di Giovanna Frene
[Pubblichiamo sette testi dal volume di Giovanna Frene, Datità, ripubblicato recentemente con alcune varianti da Arcipelago Itaca, assieme alla postfazione scritta da Andrea Zanzotto per la prima edizione (Manni, 2001)]
Historein
Il preludio eroico preludeva al niente
o meglio serrato sembrava enumerare tutti i suoi possibili postludi
secondo un ordine di ordini dettato dal disordine
e dunque bisognava prima mutare la legge del gioco
generare siepi possibilmente con contenuto
perché essere così tragici se si può essere così leggeri
voce cinerea come il piacere (ti) guida di nuovo
alla terraniente della (mia) perdita postulata
perfezione commossa degli alti ingegni
ingenua anche la cultura cura sofisticazione
sofferta sì dei sospiri ma non dei respiri puri
sparsi in ordine ai preventivi sensati soffocamenti
menti ancora (tu, sì) una volta insensatamente giocando
con i relitti della (mia) mente trafitta dai fragori del cuore
………………………………correre
preludendo alla morte si corre infine tutta la vita
………………………………è corsa
PRO
Fare astrazioni della realtà che ne sarà del corpo
posso non condividere l’idea che voi ideate/ideiate
delle due idealità nessuna è più valida tutto passa
amerebbe ciò che è suo il mondo vomiterebbe ciò che è mio
dell’infanzia piantagione in breve tempo seccata in un momento
dopo la luce dell’essere il passato del non essere non (si) appartiene
all’organizzazione legalizzata delle cose civili candide apparenze del non essere
essere momentaneo breve vanità esibita in condivisione concordate
a causa di che cosa fare per riempire l’idea per applicare immediatamente
nel contesto/cotesto l’esistenza pestilenza solo per le astratte menti putate “d’altri tempi”
per chi dialoga con i morti più vivi dei vivi per chi gioca
con l’immortalità apparenza dell’essere interiore reale mutazione
partecipazione all’essere
………………………………………tutto passa
Pseudosonetto
Preparate le case perché vengano abitate da altri le preparate
nella letizia dell’incoscienza la scienza degli idioti vi guida
precisamente nel baricentro della fossa amorosa sposa
della morte le purificate queste case edificate in mezzo al giardino
divino le purificate dal bene dal male
dalla notte e dal giorno niente sorge intorno alle vostre babeliche
dimore muore ogni altra costruzione è luce è ombra non opaca
divisione delle cose che voi fate e rifate senza riposo delle mani
domani tutto questo non sarà vostro fabbricate tangibili suggestioni
illusioni di sabbia al vostro tocco roccia per gli eredi di amore
le fedi del cuore altra cosa da voi insaputa nel progetto (rigetto
la ragione la sensibilità e l’intelletto m’inarco a sesto acuto tra archi
a tutto sesto) sembrano rimbombi di passati abbandoni costruite le illusioni
perché vengano indossate da altri non io
Meditazione d’agosto
“Così mi circonfulse luce viva…”
(Dante, Paradiso XXX)
Finirà anche questo caldo – come pensare
che le cose durino in eterno in questo istante
è così evidente che la mente non perisca?
la vita ci ha abituati ad esistere
…………….dal principio
(è proprio così non trovo altre spiegazioni) in questo
estremo sole identico al suo principio abbagliati dalla luce
concepita sì come pensiero pienamente percepito delle stasi
del calore ma forse che per questo non muore in ogni caso
…………….dal principio
in un solo giorno si oscurò il sole anche così nulla
fu soppresso al divenire morte dell’essere non credo che eros
illumini alcunché altra è la luce che si approssima
all’immobile calore della stasi momentanea
…………….dal principio
ho dalla mia parola e giovinezza immaginate
in questo istante di statica contemplazione sì del mio pensiero
sole nel nero dell’impensabile lontanamente avvertibile
fine fuori della mente appena accadente nei fatti eterni
…………….dal principio
finisce anche – così è – proprio l’inizio appena è
la significazione si stampa al calore della morte non si muore
anch’io seduta al sole dell’inattivo vivo un momento solo
un’illusione ineterna che eterna sia questa e statica ascensione
questa sublime sospensione
…………………………………….del vero male
……………………………………………………(e dello scrivere)
*
a che cosa ti paragono essenza?
