cropped-1129257_giorgio-napolitano_620x410_thumb_big.jpgdi Mauro Piras

Alla fine la coerenza è questa: tutti hanno puntato i piedi. E con tenacia e metodo hanno distrutto tutto. L’unica prospettiva è stata quella del vantaggio politico a breve termine. Grillo e i suoi si sono chiusi nell’autistico “no no no”. Il Pdl si è seduto saldamente sul suo capitale di “quasi vittoria elettorale” per porre le sue condizioni-capestro (mirate a distruggere gli avversari) in cambio della sua collaborazione. Il Pd si è ostinato a cercare la soluzione con le trattative sottobanco, per salvare la segreteria e la linea del “cambiamento”, già sconfitta il 26 febbraio. Così alla fine non si è risolto niente, e l’elezione del Presidente della Repubblica è stata inquinata dalle trattative per la formazione del governo, in una misura inaccettabile. E qui, alla fine, la catastrofe è avvenuta. L’elezione di una carica che, nel nostro ordinamento, deve essere di garanzia, è diventata una competizione elettorale per imporre la propria linea politica. E questo soprattutto da parte delle forze che si sono intestate il “cambiamento”, cioè Pd e M5S. Proprio queste hanno voluto trasformare una delicata operazione istituzionale, volta ad assicurare l’unità del paese e la continuità delle istituzioni repubblicane, in una guerra per bande, senza quartiere. E invece la destra, tutto il centrodestra compresa la Lega, ha saputo tenere un profilo istituzionale corretto, coerente. Guadagnandosi una sicura vittoria alle prossime elezioni.

Ma chi ha regalato questa vittoria al centrodestra, chi ha creato le condizioni per la nascita di un governo di unità nazionale in cui il centrosinistra entra radicalmente indebolito? Due responsabili, in ordine di apparizione: il M5S e il Pd.

Primo, Grillo e i grillini hanno gettato via un’occasione storica. Di fatto, è evidente che se si guarda all’elettorato di Grillo e a quello del Pd, si trova facilmente nel paese una maggioranza unita da questi temi: l’ostilità a Berlusconi; il rifiuto della “casta”, come si chiama ormai comunemente; la lotta contro la corruzione, la difesa della magistratura; il bisogno di riforme istituzionali che diano più voce ai cittadini; la difesa dei “beni comuni”; la richiesta di una politica economica redistributiva; la difesa della scuola pubblica. Bastano queste cose per avere una base comune molto larga, che è maggioritaria dal punto di vista elettorale. Bersani l’ha capito e ha proposto l’alleanza ai grillini. Questi, invece di trattare, hanno detto solo no. Qui, errori di Bersani: questa proposta andava fatta più in fretta, senza perdere tempo nelle sue penose ed estenuanti consultazioni, senza sperare di “far cadere” qualche voto grillino nel suo sacco. L’errore è stato quello del metodo, fin dall’inizio: si doveva fare un discorso forte e chiaro, subito: “uniamo questa maggioranza e facciamo il cambiamento, subito”. Poi, alla risposta dei grillini: “non ci state, la scelta è vostra”. Ma senza trattative sottobanco, senza perdite di tempo.

Dal momento in cui i grillini hanno detto no, è stato evidente a tutti che l’unica soluzione possibile è rimasta invece quella dell’alleanza con Berlusconi, per risolvere le questioni più urgenti. Ci voleva molto coraggio. E a questo punto la segreteria del Pd doveva ammettere la sua sconfitta, dimettersi, far rivotare la linea politica, in modo chiaro, e mettere altri dirigenti alla guida. Qui bisognava fare un salto di qualità. È inutile piangere, urlare che il governo con Berlusconi no, mai ecc. Quando si vincono le elezioni, si fa quel che si vuole. Quando le si perdono, ci si mette d’accordo con gli avversari. Il Pd ha perso, rispetto al suo progetto. Si doveva ripartire, con onestà e chiarezza di fronte al paese e di fronte alla propria base: “il cambiamento che abbiamo pensato è impossibile, perché non abbiamo vinto e perché il fanatismo dei grillini lo impedisce; ma noi vogliamo risolvere i problemi più urgenti, e facciamo per questo l’alleanza con il Pdl”. Se si avesse avuto il coraggio di proporre un piano di riforme serio, una alleanza con il Pdl non avrebbe avuto niente di scandaloso.

Invece qui è saltato tutto. Il Pd non ha mai ripreso in mano la propria linea politica. Bersani, che doveva lasciare dopo la porta in faccia chiusa da Grillo, ha continuato a condurre un gioco senza sbocco, lasciando che le altre tendenze nel partito si rendessero sempre più autonome, anche perché non coinvolte veramente nelle trattative. Renzi si è messo in campagna elettorale, di fatto, contro Grillo e Berlusconi, menando colpi che hanno affondato Bersani (“o governo con il Pdl o elezioni subito”, ha urlato). La divisione più grave dentro il Pd era (ed è) doppia: sulla collaborazione o meno con il Pd, per il governo; e sulla questione del cambiamento della politica. Le due non si sovrappongono. Renzi ha proposto fin dall’inizio il governissimo, ma ha martellato duramente sul cambiamento (si veda la vicenda Marini, su cui dopo); i “giovani turchi” (e molti giovani deputati inesperti) non vogliono sentir parlare di governissimo, ma vogliono un cambiamento radicale; Bersani da un certo punto ha iniziato a trattare con Berlusconi, ma facendo di tutto, nel metodo e nella scelta delle persone, per impedire un rinnovamento forte della politica.

Il grosso problema del partito è che non ha saputo discutere di queste opzioni apertamente, duramente, per arrivare a una maggioranza che imponesse con trasparenza la linea. A questo si aggiunge la debolezza dell’organizzazione, che a quanto pare non è capace di garantire la stabilità delle decisioni prese a maggioranza. Non avendo deciso la linea politica, il partito è esploso, progressivamente, fino alla deflagrazione finale.

La candidatura di Marini è stato un errore in questo contesto. Se la linea fosse stata decisa in una sorta di congresso postelettorale, allora avrebbe potuto essere una candidatura buona. Purché ci fosse una maggioranza politica forte, convinta della necessità dell’accordo con il Pdl. Questa maggioranza non c’era, perché la linea bersaniana, prima, andava in direzione opposta. In ogni caso, il metodo della costruzione di questa candidatura è stato pessimo, per quel che riguarda il problema del cambiamento e della trasparenza: trattative segrete, tra poche persone, con Berlusconi che esercita un enorme potere di veto. Su questo terreno, non poteva che avere ragione Renzi.

E qui si è profilata la prima catastrofe: un centrodestra compatto a votare un candidato del centrosinistra, apertamente osteggiato da una parte di questo. Marini, in un quadro del genere, non andava neanche presentato. Ma almeno Renzi e gli altri che hanno rifiutato Marini (tra cui anche dei bersaniani, vedi Alessandra Moretti) lo hanno fatto apertamente. Hanno fatto emergere le divisioni del partito. Qui forse c’era ancora il tempo per aprire un confronto reale. Invece si è pensato di trovare una soluzione in Prodi. Che era una buona idea, in sé. Ma certamente buttava a mare la possibilità dell’accordo con Berlusconi. Perché la cosa che non doveva succedere era invece già successa: l’elezione del Presidente della Repubblica era stata inquinata dalle trattative per la formazione del governo. Ecco perché i franchi tiratori. Chi ha affondato Prodi lo ha fatto per due ragioni: per regolare i conti nel Pd, in un partito completamente senza sovrano e del tutto in mano ai “signori della guerra”; e anche, ma soprattutto, per tenere in vita la possibilità di un governo con il centrodestra.

