cropped-DSC08541.jpgdi Cinzia Arruzza

[Cinzia Arruzza è Assistant Professor of Philosophy alla New School for Social Research a New York. Si occupa di filosofia antica, di marxismo e femminismo. Ha pubblicato Les mésaventures de la théodicée. Plotin, Origène, Grégoire de Nysse (Brepols 2011) e Le relazioni pericolose. Matrimoni e divorzi tra marxismo e femminismo (Alegre 2010). I suoi attuali progetti sono un libro sul rapporto tra filosofia e politica nella Repubblica di Platone e nelle sue interpretazioni contemporanee e una traduzione, introduzione e commento del trattato plotiniano sulla potenzialità, Enneade II 5].

Escatologia

Il ratto sulla rotaia, il tornello, l’urlo assordante dell’allarme, due passi.
PRAISE THE LORD
strillava dai tre megaschermi della grande chiesa del tabernacolo
il pastore biondo, tutto sudato, sputacchiando
tra la pubblicità dell’ultimo DVD per giovani di dichiarata virtù
e la rumorosa estasi mistica del grassone della sedia accanto.
Prima stazione: dodici sacchi di plastica neri
riposano placidi l’uno sull’altro;
numerosi scarafaggi vi fanno banchetto.
Quaranta passi, un cancello, un parchetto,
cinque panchine a semicerchio avvolte nel silenzio.
Quinta stazione: il parchetto è un deserto di cemento.
Venti passi, una rete metallica, un divano abbandonato,
qualche filo d’erba, NO DUMPING.
Settima stazione: un cartello taggato e mezzo divelto
sorveglia indolente l’orto condominiale,
coltivato a palle di carta, sigarette e calzini smarriti.
Ventitre passi, il ronzio di undici condizionatori rugginosi
pencolanti sulle teste dei passanti dalle finestre a ghigliottina.
Decima stazione: la scala antincendio è un giardino pensile
di basilico, prezzemolo e mentuccia.
PRAISE THE LORD
ripetevano tutti in coro, le lacrime agli occhi
e il sorriso beato di chi è amato dal Signore.
PRAISE THE LORD
ripetono il ronzio dei condizionatori,
lo stereo della SUV parcheggiata sotto casa,
il soffio dei termosifoni a pressione,
il ritmico ticchettio degli ultrasuoni.
Ultima stazione: c’è un piccolo cartello
incollato al vetro impolverato al pianterreno:
JESUS REVIENT BIENTOT.
Pensi che sia francese, invece è creolo.

Invasione

Della cosa dai cento occhi luminosi
sento lo sguardo pesante sulle spalle
quando girando l’angolo incrocio l’idrante-boa
che annuncia i duecento metri dalla meta.
La cosa continua a crescere, non conosce sosta,
ingloba cemento, metallo, legno e vetro,
accumula strati, travi, pilastri, reti, piattaforme e pali,
scava nicchie, vani, voragini e occhi.
Da alcune notti la cosa parla.
Nel cielo marrone brilla lo schermo di un cinema fantasmagorico
che vomita famiglie sorridenti, chilometri di capelli biondi,
coppie lesbiche con bambini beneducati,
cani, gatti, criceti e piante d’appartamento.
Un fiume vischioso di how are you doing e passeggini spaziali
invade ogni crepa e allaga ogni basement.
Stanno arrivando, mi annuncia la cosa nel cuore della notte,
e non avranno né pietà né memoria
dell’arabo strafatto di canne al bancone della grocery,
degli ultimi astanti del McDonald’s persi nel caffé da un dollaro
sorseggiato da otto ore,
della lavanderia a homeless aperta dalle cinque a mezzanotte,
dell’emporio di acqua poland, noccioline e ventagli,
e del negozio di imbuti, tappi di plastica e bacinelle.

