.
Ma niente.
Invece di rispondere ai suoi più che legittimi dubbi, per una volta persino intelligenti e acuti, loro si esercitavano in rabbiosi e atletici rinfacci, in un’opera magistrale di antropofagia reciproca senza che fosse necessario il terzo incomodo, ovvero il loro boia e vero cannibale, Beppe Grillo. Dalla fisiognomica dei corpi, ai massaggi cardiaci dello zelante Vespa, fino ad un minuetto di danze dialettiche tra reduci da suffumigi di cocaina o lexotan o glorie andate o privilegi in bilico, l’unica cosa che appariva certa (e che inquietava lo stesso Vespa, stranamente il più pragmatico di tutti) era il terrore puro e collettivo. Sconvolti dall’assente “pieno di idee”, un comico, e pronti ad attribuirgli e copiargli i programmi che lo stesso non ha e non può avere, vista la pochezza delirante delle sue visioni, i moribondi hanno cominciato un’ opera puntigliosa di sbranamento vicendevole, una consunzione funeraria, un decadimento delle croste in piaghe, un’esplosione di gonfiori in putrescenze e liquami. La decomposizione vera e propria e in diretta, in un’ orgia di accuse reciproche, tutte peraltro fondate e quindi schiaccianti; in una gigantesca spoliazione delle vesti e della pelle, in una rinuncia secca alle armature e anche solo ad una vaga tradizione, a tutte quelle scatole che fino ad oggi li avevano tenuti in piedi. Non ricordavano le loro colpe, ma solo tutte quelle degli altri, e con ampi e circostanziati rimandi riuscivano ad accusarsi senza dire mai i nomi e cognomi. Si appellavano o a presenze confessionali su cui scaricare tutti i loro crediti inesigibili: il centrodestra e il centrosinistra, unità fantasmagoriche che gli ruminano in bocca, mentre schiumano la dimenticanza.
Concetti e luoghi della storia sofferta da altri – la resistenza, i diritti del lavoro – ora incarnati dai loro volti patibolari, persino giovani in qualche caso, volti che da soli parlano molto di più di qualunque programma. Un teatro della fisiognomica che rende plausibile tanto la satira quanto l’elegia. Un pozzo da scalare con le unghie.
[Immagine: Beppe Grillo, 3 marzo 2013 (gm)]
Perfetto questo pezzo di Giubilini. Anche per lo stile da invettiva. Il grillismo è la certificazione della morte della politica e l’altra faccia del governo “tecnico” a oltranza.
Una di quelle argute, veritiere e ingannevoli disamini che fanno ridere sotto i baffi. Veritiere perchè vera, ingannevoli perchè il M5S non è Grillo, sebbene si voglia forzatamente assimilare la pluralità dei suoi militanti (e qui ci si mette pure il cretino sottoscritto) ad un univoco etichettato fenomeno. Il problema è che mediaticamente sembra uscirne una sola voce, vuoi per ignoranza, superficialità e cattiva fede di molta stampa, vuoi perchè qualcuno ha il vantaggio che sia così. Io spero invece, da cretino speranzoso come lei Giacomo, che quegli esempi di civiltà, progresso rispettoso dell’ambiente e sperimentazione di una democrazia aderente al suo significato, emerga da questo movimento. Emerga forte e dia una bella sferzata al pattume di costume che ha ahimè seppellito questa povera Italia.
Credo che anche il mantra per cui “M5S non è Grillo” sia perfettamente in linea con la retorica vana e disperante che il pezzo di Giubilini ha molto suggestivamente colto. Gli ultimi eventi (Grasso) hanno dimostrato come il dissenso interno sia comunque fonte di estreme tensioni e lo spauracchio dell’espulsione dal movimento è stato ritirato solo perché già stava creando un effetto negativo. I dubbi sono molti e vanno anche al di là del pezzo pubblicato oggi. Affascinante la scelta, ad esempio, di non comparire mai in trasmissioni italiane, ma di rilasciare interviste a testate straniere, addirittura americane. Ingenua, populista o forse tendenziosa la filastrocca sulla riduzione dei costi della politica: ieri leggevo di risparmi potenziali di 70 milioni di euro. Bene, l’instabilità che stiamo vivendo ci costa molto, molto di più. Per non parlare dell’abolizione delle province: sacrosanta, assolutamente sacrosanta, ma quando smetto per un momento di ascoltare le mie viscere in ebollizione mi viene da chiedermi che fine faranno le migliaia di famiglie attualmente coivolte in questo sistema. Abolizione, certo, ma l’Italia è una nazione, non un teenager isterico da compiacere.
So che tra poche ore questa pagina verrà invasa da commenti di esaltanti sostenitori di Grillo e del suo movimento. Nessuno, a prescindere dall’insulto che mi(ci) toccherà, mi toglierà dalla mente le interviste a questo popolo di giubilanti disperati il primo giorno in cui si sono incontrati tutti a Roma, su youtube si trova ancora qualcosa (ovviamente cito a memoria, ma il senso è quello):
Giornalista: “Come mai siete tutti qui? Cosa farai adesso?”
Grillino eletto: “Ah, non ne ho idea. Ho ricevuto una convocazione e sono venuto. Adesso ci diranno cosa fare e dove andare”.
In aggiunta a questo bel pezzo, qui si trova un’opinione misurata e che condivido. Di certo molto più ottimistica della mia:
http://www.laletteraturaenoi.it/index.php/il-dibattito-e-noi/discussioni/103-dopo-le-elezioni.html
A me pare ancora abbastanza cretina ( non “oltre” come pretende il titolo) questa invettiva tutta letteraria e snob contro i cretini (veri o presunti).
Cercansi disperatamente ragionamenti politici.
A me viene in mente una famosa (per me ovviamente) “Difesa del cretino” di F. Fortini, ma forse è impossibile oggi aggiornarla adeguatamente.
Vi si leggevano parole di questo tipo:
“È con e per i «cretini» che dopotutto si fanno quelle rivoluzioni di cui si è parlato fino
ad averne la testa secca. Essi non sanno quel che Nietzsche sapeva –
anche se, per amore del proprio fato, non superava nella sola direzione possibile, quella dell’agire politico – e cioè che la critica moralistica al filisteo si lorda di filisteismo e moralismo. Le risa sul
«cretino», la beata certezza di avere il consenso degli spiriti forti sono insomma moralismo e del peggiore. Si ritengono superiori al
«cretino». E lo sono. Ma in senso strettamente classista. Di una
classe «superiore». Non in nome di un pensiero o di un’azione che
sappia nello stesso tempo pronunciare l’apologia della grandezza e
quella dell’umiltà, che sia a un tempo assolutamente aristocratica
per quanto è dei valori e assolutamente democratica per quanto è
degli uomini, che osi le «parole», ossia i limiti della morale, sapendo che in realtà dovrà distruggerle. Che dia luogo al «cretino» sapendo che il mondo ha, nel preciso senso di questa parola, bisogno
anche di lui per diminuire, se possibile, l’universa cretineria.”
P.s.
Chi avesse voglia di leggerla interamente e magari tentarne un aggiornamento
la trova a questo link:
http://www.minimumfax.com/upload/files/indi/assaggio_15_68.pdf
Caro Giubilini,
la “stupidaggine” di aver votato Grillo non si sconta scrivendo insulsaggini. Che il M5S non sia né il partito bolscevico di Lenin, né la Destra storica di Cavour non ci vuole la scala per arrivarci.
Provi semmai a interrogarsi sul perché sono così inadeguati e ignoranti di politica e del mondo, i grillini. C’entreranno qualcosa, i vent’anni in cui la sinistra è vissuta con la religione dell’antiberlusconismo? C’entrerà qualcosa, Mani Pulite, con la distruzione per via giudiziaria di una intera classe politica, con le sue culture di riferimento?
I grillini sono un brodo primordiale, il caotico e patetico e ridicolo risultato di un moto di protesta del popolo italiano che (giustamente) non si fida più dei suoi capi, sente crollare tutto intorno a sé, e vuole sopravvivere; e che da solo, da zero, senza classi dirigenti e senza cultura politica, partendo da una ignoranza marziana ha detto un NO e l’ha condito con una utopia bambinesca da filosofi da bar.
Magari, al sole della realtà evaporeranno in un quarto d’ora; in guerra, o si cresce in fretta o si muore.
Ma se il caos del M5S non riesce a strutturarsi e a darsi un obiettivo politico credibile, dietro a loro cosa c’è? Col PD e il PDL risolviamo? Arriva Renzi e andiamo tutti a Disneyland? Suvvia.
Quando l’immaginazione latita, lo stereotipo è la prima ispirazione. Dopo il dagli-dagli ai “professionisti della politica” ora c’è l’altrettanto celebrale rigetto degli “incompetenti al potere”. Le declinazioni del si-stava-meglio-quando-si-stava-peggio sono il temino perfetto (Ah, poi a parte se qualcuno mi facesse dono dell’elenco dei politici di specchiata capacità delle forme e degli usi della democrazia che gli ultimi venti anni ci hanno regalato, gli sarei grato a lungo). A me, più che altro, la differenza sostanziale sembra sia che i nuovi parlamentari M5S si sa chi siano. Gli altri restano degli avanzi di lista di cui non è mai fregato a nessuno. Poi la realtà è quella che è: tutta da aggiustare. Ma chi preferiva sognare statisti all’ombra nel Parlamento misconosciuto può continuare a farlo! Così come ognuno esercita la sua retorica da sgranchimento di scrittura come gli gira, questo è chiaro.
Un saluto!,
Antonio Coda
Scusate, ma ho come l’impressione che i commentatori che si sono succeduti non abbiano proprio letto l’articolo su cui pure pretendono di commentare.
L’equivoco più grande mi pare quello di non capire che l’autore non sta attaccando il M5S, certamente non è tenero verso questi, ma l’obiettivo principale dei suoi attacchi è il complesso del mondo politico-parlamentare e principalmente quello occupato dai partiti tradizionali che hanno riempito questi ultimi ventanni di storia repubblicana.
Così, mi è del tutto incomprensibile il sintetico ed a modo suo significativo commento di Genovese. Guardi che è proprio la politica che tanto lei a parole rivendica che Giubilini attacca, dice una cosa fin troppo ovvia, e che non capisco come possa essere contestata, che il M5S è un prodotto coerente della carenza di politica che non soltanto in Italia, ma nell’intero occidente segnatamente in Europa è svanita nel nulla, tutta sequestrata da un credo liberista che ha omologato l’intera classe politica europea e che pretenderebbe di omologare anche tutti i cittadini europei, finora fortunatamente con scarsa fortuna. La politica però non svanisce dalla scena pubblica a causa del M5S, questo sì che sarebbe un errore, ma al contrario è sparita molto tempo prima ed è in questo vuoto che il M5S miete i successi che ha mietuto.