E ci sono riusciti. Con l’aiuto di tutti quegli ingenui che pensano invece di fare il bene scegliendo idealmente e senza tenere conto del contesto. Tra questi annovero alcuni giovani parlamentari del Pd, che a quanto pare hanno votato Rodotà; forse una parte dei cosiddetti “giovani turchi” e simili, che continuano a dire che si doveva votare Rodotà; e ovviamente i grillini che con la loro chiusura e la successiva candidatura di Rodotà hanno provocato l’inevitabile spaccatura del partito e quindi il successo della linea del governissimo, imposta però in posizione di debolezza per qualsiasi sinistra.

Perché Rodotà non va bene? Perché sarebbe stato affossato molto più di Prodi, dal momento che il Pd è diviso e non ha trovato la sua linea politica. Diciamoci le cose chiaramente: la situazione politica postelettorale in realtà era semplice: o alleanza Pd-M5S, o alleanza Pd-Pdl. Una volta fallita la prima opzione, ci voleva il coraggio di azzerare la segreteria e la linea politica (si chiama “sconfitta”, in italiano) e si doveva proporre politicamente l’alleanza con il Pdl. Il problema, però, è che il Pd è spaccato, profondamente, proprio su queste due opzioni, perché non ha un vero progetto politico, che possa giustificare l’una o l’altra. Quindi la candidatura di Rodotà è senza senso. Inoltre, due commenti a lato di questa candidatura: è limitativo proporre come linea politica dominante quella dell’antiberlusconismo giudiziario (con cui Rodotà si identifica molto); inoltre, Rodotà stesso si è comportato scorrettamente, accettando di essere un candidato dei grillini, pur essendo un uomo del Pd.

In ogni caso, l’elezione del Presidente, a questo punto, era già fuori strada, perché era diventata un affare direttamente di parte politica. Se il Pd avesse fatto subito il governo con il Pdl, avremmo eletto solo dopo il Presidente, più liberamente. Non è successo, per le cause dette: la follia politica dei grillini; l’inesistenza del Pd come partito. Ora non c’è alternativa a quello che sta succedendo, e le uscite di esponenti del centrosinistra che criticano le opzioni per il governo sono del tutto fuori luogo. Non hanno credibilità, e quindi non hanno voce in capitolo. La questione del governo va separata dal destino del Pd. Questo si risolva i suoi problemi, con un congresso in cui finalmente volino i coltelli in pubblico, di fronte a tutti gli italiani. Il governo va formato subito, e alle condizioni poste da Napolitano, che ha ora il potere che gli viene dall’essere stato implorato dalle forze politiche.

Per finire, alcune considerazioni generali.

Primo, criticare Napolitano è puerile. Come già un anno e mezzo fa, il male è nel collasso del sistema politico e nell’incapacità di tutte le forze politiche (anche quelle “nuove e pure” come il M5S) di agire secondo una prospettiva politica di lungo respiro, e davvero utile ai cittadini. È puerile da sinistra criticarlo perché non fa e non ha fatto quello che la sinistra vuole, dal momento che il Presidente della Repubblica è una figura di garanzia e non di parte. È puerile criticarlo perché cerca di imporre soluzioni “istituzionali”, dal momento che se le forze politiche non sono capaci di trovare la soluzione politica, il Presidente, che non rappresenta una forza politica, non può che trovare queste soluzioni di compromesso. È puerile criticarlo perché ha accettato di farsi rieleggere, dal momento che la responsabilità di questa situazione è tutta delle forze politiche (sottolineo di nuovo: anche del M5S e di quanti proponevano Rodotà) che non sono stati capaci di trovare un nome nuovo realmente eleggibile.

Questo ci porta al secondo punto: la sinistra, in tutte le sue componenti (le bande interne al Pd, ma anche Sel e M5S, che metto nella sinistra, perché ha presentato un candidato di sinistra), si è coperta di ridicolo in questa storia della elezione del Presidente della Repubblica. Perché? Perché in quasi tutte le sue componenti (tranne in quanti sostenevano Marini) ha cercato di imporre un candidato di bandiera. Renzi, i “giovani turchi”, i neoparlamentari idealisti, Sel, adesso anche Barca ecc.: tutti hanno voluto il “loro” candidato, quello che esprima la loro posizione politica. Tuttavia, tutte queste persone (tolto forse Renzi) sono ostili all’elezione diretta del capo dello stato. Allora, bisogna intendersi e uscire da questa situazione ridicola e insieme disastrosa per le nostre istituzioni: se si vuole che il Presidente esprima una parte politica, allora non deve essere eletto da mille grandi elettori, né da 48.000 misteriosi elettori via web, ma da quaranta milioni di elettori italiani. Se invece non si vuole il presidenzialismo, si deve accettare che il candidato alla presidenza non sia il “proprio” candidato. Così siamo in questa situazione paradossale: il centrodestra, che vuole il presidenzialismo, ha saputo accettare un candidato non suo; il centrosinistra, che rifiuta il presidenzialismo come la peste, ha distrutto tutto per eleggere il “suo” candidato. Facciamoci chiarezza una volta per tutte.

Infine, terza considerazione generale, in rapporto ad alcune cose che si profilano a sinistra. Il problema della politica italiana, dal 1992-93, è che non riesce a trovare un sistema politico. La soluzione dei problemi, l’abbiamo visto, non è nelle riforme elettorali o istituzionali. Certo, queste ultime ci vogliono. Ma le istituzioni sono la cornice in cui si muovono le forze politiche reali. E la politica funziona se queste forze hanno un senso e una stabilità. Il problema della politica italiana dopo il collasso di inizio anni novanta è che non trova un sistema politico stabile, in cui le forze politiche siano davvero capaci di rappresentare degli interessi sociali e delle visioni coerenti della società, e quindi sappiano governare. A sinistra, questo vuol dire che non si riesce a trovare una collocazione corretta per le “due sinistre”. Probabilmente, in ogni democrazia avanzata c’è spazio per due sinistre: una più istituzionale e moderata, e una più radicale, che accoglie parzialmente anche tendenze antisistema (economico). Questo è inevitabile, per ragioni che non è il caso di illustrare qui. Queste due forze devono collocarsi. Attualmente, la divisione tra le due sinistre passa dentro il Pd, in modo troppo profondo. Il Pd dovrebbe essere capace di darsi un profilo coraggiosamente progressista, ma riformista, quindi pronto a fare riforme anche impopolari, per il miglioramento del sistema economico; chi non ci sta, o accetta di essere minoranza, o si sposta verso un’altra forza, più a sinistra. Questa deve trovare una sua consistenza, capace di avere una buona base elettorale e un progetto che, per quanto in parte antisistema, sia anche politico. L’operazione che sta mettendo in moto Barca potrebbe andare in questo senso. Ma è sbagliato pensare che la sinistra possa esistere solo nella seconda forma, come molti sembrano pensare qui in Italia. Un sistema democratico decente non può funzionare senza una forza progressista (più moderata, sì), più forte, e una forza più radicale alla sua sinistra. Se si pensa che la soluzione sia invece la fine del Pd, per travasare in un’unica forza “più a sinistra” tutte le sue componenti di sinistra, e abbandonare le altre al centro, allora questa famosa nuova sinistra sarà tanto bella, tanto elegante e affascinante intellettualmente, ma non servirà a niente, perché non  governerà mai.

(Torino, 21 aprile 2013)

[Immagine: Giorgio Napolitano (gm)].

