di Daniela Brogi
Nei prossimi giorni, ci auguriamo, molti di noi saranno in viaggio, e passeranno per le stazioni italiane.
Vorremmo invitarvi a notare un dettaglio sotto gli occhi di tutti: la scomparsa delle sale d’aspetto. A Milano, a Roma, a Firenze, per citare soltanto alcuni dei punti di snodo più importanti, sono sparite le sale dove potersi fermare, e al loro posto si trovano sedili sparsi più o meno confusamente per la stazione. Come negli aereoporti, si spiega di solito. Ma dietro a queste parole ci sono cose più reali: le sale d’aspetto non sono sparite, nel senso letterale del termine, ma sono state privatizzate, trasformate in salette vip delle singole compagnie (Trenitalia, Italotreno eccetera), come si vede in questa foto scattata alla Stazione di Firenze:
Che le compagnie mettano a disposizione dei viaggiatori “forti” condizioni agevolate e ambienti speciali, è un’iniziativa legittima. Ma questo sistema di attenzioni, che traduce un’idea di valore unicamente costruita sul potere di spesa degli individui e tra l’altro fa fuori i viaggiatori “forti” veri, cioè i pendolari, è imposto, di fatto, azzerando lo spazio che apparteneva anche agli altri. E così le stazioni diventano, anzi sono, e sempre più esclusivamente, luoghi dove passano i clienti, ovvero non sono più bene comune dei cittadini. Come del resto si capisce subito appena si scende alla stazione di Milano, quando, alzando lo sguardo in cerca del tabellone degli orari, si scopre che su quella piattaforma ormai passano soltanto immagini pubblicitarie.
[Immagine: Stazione di Milano. Foto di Daniela Brogi].
A Bologna una stazione d’aspetto è rimasta, ed è oscena. Preferisco mille volte infilarmi nella Feltrinelli della nuova stazione di Milano. La stazione di Milano è diventata molto bella dopo il rinnovamento. E ci sono seggiolini nell’atrio centrale. Dov’è il problema? Non capisco la ragione di questo inutile piagnisteo.
Un altro fenomeno analogo a questo, sotto gli occhi di tutti e, quindi, per certi aspetti, inavvertito, è la scomparsa delle panchine, su cui Beppe Sebaste aveva scritto, qualche anno fa, un delizioso libriccino per laterza. Si vogliono dismettere, cioè, i luoghi comunitari, quelli della sosta e dell’attesa perché essi sono fattualmente predisposti alla meditazione e alla riflessione, allo scambio dell’esperienza ed al dialogo, alla comunicazione e alla visione vera del volto dell’altro.
A Roma Termini, Milano Centrale e Milano Rogoredo, le stazioni in cui passo più spesso, ci sono da anni, su ogni binario in ogni spazio di transito, anche schermi che trasmettono a ciclo contonuo, ininterrottamente, una serie di spot pubblicitari della durata di pochi secondi. Impossibole non vederli, e l’effetto è allucinante. Bisognerebbe pensare seriamente a distruggerli.
Chiedo scusa per i molti refusi nel mio commento precedente, scritto di corsa. Mi interesserebbe sapere da Vogue Uomo perché definisce oscena la sala d’aspetto di Bologna, che almeno non fa distinzioni tra i viaggiatori, è chiusa, climatizzata d’estate e riscaldata d’inverno – a differenza dei seggiolini – pochi – piazzati nell’atro atrio di Milano, di fianco alle scale mobili. A Roma, poi, non ci sono neanche i seggiolini. Non mi pare proprio un piagnisteo, quello di Daniela Brogi.
Puzza, c’è una confusione da mal di testa. Il numero dei seggiolini a Milano credo sia pari al numero dei posti nella sala d’aspetto di Bologna. Ma ci sono negozi. La Feltrinelli per esempio, dove decine di persone aspettano il treno leggendo o sfogliando libri. Non capisco perché bisogna lamentarsi. La stessa cosa a Roma: c’è una delle librerie più fornite d’Italia. A Roma e a Milano ci sono bar molto buoni. Francamente in confronto alle decine di stazioni viste in Germania, Spagna e Francia quelle di Roma e Milano restano le più piacevoli che ho frequentato. I televisori a ciclo continuo invece sono molto fastidiosi, questo è vero.