Pasquarella, capisco, data la sua collocazione politica, il suo ruolo di difensore d’ufficio del M5S, ma dove avrà letto che Giubilini tratta il M5S come un’unica voce? Personalmente, non è Grillo, nè Casaleggio che mi preoccupano, ma quelle facce plurali che lei invoca, perchè denotano, mi spiace doverne convenire, un vuoto di progetto che certo non è possibile ascrivere a Grillo. Distruggere i partiti tradizionali, mi pare alla fine uno scopo abbastanza nobile, visto che da questi era da tempo scomparsa ogni traccia di politica, ma è il mezzo scelto da Grillo che mi pare zoppichi alquanto, questi parlamentari del tutto alieni da qualsiasi guizzo creativo, da un’immaginazione vagamente positiva. D’altra parte, è stato già detto, essi sono parte dei danni causati dai politicanti che hanno dominato nel passato ventennio. Solo, che essi sono parte del danno, è davvero disperato basarsi su di essi per venirne fuori.
Abate, Fortini è un grande, e certo non si può che sottoscriverlo parola per parola. Tuttavia, è evidente che non bisogna fermarsi alla forma dell’articolo, sarebbe più utile forse andare alal sostanza delle argomentazioni, e su quelle devo ammettere che concordo con Giubilini.
Buffagni, anche stavolta la trovo molto efficace, ma stavolta direi non pertinente, se mi permette. Davvero ha letto Giubilini? Perchè con maggiore attenzione, avrebbe dovuto ammettere di concordare con lui quasi completamente. Lei non fa sconti ai grillini, come Giubilini non fa sconti al PD ed al PDL, mi pare che siate sostanzialmente d’accordo.
Riassumendo, questi commenti mi sembrano la commedia degli errori, chi è d’accordo con Giubilini, lo critica aspramente, e chi dissente, pretende di essere d’accordo. Spero che mi scusiate se mi sono asusnto un compito che non mi spettava, ma stavolta lo scostamento tra articolo e commenti mi è smebrato troppo ampio per essere sottaciuto.
Forse, l’unica cosa su cui Giubilini doveva essere criticato, è nel non aver specificato che la crisi della politica non è conseguenza del M5S, ma ne è piuttosto la premessa. Pur tenendoci a puntualizzare questo aspetto, perchè naturalmente si tratta di una questione fondamentale, devo tuttavia ammettere, ad ulteriore suo merito, che Giubilini nel suo pezzo non afferma mai esplicitamente il contrario.
Caro Cucinotta,
grazie del consenso. Sì, ho letto bene l’articolo di Giubilini. Gli ho risposto così perché a mio avviso, è davvero pericoloso criticare in modo distruttivo, e non costruttivo, il M5S. E’ pericoloso perché – a mio avviso – i partiti tradizionali sono irriformabili, e dietro al M5S non c’è niente. Se va male anche questa. che cavolo si inventa il popolo italiano?
@Buffagni
Vabbè ma questa da dove la tiri fuori: “Provi semmai a interrogarsi sul perché sono così inadeguati e ignoranti di politica e del mondo, i grillini. C’entreranno qualcosa, i vent’anni in cui la sinistra è vissuta con la religione dell’antiberlusconismo?”.
L’antiberlusconismo è un prodotto editoriale, del tutto speculare e ruffianesco al berlusconismo (e viceversa), promosso dai media di B. e non di B., e credo c’entri ben poco con la sinistra in quanto forza politica parlamentare. C’entra col sistema editoriale. Così come c’entra con il sistema editoriale la totale disinformazione sulla politica reale e l’ignoranza politica dei grillini e del suo elettorato. Ecc ecc.
Certo che è strana la democrazia, uno che non ha preso nemmeno un voto perché non candidato, che tiene le fila di un partito senza democrazia interna, viene ricevuto al Quirinale per un colloquio con Napolitano che sempre quell’uno ha ingiuriato a cuor leggero in più occasioni pubbliche…
E poi dicono che la politica è una cosa che possono capire tutti… chissà se Grillo al Quirinale l’hanno capito quelli del M5s…
bisognerebbe riflettere prima di votare, e anche dopo.
Seligneri, questa dell’antiberlusconismo come centro, somma, tabernacolo della linea politica della sinistra tutta dal PD alle sue varie propaggini la tiro fuori dalla realtà italiana degli ultimi vent’anni.
Che poi sia una balla d’una povertà patetica, non ci piove. Però, con la scusa che altrimenti governa il Babau Berlusconi la sinistra ha fatto di tutto, persino bombardare Belgrado, far passare le leggi sul precariato, insediare il governo Monti con una forzatura della Costituzione. Come prodotto editoriale ha avuto degli effetti mica male, non trova?
@ Cucinotta
La forma dell’articolo di Giubellini non è poi così estranea alla sostanza.
I ragionamenti politici seri, anche quando uno non li condivide al 100%, hanno altri toni e vanno più in profondità.
Abbiamo bisogno di ragionare, di capire, non di sbeffeggiare e sfogarci a più non posso.
Si veda, ad es., in controtendenza quest’analisi di Mario Pezzella, che ho appena letto:
http://www.sinistrainrete.info/politica/2659-mario-pezzella-populismo-ed-elezioni.html
Giubilini, mi scuso…
Buffagni, ma è lei o un qualche ragazzino di famiglia che si è impossessato del suo computer? Ora siamo alla sinistra che bombarda Belgrado? Non ci siamo. Fu la Nato, secondo me sbagliando, a decidere di bombardare la Serbia. Ma l’Italia nell’alleanza atlantica non conta nulla. Sono cose che capitano a inventare i fascismi e a farsi liberare dai liberali che in un primo momento si voleva sterminare… (che in cambio, a liberazione avvenuta, si sono pigliati sovranità sul nostro territorio, testimoniata dalle TANTE basi militari americane in Italia, dove pare ci siano anche armamenti nucleari, che costituiscono pericolo maggiore di non le semplici centrali nucleari, che ci darebbero un po’ di respiro sul piano della competitività industriale, ma delle quali ci priviamo per timore di incidenti… anche se nel nostro sistema non esiste incidente peggiore della perdita di competitività industriale). Il povero D’Alema poteva solo dimettersi, e sbagliò a non farlo. Ma chiunque fosse venuto dopo di lui non avrebbe potuto rifiutarsi di partecipare a quell’operazione sciagurata, comandata direttamente dal Presidente degli Stati Uniti. Vabbè…
Oh, Dinamo sembra un bischero, ma su certe robe ci chiappa. La cosa bella, però, secondo me, non è che l’antiberlusconismo è un prodotto editoriale, ma che è un prodotto editoriale inventato da Berlusconi medesimo, che tra le altre cose è il principale industriale delle narrazioni, vecchie e nuove (altro che Vendo la…)… E noi (io poco…) siamo stati 20 anni a pigliarsela con un simulacro… Per capirsi bene: B. è uno degli uomini più potenti del mondo, cretino quanti si vuole, ma non al punto di farsi intercettare le telefonate scottanti… Infatti si fa intercettare solo quelle che vuole lui, tipo quelle su Ruby. Essere processato per Ruby, evidentemente, gli conviene, e svia dai VERI processi che dovrebbe subire. Secondo me…
Giusto per dire che fare l’antigrillismo, ora, non mi sembra proprio il caso, dato che il grillismo potrebbe essere solo il simulacro di qualche progetto politico concreto, assai più minaccioso, che potrebbe non aspettare 20 anni a manifestarsi. L a filosofa Veronica Lario lo disse che il peggio sarebbe stato il dopoberlusconi…
Nota della Libreria Ulisse , il 23 febbraio scorso su facebook
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grillo , chance il giardiniere e l’ingenuità della politica
da Ulisse Libreria (Note) il Sabato 23 febbraio 2013 alle ore 18.20
— Grillo e Chance esplorano l’ambiente come se si trattasse di un palinsesto televisivo.
Secondo Sartori , “ nella televisione il vedere prevale sul parlare, nel senso che la voce in campo è secondaria, è funzione dell’immagine. Il telespettatore è più un animale vedente che non un animale simbolico ” , cioè il dominio delle immagini sullo spazio mentale prevede l ‘ impoverimento delle capacità argomentative.
— Entrambi abbandonano la loro compagna , la televisione , e vanno oltre . A prescindere dal significato , le parole di Chance “funzionano” poiché sono intese come manifestazione di saggezza , così come funziona la trasformazione del dibattito politico operata dal medium televisivo che spettacolarizza e riduce lo scambio di opinioni a un insieme di formule prive di contenuto strumentalmente orientate alla seduzione e al consenso.
Chance / Grillo è il più ingenuo degli uomini , lo spettatore si aspetta qualcosa da lui . Come su uno schermo ideale egli riflette su di sè l’immagine sublimata degli spettatori , ed è per questa qualità che entra in campo come interlocutore politico ed accolto come un evento preparato apposta per loro.
Lo spettatore ne subisce il fascino , senza accorgersi che in realtà è addomesticato dalla manifestazione di ciò che accade , non dal suo significato. Tutti credono in lui e in ciò che dice : sull’elementarità di ciò che dice ciascuno può proiettare il significato che vuole.
Nel suo esserci ( Titolo del film di Hal Ashby – Being there ) , lasciarsi definire , Chance incarna quasi una forma di santità, rivelata solo dalla scena finale in cui lo vediamo camminare sulle acque di un lago. In un mondo dominato dalla razionalità , le parole possono nascondere messaggi divini, al di là di ogni giudizio.
La grandezza del personaggio sta nella sua ineffabilità.
Buffagni, una lettura un tantino semplicina la tua…. ridurre tutta la linea politica del centrosinistra da Belgrado al governo montiano ad una montagnola di anti-berlusconismo, fai tu, ma a me sembra telepolitica.
Seligneri, prego: non sono stato io a ridurre tutto all’antiberlusconismo, è stata la sinistra. Io ho detto che l’antiberlusconismo è *la balla*, cioè il collante ideologico interno, la falsa coscienza organizzata, che ha tenuto insieme la sinistra mentre faceva quelle belle cosette che con i valori tradizionali della sinistra e con gli interessi dei suoi elettori sarebbero incompatibili.
Poi se vuoi discutiamo delle cose serie, cioè del crollo dell’URSS, del riciclaggio delle sinistre ex comuniste d’Europa nel neoliberalismo, del passaggio di campo del PCI dal patto di Varsavia alla NATO, dei suoi rapporti con il caso Moro e la strategia delle tensione, della funzione di Napolitano in questa delicata operazione, della fine del clivage destra/sinistra…
Massino, no eh? No le falsificazioni storiche!