 

30 thoughts on “Il Presidente di nessuno

  1. Un paio di osservazioni rapide a questa come al solito bella analisi di Piras. La prima è che l’inghippo tra elezione del presidente della repubblica e scelta del governo è una circostanza oggettiva, dovuta sia alla scadenza del mandato presidenziale (proprio adesso!) sia al risultato elettorale, con la mancata vittoria di Bersani. Dunque non c’è da accusare nessuno di non avere tenuto distinti i due livelli, quello istituzionale e quello della formazione del governo. La seconda è che Rodotà avrebbe fatto bene a ritirarsi in favore di Prodi quando questo nome infine è stato lanciato, così da mettere i grillini di fronte alle loro responsabilità. Una terza osservazione è che una sinistra non radicale e non moderata, semplicemente una sinistra socialista europea, può benissimo allearsi con dei liberaldemocratici più o meno moderatamente progressisti, ma non dovrebbe mai rinunciare alla propria autonomia organizzativa – e perfino ideologica.

  2. Caro Piras,
    sono puerile e critico Napolitano. Quando ha insediato il governo Monti, Napolitano ha distrutto il meccanismo essenziale della Costituzione, quello che garantisce un ordinato passaggio dei poteri. In tutte le Costituzioni, l’elemento essenziale è proprio quello: perché senza un ordinato e formalmente corretto passaggio dei poteri, si rischia la guerra civile. Il resto è accessorio.
    Napolitano ha spedito a casa un presidente del consiglio che non era stato sfiduciato dal parlamento, e invece di indire le elezioni ne ha insediato uno di suo gusto, tra l’altro eletto da nessuno.
    Da quel momento, Napolitano ha smesso di essere una figura di garanzia istituzionale ed è diventato un attore politico di primo, anzi di primissimo piano: nei fatti, il sovrano del sistema politico italiano, se accettiamo la formulazione di Schmitt secondo la quale sovrano è chi decide lo stato di eccezione. Curioso (e di malaugurio) il fatto che una leggenda assai diffusa lo voglia figlio naturale di Umberto di Savoia.
    Però, guarda! La forma è sostanza, e adesso direi che si vede chiaro.
    Il PD è stato ben felice di accettare questa trasformazione del ruolo istituzionale e costituzionale del presidente della repubblica, pensando che gli avrebbe garantito il governo. Gli ha garantito la distruzione. La prossima volta, meglio assumere un veggente più professionale (magari Prodi, il medium di Gradoli).

  3. Non ha senso indicare il M5S come responsabile della situazione che si è venuta a creare. Potrà piacere o meno, ma il M5S ha fatto politica, e tra i suoi obiettivi c’era quello di sparigliare tutto. Se col PD ci è riuscito, è perché il PD si è dimostrato del tutto incapace di gestire politicamente la fase del dopo-elezioni, al contrario di Berlusconi.

    Aspettarsi che il M5S agisca secondo i nostri desideri è puerile; così come lo è aspettarsi che possa ragionare e comportarsi da partito “di sinistra”.

    Il PD ha fatto di tutto per suicidarsi politicamente, a cominciare dalla scelleratezza di sostenere Monti; che è poi la vera causa della sua sconfitta elettorale, giacché le decisioni prese hanno intaccato prima di tutto le “tasche” di gran parte del suo bacino elettorale …

    Ma il PD non poteva che sostenere Monti, essendo la sua vera natura “liberale”, non certo “socialista”. Il PD non è un partito di «sinistra moderata»; è un partito moderato e basta. E’ sufficiente leggersi la sua carta dei valori o i suoi programmi per verificarlo.

    Il PD, per altro, si è presentato alle elezioni con un’idea molto chiara: governo Bersani col sostegno di Monti, necessario in particolare al Senato; un progetto di gestione della crisi che è, in tutta evidenza, per nulla di sinistra. L’elettore di sinistra, quello più attento ai fatti politici, ha girato le spalle a questo progetto, bocciandolo nelle urne.

    Insomma, chi è causa del suo mal pianga se stesso …

    s.l.

  4. Caro Mauro, tu scrivi degli ” ingenui che pensano invece di fare il bene scegliendo idealmente e senza tenere conto del contesto”,

    Ma il problema è proprio qui:

    Quali sono i vincoli che il contesto pone nella selezione degli scelte “realizzabili”, e della razionalità dell’azione politica?

    Chi individua quale è il contesto rilevante per selezionale gli ideali realizzabili. Il contesto è: L’Europa? I Mercati? La crisi economica? Il sistema politico italiano? La crisi economica? Il contesto politico prima delle elezioni in cui dici che era razionale non proporre di fare un governo con il PDl ? Il contesto politico dopo la mancata vittoria alle elezioni e la mancata alleanza con SEL; in cui mi sembra di capire che per te “l’unica soluzione possibile” e razionale sarebbe stato fare un governo con il PDL??

    Quali sono le descrizioni valide di questo contesto? Chi ha l’autorità per descriverlo?

    Gli appelli al contesto, per contestare qualsiasi tentativo di proporre qualsivoglia idea (o ideale) di cambiamento, sono generalmente basati su assunzioni che nella migliore ipotesi sono dogmatiche, nella peggiore (non è il caso della nostra discussione) basate sull’ignoranza o sulla malafede.

    Si assume che il contesto sia autoevidente (esempi: L’Europa, i mercati, la esigenza di stabilizzazione del sistema politico italiano, e ciò che questo ci richiederebbe da sé di fare), che si interpreti da sè, che i vincoli posti sotto questa descrizione siano necessari, squalificando come ingenua (vale a dire: non realistica, non conforme alla presunta realtà del contesto, e quindi perciò non razionale) qualsiasi posizione che non si conformi a questa descrizione data per autoevidente.

    Temo che qui vi sia un grave incomprensione della politica sia nella sua dimensione ideale che in quella effettiva: l’azione politica ha senso proprio se interviene a modificare il contesto dato, a proporre delle ridescrizioni del contesto (ciò che Rino Genovese chiamerebbe spostamento dei punti di vista), o a individuare nuovi contesti a partire dai quali il contesto dato potrebbe essere ridescritto e magari contestato.

    E questo è tanto più vero nel contesto della politica democratica. E gli attori politici che tengono realisticamente conto di questo contesto, che hanno un senso realistico del conflitto politico, che ambiscano realisticamente al successo alle competizioni elettorali, sono quelli che appunto osano proporre delle ridescrizioni, hanno cioè il coraggio di buttare il cuore oltre l’ostacolo e proporre delle idee che insieme servono a ridescrivere il contesto – mettendo in dubbio l’autorità delle descrizioni semplicemente accettare per acquiescienza – e a modificarlo. Tutto qui.

    Il problema della sinistra, in Italia, è appunto come scrivi, quello di non avere una visione ampia, progettuale e ideale. E aggiungerei, di contentarsi di fare continui appelli al contesto per nascondere la propria mancanza di idee.
    Il reiterato, asfittico, e tetro appello al contesto che ha caratterizzato il discorso pubblico del centrosinistra è proprio il problema, la fallacia costitutiva di una azione politica che vorrebbe essere riformista, ma che in verità altro non sa proporre che servilismo verso le descrizioni imposte da altri di alcuni presunti fatti, oppure gesti autoritari con cui impone di accettare la selezione arbitraria del contesto rilevante che dovrebbe esser il banco di prova degli ideali.

    Si rinuncia preventivamente a qualsiasi idea di cambiamento e azione in nome di qualche necessità imposta dal contesto (secondo una individuazione e una descrizione non verificata di quest’ultimo): e non si capisce che nel caso dei fatti politici, possiamo conoscere solo a posteriori quali fossero veramente i vincoli necessari, vale a dire quelli che non si siano lasciati modificare dall’azione.

