cropped-4591471844_ac7ef33514_b.jpega cura di Massimo Gezzi

[Per la settima puntata della rubrica dedicata ai poeti nati negli anni Ottanta ho scelto sette poesie di Alessandra Cava (San Benedetto del Tronto, 1984), che ha esordito con il libro rsvp (Polìmata, 2011). Alessandra Cava fa parte di Altre Velocità, un gruppo di critici delle arti sceniche con cui ha curato il volume Un colpo. Disegni e parole dal teatro di Fanny & Alexander, Motus, Chiara Guidi/Socìetas Raffaello Sanzio,Teatrino Clandestino (Longo, 2010). Il primo testo, già uscito su «alfabeta2», è inedito in volume. Gli altri appartengono a rsvp (mg)].

che ti pare di queste luci di queste lucine sommesse
che s’affannano a tremare a farsi intromissione insetto
artificiale – piace a tutti

tra gli alberi i piccioni e la scuola elementare

che s’accendano in filare che si intendano a far tenda
sulle teste distesa sulle bestie estensione dell’estate oltre
ogni sfaldamento

la tv le serrande alzate le proteste

è alla fine questa festa resta fiera resta asfalto che fa lume –
l’estate sa liquore qui nei centri negli incroci di parole
nell’evasione dei quartieri – qui è l’agosto mezzo bianco e
mezzo miele: stai lontano stai dove devi stare

gola labbro amplificatore

la città è piastrina sulla mappa cola ponti invade la destinazione
incolla i fogli spinge gli occhi al fiume e apre: crepe nei palazzi
incanti dove non c’è niente e pure sta il ricordo a seminare –
com’era com’era che si doveva fare –

la postura lo slancio la generazione

folle in riga spezzata per futuri d’arredo gli interni lucenti stanno –
con le ore di sonno sui capelli sciolti sui coltelli rotti – stanno dentro
le aule i convegni sul futuro in generale

le vocazioni da addomesticare o restaurare

stai lontano stai dove devi stare: ricuci gli orli dei sentieri: l’altroieri
cade già dopodomani ritorna alla cura delle mani ai raccordi alle code:
vanno sempre lunghe per il mare –

*

in sorellanza sono gli anni gentili, sono gli anni, indicativi
presenti, muscolo lingua che sbava disegni sull’incanto dello stare
dove i muri si incontrano, nel tutto finito e oltre, e
oltre neppure un suono: il sottoscala non ha porte, non si slacciano
i polsi, non chiama nessuno, nessuno muore –

*

la casa, la casa durissima delle collezioni, delle addizioni,
degli strati santificati, la casa gentile dove infilare le partenze,
la casa dei muri sbucciati, la casa malandata, la casa dello stare,
dell’affacciare, lenta sedimentazione dello scorrere, del bussare,
dell’eco, dell’eco dovunque, la casa è la prima, la casa –

*

la stanza mi manca, la luce, la sua collezione di composizioni:
e dire è così semplice, porta il senso comune, spoglia e non
voglio sentire la stagione corrente, non voglio sentire che passa,
non voglio passarla, faccio scudo con niente, riparo – il bambino,
il bambino mi manca, pomeriggi in ritagli di carta, di mare
grandissimo: dammi la voce che porta e non conosce
messaggi, spiega, imposta, inquadra il finale, dammi la voce,
la voce, lei che mi prende, mano –

*

apparecchiati ché è tardi e sorridono le parrucchiere, traghettano
bulbi sulle mattonelle, sfogliano cipolle, indignano additando
ciocche, caviglie, meraviglie della scienza districante, ma tu
strangola le mani, scioglili sul labbro le vaniglie e gli echi vani, cerca,
sposta, trova i letti, i semi tutti, tutte le bocche, gli archi, i soffi, tutto
mentre disfi gli orli ripiegati e dici che arrivano, dici che è adesso
che è l’ora dei sentieri, dei rintocchi, del pensare che era ieri
che smerciavi ciglia imbottigliate, lacche sulle unghie e gentilezze,
inviavi lettere sottili, le richieste, le risposte dentro buste –
ogni certezza s’allea, ogni tetto si apre e resta, se resta,
una camera, un occhio, oppure forse mezza idea –

*

amore durissimo, articolarsi delle ossa, scorrevole
rotolarsi delle ossa dalla pelle, solitarie per quel loro esitare
la diramazione, incantare, mettersi nel canto, mettersi
tutte nel canto, nell’aspro canto del sangue, nell’angolo
appuntito dei nervi, nello schiocco delle membrane, nelle aritmie,
nella violenza delle arterie, per quel lasciarsi ricoprire, isole
bianchissime nella carne, per la loro modestia di impalcatura,
di scheletro schivo, di lungo fiore sotterraneo, di radice –

*

copri lo spazio, copri per bene questo spazio a ritroso,
questo spazio sospeso, che sospende il tempo di coincidenze,
il tempo di corrispondenze e distribuisce coordinate, offre
i vettori solitari dell’andare, offre a piene mani i vettori
spaventosi della moltiplicazione, della scelta velocissima –
indicami quale stella storta, aprimi alla stortura della mia stella
spuntata, indicami i segmenti e i punti e i centimetri e gli angoli
ottusi, ché devo, ché devo sentire dov’è che mi vado a trovare –
scegline una, una sola di me, una che basta, una sola, tutta
contorno, fatta tutta contornata e ritagliata, incollata
sul foglio, fatta bella come un ritaglio, lucidata di patina, fatta
assurda bellissima di smalto, da tenere in cassetto che chiude
subito, si chiude con scatto leggero, è già chiuso, non apre –

[Immagine: Deutsche Kinemathek (gm)].

 

 

6 thoughts on “Nuovi poeti /7: Alessandra Cava

  1. C’è qualcosa di straordinariamente litanico, direi (posso?) quasi ossessivo in questi versi. Il ritmo accuratissimo, gli effetti di suono, le simmetrie danno loro una compattezza quasi paradossale, visti i continui slittamenti e accumuli di lacerti (vedi la poesia sulla casa, sicuramente quella che più mi ha colpito, insieme alla successiva meditazione sul tempo e la voce). Eppure nessun compiacimento nel puro significante, sono litaniche perché profondamente meditative. Almeno questa è l’impressione di un lettore.
    Notevolissime davvero.
    Complimenti.

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