di Sergio Benvenuto

 

1.

 

Mi stupisce che non ci si sia molto stupiti del fatto che, da quando è scoppiata l’epidemia da coronavirus, i corifei dei “diritti civili”, delle “libertà elementari del cittadino”, del “diritto alla libera scelta se vaccinarsi o meno”, insomma, di tutto ciò che è protesta libertaria contro divieti e imposizioni di uno stato severo, siano per lo più esponenti della destra, soprattutto estrema.

Proprio mentre scrivo (9 ottobre) manifestanti neo-fascisti “no-vax” devastano il centro storico di Roma al grido “Libertà!”

 

Trump si è distinto per una sistematica sottovalutazione dell’epidemia da coronavirus, gli stati repubblicani degli USA sono stati i più restii a imporre un rigido lockdown. In Italia, Lega e Fratelli d’Italia si sono fatti paladini della difesa della libera scelta se mantenere la distanza sociale, se vaccinarsi o meno… La stessa destra che nega alla donna la libertà di abortire, che vuole più polizia e più Ordine, che vorrebbe negare agli omosessuali certi diritti, che ammira despoti vecchi e nuovi (a cominciare da Putin e Orbán)… questa stessa destra si fa portavoce di anarchismo individualista.

 

Molti hanno denunciato la contraddizione. Ma denunciare le contraddizioni di un discorso politico non è mai veramente capirlo. In fondo, qualsiasi narrazione politica, vista dall’esterno, è sempre piena di contraddizioni. Capire una narrazione politica non è accettarla, ovviamente, ma è mettere allo scoperto i suoi moventi profondi, “inconsci”. Anche le idee, le teorie, hanno un loro inconscio. Le narrazioni politiche contraddittorie esprimono sempre una loro “logica”.

 

2.

 

Gran parte di quello che si riconosce come elettorato di destra ha un solo vero interesse fondamentale: che gli si risparmi di dover pensare politicamente. È la donna e l’uomo che dice “Mi si lasci lavorare in pace! Voglio occuparmi solo degli affari miei”. Il punto è che la politica è occuparsi non solo degli affari propri, ma anche di quelli degli altri. Politica è sempre immischiarsi nelle faccende altrui. Pensare politicamente significa non accontentarsi della Mano Invisibile di Smith, ma porsi il problema di una Mano ben visibile, quella dello stato, delle leggi per tutti, degli interessi non solo miei.

 

Siccome però ogni tanto occorre andare a votare, per quale partito voterà chi vuole essere liberato dalla politica? Per un partito, di solito di destra, che dice in modo esplicito o implicito quel che lei o lui vuole sentire: “Continua a occuparti tranquillamente degli affari tuoi! Alla politica ci pensiamo noi”. Si tratta ovviamente di un progetto insostenibile, ingannevole: quando un governo decide, necessariamente deve accontentare qualcuno e scontentare qualcun altro, è difficile fare una politica di vantaggio universale per tutti. (Questa è un’evidenza che bisognerebbe ricordare anche alla sinistra, che parla spesso di Popolo come se esso non fosse diviso.) E si decide di scontentare qualcuno e accontentare qualcun altro sulla base di una certa idea di Bene sociale comune. Ma l’elettore tipicamente di destra non vuol sentir parlare del Bene comune. Essere di destra è volere un quadrato rotondo: avere una politica che dispensi dalla politica.

 

La demagogia di destra si basa di solito su questa turlupinatura. Per esempio, quando Berlusconi cavalcava il populismo, disse “con le tasse lo stato mette le mani nelle vostre tasche!” È quel che l’Uomo Qualunque vuol sentirsi dire. Non è soltanto un invito sghembo a evadere le tasse, è affermare la narrazione secondo cui “conta soltanto il tuo interesse personale!”, e in effetti nessuno di noi è contento di pagare le tasse. Anche persone di estrema sinistra del ceto medio trovano che le tasse che loro devono pagare sono sempre troppo alte… Ma il demagogo non dice che senza le tasse non possono funzionare i beni comuni che assicura lo stato: scuole, ospedali, strade, ferrovie… (E così Mario Monti, da presidente del consiglio, rovesciò la blandizia berlusconiana dicendo “Chi evade le tasse mette le mani nelle tasche di chi le paga!”) Il demagogo sfrutta l’illusione che ci possa essere una politica in-politica, una politica che mi dispensi di pensare alla Polis.