  5. Riporto l’ultima parte dell’articolo di Donatella Della Porta su Sbilanciamoci.info ( http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/L-elezione-di-Napolitano-e-l-istituzionalizzazione-dell-inciucio-17999 ) “L’elezione di Napolitano e l’istituzionalizzazione dell’inciucio”:

    “I movimenti sociali all’interno delle istituzioni possono portare a riforme, ma anche ad una chiusura settaria, o a un’oscillazione fra le due opzioni. Se la candidatura “anti-inciucio” di Romano Prodi aveva fatto pensare ad un partito che si apriva alle domande di cambiamento, che in qualche modo aveva contribuito a stimolare, la sconfitta di quella opzione e la candidatura “super-inciuciaria” di Giorgio Napolitano testimonia invece di una chiusura rispetto a quelle domande di alternativa che vengono da elettori e attivisti del partito. Certamente le divisioni profonde e le multiple fratture nel partito si riflettono nella debolezza di entrambe le scelte, e nell’incapacità del partito nel seguire l’unica opzione che sarebbe stata coerente con la promessa di partecipazione e premessa di un governo di cambiamento: l’appoggio alla candidatura di Stefano Rodotà. Il movimento nel partito sembra essere ora ignorato, a costo di un suicidio politico sulle cui cause molti si continuano ad interrogare. La proclamata necessità costituzionale di grandi intese a sostegno dell’elezione del presidente è una spiegazione poco credibile a fronte dei tanti presidenti, in Italia e all’estero, eletti a maggioranza semplice (lo stesso Napolitano ebbe appena il 55% dei voti). La propensione al compromesso, dagli effetti politicamente nefasti, con un avversario con le caratteristiche di Berlusconi è certamente incomprensibile, se non si considerano queste divisioni, oltre a potenziali ricatti collegati a connivenze passate e presenti. Non potendo sfociare in una riforma delle forme organizzative e dei programmi del partito, la mobilitazione dal basso sembra destinata ad accelerarne la frantumazione. La debolezza dell’opzione al cambiamento nei vertici del partito trasforma così un’opportunità di rigenerazione in un fattore di accelerazione della crisi.”

  6. Boh, secondo me il problema principale è che la sinistra italiana, da sempre, non riesce a darsi un profilo riformista, perchè il riformismo, in Italia, viene ritenuto impuro. C’è poi un’altra questione: l’Italia è un paese che pende fortemente a destra (basta andare a vedersi i risultati elettorali, sempre 60 a 40 appunto per la destra), fino alla destra fascista che non è mai scomparsa, e che al di là delle sue manifestazioni folkloristiche da sprangatina (copyright Roberta Lombardi), permaneva e permane ovunque. Parlo dolorosamente del fascismo di parte dei militanti ed elettori dei partiti di sinistra, quelli che nelle case del popolo, anche qui nella sinistrissima in Toscana dove sto io, non sono lontani dai sentimenti leghisti o forzanovisti, specie rispetto alle questioni degli immigrati e dell’omosessualità. Sto parlando di minoranze che sono state contenute finché la politica si reggeva sui leader carismatici; ma adesso che il rapporto eletti elettori è sempre più diretto, non c’è maniera di contenere il fenomeno della barsportizzazione della politica, dove tutti sono Presidenti del consiglio come tutti sono allenatori della nazionale di calcio. Insomma, non la sto a fa’ lunga: bisogna domandarsi davvero se l’avvicinamento agli elettori da parte degli eletti sia davvero quello che ci vuole, e se le primarie sono la soluzione di tutto; la mia personale convinzione è che gli italiani vanno invece allontanati il più possibile dagli eletti, altrimenti il clientelismo la vincerà sempre, e il populismo ne sarà (ne è) la naturale conseguenza in tempi di crisi della spesa pubblica (amici mi dicono che in Sicilia la gente non vota se non ha un interesse diretto, ciò che spiega il crollo del numero di votanti alle ultime elezioni regionali). Ancora di più bisogna domandarsi se la soluzione stia nella democrazia diretta propagandata dal ragionier Giuseppe Piero Grillo, che con il suo farsesco meccanismo di selezione ha portato in Parlamento il peggior personale politico di tutti i tempi.

  7. Il Pd perderà una barcata di voti. Assolutamente sacrosanto, se l’avessi votato ora non lo rivoterei, ma ciò non mi dà alcun piacere, visto chi c’è a destra e alle sue spalle (intendo sugli scranni parlamentari).
    Impedito dalla rigidità burattinesca dei 5stelle a formare un governo, avrebbe potuto formarne uno con Berlusconi. Avrebbe perso, o perderà, visto che è un’eventualità prossima, una barcata di voti. Assolutamente sacrosanto, se l’avessi votato, anche io, ecc…
    Pare uno dei paradossi della comunicazione di Watzlawick / Antoine: qualunque cosa dirai, piglierai pietre.

    Scrutini necessari per eleggere Saragat 21, Leone 23, Pertini 16, Scalfaro 16. Spero che la giovane età perdoni la mia ignoranza, ma non lo sapevo, e quando mi han fatto credere che 6 scrutini per Napolitano bis fossero il segno di una crisi parlamentare senza precedenti ci avevo creduto. So che la prima repubblica con i suoi partiti rocciosissimi era un’altra storia, però se qualcuno mi spiegasse meglio…

    @ Testa, ma anche @tutti. Il tema che lei pone, del rapporto tra effettualità e ideali o utopia mi pare centrale. Le faccio una domanda (vera, non capziosa). In un commento alla sua Teoria di Napolitano lei scrive “molte di queste spiegazioni non sono intenzionali. molte di queste spiegazioni descrivono cascate di eventi che quell’azione produce, nonostante le migliori intenzioni. e’ senz’altro una situazione ironica: ma nel senso tragico del termine”. Mi pare una buona definizione dell’ananke. Mi pare però anche che lei imputi questa cascata di fatti necessariamente incatenati gli uni agli altri a volontà politiche. Si potrebbe perciò dare il caso di azioni di diverso genere, che buttino il cuore al di là dell’ostacolo. Interpreto bene o no? In questo modo lei tiene insieme necessità e libertà d’azione?
    Glielo chiedo perché io sono smarrito e inferocito come mai mi era capitato da che seguo la politica del centrosinistra e vorrei poter sperare che lei abbia ragione.
    Però poi mi metto a fare ipotesi. Sono un politico di sinistra e dico: facciamo una politica coraggiosa e di sinistra. Con quale sinistra? Metà del Pd se ne andrebbe con Monti o giù di lì. Rinnoviamo con coraggio questa classe dirigente, apriamo ai giovani. Poi ti entrerebbe in casa anche Renzi, e io sinceramente in casa mia preferirei di no. Facciamo scelte coraggiose, i partiti di sinistra non le sanno fare più: dunque o non voto o voto Grillo e gioco a sfasciare tutto, ma nel nome – ovvio – dei beni comuni, della partecipazione democratica, della rivoluzione civile… Potrei continuare.
    Voglio dire: passione e lucidità nell’analizzare i fatti, questo mi pare lei dica. Credo che in molti 5stelle ci sia molta passione. Credo che analisi fini e fondate ce ne siano in giro. Poi la realtà, maledizione, ci fotte sempre.

    @ Buffagni (le dovevo una risposta sul post “Teoria di N.”, lo faccio qui, tanto il tema è affine): ha ragione, essere rassicuranti e pilotati è cosa ben diversa. Credo ai complotti, però bisogna sempre provarli. Di solito lo si può fare solo ex post, lo fanno gli storici, e neanche loro possono darci la certezza. Quindi preferivo la formula di cautela “rassicurare i poteri forti”.

    @Abate (rispondo qui anche a lei). Ha gioco facile di me, mettendomi ironicamente nel nuovo che avanza contro il vecchio, se il vecchio è Fortini. Non sempre parva licet componere magnis.
    Ma che lei legga sempre le parole di questo giovincello baldanzoso e speranzoso con un sogghigno sarcastico l’ho capito, quindi non è questo che mi interessa. Mi interessa quest’altro: non ho capito a quali degli attori della poesia di Fortini lei mi assomigli.