 

Passioni

La regina è una mantide sovrana:
divora tutti, anche quelli che non scopa.
Il barbuto e la coda di cavallo sono intenti,
la regina uccide mossa dopo mossa,
attorno la massa oscilla per la rabbia,
il nome di Trayvon Martin è tatuato sulla pelle.
FUCK THE POLICE, trema la scacchiera,
i pedoni rotolano come birilli
sotto lo sguardo di sua maestà sovrana.
Sarà la passione – mi dico conciliante –
mentre la folla inghiotte la scacchiera,
ma il giorno dopo il vecchio sotto casa
mi spiega che fanno venti dollari a partita.

 

Esofago

La zia Maria si annida nel mio esofago.
Rigurgiti di tagliolini in brodo, tortellini, tagliatelle,
polenta fritta, prosciutto crudo, passatelli in brodo,
spaghetti alle vongole, braciolette, triglie, cernie,
melanzane sott’olio, olive verdi, peperoni arrostiti,
grigliate di carne alla brace, zuppe inglesi, zuppe di lenticchie
cioccolata fondente, cioccolata alle arance, panna,
gelato alla nocciola, cornetti di cioccolata, biscotti col vino,
vino.
Anni di scorpacciate affamate, di pranzi e cene da cammello,
di ammiccamenti complici prima di riempirmi il piatto,
del compiacimento della cuoca e dell’imbarazzo di mia madre –
“Non aprire il frigorifero senza chiedere il permesso, cafona!” –
rivengono su, si affollano nel mio esofago, e mi tengono sveglia la notte.
E’ colpa della zia Maria, che si è fatta piccola piccola,
con la sua camicia da notte bianca da brava bambina,
magra magra, per acquattarsi nel mio esofago,
e aspettare di essere lasciata tranquilla.

Parigi, 12 giugno 2012

[Immagine: Foto di Cinzia Arruzza].

23 thoughts on “Quattro poesie

  1. Porca miseria che botta. Ho letto solo la prima, ma credo mi basti per tutto il giorno. come diceva seneca: mangia e digerisci bene, prima di rimettere mano alla forchetta.
    cavolo, finalmente una così in italiano.
    grazie al maledetto selezionatore che ha tenuto fuori, finora, le mie poesie da questo meraviglioso spazio.

  2. l’eden della scala antincendio e il vecchio scacchista sono flash di alto livello

  3. Grazie per quello che riesci a fare e per la qualità con la quale fai tutto ciò che riesce a partorore la tua mente.
    Ma grazie sopratutto per avere inviato per ultima “ESOFAGO”: le lacrime, che mi hanno fatto ritardare la risposta, mi avrebbero tolto il piacere di leggere e gustare gli altri capolavori, almeno subito.
    Sei grande, ti voglio bene e ti invio un forte abbraccio.

  4. Mi sembra che ci siano delle idee abbastanza originali in queste poesie, un bel lavoro sul linguaggio e sulle immagini, ma anche sull’uso della lingua. Non sono d’accordo con l’ironia di Luca Cristiano, perché trovo una riuscita originalità nella musicalità dei versi in rapporto con le tematiche, che mi risultano nuove, perlomeno in Italia.

  5. Il lavoro sulle parole è molto interessante. A mio avviso è un racconto poetico contemporaneo costruito su immagini di forte impatto visivo ed emotivo. Anche la costruzione dei versi restituisce una sonorità evocativa gradevolissima. Leggere queste poesie è come camminare fra gli homeless, i pastori gracchianti messa, i vecchi scacchisti, la gente comune. A me ha ricordato molto certe poesie di Wislawa Szymborska. Certo dei nostri tempi. Nemmeno io sono d’accordo con Luca Cristiano la cui ironia rancorosa sembra più dettata dalla sua esclusione da questo “meraviglioso spazio” che non da un’obiettiva lettura.

  6. queste poesie mi piacciono davvero tantissimo. e credo davvero che lo spazio sia meraviglioso. voi la dovete smettere un po’ di pensare che nessuno dica mai letteralmente quello che pensa.