Daniela Brogi ha ragione. La metamorfosi delle sale d’attesa in lounge clubs di lusso in cui si entra soltanto con la carta dei frecciarossa o con un biglietto di prima classe-salottino (lo scompartimentino a quattro dove ti offrono champagne, per intenderci) è sintomatica di un’evoluzione del nostro paese; si ritorna alle tre classi: la seconda, la prima e la primissima, quella dei vip. Nelle ex sale d’attesa (a Firenze l’insegna con i caratteri fascisti è rimasta, ma le porte a vetri opachi lasciano indovinare un’illuminazione da bar milanese e una musica ambient) diventate “club”, ci vanno adesso quelli che nelle città girano con i suv dai vetri oscurati e che nelle discoteche sono introdotti subito nel privé da gestori che si prodigano in smancerie. E la morale di questa storia non è semplicemente la constatazione sociologica che esiste un bisogno sociale di distinzione e che una certa classe conquista pian piano il monopolio del prestigio. No: qui il problema è politico e riguarda come gestire – o lasciare che venga gestito – uno spazio pubblico. I clubbini delle stazioni indicano che l’equazione cool e moderno = esclusivo (un’equazione che, fateci caso, è imperante in ogni forma di pubblicità) vale ora anche per i servizi più elementari, come i trasporti.
Del resto, se volete convincervi che la questione è politica (e nient’affatto inutile, caro Vogue Uomo), potete ammirare l’interno del club frecciarossa di firenze, inaugurato l’anno scorso da nientepopodimeno che il sindaco, Matteo Renzi:
http://firenze.repubblica.it/cronaca/2012/02/20/foto/inaugurato_il_freccia_club-30203376/1/
La lamentela resta inutile e ipocrita ci si limita ad accusare astrattamente una presunta tendenza verso l’esclusione e la frammentazione gerarchica della clientela senza considerare anche altri fenomeni. Perché non si parla anche dell’incanaglimento della popolazione media in Italia? La creazione di aree esclusive dipende anche da questo.
E ribadisco: le stazioni d’aspetto non esistono quasi in nessuna stazione d’Europa, non vedo dove sia lo scandalo. Io non ne sento la mancanza in stazioni come quelle di Milano o Roma. E non trovo scandalosa la creazione di club riservati a chi viaggia di più e paga di più. Mi sembra che i problemi del trasporto ferroviario in Italia siano altri.
@Vogue Uomo
Verissimo che c’è un incanaglimento della popolazione italiana. Le vere canaglie, però, stanno in gran parte all’interno delle aree esclusive. Ma gli ultimi decenni non ci hanno insegnato a mettere un minimo in questione l’idea che la ricchezza sia un buon criterio per distinguere le persone per bene dalle canaglie???
Le sale d’attesa sono piuttosto utili quando uno viaggia con bagagli e deve aspettare una coincidenza per un’ora.
Nelle stazioni europee in cui non ci sono sale d’attesa, non ci sono neanche lounge rooms riservate (ci sono invece in tutti i grandi aeroporti degli spazi riservati ai clienti di ciascuna compagnia aerea).
Detto ciò, mi pare che Daniela Brogi volesse parlare non dei problemi del trasporto ferroviario, ma delle sorti delle stazioni, un bene comune che, come tanti altri, è sotto attacco. E indicare di un sintomo di alto valore simbolico di una malattia di lungo corso della società italiana. Non credo sia sbagliato continuare a chiamarla berlusconismo.
Di nuovo: non vedo da nessuna parte nelle righe di Brogi l’intenzione di dire che le stazioni taliane siano peggiori di quelle degli altri paesi europei. Il pezzo constata che a) chi scende dal treno e alza lo sguardo per cercare il binario della coincidenza vede enormi tabelloni di pubblicità, mentre gli orari sono su tabelloni molto più piccoli e defilati b) ha accesso alle sale d’aspetto solo una fascia di viaggiatori; e non si tratta, come è stato già ben detto, di chi viaggia di più (i pendolari su tragitti brevi, costretti a intrupparsi su convogli spesso indecorosi), ma solo di chi paga di più. Lei, Vogue Uomo, non ci vede niente di male: io invece sì, e che vogliamo farci?