  8. Caro Lo Vetere,
    certo, ci vogliono le prove e non ci sono mai. C’è però la prova finestra evangelica: giudicare l’albero dai frutti. Lei valuti le azioni e le conseguenze, poi giudichi. In questo caso, a me non sembra difficile. Penso che a lei sembri meno facile perché nella sua cultura politica, la nazione non è al centro, anzi: chi ne fa il centro di gravità delle sue valutazioni le risulta estraneo se non avversario. Però, veda, oggi non sono a rischio i partiti: sono a rischio di estinzione le istituzioni nazionali, che si disgregano sotto un’aggressione che è interna quanto esterna. La disgregazione dall’interno proviene da un vasto e trasversale “partito dello straniero”, una sciagurata costante della storia italiana. Noti che questo “partito dello straniero” può benissimo essere composto, in maggioranza, da persone in buona fede e non da cinici traditori; però, il risultato non muta.

  9. @Lo Vetere
    Sulla questione dei complotti, dissento. Non è che bisogna provarli, figuriamoci, neanche per dare l’ergastolo sono indispensabili le prove, bastano indizi consistenti e concordanti, Se la prova definitiva ed incontrovertibile non è richiesta per la sorte personale di un uomo, figuriamoci per articolare un ragionamento politico.
    La mia opinione è che come sempre, e ciò vale per qualsiasi tesi, il dovere è argomentare adeguatamente, e così anche chi mette in dubbio la tesi di un certo complotto ha l’onere di argomentare, non se ne può uscire con la richiesta di prove inequivocabili.
    La sostanza della mia opinione in proposito è che esiste anche la possibilità da ciò che si sa, spesso una frazione molto limitata di tutto ciò che avviene dietro le quinte, di dedurre mediante una serie di considerazioni logiche, ciò che pure ci viene nascosto. Ma quale politico nella sua attività quotidiana si può permettere di rifiutare di usare le armi della logica per attenersi strettamente a prove evidenti ed inequivocabili? Qui, si articolava un ragionamento politico, e immaginare ciò che ovviamente non potremo mai sapere, forse neanche a distanza di svariati decenni, più che lecito è doveroso.

  10. Buffagni, lei continua a deformare ed estremizzare in “partito dello straniero” quella pacifica costruzione, l’Europa, di cui siamo stati ideatori (Altiero Spinelli) fondatori, grandi contributori e, si spera con la rinnovata larga intesa, di nuovo policy maker come nell’ultimo anno e mezzo. Il paragone piu’ esatto e’ quello coi moti ottocenteschi: tante legittime istanze, anche popolari, e notevoli sofferenze, ma l’unione italiana -necessaria al tempo come adesso e’ necessaria l’unione europea- fu infine fatta da Cavour, cioe’ dalla politica. Se la nuova politica e’ l’economia, una modesta somiglianza con Cavour ce l’ha al momento Mario Draghi.

  11. Caro fu GiusCo,
    ho registrato il suo parere, grazie. Visto che, a giudicare dal nickname che si è scelto, lei pare avere un rapporto privilegiato con l’aldilà, la pregherei solo di una cortesia: chieda a Cavour che ne pensa, del suo parallelo con Draghi e del resto, e mi faccia sapere. Sarebbe assai gradita, anche dai collezionisti, una comunicazione diretta del Tessitore.

  12. @ Lo Vetere

    Caro Lo Vetere,
    sinceramente: più le cose precipitano (così a me pare…) e meno ho voglia di sogghignare. Conceda ad un vecchio almeno un po’ di sarcasmo (che non cancella la mia stima per altri suoi interventi). In quest’ultimo, però, che ho preso a bersaglio, volevo semplicemente scuotere una certa sicumera presente nella difesa a spada tratta di Napolitano (del resto e non a caso condivisa da altri: il fu GiusCo, Claudio, tutti giovani suppongo…). E ricordarle che ci sono stati altri tipi di vecchi in Italia, non pentiti di essere stati comunisti, come hanno fatto invece – e senza chiare spiegazioni, (perché uno può ricnoscere la sconfitta e cambiare idea ma non passare necessariamente su sponde opposte) – tutti quelli oggi ai posti di potere nel Palazzo e nei dintorni. E ancora più amaramente, con quei versi di Fortini ( «Hanno portato le tempie / al colpo di martello / la vena all’ ago / la mente al niente»), avvertirla che al caos attuale non ci ha sospinto Grillo (che per me resta un sintomo della crisi, non una causa) ma ci hanno condotto proprio gli eredi scialacquatori di quel che restava ( fino agli anni Settanta) della sinistra. Oggi è palese, per chi ha un minimo di senso storico, l’opera distruttiva di qualsiasi cultura di vera opposizione («Per le nostre vie / ancora rispondevano / a pugno su gli elmetti») prodotta da costoro. Ora davvero il popolo è ridotto a gregge pronto ad applaudire un Capo che – ovviamente per salvarci – fosse “costretto” a gridare «Ammazzateli tutti!». O , più dolcemente e democraticamente «Ignorateli tutti!» (quelli che ancora pensano e protestano).

  13. Ringrazio Mauro Piras per avere pubblicato questa riflessione convincente. Partendo dal bel commento di @rino genovese, vorrei fare a Piras due domande secche e una che proietta questa vicenda sul medio periodo.

    La prima domanda è sul presidenzialismo: vorrei sapere se per Piras questa elezione presidenziale segni una svolta nella trasformazione dell’Italia in una repubblica semi-presidenziale – la politica e la storia sono il prodotto anche una serie di contingenze.

    Una seconda questione è sulla laicità. Mi sembra chiaro che gli italiani laici di sinistra non abbiano rappresentanza politica. Da osservatore esterno, ho l’impressione infatti che Rodotà non potesse essere votato da una parte del PD perché era un candidato laico, con idee precise su temi di bioetica, diritti civili, etc. Il PD non si è dissolto solo per il conflitto fra sinistra riformista e radicale, ma anche fra sinistra laica e cattolica – e le due linee di divisione non si sovrappongono. Volevo sapere che ne pensa Piras. Quello che manca in Italia è proprio ciò che @genovese richiama nel quadro europeo: un partito socialista.

    Infine una domanda sul rapporto fra il ’92 ed oggi. Sono convinto che il problema dell’Italia è che non siamo mai usciti dall’impasse creatasi dopo il ’92 – dalla dissoluzione del sistema politico emerso nel dopoguerra (lo ha suggerito Donald Sassoon). In questo senso non vedo la novità di MS5 e di Grillo – che ripetono ciò che era accaduto nel ’92. Prima si distruggono la DC e il PSI; ora si distrugge il PD – vogliamo continuare così? La ringrazio ancora per il post.

  14. Caro Abate,
    non ci sarà nessun capo che grida “Ammazzateli tutti!”. Per ammazzare, è più comodo e risparmioso il faidate, come all’IKEA.
    Come ritorno di una moda antica, vedo assai più probabile la prigione per debiti di dickensiana memoria. Come da sempre, la Grecia, madre d’Europa e della democrazia, parte per prima (avvertenza: non è uno scherzo, ho controllato sulla stampa greca).

    “[…] Modern Greek imprisoned debtors, for owing the state more than 5,000 euro will “live in humane conditions,” as the ministry of Justice told members of the Parliament on Thursday.
    “The state is seeking a military camp within the limits of Attica prefecture for the housing of state debtors charged with prison penalties, ” deputy Justice minister Kostas Karagounis told MPS adding that the special prison for debtors will improve their detention conditions that will be more humane.
    […]
    Debts and penalties:
    A debtor owing
    5,000 euro may go to prison to 12 months
    10,000+ euro – at least 6 months
    50,000+ euro – at least one year
    150,000+ euro – at least three years”

    http://www.keeptalkinggreece.com/2013/04/18/greek-govt-seeks-military-camp-to-serve-as-prison-for-state-debtors/

  15. Caro Baldini,
    scusi se mi intrometto, ma voglio farle complimenti per l’ottima conclusione del suo intervento:
    “Sono convinto che il problema dell’Italia è che non siamo mai usciti dall’impasse creatasi dopo il ’92 – dalla dissoluzione del sistema politico emerso nel dopoguerra (lo ha suggerito Donald Sassoon). In questo senso non vedo la novità di MS5 e di Grillo – che ripetono ciò che era accaduto nel ’92. Prima si distruggono la DC e il PSI; ora si distrugge il PD – vogliamo continuare così?”
    Lo hanno suggerito anche altri, oltre a Donald Sassoon, per esempio gli italiani Costanzo Preve e Gianfranco La Grassa e l’ambasciatore americano David Thorne, comunque il succo è quello.
    La risposta alla sua domanda finale è: sì.