Il governo D’Alema è nato in seguito a una manovra coordinata da Cossiga e dagli americani, che fecero cadere il governo Prodi per timore che su pressione vaticana si rifiutasse di partecipare alla porcata balcanica.
Il suddetto governo D’Alema spedì, senza voto parlamentare e quindi violando la Costituzione, l’aviazione italiana a bombardare la capitale jugoslava nell’ambito di un’operazione NATO alla quale nessuno, ripeto nessuno obbligava l’Italia a partecipare.
Nessuno, tranne la vigliaccheria infame di D’Alema e di chi gli ha tenuto mano, i quali con questa aggressione illegale volevano accreditarsi presso gli USA come capocamerieri (nel linguaggio di D’Alema: “Sedersi al tavolo delle potenze di serie A”).
“Il povero D’Alema” non fu costretto da nessuno tranne che da se stesso a fare quel che fece: fu anzi nominato Presidente del Consiglio proprio per fare la porcata che in effetti fece, con grande gioia e orgoglio, e condendola, con l’ausilio dei media, di un’alluvione di bugie su un inesistente genocidio in corso.
Il povero D’Alema un accidente! il povero D’Alema è colpevole di alto tradimento. I poveri belgradesi che sono morti sotto bombe anche italiane, per la miseria!
Anche se abbiamo perso la IIGM, non è indispensabile e inevitabile essere delle merde assolute, totali, irrimediabili, metafisiche.
Per riuscirci bisogna impegnarsi parecchio, e va riconosciuto a D’Alema che in effetti si impegnò al massimo; eguagliato, forse, soltanto da Berlusconi e Napolitano, che dopo aver firmato un solenne trattato di amicizia con la Libia hanno partecipato all’aggressione criminale culminata nel barbaro assassinio di Gheddafi e nella riduzione all’anarchia e al caos di quel paese.
Ma si può sempre fare di meglio, e non dobbiamo disperare: magari, la prossima volta troveremo qualcuno disposto a mandare l’aviazione italiana a spezzare le reni alla Grecia o a Cipro, chissà.
Scusate se vi correggo ma non si dice “cretino” si dice “diversamente intelligente” !
Se l’analfabetismo di ritorno in Italia è oltre il 50% ( 36 milioni) perchè non si inizia a levare il voto a chi non è in grado di intendere e di volere? Il canone Rai dovrebbe essere una multa per chi accende il televisore. Sì, lo so, appartengo al Giurassico, bla, bla, bla, bla, bla, ma perchè secondo voi la maggioranza va di pari passo con la visibilità?
A me il pezzo è piaciuto. (Anche se pare che a tutti i costi l’autore voglia giustificare la propria “cretinaggine” con lo sfoggio di stile, il che è gradevole certo finché non stucca; ma il testo è breve per fortuna).
Stuccano un pochino (nel significato qui di: riempirti di stucco; e quindi in un certo senso di: rimanere di stucco) i commenti tesi alla stroncatura, a loro modo in odore di esercizio di stile senza però che ci sia nulla da perdonare…
P.S. Buona regola è non chiedere a un trattato di metafisica quello che puoi trovare in un romanzo rosa…
Cucinotta, l’ho letto esattamente nel post di Giubilini che riassumo in: incompetenti senza storia, animati da muggiti informatici, in grado di ripetere un vocabolario pericolosamente medio, etc. A questi aggiungo il suo “vuoto di progetto che non è possibile ascrivere a Grillo”. Eppure l’oratoria di Grillo ha sempre pescato in quelle proteste e in quei progetti nati dal basso, puntualmente inascoltati dalla politica. Deligittimare e ridurre queste voci ad un “…un agitarsi di fronde, è che le loro afasie, i loro balbettamenti sacerdotali e identitari finalizzati al “serriamo le fila”, senza peraltro essere assediati da nessuno, i loro abulici rancori per ora senza vera violenza”, lo trovo francamente eccessivo, irrispettoso e appunto come diceva qualcun altro classista. C’è una cosa che forse non è stata ben compresa e che cerco in ogni dove di far emergere: la democrazia liquida. Se si pensa che i parlamentari eletti siano “senza nessuna arte del compromesso o della politica, esangui senza alcuna retorica, nemmeno quella del loro nuovo potere, animati da una teologia di muggiti informatici” ecco, persone nelle mani di Grillo non si è capito nulla di questo movimento. Quelle persone sono là perchè sono state votate per un programma, non sono là a mercanteggiare. Cosa a cui ci hanno abituato sinistra e destra, che hanno fatto di tutto in questi anni per far soccombere la volontà popolare, referendum elettorali compresi. Comunque al di là dell’opportunità di patteggiare o meno, sarebbe il caso di evitare semplificazioni, perchè se c’è un problema oggi nel M5S è la mancanza di una piattaforma nazionale libera in cui ci si possa confrontare sui temi da portare avanti. Ecco, se volete fare un favore alla democrazia e al M5S portate alla luce questo:
http://it.federicopistono.org/category/pensieri/movimento-5-stelle
Il resto son più o meno chiacchiere che si fanno sotto il casco da parrucchiere.
Attenzione a non insistere troppo con questa storia della “democrazia liquida” e dell’ “open source”: rischiate di vedervi arrivare a casa la lettera dell’avvocato del capo che vi toglie l’uso del marchio, proprietà personale del capo stesso. Così si viene buttati fuori dal Movimento. Si è passati dal “partito azienda” al “partito in franchising”. Democrazia “in concessione” anziché “liquida”. E poi credete che con il web sareste arrivati a prendere milioni di voti? Solo alcune decine di migliaia. Tutti gli altri arrivano dal vecchissimo rapporto tra un capopopolo e uno pseudopopolo.
Rino, lei ha una visione piuttosto distorta e lo si nota a cominciare dal linguaggio, segno che non sa neanche di cosa parla: ” E poi credete che con il web sareste arrivati a prendere milioni di voti”, ma cosa significa? Chi dovrebbe credere di prendere voti dal momento che chi vota spesso è un iscritto? L’utilizzo del simbolo è tutelato come in qualsiasi movimento politico e soggetto ad analoghe autorizzazioni. La revoca, così come per gli altri partiti, avviene per non conformità ad un regolamento e codice di condotta in linea con le direttive del partito stesso.
Sussistono certamente delle imperfezioni, alcune modalità sono discutibili, ma non mi sembra si viva una situazione più grave che in altri partiti quale il PD, in cui si sbattono fuori militanti solo perchè sono contro la TAV o denunciano speculazioni edilizie.
Riguardo alla piattaforma, se ne è già discusso, Grillo stesso ha più volte affermato che ci si sta lavorando su. Quello che si cerca di fare è una pressione affinchè tale piattaforma sia implementata al più presto, non si capiscono tutti questi ritardi, e che sia libera.
Pasquarella, mi scusi tanto, ma mi viene da dire come farebbe una donna navigata con l’esibizionista di turno: “Tutto qui?” Cosa mai ci sarebbe di così interessante nel link che lei gentilmente segnala? Che tale Pistono (sospetto un suo alter ego) viaggia, pensate, raggiungendo niente meno che Londra, e il fatto che sia in evoluzione lo strumento telematico di consultazione?
Meglio allora le chiacchere dal parrucchiere, almeno quelle si sa che si fanno per diletto, piuttosto che pretendere di fare politica senza che sia possibile neanche intravedere un contenuto che ad essa si possa ascrivere anche vagamente.
@Buffagni
Se ho capito bene, lei vive un piccolo dramma come me, dover riporre le proprie speranze sull’unica novità della politica italiana, e tuttavia dovere osservare l’evidente inadeguatezza dei suoi sostenitori.
Se io leggo “…sono così inadeguati e ignoranti di politica e del mondo…”, non posso che constatare che in fondo Giubilini, sotto l’effetto deformante dell’ironia e della caricatura, dice le stesse cose che anche noi pensiamo.
La mia personale opinione è che le critiche al M5S ed ai suoi rappresentanti non vadano per niente minimizzate (a cosa mai servirebbe volere nascondere il sole), ma nel contempo non bisogna smettere di sperare che dalla loro inesperienza venga qualcosa di positivo (mi piace come lei esprime questo punto dicendo che in guerra o si cresce velocemente o si soccombe).
Sono convinto che non ci sia alcuna contraddizione tra questi due aspetti, anzi che la vera speranza possa essere coltivata soltanto con quella punta di intransigenza che possa servire loro da stimolo. Non serve loro di essere cullati e rassicurati, ma al contrario bisogna criticarli. Se v’è intelliganza, se v’è del valido, allora reagiranno come speriamo.
Vincenzo, con quel link denunciavo uno (non il mio alter ego) dei tanti attivisti contrari ad una certa linea dirigenziale, quindi un punto critico e concreto. Al contrario di lei trovo il reclamo di fondamentale importanza, sia da un punto di vista di democrazia interna, sia come possibilità ancora aperta di sviluppare un nuovo modello su quello siciliano. La democrazia liquida funziona abbastanza bene come abbiamo visto a livello locale, ma la sua implementazione a livello nazionale diventa piuttosto complessa e tuttora in fase di studio. A tal proposito vorrei segnalare una piattaforma molto interessante messa in piedi da alcuni attivisti:
http://www.airesis.it/home
Se lei preferisce le chiacchiere da parrucchiere, continui pure a rimanere sotto al casco, mi pare però che qui si manchi una novità fondamentale che si porta dietro questo movimento. Chissà perchè la cosa non mi sorprende.
@ Pasquarella
Con tutta la simpatia che posso avere per un giovane (credo) come lei, faccio notare che l’aggettivo ‘liquida’, che mette accanto a ‘democrazia’, non risolve proprio nulla.
Ai vecchi tempi (Novecento) – dall’occupazione delle fabbriche a Torino nel biennio rosso ’19-’20, ai moti spartachisti in Germania e mettiamoci pure il ’68-’69 mondiale – si parlava di ‘democrazia diretta’. E tutti hanno avuto modo di vederne i limiti.
Lei stesso deve ammettere che “la sua [della democrazia liquida o diretta] implementazione a livello nazionale diventa piuttosto complessa”, ma non risulta molto convincente e incoraggiante se è costretto a cavarsela affermando che il problema è “tuttora in fase di studio”.
Caro Cucinotta,
sì, è come lei dice. Porto sulla situazione politica corrente alcuni giudizi che per brevità espongo in forma apodittica, ma che a richiesta sarò lieto di argomentare: anche se va tenuto presente che qualsiasi giudizio politico di questo ordine di grandezza importa necessariamente una dimensione intuitiva e aleatoria (la politica è tragica perché prevedere con esattezza le conseguenze degli atti compiuti od omessi è impossibile).