E sarà pur vera l’idea dell’incanaglimento, ma non sono sicuro che il possessore di un biglietto frecciarossa sia mediamente meno canaglia di chi prende un regionale. Se c’è incanaglimento, questo è diffuso e spalmato, e non credo possa valere come criterio di esclusione. Sono gli euri spesi, e non altro, a fare la differenza.
la libreria di Termini è molto grande e fornita, è vero. Tutte le volte che passo di lì faccio il mio dovere di consumatore, e compro. Sempre all’impiedi, però.
e vogliamo parlare di come e cosa si mangia, alle stazioni?
forse questo intervento può arricchire la discussione sul problema:
http://www.postpopuli.it/13613-i-tre-vampiri-di-santa-maria-novella/
@DNA
“Mi pare che Daniela Brogi volesse parlare non dei problemi del trasporto ferroviario, ma delle sorti delle stazioni, un bene comune che, come tanti altri, è sotto attacco. E indicare di un sintomo di alto valore simbolico di una malattia di lungo corso della società italiana. Non credo sia sbagliato continuare a chiamarla berlusconismo.”
In realtà i marziani sono tra di noi: sono loro che stanno attaccando le stazioni italiane.
Le stazioni europee sono piene di lounge rooms, anche molto più belle, care e lussuose di quelle italiane.
@Francucci
“Lei, Vogue Uomo, non ci vede niente di male: io invece sì, e che vogliamo farci?”
Io non voglio fare nulla. Solo ribadire che non c’è nulla di tragico nella scomparsa delle sale di aspetto e che parlare di “attacco” mi sembra un po’ paranoico. La comparsa dei negozi a Milano e Roma ha reso lo spazio della stazione molto più umano e piacevole. E un negozio non ha nulla di demoniaco. Sono sale in cui si può aspettare osservando oggetti. E comprarli se si vuole.
Sono perfettamente d’accordo con Brogi e lei sugli schermi a ciclo continuo perché son fastidiosi per tutti.
@katinkawonka
A Milano si mangia benissimo
A Milano i pendolari ammassati nelle ore di punta sui lentissimi tapis roulant hanno tutto il tempo di ammirare i nuovissimi negozi perennementi vuoti.
Vogue Uomo, qui stiamo parlando di cose serie.
I suoi interventi, in sottotraccia, dicono una cosa molto giusta che vale la pena di esplicitare: per una questione così importante bisognava scrivere un post più lungo e impegnativo. Ha ragione: me ne dispiaccio, e me ne scuso; per ragioni di tempo e di energie più di così non potevo, ma ci tenevo in ogni caso a costruire attenzione proprio in queste giornate che portano tutti a passare maggiormente dalle stazioni.
Per quanto riguarda invece la postura – un po’ posticcia mi pare – da eleganza cosmopolita da cui guarda annoiato la volgavità di questi argomenti, sfogliando un libro alla Feltrinelli, raccapricciandosi per il mal di testa o per l’odor di prossimo, che posso dire: l’immagine mi sta pure simpatica, e mi fa sorridere (anche se preferirei qualcosa di meno datato); ma non c’entra niente con quello di cui volevo parlare e che è stato spiegato, molto meglio di quanto non abbia fatto io, da “DNA” e Francucci.
Che altro dire: per me il prossimo che incontriamo nelle stazioni italiane- pendolari, persone anziane, disabili e si potrebbe continaure -è importante, molto più dei viaggi attorno al suo ombelico. E che lei definisca questo interesse materia di piagnisteo, che lei perda il suo prezioso tempo a parlarne, visto che ci tiene tanto al prestigio, mi pare un gesto molto rozzo.
@Brogi
Non capisco perché ha bisogno di ammantare di ispirazioni filantropiche e caritatevoli una semplice, banale e antica lamentela sulla scelta della gestione degli spazi di alcune stazioni italiane.
Non mi gli “anziani, disabili e si potrebbe continuare” siano così crucciati dalla scomparsa delle sale d’aspetto di fronte alla totale inagibilità dei treni europei (fatto salvo per gli ICE tedeschi) per chi viaggia su una sedia a rotelle, per esempio. O, al fatto che in occasioni come queste chi gestisce il traffico vagoni è sempre impreparato davanti al prevedibile aumento di clienti, con conseguenti ritardi di ore.
E non capisco perché sia necessario insultarsi. Lei ha espresso un’opinione aprendosi al dibattito, io ho semplicemente affermato che a me i negozi piacciono, che mi diverto di più in stazioni dove ci sono negozi e non sale d’aspetto (come accade in centinaia di stazioni di provincia) e che parlare di attacco o di tragedia mi sembra esagerato e paranoico.