  16. Ma nessuno governerà mai lo stesso. Lo spazio della politica come mediazione e governo non c’è più: quale governo eletto dai cittadini, quindi in teoria responsabile verso il basso, può imporsi al potere della finanza internazionale, quella che sta in alto? nessuno. Infatti noi da due anni siamo governati dall’alto e abbiamo governi di emergenza. Facciamo le elezioni, togliamo 10 milioni di voti ai partiti al governo, castighiamo il presidente del consiglio di quel governo, e ci troviamo davanti la stessa soluzione, più forte ancora di prima. Gli unici che han provato a far politica sono stati i 5 Stelle, infatti il governo lo fanno contro di loro.

  17. Bè, caro Cornacchia, se un rapporto privilegiato con l’aldilà non ce l’ha un fantasma! Grazie dei saluti dell’Apostolo, ben gentile.

  18. La questione delle due sinistre è centrale. Possiamo anche dire che il PD potrebbe diventare un partito progressista non-di-sinistra, se consideriamo la sinistra dentro la nostra tradizione, come ambito di un progressismo tardo-comunista o pure berlingueriano.
    Il PD deve forse uccidere tutti i padri (da Berlinguer a Moro fino a De Gasperi e Togliatti) e diventare un partito progressista diverso da quello che nascerà da SEL e altre forze “più a sinistra”, come dici tu. E’ una questione di progetto e di racconto. Come ha detto bene Chiamparino, una delle mente più lucide e in grado di guidare un simile processo trasformativo. Ha torto chi dice che il PD è morto. Semmai è morto in quanto partito di “sinistra tardo comunista”. Non è detto sia un male. Dipenderà da quali contenuti e da quali forme saranno in grado di elaborare nel partito. Potrebbe uscirne un partito non dico migliore (è una categoria soggettiva, d’altronde) ma forse più “efficace” nella propaganda elettorale.

  19. “Semmai è morto in quanto partito di “sinistra tardo comunista”. Non è detto sia un male. ” (Del Sarto)

    Infatti da quella morte in poi di male ne abbiamo in abbondanza e ovviamente “migliore” perché non più “tardo comunista” ma in piena libertà.

  20. Il Pd un “partito tardo-comunista”?
    Il PD un “partito di sinistra”?

    Certo, come no…

  21. Caro Rino,
    grazie. E’ vero, la sovrapposizione elezioni del presidente-scelta del governo era nei fatti, ma la prima è diventata una battaglia di bandiera troppo marcata, a causa dei ricatti sul governo. E’ eccessivo. D’accordo su Rodotà. Sulle due sinistre: qui in Italia dobbiamo smetterla di pensare che una sinistra progressista che difenda la democrazia liberale non sia sinistra; è semplicemente la sinistra istituzionale, ma è sinistra. A causa dei compromessi a cui è costretta, genera un’altra sinistra alla sua sinistra. Questo è il quadro.

    Caro Buffagni,
    io e lei valutiamo la situazione diversamente, è una divergenza politica. Napolitano è intervenuto, entrambe le volte, perché i partiti non sono stati capaci. E non si poteva restare con il vuoto di potere (come tante volte è successo nella “prima repubblica”), perché eravamo sotto l’attacco della speculazione finanziaria (novembre 2011), e ora la recessione richiede interventi rapidi. Quest’analisi è rozza, ma non ne ho altre.

    Cara/o s. l.,
    non è vero che il programma del pd prevedeva di governare con Monti, il centrosinistra voleva vincere e governare tra pd e sel. Ha perso, e allora questo progetto è saltato.
    Se il pd è un partito moderato e basta, allora la sinistra non vincerà mai in Italia, perché l’area che voi considerate unica depositaria del marchio “sinistra”, cioè gli ex socialisti-comunisti possibilmente ancora anticapitalisti, rimarrà sempre minoranza.
    Se la politica del M5S è quella di distruggere tutto, la responsabilità è anche ampiamente sua proprio per questo.

    Caro Italo,
    il problema non è l’appello al contesto. Quest’ultimo è interpretato dalla scelta politica, molto semplicemente; questa scelta è un rischio, e il giudizio è dato dall’azione e dal risultato dell’azione. Il risultato delle elezioni è stata la sconfitta di un progetto. Vuol dire che il pd e la sinistra devono ridefinirlo, appunto guardando avanti, sono d’accordo. Ma la politica impone anche delle scelte urgenti. Non possiamo fare finta che non serva urgentemente un governo. Il contesto che mi impone questa considerazione è la recessione economica: per me è più urgente delle aspirazioni alla purezza. Ovviamente, questo mio appello a questo contesto è una valutazione; nessuna è certa e definitiva, è un rischio. Si può non essere d’accordo. Ma io, se penso al tasso di disoccupazione giovanile o al blocco del credito, li ritengo problemi più gravi del fatto di dovermi alleare, data la mia debolezza politica (largamente creata dai “puri” M5S), con alcuni politici corrotti.
    Poi, mentre gestiamo l’emergenza, la sinistra si riorganizzi, anche secondo un disegno ambizioso, che cerchi di superare i limiti del reale. Ma partendo dal reale stesso, non vedo alternative.
    Però, una cosa: non accetto questo snobismo della “sinistra sinistra” per cui chi non è dalla sua parte rinuncia a ogni progetto di cambiamento. Io lotto quotidianamente per un progetto di cambiamento e penso che un progetto politico che tenga conto delle condizioni reali si muova per il cambiamento. Mentre adesso il cambiamento è stato impedito in primo luogo dai suoi profeti ispirati, cioè i grillini.

    Caro Alberto,
    grazie per la citazione. Però mi sembrano tutte chiacchiere. Se, a causa del risultato elettorale e della chiusura autistica dei grillini, il progetto del cambiamento è stato sconfitto, non vedo proprio come lo si sarebbe potuto salvare solo eleggendo Rodotà. Infatti: o non si sarebbe fatto un governo con i grillini, perché questi avrebbero continuato a dire “niente fiducia”, e non fai il cambiamento con un governicchio che sta su con pochi voti raccogliticci, implorando ogni tanto una votazione a favore dei grillini su singoli provvedimenti; oppure si sarebbe fatta l’alleanza, ma la golden share del governo sarebbe stata dei grillini, che ci avrebbero dettato la linea. Io non credo che il programma politico dei grillini sia il cambiamento.
    Infine: al diavolo la parola “inciucio”. O vi rassegnate all’idea che la politica è anche compromesso, oppure rinunciate. Sono stufo, ma davvero stufo di questo moralismo da piola applicato alla politica.

    Caro Larry Massino,
    sa cosa? lei mi sta simpatico, nel contenuto e nello stile. Condivido del tutto la sua prima frase, e in generale la prima parte del suo commento. Non sono d’accordo nel dire che si debbano tenere gli elettori lontani dagli eletti, perchè si rischia di ricadere nel complesso di superiorità della sinistra italiana: “se abbiamo perso è colpa degli elettori”. Questo non lo possiamo dire, secondo me.