secondo il transito sei la costanza
cuneiforme inserita tra giorno e giorno
come un legno imbevuto così concresciuto
su se stesso da dimorare nel ventre del mentre
secondo la staticità sei la voce dell’identico
instabile che friabile si sgrana nella mente
come un osso combusto per tale fiamma
devastante da polverizzare l’istante del pensare
Sestina ripassata
il tempo s’infossa e s’inarca nel tempo
va e viene prestabilito e inconosciente
dissente in sostanza da ogni visione umanata
umana natura diseredata dalla coscienza
se fosse un terrore inesatto del vento tenue
di ponente la padronanza di ogni vita emanata
emana frammenti di liquido vischioso teso
fessata la roccia da un tempo ventoso
evanescente siccitosa sete in mente eternata
e terna innata ricomposta inamidata in uno
la coscienza fluttuante ripensa al vento primo
vereo nell’eterno (s)fiorire del vento meglio invernato
( – tutto è stato) (neve del Soratte, rovine –)
Anti-baudelairiano
quello che il nostro essere incompleto chiama assenza
è l’unica presenza tollerata da chi non vuole
impartire ordini precisi alla materia temporale
disposta in archi elisi da chi non può volere
il mondo che non acclude il potere se non umano
ma la natura include/esclude ogni oggetto del vero
sentire naturale ad ogni retrospettanza caro
imposta sostanza storica traiano-vorticosa:
stende la mano per volere non più supremo
nel mondo involontario dell’anti-rappresentazione
lo scriba a stento trattenuto apparso nel giorno estremo
e anche tu non puoi sapere quello che farai
con l’arto disseccato di un albero mai vissuto
infetto proferetro salutato dalla non-salutazione
Postfazione a Datità
di Andrea Zanzotto
Non è certo possibile in brevissimo spazio dar conto di una presenza estremamente intensa che affiora da strati psichici situati ben prima di qualunque consapevolezza o (peggio) sapienza letteraria. Ma queste pure esistono nell’esperienza di Giovanna Frene, sempre più facendo convergere nel tempo i loro molteplici aspetti. Se ne ha un senso di una realtà propria che si stringe a sostrati in cui “qualcosa non c’è ancora” e si rifiuta all’essere poetico nel significato corrente, perché è mosso da una torsione che “stacca” nel momento stesso in cui risulta “attingere” e “concernere”. E non si potrà ignorare, allora, l’irrinunciabile pratica dell’autrice anche nel campo dell’acquaforte-incisione, di tagliente nettezza (quasi una “sponda opposta”). Si capiranno così gli espliciti riferimenti ai temi di una spartizione feticistica, per cui un corpo presunto “santo” in qualche modo viene diviso-comunicato, e così una psiche nel suo quasi inconcepibile spostarsi-sformarsi nel tempo, misura di un resistere. Nel presente caso s’infiltrerà inoltre l’obliqua suggestione di temi riferiti al vicinissimo conterraneo Canova, il cui Tempio “inganna” tutto l’insieme di paesaggi nei quali sempre più è cresciuta la dissonanza: non solo in quelli propri della terra, ma ormai anche negli animi che se ne sono nutriti, e non riescono a disincarnarsi come da un’infanzia dolcissima e ricchissima, che diventa piaga e crosta di piaga.
Restano alcune figure fondamentali dell’itinerario personale dell’autrice, ma non possono davvero né prevalere né consistere; e Canova torna come splendore fisico unificante, che tuttavia nella realtà tombale è spartito: mano, cuore e resto in tre diversi luoghi. E le ferite psichiche sono tutte dati metatemporali che s’appellano alla poesia o premono per consegnarsi a un suo ultimo mitificare-mistificare. Il discorso dà origine a un affannoso affastellarsi e a un incalzare, che delineano i più rari e diversi campi sintattici e semantici.
Si potranno trovare in queste poesie echi di autori di sempre e di contemporanei, per non dire di coetanei, ma è tipico di Giovanna Frene spostare le pedine o meglio le statuine dei suoi interiori Penati, dei suoi Manes di fitto primordio come di passioni mai pienamente attualizzate; appare un teatro immobile che però ha personaggi tutti in atto di scattare. Non si registrano peraltro comunanze con esperienze in apparenza simili, ma che hanno sempre bisogno dei fatti del giorno e dell’informazione su cui pattinare senza spendere soverchie energie. La storia – anche di ritmi, di moduli metrici – esiste in questa poesia ma non è storia, è ressa. Ogni dato ha l’autorità di una specie di kairòs tanto più evanescente quanto più crudo. Ma se tutto trafigge sia entrando che uscendo, tutto si compatta in una crescita sicura (pur sempre in un’area di indecidibili). Queste poesie, perché tale è il termine che bisogna impiegare senza paura, chiamano a un confronto il lettore, chiamano l’avanzare di un proprio tipo di lettore. Del resto, il lavoro di Giovanna Frene ha già avuto numerosi riscontri in riviste di buon livello e in seguito a precedenti pubblicazioni. Fatti secondari.
[Immagine: Helen Frankenthaler, Pink Field (1962), © 2016 Helen Frankenthaler Foundation, Inc./Artists Rights Society (ARS), New York, Photography by Rob McKeever.