Ho frequentato le stazioni solo in due fasi della mia vita: durante le estati dell’infanzia (prendevo il Treno del Sole, quello che portava su e giù verso il Meridione gli operai della Fiat, andavo dai parenti paterni) e di nuovo da qualche anno, con un lungo intervallo in mezzo.
La differenza mi è saltata subito agli occhi.
La parte di me moderna, che ama i treni che arrivano in orario e che son comodi e puliti, che scopre con piacere che finalmente se il ritardo supera una certa soglia non è perché “in Italia funziona così, che ce vo fare dottò?”, ma perché c’è un disservizio e che come cliente posso chiedere un rimborso, apprezza le nuova stazioni e le Frecce (comprando il biglietto per tempo, si trovano prezzi scontati che anche un proletario come me si può permettere. D’altra parte per certe tratte o prendi quello o prendi quello: una scelta democratica. Se no c’è il pullman).
La parte di me che detesta il nostro capitalismo arrogante però pensa che:
1) gioire per le nuove stazioni in cui non ti fanno sedere PROPRIO PERCHE’ vogliono farti andare per negozi, sia pure alla Feltrinelli, perché il sistema è una trottola impazzita e se fermiamo il consumo il sistema crolla, fa venire in mente i personaggi di un vecchio corto di Gregoretti (in Rogopag) “Polli da allevamento”;
2) è tanto bello arrivare comodi in due ore e mezza da Torino a Firenze, ma le tratte medie e piccole sono sempre più marginali, cioè a dire: se vuoi stare nella modernità, vedi di avere dinamici lavori in grandi città, il resto è scarto della storia;
3) le stazioni della mia infanzia, così poco luccicanti e un po’ cadenti e lerce, decuplicavano il piacere del viaggio, che, sì, provo ancora ora, ma poco, soffocato com’è da tanto iperfunzionalismo e consumismo. Ma questa nostalgia oggi ha qualcosa di impudico e ridicolo, lo so, per cui fate come se non l’avessi detto.
@ Vogue Uomo
La scomparsa delle sale d’attesa non è direttamente legata alla comparsa dei negozi, non confondiamo le cose. Qui nessuno sta opponendo il buon vecchio sudiciume al restyling delle stazioni che lei difende così accoratamente.
Ben vengano le librerie in cui curiosare una mezz’ora e le profumerie in cui comprare un profumo per la fidanzata, ma a volte capita di viaggiare con bagagli, bambini, vecchi genitori, o di voler semplicemente sedersi tranquillamente senza essere obbligati a pagare un caffè. Se poi lei vuol criticare la puzza delle vecchie sale d’attesa, faccia pure, ma da questa critica non mi sembra consegua la necessità di abolirle (perché non rimodernare anche quelle?) né l’avallo alle lounge rooms semideserte e provincialissime nella loro pretesa di eleganza standard. Che servizio offrono? Che immagine promuovono? Questi sono i problemi.
Vorrei essere preciso, forse addirittura puntiglioso, su un dettaglio (purtroppo il mondo ha fatto di me un filologo). Un negozio è una sala dove guardare, e, se si vuole, comprare oggetti; ma contemplazione e acquisto riescono male se si hanno bagagli pesanti da portarsi appresso. Giri lei, Vogue Uomo, con un valigione tra le scansie di Feltrinelli o di Borri. Io l’ho fatto spesso, e solo la mia straordinaria prestanza fisica mi ha evitato cattive parole da parte degli altri clienti. Rimane inoltre la palese ingiustizia che chi non ha voglia di contemplare o comprare ed è sprovvisto di biglietto frecciarossa, a Milano non trova un posto dove sedersi tranquillamente mezz’ora (mettiamo). Lasciamo pure da parte, per ora, termini come “tragico”; una sala d’attesa a ingresso libero in una grande stazione ferroviaria è una semplice misura di civiltà. Se in Europa questi spazi mancano, forse è segno che – la conclusione è facile.
..che la sinistra europea è talmente priva di idee, visioni, sogni, progetti che pensa di combattere per l’umana dignità quando si lamenta di dover aspettare addirittura mezz’ora in piedi in stazione (magari tra due viaggi di ore a sedere).
Ha ragione @Lo Vetere: noi polli di allevamento abbiamo un senso del pudore troppo sviluppato. E amiamo così tanto le cose frivole che non capiamo i veri problemi della gente.
Vede che non ci capiamo, Vogue Uomo? Come conclusione della mia frase, la sua è evidentemente un non sequitur; se risposta a me, è fuori bersaglio, perché le ho già spiegato che io non mi lamento e vado buono buono nei negozi. Sia bravo, ragioni un po’.