    Caro Daniele,
    fino al 1992 era perfettamente possibile eleggere un presidente in tutti quegli scrutini lì, perché il sistema politico era stabilissimo, nonostante la breve durata dei governi, per due ragioni: perché tanto si sapeva sempre chi avrebbe governato e chi no; perchè il contesto internazionale forniva una cornice rigida, e l’economia era sempre in espansione. Nel 1992 la classe politica non aveva ancora capito che tutto stava andando a pezzi, ma la mafia l’aveva capito e ha fatto saltare anche Falcone, oltre al sistema politico. Così si sono svegliati e hanno votato Scalfaro in fretta e furia.
    Adesso, il contesto (di nuovo il contesto; ma la valutazione del contesto che si offre può essere confutata solo empiricamente e praticamente, caro Italo, non con la teoria) rende 6 votazioni già troppe: la crisi economica globale e la recessione italiana; la crisi del sistema politico italiano; il vuoto di potere esecutivo. Ecco la differenza.
    Sull’altra parte del tuo intervento. Bisogna fare scelte coraggiose, ma il problema è capire che non sempre sono quelle tradizionali della sinistra. Esempio: il presidenzialismo. Lo vogliamo o no? Tradizionalmente non è di sinistra, in Italia. Io mi sono convinto, ora, che è molto meglio. Parliamone, come delle altre cose, senza dare del moderato di destra, subito, a chi pone dei problemi. E’ su queste cose che la sinistra è divisa. Il mercato del lavoro, il sistema pensionistico, le opere pubbliche ecc. Niente è banale.

    Caro Baldini,
    grazie a lei, per le sue osservazioni.
    Presidenzialismo: sì, penso che queste elezioni segnino una svolta, per due ragioni: la situazione precedente ha aumentato di fatto i poteri del presidente; questo ha portato a una lotta per imporre un presidente “politico”. Il problema è che le contingenze storiche producono scelte razionali (generano a volte anche una razionalità necessaria – Hegel) solo se gli attori ne prendono consapevolezza e le assumono. Ecco perché bisogna aprire subito un dibattito franco sul presidenzialismo, lasciando da parte le censure della vecchia sinistra.
    Laicità. Qui la cosa è molto complessa.
    1) Attenzione, non basta difendere dei diritti per dire che questi siano difesi bene. In uno stato pluralista le ragioni a favore dei diritti di libertà (coppie di fatto, fine vita ecc.) devono essere tali da non schierarsi contro identità particolari, anche religiose. Lo stato deve affermare questi diritti non a partire da una visione unilaterale dell’autonomia dell’individuo, che può essere solo di una parte, ma a partire dallo status di eguali dei cittadini nell’associazione politica. Rodotà, nei suoi scritti, tende più alla prima interpretazione. Lo stato laico è quello in cui possono esistere dei cattolici laici, che lo sono in quanto cittadini, non in quanto gli venga imposta una idea di autonomia razionale del soggetto che non è loro. La laicità “de combat” dei vari Odifreddi, Flores d’Arcais ecc. fa, secondo me, molti danni alla causa della laicità dello stato, perchè perpetua la guerra ideologica cattolici-non credenti, cioè colloca male la linea di confine, che deve essere invece tra laici (chi sa separare le sfere della convinzione personale e della coercizione politica) e non laici (chi non le vuole separare).
    2) Detto questo, non penso che Rodotà sia caduto per queste faccende di laicità. E’ una cosa del tutto in secondo piano. E non credo che il pd sia crollato attraverso la faglia cattolici-non cattolici. Le faglie determinanti sono altre, perché quella divisione, invece, era molto confusa, in questo caso: il cattolico Renzi ha affondato il cattolico Marini (proposto e sostenuto dal laico Bersani) e prima che venisse proposto Prodi ha detto “Prodi o Rodotà vanno bene”; il cattolico Prodi è stato affondato dai cattolici popolari-fioroniani; il “laico” d’Alema avrebbe impallinato il laico Rodotà con un piacere vicino all’orgasmo; ecc. Qui le divisioni che contavano erano: pro o contro il governo con il pdl; e poi le appartenenze di clan, la guerra per bande.
    Del tutto d’accordo sulla conclusione. Rispetto al ’92-93, un punto su cui riflettere: all’epoca il cambiamento fu incanalato da Forza Italia e Lega, e dal movimento referendario. Sulle prime due, tacet. Ma il movimento referendario aveva lo stesso limite dei movimenti per i beni comuni ecc., e del M5S: mancava di un reale progetto politico, ancorato alle possibilità reali, ma capace di cogliere il bisogno di cambiare. Ha colto solo questo. Idem con i grillini.

    Caro marco codebo,
    per resistere al potere della finanza internazionale ci vogliono istituzioni forti e un’Europa più forte. Il M5S distrugge le istituzioni ed è antieuropeista.

    Caro Gabriel,
    infatti, la sinistra deve liberarsi della sua tradizione tardo-comunista ecc. Deve essere democratico-liberale e sociale insieme. Questa è la sinistra “istituzionale” a cui penso.

    Colgo l’occasione per chiedere scusa ai commentatori del mio post precedente, ai quali non ho finito di rispondere: solo in questi giorni mi sono liberato, ma nel frattempo si è creata questa situazione. Proverò comunque a rispondere appena possibile.
    mp

  22. Caro Mauro,
    permettimi di esplicitare alcune obiezioni alla tua risposta. Mi sono limitato a riproporre un intervento non mio dove veniva semplicemente ribadito un concetto che tutte le tue argomentazioni, peraltro molto ben articolate come al solito, non sono riuscite minimamente a scalfire: perché Rodotà no? Non ho avuto parole mie per esprimermi perché giudico tutta questa storia di uno squallore infinito. La scelta di Rodotà, scelta autorevole – anche, mi pare di capire, secondo il tuo pensiero – scelta che, secondo te, non sarebbe passata perché avrebbe spaccato il PD (come è poi avvenuto con altri nomi, e probabilmente qui hai ragione) – qualora si fosse affermata, avrebbe comunque contribuito a orientare diversamente le successive mosse per la formazione del nuovo governo, anche e soprattutto grazie al fatto che egli è un uomo del PD, mosse probabilmente di segno alquanto diverso di quelle di carattere “conservatore” che l’attuale presidente ci sta per imporre. Al netto di possibili ricatti e compromessi con il M5S che, avendo dei politici forse un po’ più decisi e preparati (e non dico altro), si sarebbero potuti gestire.
    La storia non si scrive con i se e con i ma: è andata come è andata (male, secondo me).
    Riguardo all’appunto sul “moralismo da piola applicato alla politica”, mi stupisce non poco e non l’accetto: dovresti sapere che il sottoscritto, anche per le funzioni e le posizioni nel sindacato che ha dovuto assumere (oltre che per formazione intellettuale di carattere empirico-scientifica) è molto ben conscio che “la politica è anche compromesso”: è un argomento che ho proprio utilizzato di recente contro argomentazioni “grilline” di alcuni nostri compagni in FIOM. Sul sentimento di rassegnazione voglio sorvolare, come anche sulla tua “possibile” svolta presidenzialista – che in un paese come l’Italia (e permettimi quest’ultimo luogo comune da chi è ancora forse affetto da “snobismo della “sinistra sinistra” “) vedo con molto sospetto.

  23. Caro Mauro, grazie del commento sulla Prima repubblica. La mia era un po’ una domanda retorica, condivido quello che dici, anche se aggiungo solo questa perplessità: siamo senza governo e azione politica da quasi due mesi e non mi pare che sia partito un attacco speculativo o d’altro genere verso di noi in questo periodo. Qualche giorno in più per altri scrutini, senza la fretta di scomodare Napolitano, erano proprio troppi da sopportare? Temo che la confusione, l’ignavia, le volgari lotte fra correnti interne al Pd abbiano affrettato il tutto. Insomma: Napolitano ha salvato prima il Pd dell’Italia. Visti gli ultimi giorni, non so nemmeno se pensare che questo salvataggio sia un bene: forse meglio sarebbe stato che si spaccasse (non in mille pezzi, non sono Grillo, diciamo in due tronconi).