1) Ritengo non riformabile la UE, e la giudico politicamente illegittima, economicamente, socialmente e culturalmente disastrosa per l’Italia (e gli altri paesi Mediterranei, e per il continente europeo in generale).
2) Ritengo non riformabili i partiti tradizionali italiani: la sinistra si è identificata con le sorti della UE, e ne è di fatto il concessionario locale; la destra non ha un centro di gravità politico perché non ha una posizione univoca rispetto alla UE se non quella di chiederle “meno distruzioni”, e non si disgrega solo finché le fanno da collante Berlusconi e l’antiberlusconismo della sinistra. (Considero il centro montiano una pura espressione di forze non nazionali, la Lega una forza residuale, l’extrasinistra definitivamente spenta)
3) Ritengo positivo l’emergere del M5S, come ultimo, ripeto ultimo possibile freno all’asservimento definitivo dell’Italia alla UE e alle oligarchie internazionali a base USA che con essa interagiscono (anche conflittualmente).
4) Sono evidenti l’immaturità, i limiti e gli errori del M5S. In guerra, si cresce in fretta o si viene spazzati via. Questa è una guerra, come dimostra, se ce ne fosse bisogno, la misura illegale e apertamente tirannica recentemente adottata dall’Eurogruppo (ente politicamente affatto irresponsabile e illegittimo) nei confronti di Cipro.
5) Spero due cose. Uno. Che il M5S orienti la sua azione politica su un centro di gravità strategico: il rapporto tra Italia e Ue (che a mio parere si riassume nel percorso politicamente difficilissimo di uscita dall’eurotrappola). Due. Che il M5S riesca a cristallizzare, dal suo interno e dall’esterno, un gruppo dirigente che riesca a strutturarlo in forma efficace e a perseguire l’obiettivo al punto uno.
6) Uscire dall’eurotrappola non è condizione sufficiente, ma necessaria per riprendere iniziativa politica in vista dell’indipendenza d’Italia e d’Europa, ripeto d’Europa.
7) Ritengo dunque che chiunque condivida, nella sostanza, le valutazioni espresse ai punti precedenti debba favorire i processi di cui al punto 5.
8) No, non la vedo facile. Resta che pensandola così, ritengo necessaria una apertura di credito al M5S. Apertura di credito non significa dare ragione o aderire, significa ascolto e dialogo serrato, cosa impossibile quando si dileggia o si evidenziano con malignità o sufficienza gli errori e i limiti dell’interlocutore (non mi riferisco a lei).
9) Per concludere. Per educazione tendo a pensare che è responsabile chi comanda. Il popolo italiano è responsabile solo nel senso che subisce e subirà le conseguenze degli atti compiuti od omessi dalle sue classi dirigenti. Evocando praticamente dal nulla il M5S, o se si vuole intercettandolo in mancanza d’altra proposta politica, il popolo italiano ha dato, che lo sappia o no, un segno di vitalità della massima importanza, e ha rivolto un implicito appello a una guida diversa. A questo appello si deve, sottolineo si deve rispondere al meglio delle proprie forze, sia da parte del M5S, sia da parte di chiunque ritenga necessaria una svolta politica. Scrivo “si deve” perché ritengo che dopo un eventuale fallimento di questa potenzialità politica, non se ne presenteranno più altre nell’orizzonte temporale almeno vagamente prevedibile.
Pasquarella, lei metteva in alternativa le chiacchere dal parrucchiere con il link che riportava, lei e non io.
Non mi piace nessuna delle due alternative, ma se devo proprio scegliere tra queste, scelgo la prima, almeno siamo consapevoli che stiamo cazzeggiando, ne siamo pienamente consapevoli. La seconda alternativa invece, come dicevo già nel precedente intervento, pur non avendo alcun contenuto politico, pensa di averlo,e quindi manca anche la consapevolezza.
Parliamo piuttosto di politica come ad esempio ha fatto in maniera abbastanza esplicita e mi pare chiara Buffagni (a cui mi affretto ora a rispondere), nel suo ultimo intervento, ed anch’io nel mio piccolo tenterò di dare il mio contributo.
Pensarci prima, no?
@Buffagni
Premesso che condivido la maggior parte del suo intervento, mi soffermerò esclusivamente sul punto che riguarda l’Europa, punto su cui ritengo sia assolutamente indispensabile fare la massima chiarezza.
Innazitutto, partirei dallo stesso titolo: è davvero utile considerare l’europa come un problema specifico oppure come io ritengo l’europa è solo un aspetto, seppur fondamentale, di un problema ancora più ampio e che riguarda l’ideologia liberale e la sua espressione contemporanea comunemente designata come liberismo?
Qui, intendiamoci, non è in discussione il giudizio più duro sulle malefatte europee, non è questo l’oggetto del contendere, ciò che è in discussione è se la fonte di tutti i nostri mali, e segnatamente della gravissima crisi economica in cui versiamo, sia costituita dall’europa, se, come direbbero gli inglesi, la crisi è nata dentro il nostro cortile di casa.
Con tutta evidenza, ciò non è vero, è un fatto storicamente accertato che la crisi scoppia a partire dal 2007 negli USA, prima come bolla immobiliare, e poi come insolvenza generalizzata del sistema bancario prevalentemente anglosassone (e siamo già nel 2008).
Se le cose stanno così, come effettivamente stanno e non credo che ci sia qualcuno che voglia metterlo in dubbio, rimane per me un mistero perchè noi europei dibattiamo sempre come se l’intero mondo fosse limitato al vecchio ormai piccolo e forse marginale continente. E’ insomma come se iniziassimo a leggere un giallo dal secondo capitolo, potremmo mai scoprire l’assassino?
La crisi economica, ormai solo chi è in malafede può affermare il contrario, è crisi del debito privato. Un sistema bancario inondato da un’enorme liquidità pompata dalla FED di Greenspan già a partire dalla seconda parte degli anni novanta, a cui una legge criminale promossa da Clinton nel 1998 ha rimosso ogni forma di limitazione che era stata introdotta negli anni trenta a seguito della storica crisi del ’29, ha moltiplicato i suoi profitti (e quelli dei suoi managers) in maniera esponenziale, generando tuttavia in tal modo una quantità di titoli tale da costituire ormai soltanto una montagna di cartaccia priva ormai di qualsiasi valore reale, e pure regolarmente contabilizzata nei bilanci bancari, che quindi dipendono totalmente dal riuscire a nascondere la natura fittizia dei titoli contabilizzati.
Come sappiamo, i governi un po’ in tutto l’occidente hanno reagito con la sciagurata logica del “too big to fail”, e cioè cedendo al ricatto delle banche, e salvandole immettendo ancora più liquidtà.
A distanza di anni da allora, da una parte la BCE, nel momento stesso in cui negava cento miliardi per il salvataggio dello stato greco, concedeva ben mille miliardi (dieci volte tanto) a banche del tutto private sotto la foglia di fico di prestiti, dall’altra la FED immette ormai dall’estate ogni mese ben 40 miliardi di dollari sul mercato. determiando una liqudità, che potremmo definire potenziale, che è micidiale dato ormai il quantitativo fuori controllo di dollari in giro per il mondo, e che potrebbe da un momento all’altro uscire dai circuiti bancari dove è sostanzialmente innocuo per finire nelle tasche dei privati, dove in poco tempo risulterebbe la sua mancanza di valore reale (nessuno cederà merce per cartaccia, ovvio).
Dicevo che la politca del TBTF è sciagurata soprattuto perchè essa non è risolutiva, serve solo a rinviare un fallimento dell’intero sistema bancario che non si vede come possa essere evitato. Tuttavia, ogni rinvio determina un aggravamento negli effetti del fallimento, e quindi è obiettivamente dannoso.
Se il quadro è questo, e non sono certo il solo a dirlo (lo sostengono fior di economisti), non capisco questo che è diventato come lo vedo io una specie di chiacchericcio su euro sì ed euro no.
In sostanza, per me è un fatto scontato che si debba uscire dall’euro, il punto di dissenso non è questo, è che parlare sempre di questa fuoruscita oscura la sostanza del problema, ridimensionando fortemente la portata delle svolte in politica economica che dovremmo assumere. Se si tratatsse insomma di un problema esclusivamente europeo, allora potremmo invocare un nuovo intervento del tipo keynesiano. Il fatto è che la liquidità che è stata creata nell’ultimo decennio ha dimensioni mai viste e tutavia non sivede perchè un sistema bancario tossicodipendnete fagocita tutto.
Se la crisi viene da un sistema bancario globale infetto ormai in modo irreversibile, la cosa più importante è isolare il proprio paese dalla globalizzazione, e quindi uscire sì dall’euro, ma a seguire dare default ed ancora introdurre una serie di misure protezionistiche che salvaguardi il sistema produttivo italiano.
Questo apparente isolazionismo a livello nazionale è al contrario l’unico fattivo ed importante contributo che l’Italia può fornire a livello mondiale offrendo il proprio esempio, la via che altri paesi potrebbero poi (ancora meglio se contemporaneamente) seguire, opponendosi a questa ondata liberista distruttiva. Solo attraverso un procedimento di questo tipo, è inoltre possible imboccare risolutamente la via di una politica economica rispettosa dell’ambiente.
Mi scuso per la lunghezza del commento, ma la vastità dell’argomento avrebbe in effetti richiesto ben altro spazio, spero che l’inevitabile sintesi non abbia compromesso l’intellegibilità.
@ Roberto Buffagni
Non ero riuscito a commentare in tempo un suo pezzo dell’11 marzo 2013 alle 10:01 apparso nel post di Piras, Riflessioni postume sulla democrazia italiana dopo le elezioni; e in particolare questo passo:
A quanto pare, il capitalismo questo difettuccio ce l’ha per natura. L’unico freno che sinora abbia funzionato più o meno bene per limitarlo è lo Stato.
La globalizzalizzazione a guida USA e la UE tendono a distruggere le sovranità statali, le identità nazionali, le basi della democrazia rappresentativa *dappertutto*. Ergo, il capitalismo si sfrena *dappertutto*.
Poi però, visto che gli Stati (con le identità nazionali, la geografia e la geopolitica) e le basi nazionali dei capitalismi continuano ad esistere perchè il capitalismo non risiede in una stazione spaziale orbitante intorno alla Terra ma continua (e continuerà) ad avere solide basi nazionali in ben identificati paesi, il capitalismo sfrenato distrugge *anzitutto* le sovranità nazionali e i capitalismi *più deboli* a vantaggio delle sovranità nazionali e dei capitalismi *più forti*.