Condivido pienamente quanto detto da Brogi e da alcuni dei commentatori. In più, un paio di irresistibili considerazioni per Vogue Uomo.
Questo post è un’interessante nota di segnalazione/riflessione. Si può metterlo in discussione, certo. Ma non capisco come si possa definirlo “inutile piagnisteo” e “lamentela ipocrita” (dove starebbe l’ipocrisia? Beninteso, a meno che Brogi non sia in realtà una miliardaria profittatrice, che osserva le stazioni quando si concede eccezionalmente un viaggio in executive, perché il suo jet privato è guasto – tendo a escluderlo, ma non si può mai dire). E nemmeno capisco, abbia pazienza, come lei possa ammonire Brogi sul fatto che non è “necessario insultarsi”, dopo avere usato questi termini.
Il suo collegamento tra “la creazione di aree esclusive” e l'”incanaglimento della popolazione media” mi ha ricordato tante cose. Per esempio, Don Rodrigo che si vede in sogno arrancare tra la folla gridando “Largo canaglia!”, purtroppo senza una saletta vip in cui rifugiarsi. Oppure il vecchio Kroger dei Buddenbrook, il “cavaliere à la mode” che davanti a una sollevazione popolare continua a ripetere furente “Canaglie!”, fino ad avere un colpo apoplettico, forse perché non trova una saletta vip nemmeno lui. Quante cose sono cambiate, quante restano uguali.
Io mi diverto di più sui regionali che sulle Frecce rosse, dico la pura verità, ma sono consapevole che è anche colpa dei treni regionali e degli intercity pieni di cinesi e di gente colorata che molti ragazzi e ragazze con sensibilità artistica iniziano a insudiciare gli scranni degli editori con manoscritti inutili e ineleggibili, togliendo di fatto spazio e tempo sulle scrivanie per i veri libri di rango superiore. Purtroppo il tema del viaggio è molto saturo nel mondo letterario e il treno su questo ha toppato, è un ambiente che dopo i vecchi boom dei secoli passati dovrebbe ridimensionarsi. Ben vengano quindi sale giochi vipps, parrucchierie, catene di accessori extra-lusso, Frecce sempre più esclusive ed esose al posto delle sale d’aspetto e dei passanti ferroviari e dei trenini regionali che sono quasi gratuiti, massificati e misti. Se vogliamo salvare la letteratura bisogna fare dei piccoli sacrifici (un po’ come salvare le casse dello stato dopo B.), uccidere gli scrittori in erba non si può, ma accelerare le leve del neoliberismo si può ed è utile farlo in fretta, prima che si imponga il self-publishing e allora sì, cazzo, che non sapremo più davvero che cosa leggere una volta accomodati in una delle poche sale d’aspetto che rimarranno vive nella penisola….
Un paio d’anni fa alla stazione di Bologna. C’era stata una scossa di terremoto e rimanemmo tutti a piedi, in piedi. Tutti i treni avevano ritardi di almeno tre ore (controlli sulla linea e cos’altro). La scena era strana: i passeggeri si erano distribuiti lungo le pareti orizzontali libere. Per ragioni di istintiva ricerca di protezione, suppongo, c’eravamo almeno almeno coperti le spalle. Con i nostri bagagliucci davanti. Era anche molto freddo, ricordo. La sala d’aspetto, quella con la parete squarciata dalla bomba, era, manco a dirlo, stracolma. (Sempre leggere i nomi scritti in ordine, e vicino gli anni: me la rendono un luogo del pensiero magico, civico.) Per il resto, appunto, pareti, un baretto, la piadineria, le due edicole all’aperto, un paio di negozietti di cianfrusaglie, le scale, i lunghi sottopassaggi zeppi di questi schermi a cristalli liquidi che continuamente trasmettevano (trasmettono) a rotazione gli stessi 3, 4 spot. Con quelle buffe didascalie scorrevoli che sembrano tanto Machine Translation. Passano sotto le immagini a dare le notizie minuto per minuto: 13.14: Sorpresa Ilary, 13.15: Incidente Torino no colpevoli, 13:17: Per battere il cancro. Non è comodo aspettare tre ore in piedi, al freddo, e senza neanche attaccare bottone: la presenza del televisore sembra quasi superiore alla volontà di ciascuno e si tende a guardare là, in quello specchietto di luci, anche quando sai che sono ancora le stesse immagini. Sembra che abbiano tolto le panchine per evitare che vi dormano i barboni. La cosa peggiore è che è molto difficile per me leggere un libro in piedi. Sembra che leggere richieda una posizione di minore tensione muscolare. Una posizione minore. Sembra.