    Sai bene che non fanno parte del mio lessico e delle mie idee le accuse di intelligenza col nemico. Dunque parliamone: il presidenzialismo non mi pare una parolaccia, si può fare. Ovviamente non spetta a me, che sono incompetente in materia, dire che una riforma del genere richiede di rivoltare il nostro sistema istituzionale come un calzino e riscriverlo. Se lo facciamo, va fatto bene.
    Io però ho due (istintive) perplessità:
    1) Non vedo un De Gaulle in giro. Vedo altri capipopolo assai meno rassicuranti. Una riforma presidenzialista con Berlusconi in rimonta è pericolosissima. Il fatto che dall’altra parte non ci sia una forza liberal-conservatrice responsabile (il nostro peccato originale che non riusciamo a lavare) ci mette nell’eterno impasse: le riforme costituzionali vanno fatte tutti insieme, la destra italiana è anticostituzionale e a rigore neanche dovrebbe esistere. Vedi quanto spazio hanno quanti, da moderati o da destra stanno tentando di superare il populismo berlusconiano (montiani e, in modo molto meno limpido forse Fratelli d’Italia, dove c’è il rispettabile Crosetto ma si è riciclato pure La Russa): le briciole che cadono dal tavolo del Capo, sotto il cui manto tutti corrono a rifugiarsi non appena si indicono le elezioni.
    2) Ho sentito alcuni analisti in questi giorni parlare di “presidenzialismo dal basso” e “di pancia”. Questa esigenza manifestata in forme così chiassose si è però concretizzata soprattutto nell’azione dei 5stelle, che con quel ridicolo pugno di voti espressi via web pretendono di imporre l’agenda a tutti. Grillo se l’è presa con quei 4 che hanno fatto l’accordicchio nel chiuso delle stanze del potere. E la sua democrazia di base dove votano 50mila persone su 60 milioni di italiani, che cosa sono? Insomma, a me pare che l’enfasi sul presidenzialismo attuale dipenda anche da una distorta percezione del dibattito pubblico dove gruppi non meno piccoli e autistici di quelli costituiti che essi pretendono di sgretolare fanno il bello e il cattivo tempo.

    Infine, sono assolutamente d’accordo con te sui danni che una laicità aggressiva e unilaterale fa al dibattito tra credenti e non credenti. Bobbio scriveva che la differenza non è tra chi crede e non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa.

  24. Caro Piras: anch’io penso a quella sinistra. La chiamo “necessità di partito progressista non-di-sinistra” solo per evitare confusioni, ma so che trattasi di sinistra.
    Adesso viene il punto: quale narrazione? Occorre uscire da uno stile “comico” (cui troppo spesso fa riferimento Renzi), basso seppur tagliente, da Inferno dantesco, per accedere uno stile alto, tragico, proprio dell’epica. Posso mantenere un “frame” comico, ma il contenuto dovrebbe rimanere epico (Don Chisciotte?). Da questa narrazione può uscire il gruppo dirigente, e perfino un leader efficace, che guidi tale sinistra. Né più né meno di quello che, a ben vedere, ha segnato la rinascita dei democratici americani dal 2006/07, che così sono stati capaci di uscire dalla prigione bushiana della “guerra al terrore”.
    Dalle gabbie costruite dalle narrazioni conservatrici ci esci solo con l’epica, non con la commedia (soprattutto se è ‘all’italiana’).
    Ecco, questo fatto del racconto e dello stile del racconto (da raccordarsi coerentemente col contenuto) è centrale. Più delle idee in materia economica.

  25. Caro Piras, la ringrazio molto per la sua dettagliata risposta: ho imparato molte cose e mi ha dato molto su cui riflettere. Vorrei solo precisare due cose sulla laicità – anche se è un’argomento secondo lei secondario, vorrei evitare di essere frainteso.

    Sono d’accordo sul fatto che l’idea di laicità di Odifreddi sia sbagliata. Non si tratta di schierarsi contro forme di vita e orizzonti di senso religiosi (per esempio mostrandone l’irrazionalità, etc. ), ma di rendere possibili e difendere forme di vita e orizzonti di senso non religiosi. Difendere la possibilità che i cittadini abbiano forme di vita e orizzonti di senso particolari mi sembra uno dei compiti della politica in uno stato e in una società pluralisti.

    La sua definizione di “stato pluralista” mi va benissimo, se non fosse per un aspetto – se ho capito bene quello che lei intende. Io non vedo “diritti di libertà” da una parte e “identità particolari” dall’altra; vedo forme di vita e orizzonti di senso diversi da ogni parte. Ho l’impressione che in Italia manchi proprio uno stato pluralista dove i diversi orizzonti di senso siano resi possibili e difesi – entro i limiti definiti dalla costituzione. E non mi sembra che in questi anni il PD abbia avuto le idee chiare su questo punto o abbia fatto alcunché – ma forse mi sbaglio. Grazie ancora per la sua attenzione.

  26. @ lo vetere: si’, e’ questione della possibilita’ di azioni di diverso genere. di leggere quella scelta in una matrice ampia, anche per vedere dove le alternative possibili si sono chiuse. Che dove si giunge ad accettare che vi sia una sola soluzione possibile, allora non ci sono piu’ propriamente scelte da compiere, e quindi viene meno lo spazio della deliberazione democratica. ho cercato di rispondere ulteriormente nei post alla teoria di napolitano

    @ piras: Caro Mauro, credo invece che l’appello all’evidenza del contesto sia uno dei problemi centrali. E il problema va affrontato anche teoricamente perche’ gli argomenti spesso adduciamo a favore di determinate descrizioni “d’urgenza” del contesto “crisi economica” (o “crisi politica”) non sono affatto empirici, non sono empiricamente confutabili (prendi l’argomento aumento spread: quando c’e’ l’aumento, viene usato per imporre l’urgenza di fare questo e quello; quando non c’e’ – magari proprio in assenza di governo – viene usato per impone l’urgenza di fare questo o quello perche’ l’aumento potrebbe esserci). Quanto poi all’urgenza politica di fare un governo per rispondere all’urgenza della crisi: c’e’ da chiedersi quanto realistica sia questa urgenza, se essa non contenga una sopravvalutazione idealistica dell’efficacia dell’azione di governo del potere esecutivo – dopo tutto, molto meglio non essere governati che essere governati male – e insieme una sottovalutazione della urgenza politica di salvaguardare la politica democratica, il cui spazio è piu’ ampio e fondamentale di quello del governo non solo in senso ideale ma anche in senso istituzionale (dopotutto siamo ancora una democrazia parlamentare: a meno di non pensare che una certa descrizione “d’urgenza” del contesto gia’ imponga di fatto e di principio una nuova forma costituzionale)

  27. Un programma di destra per un governo presieduto da un rappresentante di centro-sinistra e puntellato da esponenti della sua coalizione…

    Vorrei chiedere a Piras se era quello che intendeva o a cui mirava quando scriveva, in risposta ad un commentatore:

    Infatti, la sinistra deve liberarsi della sua tradizione tardo-comunista ecc. Deve essere democratico-liberale e sociale insieme. Questa è la sinistra “istituzionale” a cui penso.

    Saluti.

  28. Mah, tutto sommato poteva andare molto peggio, l’elezione del presidente della repubblica, oggi. Soprattutto se confrontata al disastro di quasi due anni fa. Forse non è così vero che il “patto del Nazareno” serviva a fare i favori a Berlusconi. E forse Renzi non fa così male al PD.
    L’unica continuità, rassicurante, è il “no no no” dei grillini.

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