I capitalismi nazionali più forti subordinano e/o distruggono i capitalismi nazionali più deboli dominando e strutturando secondo loro convenienza le strutture sovranazionali, dal WTO all’ONU alla NATO alla UE. […] Limitare il capitalismo sfrenato significa, in termini di concreta azione politica, *limitare il capitalismo sfrenato delle nazioni più forti*. Per difendersene, le nazioni più deboli devono recuperare sovranità politica e statuale, altrimenti vengono subordinate e/o spazzate via insieme ai loro capitalismi nazionali. Noti bene che *recuperare sovranità politica nazionale* nelle nazioni più deboli è la precondizione per porre limiti al capitalismo sfrenato *dovunque*, anche nei paesi capitalistici più forti. […] Morale: se noi accettiamo l’attuale struttura della UE, che comporta la subordinazione dei capitalismi e delle nazioni più deboli ai capitalismi e alle nazioni più forti, noi non sconfiggiamo un generico*nazionalismo*, sconfiggiamo le nazioni più deboli a vantaggio delle nazioni più forti […]
Lo faccio adesso e in questo post, usando un passo di * Da Quarto al Volturno* di Cesare Abba, che avevo letto in una vecchia antologia scolastica e mi è rimasto impresso.
Segnalo così le mie perplessità sulla sua impostazione che vuole “frenare” il capitalismo e anche nei confronti del M5S.
So che le mie sono perplessità intempestive o del tutto inattuali; e che rischio di passare per nostalgico di Cause perse.
Eppure c’è un qualcosa che, per tracollo di tutte le forze politiche (non solo socialiste e comuniste) le quali un tempo l’ebbero nei loro programmi, è scomparso e pare diventato innominabile. E’ scomparso – preciso – non dalla “realtà”, ma dal dibattito politico odierno segnato in prevalenza o da ragionamenti pseudoriformistici o crudamente geopolitici.
Nel suo pezzo questo “qualcosa”, visto che lei parla esclusivamente in termini di nazioni, rimane necessariamente trascurato o rimosso. Nel brano di Abba, sia pur con parole “ottocentesche” (oppressori/oppressi) ancora affiora; e perciò lo ripropongo:
Mi son fatto un amico. Ha ventisette anni, ne mostra quaranta: è monaco
e si chiama padre Carmelo. Sedevamo a mezza costa del colle, che figura il
Calvario colle tre croci, sopra questo borgo, presso il cimitero. Avevamo in
faccia Monreale, sdraiata in quella sua lussuria di giardini; l’ora era mesta, e
parlavamo della rivoluzione. L’anima di padre Carmelo strideva.
Vorrebbe essere uno di noi, per lanciarsi nell’avventura col suo gran cuore,
ma qualcosa lo rattiene dal farlo.
« Venite con noi, vi vorranno tutti bene ».
« Non posso ».
«Forse perché siete frate? Ce n’abbiamo già uno (1). Eppoi altri monaci
hanno combattuto in nostra compagnia, senza paura del sangue ».
« Verrei, se sapessi che farete qualche cosa di grande davvero: ma ho par-
lato con molti dei vostri, e non mi hanno saputo dir altro che volete unire
l’Italia ».
« Certo; per farne un grande e solo popolo ».
« Un solo territorio … ! In quanto al popolo, solo o diviso, se soffre, soffre;
ed io non so che vogliate farlo felice ».
« Felice! Il popolo avrà libertà e scuole ».
« E nient’altro! – interruppe il frate -: perché la libertà non è pane,
e la scuola nemmeno. Queste cose basteranno forse per voi Piemontesi: per
noi qui no ».
« Dunque che ci vorrebbe per voi? ».
« Una guerra non contro i Borboni, ma degli oppressi contro gli oppressori
grandi e piccoli, che non sono soltanto a Corte, ma in ogni città, in ogni villa ».
«Allora anche contro di voi frati, che avete conventi e terre ovunque
sono case e campagne! ».
« Anche contro di noi; anzi prima che contro d’ogni altro! Ma col van-
gelo in mano e colla croce. Allora verrei. Così è troppo poco. Se io fossi Ga-
ribaldi, non mi troverei a quest’ora, quasi ancora con voi soli »,
« Ma le squadre (2) ?».
« E chi vi dice che non aspettino qualche cosa di più? ».
Non seppi più che rispondere e mi alzai. Egli mi abbracciò, mi volle ba-
. ciare, e tenendomi strette le mani, mi disse che non ridessi, che mi raccoman-
dava a Dio, e che domani mattina dirà la messa per me. Mi sentiva una gran
passione’ nel cuore, e avrei voluto restare ancora con lui. Ma egli si mosse,
sali il colle, si volse ancora a guardarmi di lassù, poi disparve.
Note:
(1) uno: fra Giovanni Pantaleo.
(2) Quelle dei *picciotti*
la prossima volta pensateci prima cari, capisco che i partiti c’abbiano messo del loro, ma da qui a votare gente senza sapere neanche chi è solo perché uno strillone di piazza fa demagogia per gonzi… E SE POI TE NE PENTI?
C’è qualcuno che cambiando continuamente nome, ripete lo stesso concetto: “Non era meglio pensarci prima?”
Vorrei chiedere a costui, che mi pare non abbondi in coraggio, con chi ce l’abbia, ma temo che sia per lui una domanda troppo difficile.
Vincenzo, per me parlare di democrazia liquida e di qualche problema di democrazia interna è parlare di politica, e della miglior specie. So benissimo che è qualcosa di complesso, ma trovo il dibattito molto interessante e per niente fine a se stesso, direi perfettamente sperimentabile con gli strumenti di odierni come la rete. Perdurare in alcuni assunti, che poi è buona parte del post di Giubilini, tipo questa stancante e martellante nenia della presunta incompetenza politica e dei vuoti programmatici, è fare chiacchiere da parrucchiere. Come se il programma del PD fosse invece avveduto, completo e rispondente alla volontà popolare. Come se si scambiasse la strategia da avvocatulo d’accatto per abilità politica. Perchè caro Vincenzo, la maggior parte degli abili politici della vecchia scuola è pressochè ignorante, si limita a seguire il capogruppo e la sua ristretta entourage, spingendo il bottone giusto quando c’è da votare una legge quasi sempre incompresa in parlamento, come delle perfette pecore. A me pare invece che il primo irrinunciabile pilastro su cui si debba fondare l’abilità di un politico sia la coerenza con il proprio mandato, il senso civico e civile, l’onestà intellettuale, ossia tutte caratteristiche storicamente in larga parte assenti. Se l’abilità politica che si intende è quella della mediazione tipo come si è fatto con la mafia, con il sistema bancario o come hanno fatto con l’Europa finora, ebbene la trovo fallimentare, servilistica, speculativa. No grazie, qui abbiamo bisogno di fermezza e coraggio, ci vuole una voce energica e preparata per permettere di risollevare l’Italia dallo status di paese centrale nell’Europa povera, perchè è così che ci vedono all’estero. Io ho dato fiducia in questi ragazzi e spero di non sbagliarmi, non me la sento di essere (ancora) così negativo.
Caro Cucinotta,
nell’insieme la sua analisi mi pare condivisibile e corretta. La si potrebbe ampliare, toccando i temi filosofico-politici della natura del capitalismo contemporaneo, della globalizzazione a guida USA, dell’individualismo, etc.
Io fisso lo sguardo sulla UE (forse sarebbe il caso di smettere di chiamarla Europa, che è tutt’altra cosa) per un motivo solo: che è l’avversario diretto, quello che ci sta attaccando con le sue forze (e sta vincendo).
Lei dà per scontato che dall’euro si debba uscire, ma purtroppo non la pensa allo stesso modo, per motivi diversi, la maggioranza degli italiani e degli europei, persino coloro che più ne patiscono le conseguenze più negative.
Se guarda che cos’è avvenuto in Grecia nell’ultima campagna elettorale, vede quel che intendo. Spaventati e disinformati dalle forze pro-UE, che dispongono di grandi mezzi, i greci non hanno trovato una guida politica salda, affidabile e unita che proponesse loro una prospettiva diversa e credibile e li persuadesse a respingere il ricatto, e sono precipitati nell’asservimento coloniale di oggi. Temo che questo sia esattamente il destino che attende anche noi, nel giro di breve tempo.
E allora dico, con semplicità, che si affronta un nemico alla volta.
Il nemico principale dell’Europa (dell’Europa, non della UE) sono gli Stati Uniti d’America, con la globalizzazione neoliberale di cui si sono posti alla guida. Oggi però, la coalizione di forze politiche ed economiche che minaccia direttamente la coesione e la sopravvivenza politica dell’Italia e dei paesi più deboli d’Europa è la UE a guida tedesca (la quale, certo, a sua volta è subordinata agli USA e alle centrali mondialiste da essi sostenute).
Proviamo ad affrontare questo nemico, e ad affrontarlo con la speranza di batterlo, cioè radunando e integrando tutte le forze disponibili senza preclusioni, e contribuendo a creare un gruppo dirigente all’altezza della situazione. Direi che basta e avanza, no?
L’articolo è molto bello, soprattutto per lo stile e la passione, ma non coglie, a mio avviso, il problema di fondo: la crisi della democrazia rappresentativa nell’età dei media. Il tema è talmente importante e urgente da non potersi ridurre a un post in un blog, ma almeno ripartire da una riflessione collettiva sul rapporto tra democrazia e aristocrazia si può fare: la categoria piuttosto aggressiva ma di immediata evidenza di “cretino” non esprime forse il bisogno di un’antitesi, che si chiamerà “intelligente”? Dove sono gli intelligenti? Se non sono né nei partiti tradizionali né nel M5S, saranno al di fuori della politica, a meno che non esistano; se è così, bisognerà pensare a una rivoluzione, perché l’opposizione è tra cretini, democraticamente eletti, e intelligenti, esclusi da ogni rappresentanza. La conclusione è che c’è una mancanza nel sistema politico, cui forse bisognerà creare dei contrappesi altrove e in altro modo. C’è questo spazio? Se c’è, dov’è?
@Buffagni
Mi sa che le cose non sono così semplici. Senza un quadro di riferimento complessivo, ogni singolo passo rischia sempre di andare nella direzione sbagliata, non è che se devo andare ad est, posso farlo senza bussola, farò sì singoli passi, ma rischio di farli magari verso ovest.
Fuori di metafora, il Prof. Bagnai che rappresenta ormai il punto di riferimento come economista del movimento per l’uscita dall’euro, rischia di semplificare eccessivamente le cose.
Non v’è dubbio che nessuno come lui è riuscito a tracciare chiaramente i danni dell’adesione all’euro e quindi cosa ci potremmo guadagnare dall’uscirne, ma il suo discorso è tutto interno all’eurozona, parte come dicevo, dal secondo capitolo. Nel mio piccolo, ho tentato di dialogare con lui, ma la sua competenza purtroppo viene eguagliata dalla sua arroganza, per cui ogni dialogo è impedito sin dall’inizio, o lo si adora oppure è meglio tacere.