  7. Per conoscenza:

    Gentile Redazione,
    mi scuso per l’equivoco provocato dai miei commenti alle poesie di Cinzia Arruzza. Non arrivavo a credere che dei lettori di poesia non sapessero riconoscere l’entusiasmo sincero, seppure esuberante, di un lettore autentico.

    Spero vogliate inoltrare i miei complimenti all’autrice in forma ufficiale.

    Mi dispiace moltissimo.

    Luca Cristiano.”

    e in aggiuta: siete una manica di cinici malpensanti.

  8. letto la terza.
    mi nutrirà anche questa, per tutto il giorno.

    non avete chiesto, avete affermato e presunto, non vi ha nemmeno sfiorato il sospetto che una poesia potesse rendere estatico chi la legge fino a fargli perdere la lucidità e il controllo. vi siete basati su qualcosa che qualcuno vi ha raccontato oppure sull’idea che la letteratura nasca e muoia dentro le disamine critiche.
    l’unica cosa che siete riusciti a farvi venire in mente è che io fossi uno di voi.
    è orrendo, è abominevole. e questo commento non verrà censurato, ne sono certo. perché qua dentro c’è di sicuro qualcuno che non mi aveva equivocato.

  9. l’ultima mi piace meno, ma visto che sono anche del clan dei “pasoliniani ieratici” (cit. non mi ricordo chi non mi ricordo dove ma non ho intenzione di cercare e comunque uno capace di ottundere la propria sensibilità fino a sfiorire nell’eczema della critica retroflessa autodiegetica pornocratica reminiscente spazi stellari sopra brume cancerose ulcerate scie di uragano dove il cuore di un procione riconosce se stesso osservando la morte che danza sopra scie di californie impalate ai soffitti sparizioni di evidenti prove a carico: questa sarebbe l’ironia che farei, se la facessi) devo dire che mi ricorda un po’ Duetto di Antonio Moresco.

    L’ironia c’era, sì, verso il selezionatore. Ma era bonaria.

  10. Caro Luca Cristiano,

    sono io che mi scuso, non avendo inteso bene quanto sostenevi. Non frequento e utilizzo molto i blog, e dunque probebilmente non ne capisco la “retorica”. Né la mia osservazione era polemica nei tuoi confronti… Pensavo che nei commenti ci fosse uno spazio di dibattito, e, contravvenendo alla mia abitudine di non intervenire, avevo colto l’occasione di un “disaccordo” (ma del tutto malinteso, e me ne compiaccio) con te per discutere un po’ perché mi risultava che le poesie in questione lo meritassero. Non so bene a quale “voi” mi associ. Ad ogni modo sono contento del ritrovato accordo, e ribadisco il mio apprezzamento, che si allarga anche al sito.

    Un caro saluto
    a

  11. @pesardo: prego, dibattere è un piacere, senza un po’ di sangue, che piacere è?
    venendo al voi, ce ne sono alcuni:

    1) al voi della buona società letteraria italiana, in particolare toscana e in particolare pisana.
    2) al voi della buona società letteraria, mondiale.
    3) al voi dei lettori di poesia in lingua italiana.
    4) al voi dei lettori di poesia di questo N.B. LEGGI IN SENSO LETTERALE: meraviglioso spazio di informazione culturare.

    baci.

  12. @Redazione. Inoltro con questa mia formali scuse:

    -quindi?
    -mi sono avvicinato al bibitaro.
    -e?
    -gli ho chiesto se il bibitaro piccolo al suo fianco era suo figlio.
    -era suo figlio?
    -non mi ha risposto.
    -perché?
    -credo glielo chiedano in tanti.
    -ma tu non sei un pedofilo.
    -questo il bibitaro non poteva saperlo.
    -perché?
    -perché non vive nella mia testa.
    -tu ci vivi, nella tua testa?
    -questo sono io che non posso saperlo.

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