Questo per la biografia. Mi sovviene anche una teoria (ma andrò a braccio ché mi si confondono le fonti), che viene dall’osservazione di alcune megalopoli americane, con i distretti amministrativi costruiti ad hoc, e gli ingressi dei singoli edifici fatti appositamente senza gradini e senza angoli. Tutto dev’essere liscio, tutto deve fluire, nessuna sporgenza, nessuna nicchia dove per caso sedersi, sostare. Pedestrians: No Standing – si legge spesso. O consumare o lavorare, dunque.
In Italia questa soluzione non è ancora arrivata, credo. Suggerirei, per definire una linea di resistenza, un’altra posizione disponibile: seduti a terra, su una pagina di giornale.
Ieri sera ho “vissuto” per la prima volta la stazione Termini. Il fatto di non avere trovato una sala d’attesa, nè spazi con posti a sedere mi ha creato disagio per me che avrei dovuto attendere 3 ore con bagagli ingombranti. Personalmente reputo un grosso sbaglio il fatto di trasformare le grandi stazioni in centri commerciali. Lo hanno fatto per avere maggiore frequenza di viaggiatori? Sbagliato, sono le relazioni ferroviarie che portano viaggiatori, non i negozi. Lo hanno fatto per la sicurezza dei viaggiatori? Sbagliato, la gentaglia circola comunque, sono le forze dell’ordine che come sempre devono garantire la sicurezza, non i negozi. Lo hanno fatto perchè in un modo o nell’altro vogliono succhiare soldi ai viaggiatori? Esatto. Ma non è questo che biasimo. A me, viaggiatore, devi dare anche l’opportunità di non usufruire del “commerciale”, di non dover essere costretto a cacciare i soldi se non voglio passare 3 ore di attesa nel disagio. C’è la libreria? Se devo comprare un libro ben venga, altrimenti perchè devo passare 3 ore in libreria? Chi me lo ordina? Non stiamo chiedendo la luna, solo uno spazio in cui posso sedermi tranquillamente. E’ proibito da qualche legge? I troll sono presenti ovunque, anche qui, però il troll dovrebbe capire che questa non è una lamentela fine a sè stessa, è un diritto del viaggiatore. Se poi in questo paese non valgono più i diritti vi chiedo umilmente scusa.
@Ninoni
Si sbaglia, non sono un troll, sono solo un trolley. Per questo posso stare dovunque mi mettono: librerie, ristoranti, bar, negozi di abbigliamento… Avendo le ruote non ho bisogno di sedie e non mi stanco mai di stare in piedi! Mi annoiano solo le valigerie, perché non sopporto confondermi gli altri.
Mi spiace per le sue tre ore!
Se cerchi bene trovi ancora le sale d’aspetto “vecchio stile”. Magari sono più defilate ma ci sono. Non mi azzarderei a frequentarle di sera visto che la crisi morde e la gente si arrangia come può.
Alba
A ” Vogue Uomo”: nomen omen. Sei uno snob,classista,…..e qui mi fermo. O Ti piace provocare,tanto per vedere che effetto fà? Che tristezza,davvero non hai nient’altro da fare,oltre a difendere i “restyling” delle stazioni FFSS? Mi sembra improbabile,che tu sia davvero solo un semplice utente indifferente ,anzi.felice,di fronte alla chiusura delle sale d’attesa. Chiunque tu sia,é chiaro,che il concetto della Democrazia ti risulta estraneo. Detto questo,credo.e spero,che in seguito a quello che succede in Europa,in questo periodo(e forse siamo solo all’inizio),per la sicurezza dei viaggiatori ,vengano adottati sistemi di controllo efficaci,delle barriere di controllo; chi non ha un documento di viaggio valido,non deve poter entrare oltre area della biglietteria. Ben vengano i negozi,ma non a scapito dei viaggiatori in regola. L’idea di rendere le stazioni luoghi più sicuri,trasformandoli nei centri commerciali, ed eliminando le sale d’attesa,è già diventata obsoleta,alla luce della situazione odierna. A questo punto,servono interventi dello STATO , che deve garantire la sicurezza dei cittadini-viaggiatori.