Allora, lasciando alle solite vestali del potere liberista costituito le sciocchezze sulle maledizioni che subiremmo ad uscire dall’euro, credo che dovremmo porci alcuni problemi che conseguirebbero dall’uscita dell’Italia dall’eurozona.
Intanto, che fine farebbe il nostro enorme debito pubblico. I fautori dell’uscita dell’euro la fanno facile, contestualmente all’uscita dall’euro, si ritorna a una nuova lira il cui cambio con l’euro viene d’autorità fissato uno ad uno, e quindi altrettanto automaticamente i debiti esistenti vengono rinominati in lire. Perfetto, avremo la nostra Banca d’Italia che, avendo nuovamente potestà di stampare moneta, potrà agevolmente gestire il debito acquistandone quanto occorre per evitare che gli interessi possano diventare troppo alti.
Tuttavia, se io fossi un creditore, considererei questo passaggio come una forma simulata di default, non credo che sarei felice di subire un ridimensionamento inevitabile dei miei crediti a seguito della prevedibile svalutazione che la nuova lira subirebbe rispetto all’euro sin dalla partenza. Francamente, mi pare il gioco delle tre carte.
D’altra parte, se i debiti restassero espressi in euro, è evidente che il ritorno alla moneta nazionale non migliorerebbe per nulla la gestione del debito pubblico, dovendo a questo punto dipendere totalmente dal cambio valutario, chiaramente aldilà del controllo del singolo paese. Meglio, dico allora, dichiarare ufficialmente default, un default che sarebbe in tal modo controllato e che permetterebbe di preservare certe fasce di creditori.
La questione principale tuttavia è un’altra, riguarda l’uscita dalla crisi. E’ qui che la mancanza di chiarezza sulla stessa natura della crisi si palesa ed è qui che non possiamo più permettercela.
La risposta di Bagnai è quella tradizionale, bisogna ripartire con la crescita, e per lanciarla, occorre pompare liquidità. Francamente, non mi pare una cosa geniale, è quello che USA ed UK hanno fatto da ventanni a questa parte e del resto continuano ancora a fare, con i risultati che vediamo.
Dovremmo una volta per tutte capire che la parola crescita è proibita, una strada che si deve sbarrare, parliamo piuttosto di sostenibilità, nè crescita nè decrescita, sostenibilità.
Dovremmo capire che non è il lavoratore al servizio del lavoro, ma il contrario, al centro deve tornare l’uomo, e quindi una società non può essere sana se, per ottimizzare produzione e profitti, convive con tassi di disoccupazione elevati, soprattutto se riguardano prevalentemente i giovani. L’efficienza produttiva non serve, serve vivere in una società sobria in cui anche nel mondo della produzione si respiri un clima di serenità.
Così, visto che a livello internazionale non è possibile interrompere il gorgo della competitività inarrestabile, è necessario predisporre delle protezioni alle frontiere, delle misure doganali che ci isolino in maniera selettiva dal resto del mondo.
Mi fermo qui, più sintetico di così non riesco ad essere, più chiaro spero di sì se eventualmente sollecitato.
Caro Abate,
in quanto a cause perse, tra quella della nazione e quella degli oppressi è una bella gara.
La sua obiezione è più che corretta e pertinente. Ho tralasciato (non rimosso) l’aspetto sociale dell’attuale situazione politica per due motivi: uno, che parlo dal mio punto di vista, di quel che so e di quanto più mi preme; due, perché credo che attualmente – in concreto, non in astratto o in linea di principio – il problema vada impostato anzitutto così: cioè che il discrimine principale sia nello scontro fra organismi sovranazionali a guida delle nazioni forti e nazioni deboli in quegli organismi inserite in posizione subordinata (capitalistiche le une e le altre).
Il brano di G.C. Abba colpì profondamente anche me quando lo lessi, tanti anni fa. E’ un brano profetico. Con il senno del poi, sappiamo oggi che la linea di faglia dell’Italia unitaria stava proprio lì, nel problema sociale. Un problema che gli autori di quell’ “eroico sopruso” che fu il Risorgimento non poterono e/o non vollero non dico risolvere, ma affrontare, ad esempio secondo il modello bismarckiano. Oltre a provocare le sofferenze dei milioni di emigranti, la miseria di tanti, e almeno un aspetto fondamentale delle resistenze legittimiste meridionali, il problema sociale irrisolto fu causa primaria della debolezza strutturale dello Stato liberale, della distanza fra paese legale e paese reale, della forza poi acquisita da formazioni politiche antisistemiche quali l’anarchismo, il socialismo massimalista, il fascismo, il comunismo (con il trasformismo ricorrente che ne conseguì sul piano parlamentare).
Per quanto attiene l’oggi, dico semplicemente questo (mi esprimo in forma apodittica e semplificatoria perché su queste cose o cinquanta pagine o cinquanta righe).
1) i tradizionali rappresentanti dei ceti socialmente oppressi (le sinistre) non li rappresentano più, e semmai agiscono come mediatori del consenso per conto dei loro nemici: basta guardare i dati sulla disoccupazione, sulla distribuzione dei redditi, sul salario diretto ed indiretto degli ultimi vent’anni per accorgersene
2) i tradizionali rappresentanti dei ceti “nazionalisti” o “sovranisti” (le destre di tipo nazionale, i socialismi nazionali) sono dispersi, o minoritari, o hanno cambiato francamente casacca: basta guardare il grado di autonomia e di sovranità delle nazioni europee per accorgersene
3) di conseguenza al moto descritto ai punti precedenti, il discrimine destra/sinistra cessa di segnare il punto in cui avviene il vero conflitto politico e sociale. Ne permane un sedimento anche antropologico di lunghe tradizioni culturali e storiche, che però non illumina ma oscura il campo di battaglia: per esprimersi con von Clausewitz, destra e sinistra sono “nebbia della guerra” (in Italia e non solo, questa “nebbia della guerra” prende il nome di “antifascismo”)
4) i veri nemici degli oppressi e dei sovranisti usano e alimentano questa “nebbia della guerra” per dividere chi avrebbe tutto l’interesse a unirsi: si vedano le “privatizzazioni”, gli attacchi alle “caste” dei politici, alle “corporazioni” dei lavoratori autonomi o degli statali fannulloni, dei liberi professionisti, dei terribili tassisti (!) con le quali si alimenta l’invidia sociale e si promettono agli oppressi palingenesi al posto delle quali arrivano regolarmente le “riforme” che gli disastrano la vita, come il lavoro precario e la riforma pensionistica grazie alla quale i loro figli, da vecchi, non avranno pensione alcuna
5) gli oppressi hanno tutto l’interesse ad allearsi ai sovranisti per ricostituire le sovranità nazionali perché solo all’interno di uno Stato sovrano (sovrano anche dal pdv monetario e delle politiche economiche) hanno speranza di
a) ottenere una redistribuzione dei redditi a loro più favorevole
b) accedere a un governo che abbia gli strumenti e i poteri per effettuarla. Nell’ambito della globalizzazione economica e della politica sovranazionale, gli oppressi non toccheranno mai la palla, altro che fare gol.
6) i sovranisti hanno altrettanto interesse ad allearsi agli oppressi perché altrimenti se la cantano e se la suonano in quattro gatti
7) dunque il compito comune è quello, anzitutto, di disperdere la “nebbia della guerra” e di dare vita a formazioni politiche e ceti dirigenti che siano in grado di
a) identificare il nemico
b) combatterlo
c) magari vincere
8) e in tutto ciò, il capitalismo, il comunismo, etc.? Che fine fanno? Che ne diciamo? La risolverei così: nessuno ha un’idea sparata di che tipo di società e di modo di produzione sostituire al capitalismo. Al massimo si può sperare di porgli dei limiti, e sarebbe già tanto. Il comunismo ha funzionato, storicamente, solo dove e quando si è integrato con lotte di liberazione nazionale. Da solo, no. Questo compitino di voltare pagina lo affidiamo ai nostri figli e nipoti; noi abbiamo già parecchia carne al fuoco
9) l’unica battaglia che è ragionevole provare a combattere, dunque, è una battaglia difensiva in quattro fasi:
a) accorgersi che siamo in guerra
b) capire chi è il nemico
c) unire le forze, creare le dirigenze
d) andare allo scontro nelle migliori condizioni possibili pregando Dio di non essere spazzati via
La controffensiva viene dopo, se riesce la difesa
10) la difesa riesce se si riesce a ricostituire un minimo di sovranità statale nelle nazioni europee sotto attacco. Io non sono un fanatico dello Stato. Lo Stato è una macchina da guerra, è freddo come il ghiaccio e amarlo è da pervertiti. Però, quando qualcuno si chiede a che cosa serve lo Stato io gli raccomando sempre di andarlo a chiedere a un palestinese.
Ecco qua. E’ un programmino mica male, per un sabato pomeriggio; come direbbe un uomo dal quale oggi dovremmo tutti prendere ispirazione e consiglio, è un “vaste programme”. Uno meno vasto e difficile, però, temo che non ci sia.
Oltre a snocciolare un così alto numero di vocaboli che “neanche il Devoto Oli” e allegati possiede, aveva altri intenti la pubblicazione di questo tuo articolo? Immagino che se avessi davvero avuto buone idee o spunti da comunicare sarebbe stato ottimo usare un linguaggio più immediato e meno pomposo; come in molti altri articoli disseminati per il web si nasconde la mancanza di idee e la sterilità della visione del mondo con linguaggi ricercati che, cerca che ti cerca, rimangono fini a se stessi. Mi devi 10 minuti di vita.
Caro Cucinotta,
certo, le cose non sono così semplici. Le sue obiezioni mi sembrano ragionevoli. Personalmente, non essendo né specialista di economia nè onnisciente, evito di dire cose che non capisco a fondo, e cerco di delineare, dal mio punto di vista, quelle che mi paiono le priorità politiche.
Semplifico al massimo perché per combinare qualcosa, bisogna anzitutto semplificare: la guerra è una cosa molto semplice che ha ripercussioni molto complicate.
Quanto alla decrescita di cui lei parla, le posso dire a puro lume di buonsenso dilettantesco quanto segue:
a) non ci piove che il capitalismo sia una formazione sociale il cui criterio ordinatore è l’illimitato. Questo costituisce un serio problema, gravido di conseguenze antropologiche e (forse, non lo so) ecologiche disastrose. Un ulteriore problemino è che nessuno sa cosa sostituire al capitalismo. Suggerisco di rinviare la soluzione del problema.
b) è però un suicidio politico bello e buono proporre la decrescita come obiettivo politico, quando la decrescita concreta e devastante ce la fanno la Germania, la UE e la globalizzazione USA, che ci disindustrializzano. Se un partito politico vuole evitare di sbagliare tema e di farsi mandare giustamente a remengo dagli italiani, sarà meglio che gli spieghi come si fa a diminuire la disoccupazione, abolire gradualmente la precarietà del lavoro, aumentare i salari e a conservare e se possibile migliorare lo stato sociale: e questo, in tempi non millenari. La decrescita, insomma, non mi pare la ricetta per l’oggi, anche se vale certamente la pena di studiarla, ragionarci, etc., perché in sé è una cosa seria. Però prima vivere, poi filosofare e poi, eventualmente, decrescere.
c) il protezionismo selettivo è la chiave sia per la difesa, sia per l’accrescimento di potenza e l’uscita dalla subordinazione delle formazioni sociali capitalistiche. Il suo primo teorizzatore, il tedesco Friedrich List, lo chiamava “sistema americano”, perché dopo la vittoria del Nord nella Guerra di Secessione, gli USA se ne servirono contro la politica globalizzatrice del “free trade” britannico. Senza protezionismo, infatti, è impossibile per una nazione creare le condizioni di base per la produzione nei settori avanzati e strategici dell’economia capitalista.
La “teoria dei costi comparati di Ricardo”, secondo la quale se un paese fa vino buono a buon mercato e un altro fa acciaio buono a buon mercato è meglio che continuino così, è una pura fregatura per la nazione vinicola, la quale si prenderà delle belle ciucche, ma continuerà a restare subordinata, economicamente e politicamente, alla nazione che fa il buon acciaio (e le macchine utensili, le corazzate, etc.). Come diceva List, la globalizzazione e il libero commercio mondiale consistono in questo: che chi è arrivato in cima toglie la scala per tenere giù gli altri. Il protezionismo selettivo al modo di List fu anche la chiave per l’impressionante crescita del capitalismo tedesco negli anni successivi all’unificazione.
Oggi, la situazione è identica, a parte che la nazione globalizzatrice e imperiale non è più il Regno Unito ma gli USA. Quindi, se vuole il mio parere io sono favorevole al 2000% al protezionismo listiano: che però con la decrescita c’entra zero.
Per concludere: pensare e studiare e teorizzare è sempre di importanza decisiva. Però la politica ha le sue esigenze e i suoi tempi, specialmente quando si è in guerra. Noi siamo in guerra, e le stiamo prendendo di santa ragione. Suggerirei di concentrarci su quel che unisce, piuttosto che su quel che divide, e di perseguire gli obiettivi che è possibile, anche se non facile, raggiungere. E’ già abbastanza difficile così.
Caro Giubilini
Lei non è un “cretino illuso”.
Però è pericoloso mandare dei perfetti dementi (come lei ha fatto votandoli per protesta o per asserita mancanza di alternative) nei posti ove si possono prendere decisioni che riguardano il presente ed il futuro di tutti noi.
Alla luce dei loro primi comportamenti, non si è però un po’ pentito di avere eletto questi idioti ignoranti (il suo appellativo “dementi” è troppo generoso)?
Mirna
Buffagni, scusi, ma io ho scritto “nè crescita, nè decrescita”, perchè mi rimprovera di parlare di decrescita quando io la escludo a priori? Francamente la cosa mi lascia perplesso.
Io parlo di un’economia pianificata come alternativa all’economia di mercato, che significa che il tasso di sviluppo si pianifica anch’esso, e si stabilisce dove si cresce e dove magari si decresce, ed è per potere sopravvivere quale sistema economicamente pianificato in un’economia di mercato globalizzata che le barriere protezionistiche sono indispensabili. Come vede, non c’entra neanche di striscio con l’impoverimento subito passivamente che comporta la distruzione del nostro sistema produttivo, l’unica cosa che mai dovremmo permettere, perchè esso costituisce l’unica forma di garanzia di sopravvivenza con un certo grado di indipendenza dall’esterno.
Mi spiace che lei si unisca al coro di coloro che fanno confusione tra una scelta di sobrietà consapevole e pianificata attentamente, e il far agire liberamente le forze libere e progressive del mercato. Il fatto che subiamo una riduzione generalizzata del reddito non può in nessun modo giustificare una neovenerazione di stili consumistici, è proprio durante periodi di crisi che si riesce a fare le scelte più difficili.
Ora, sono d’accordo con lei che siamo in guerra, ma anche in guerra bisogna sapere chi sta sparando accanto a te, prima che egli rivolga eventualmente l’arma contro di te.
Il concetto che tentavo evidentemente con scarso successo di chiarire è che la Germania è responsabile di una risposta gravemente errata alla crisi, ma non della crisi stessa, su questo non sono disposto a sorvolare. La risposta errata alla tedesca espone l’intera eurozona a divenire il bersaglio privilegiato del sistema bancario in stato fallimentare. E’ vero che oggi sono i paesi più deboli a finire sulla griglia infuocata, ma in ogni caso i tedeschi sbagliano perchè stanno distruggendo quel sistema economico che nei dodici anni di esistenza dell’euro le hanno garantito prosperità: se Grecia, Spagna Portogallo, Irlanda ed Italia vanno a fondo, si tireranno dentro tutti gli altri, magari la Germania resisterà di più, ma alla fine non reggerà neanche lei. E’ come se qualcuno per resistere ai rigori dell’inverno bruciasse le assi di legno con cui è costruita la sua casa, apparentemente, riesce a raggiugnere lo scopo di stare al calduccio, ma l’inverno successivo si ritroverà senza casa, non mi pare una cosa saggia.
Tuttavia, quello che non si dovrebbe tacere perchè è il punto fondamentale, è che dal fallimento prossimo venturo del sistema bancario ormai interamente privato globale non si salverà nessuno, nè l’Italia, nè la Germania e neanche gli USA, anzi è mia opinione che gli USA saranno i primi a scoppiare, e non lo dico con piacere ma con preoccupazione per gli effetti devastanti a livello militare che una situazione di questo genere potrebbe generare, conflitti regionali o anche di dimensioni maggiori e probabilmente dentro la nostra europa non si possono purtroppo escludere.
L’unica cosa ragionevole da fare rimane per me uscire da questa gabbia di matti che è diventato il sistema finanziario globale, e forse è proprio perchè è l’unica cosa ragionevole che non si farà.
Caro Cucinotta,
guardi che non le affibbiavo la passione della decrescita. Ho letto attentamente il suo intervento. Commentavo la decrescita perché molto se ne parla, e ne ha parlato anche lei.
Credo che stentiamo a intenderci perché partiamo da due presupposti e punti di vista diversi.
Lei cerca di formulare un’analisi per così dire “super partes”, oggettiva, della situazione.
Io esamino la situazione dal punto di vista delle forze in campo, e del modo migliore per opporsi al nemico, o ai nemici, che ci stanno attaccando.
Sotto questo profilo, la soluzione più ragionevole non è “uscire da questa gabbia di matti che è diventato il sistema finanziario globale”, la soluzione più ragionevole è combattere con tutti i mezzi a disposizione.
E’ possibilissimo che come lei sostiene, la risposta che la Germania dà alla crisi sia gravemente errata e dannosa per tutta Europa, essa medesima compresa: mi permetterà però di obiettarle che la speranza di far cambiare rotta alla Germania persuadendola dell’irrazionalità delle sue posizioni è pari a zero.
I tedeschi procedono per ukase, ultimatum e brutali ricatti, agendo a fini di conquista economica con metodi da guerra guerreggiata, con una progressione irresistibile simile a quella che tennero negli anni precedenti la II GM: le vittime implorano aiuto, e tutti gli altri stanno zitti e tremano pensando: “Morire per la Grecia? Morire per Cipro? ” come un tempo dicevano “Morire per Danzica?”
Sbagliano strada? Sì, sbagliano strada, se non altro perché a questo modo, disgregano lo stesso strumento di cui di valgono, cioè la UE. Glielo possiamo anche dire, e in effetti gli è stato detto più volte da personalità più autorevoli di me e di lei. Ha notato che abbiano cambiato metodi e strada? A me sembra che rincarino la dose.
Per farla corta, i tedeschi devono sbattere la faccia contro qualcuno che invece di cedere ai loro ricatti e ai loro brutali rilanci pokeristici, gli dice di no e tien fermo alla sua parola, costi quel che costi.
Dopo infinite Monaco, bisogna trovare il modo di dire basta, e per come si sono messe le cose, dire basta vuole dire uscire dall’euro, e punto. Non sarà un giochino, e voleranno qualcosa di più che parole grosse.
Non è che il resto non mi interessi. Tra l’altro, a me il consumismo, per carattere, piace poco assai. Se posso faccio a meno dell’automobile (sempre la stessa da dieci anni), mi piacciono i camini e le stufe a legna, neanche guardo la televisione, il mio telefonino costa 29 €…mi piacciono i sigari cubani e l’Armagnac, ma a parte questi piccoli lussi, per me il consumismo può sparire domani e neanche me ne accorgo.
Però, il gioco delle potenze è fatto così: si gioca con la potenza e con il potere, non con il dialogo razionale e la persuasione reciproca. E’ verissimo che la politica USA, oggi, brilla per la sua irrazionalità strategica (non si capisce dove vogliono andare a parare); e che anche la Germania, per tornare a noi, agisce irrazionalmente perché non si capisce quale sia il suo obiettivo di lungo periodo. L’impressione mia è che non lo sappiano né gli americani né i tedeschi. Non è un’impressione rassicurante. Con questo, io non saprei che farci. Prendo atto, ci ragiono su, cerco di capire in che modo si può mettere a profitto l’irrazionalità dei nemici, e con questo però ho già finito.
Caro Buffagni,
per rimettere le cose al loro posto, qui facciamo belle teorie e niente di più, non è una scelta ma una conseguenza inevitabile delle circostanze: cos’altro e di più si potrebbe fare su un blog letterario, non è che stiamo nel bosco a nasconderci dai tedeschi ed io mi distraggo dai compiti di sorveglianza.
In ogni caso, come la vedo io, non siamo in grado di opporci all’onda liberista non perchè sia realmente difficile convincere la gente, ma perchè manca una classe dirigente all’altezza, siamo pochi e ben confusi, e soprattutto divisi, come del resto la stessa esperienza di “Rivoluzione Civile” dimostra.
Non solo ALBA e molti altri hanno abbandonato il progetto in corso d’opera contribuendo in modo determinante al suo fallimento, ma ancora oggi devo leggere Viale e tanti altri che spiegano i motivi del fallimento, come erano loro ad avere ragione, ma ciò che risulta del tutto insopportabile, con una nota di compiacimento e di distacco da osservatore per niente coinvolto. Non solo quindi non ha consapevolezza di quanto egli e la sua organizzazione siano parte del problema, in quanto il loro ritrarsi ha indubbiamente contribuito a fallire il raggiungimento del quorum, ma soprattutto non vive la situazione come qualcosa che rende difficile l’azione a tutta l’area, quasi che invece ora abbiamo tolto di mezzo quelli che ci disturbavano.
Grillo ha avuto tanto successo non per proprio merito ma per demerito di tutti gli altri, sia di coloro che fanno parte dell’establishment politico, sia di quell’area alternativa che comunque si considera estrema sinistra che ha fatto di tutto per rimanere divisa e per vivere la lotta politica sempre come lotta verso il tuo vicino di stanza.
Tuttavia, sono convinto che anche queste divisioni siano a loro volta frutto di una grave incomprensione teorica, e quindi capire rimane per me il primo e più importante passo per qualsiasi iniziativa politica, soprattuto se si pretende che essa sia rivoluzionaria, ed alla mia età e con imiei limiti e le mie competenze, ritengo che tentare di chiarire quello che forse ho capito, sia un ruolo adeguato alla mia persona.
FRUTTO DI UNA INCOMPRENSIONE TEORICA
Caro Cucinotta,
i boschi no (manovre sulla Sila e le Dolomiti ne ho fatte e mi divertivo anche, ma per l’addiaccio non ho più l’età, e credo neanche lei); qualcosina in più che chiacchierare però faccio, e immagino anche lei.
Sul resto, come darle torto? Ha più che ragione. L’atteggiamento da “osservatore non coinvolto” lo trovo giustificabile solo in un eventuale marziano, e fa friggere anche me.
Io poi di rivoluzioni non mi intendo né ne voglio fare, ma a parte questo, sì: il problema è di direzione, e per formarne una bisogna, anzitutto, chiarirsi e capire.
Francamente non credo che ci sarà il tempo di trovare soluzioni teoriche ( e men che meno l’eventuale accordo sulle medesime).
Le soluzioni, se ci saranno, saranno politiche, cioè anzitutto pratiche, e dettate dalla necessità. Sennò, il problema si risolverà da sé. Purtroppo, anche non fare o sbagliare sono azioni politiche.
@Buffagni
Io, a buon conto, qualche ideuzza ce l’ho, c’ho anche fatto un libro che chi ha letto, ha apprezzato, ma il punto è che l’hanno letto in pochissimi e non c’è modo di superare una specie di cordone sanitario (inconsapevole, per carità, nessun complotto!) dell’industria editoriale e dell’informazione in generale.
Partiamo dal superamento delle categorie dicotomiche sinistra/destra, dal conflitto posto tutto sulla distribuzione delle risorse, per centrare la dicotomia alternativa crescita/sostenibilità. Naturalmente, non è che voglia eliminare la prima, ma avere piuttosto una politica policentrica, più criteri dicotomici che forniscano una mappa politica almeno a due dimensioni, sarebbe questa sì una prima, vera rivoluzione.
La pratica non è mai deducibile dalla teoria, ma sono le ribellioni che non hanno legami con le teorie, i veri rivolgimenti politici sorgono da gruppi a volte anche ristretti che riescono ad esprimere un’egemonia, ma Lenin oggi non è di moda.
La vera rivoluzione, almeno in senso etimologico, è già avvenuta, ed è stata compiuta dal potere costituito che ha stravolto l’organizzazione sociale, apparentemente nel silenzio e in mancanza generalizzata di consapevolezza, prima di tutto da parte di partiti che si stenta ormai a chiamare così. Qui perciò, si tratta soltanto di svegliarsi. il sole è sorto già da un pezzo, e non serve a nulla fingere ancora di dormire. Non è che bisogna avere il coraggio di cambiare. è che è già cambiato tutto attorno a noi, ma come, l’hanno deciso altri, i soliti potenti senza neanche comunicarcelo.
Ci vogliono idee ed organizzazione, mi pare che latitino entrambi questi elementi.
@ Buffagni e Cucinotta
Leggendo i vostri ultimi commenti, mi sono rifatto la domanda: quale può essere oggi in una situazione così disastrata e confusa il compito degli intellettuali. (Non mi riferisco a quelli che hanno accesso ai mass media, ma a quelli come noi che siamo “oscurati” e ci muoviamo *criticamente* tra blog e rivistine…). No, non siamo affatto “super partes” (Buffagni). Semmai sotto, ai margini… E « per opporsi al nemico, o ai nemici, che ci stanno attaccando» a me pare non basti riconoscerli, cosa di per sé già faticosa e degna di stima.
Bisogna accertarsi che ci sia un ‘noi’ che può opporsi, vedere se è in grado già di opporsi. E, se non ci fosse (per me non c’è…), tentare di costruirne uno su salde basi. Non so in quanto tempo e come.
Dati i tempi più che bui e tenendo in conto gli avvertimenti che si possono trovare nella storia, io eviterei sia la disperazione, sia l’atteggiamento profetico-dantesco che invochi il grande Veltro purificatore o sterminatore (sia che venga dall’alto; il Capo; sia dal basso: il “popolo” o la “moltitudine”). Né affiderei le mie residue speranze a una catastrofe che dia ai nemici quella lezione che si meritano, ma che “noi” (cautamente virgoletto sempre) non siamo in grado di dargli. Buffagni sostiene che « la soluzione più ragionevole è combattere con tutti i mezzi a disposizione». Ma quali sono veramente i mezzi in nostro possesso? La soluzione sta nel dire « dire basta»? Sta nell’« uscire dall’euro»? Ma l’obbiettivo *logicamente* o *in teoria* giusto da chi è immediatamente o in tempi più lunghi praticabile?
Quello che egli dice a proposito della Germania («Glielo possiamo anche dire, e in effetti gli è stato detto più volte da personalità più autorevoli di me e di lei. Ha notato che abbiano cambiato metodi e strada? A me sembra che rincarino la dose.») secondo me può essere detto anche a proposito di tutti quelli che in questo momento hanno il coltello dalla parte del manico o comunque un potere spendibile (Napolitano, Bersani, Grillo, Berlusconi, ecc.). E vale ancora più nei confronti degli USA, se proprio vogliamo delineare al completo il quadro delle nostre “servitù”…
Certo, il «gioco delle potenze è fatto così: si gioca con la potenza e con il potere, non con il dialogo razionale e la persuasione reciproca» (Buffagni). Ma io mi chiedo: “noi” siamo in grado di entrare in questo gioco? Non è che ci montiamo troppo la testa a credere di poterci entrare? E non è che, troppo affascinati da questo gioco dei potenti, e intenti a « capire in che modo si può mettere a profitto l’irrazionalità dei nemici», rinunciamo a cercare “altrove”. Anzi, squalifichiamo ogni “altrove” come irrilevante, utopistico, chimerico; e soprattutto non ci assumiamo il compito di definire quale sia oggi o domani (certo non un domani indefinito) un “noi possibile”?
(Avevo, non a caso, citato in un commento il brano “ottocentesco” di Cesare Abba per indicare un orizzonte di ricerca del tutto svanito…).
La stessa amara consapevolezza di quella che ho chiamato in un precedente commento «impotenza intelligente» vedo presente nelle parole di Cucinotta: «per rimettere le cose al loro posto, qui facciamo belle teorie e niente di più, non è una scelta ma una conseguenza inevitabile delle circostanze: cos’altro e di più si potrebbe fare su un blog letterario, non è che stiamo nel bosco a nasconderci dai tedeschi ed io mi distraggo dai compiti di sorveglianza».
Anche lui, come la volpe esopiana, deve ammettere che l’ uva non è matura («manca una classe dirigente all’altezza, siamo pochi e ben confusi, e soprattutto divisi»). Ma prendersela con Viale o con ALBA o ricordare un dato di fatto incontestabile (« Grillo ha avuto tanto successo non per proprio merito ma per demerito di tutti gli altri, sia di coloro che fanno parte dell’establishment politico, sia di quell’area alternativa che comunque si considera estrema sinistra che ha fatto di tutto per rimanere divisa e per vivere la lotta politica sempre come lotta verso il tuo vicino di stanza») poco cambia e aggiunge solo sale sulle ferite…
Se (e qui concordo in pieno, tanto che ho titolato «Capire, capire, capire» alcune riflessioni trovate sul Web che mi parevano degne di lettura) «capire rimane […] il primo e più importante passo per qualsiasi iniziativa politica », vediamo di far questo. Fino in fondo, in pochi, divisi, persino (ma non solo) su un blog letterario.
Edoarda Masi, prima di morire, mi suggerì proprio questo atteggiamento coraggioso e fuori moda. Riporto da un appunto del mio diario del 4 febbraio 2010:
«Mi dice che negli anni Sessanta è stato fatto l’errore di non tener separata la politica dal lavoro teorico. Le due funzioni, quella dell’intellettuale e quella del politico, vanno tenute distinte. Il teorico deve fare il teorico e il politico fare la politica. Compito dell’intellettuale è cercare e dire la verità. Il politico invece deve mediare. La politica è l’arte machiavellica del compromesso. Tra le due funzioni non c’è possibile saldatura. Mi riporta l’episodio di Machiavelli, che incaricato dalla repubblica fiorentina di mettere in ordine delle truppe, fallisce miseramente. Mi dice di quando, giovane, era nel PCI, della distinzione che allora si faceva tra ‘cosa giusta’ e ‘cosa opportuna’; che i militanti del partito rispettavano. E dei danni che ne derivarono: quelli che sapevano degli orrori staliniani li tacquero agli operai; questi, quando li vennero a sapere in ritardo e all’improvviso, furono presi dallo sgomento».
Da una parte trovo condivisibile quello che scrive, ma mi permetto di farle notare che l’effetto Grillo ormai c’è. Grillo ha portato energia nuova in Parlamento. La stessa energia che Renzi ha provato a portare senza successo. Vero, i grillini non sono perfetti. Ma hanno dimostrato che cambiare si può.
Sono incazzati ed ignoranti? La rivoluzione francese è stata fatta dal popolo.
Hanno messo la strizza ai partiti.
Ma non sono d’accordo sul suo articolo: di fondo appoggia la vecchia politica. Se ci saranno nuovamente elezioni. sta dicendo che non vale la pena votarli… e quindi chi rafforziamo Bersa o Berlu?
M5S devono stare in Parlamento e devono solo mettere un occchio sui professionisti della politica.
Io li ho votati e questo mi aspettavo!
Non voglio che i grillini facciano leggi: voglio che stiano col fiato sul collo a chi le leggi le sa fare!