 

Si è tentati di dire che la destra si caratterizza allora per la negazione della realtà, come accade con il negazionismo ecologico. Tutta la destra detesta Greta Thunberg, per essa il riscaldamento globale dovuto all’uomo è una bufala. Ora, a fil di logica, preoccuparsi dello stato fisico del pianeta non dovrebbe essere né di sinistra né di destra, dovrebbe essere un problema degli esseri umani in generale. Eppure essere di destra equivale spesso a negare il cambiamento climatico prodotto dall’uomo. La ragione profonda, a mio parere, è che il rigetto della politica da parte del “qualunquista” si estende a quella Polis che è l’umanità intera: egli non vuole che il proprio particulare venga disturbato dalla considerazione dell’universale. Se l’homo di destra rifiuta di occuparsi degli interessi generali della propria società, figurarsi degli interessi generali dell’umanità! Come disse Trump, “America first!”, ovvero pensiamo soprattutto a noi americani, che gli altri si arrangino. Che il pianeta se la sbrogli da solo!

 

3.

 

Ho detto l’Uomo Qualunque. Prese questo nome un movimento fondato da un commediografo napoletano (già la politica-spettacolo!), Guglielmo Giannini, nel 1945. Durò solo un paio d’anni, ma ottenne risultati elettorali clamorosi soprattutto al Sud. La politica dell’Uomo Qualunque coincideva con un appello all’anti-politica: “diamo voce all’uomo qualunque che paga troppe tasse, che non vuole che gli si rompano le scatole!” Appunto, la politica è rompi-scatole. La politica mi impone la mascherina e il vaccino, oggi.

 

Di fatto, l’Uomo Qualunque era un movimento che ricompattava l’opinione fascista. Lo stesso Giannini, poi, rifluì nel partito monarchico di destra. Nell’immediato Dopoguerra non ci si poteva dire filo-fascisti, perché non bisogna mai schierarsi con i perdenti. Allora i fascisti presero a dire: siamo Gente Qualunque. Da qui viene Cetto La Qualunque, l’eroe grottesco di Antonio Albanese. Ma qui è la terribile complicazione di quella che chiamiamo mentalità di destra.

Il paradosso è che del fascismo si può dire ogni male, tranne che fosse qualunquista. Al contrario, il fascismo puntava su una politicizzazione intensa della società (in questo simile al comunismo): la società doveva diventare tutta fascista, insomma tutta politica. “Credere, obbedire, combattere”: Mussolini sognava un paese di eroi, non di gente qualunque. Da dove viene allora questa promiscuità tra fascismo e qualunquismo?

 

Come si vede, è la stessa contraddizione delle destre di oggi. Da una parte agitano ideali trascendenti (la patria, l’identità nazionale, la religione), dall’altra dicono alla gente “occupati soprattutto degli affari tuoi!” Come riesce la destra a essere allo stesso tempo idealista e qualunquista? Patriottarda e menefreghista? In effetti lo slogan fascista “Me ne frego!” ha lasciato spesso interdetti. Fregarsene di che? Non certo della guerra patriottica, del duce, dell’Impero italiano, del “Dio patria famiglia” (trinità di ogni destra)! Qual era l’oggetto di cui fregarsene? (Lacan avrebbe detto: fregarsene dell’oggetto a…)

 

Da dove viene questa doppia faccia dell’homo di destra, una affascinata da valori sovrumani e l’altra invece individualista anarchica?

Il punto è: se tutte le restrizioni dovute all’epidemia fossero venute non da un governo democratico, foss’anche di destra, ma da un Putin o da un Xi, l’homo di destra le avrebbe accettate? Secondo me sì. Da qui il sospetto: l’homo di destra rivendica le proprie libertà individuali, proclama “del Bene comune me ne frego”, quando non c’è un Duce. In termini psicoanalitici: il proprio narcisismo è la sua risposta all’eclissarsi dell’Altro.

 

In sostanza, quest’homo non ha rispetto per la democrazia, anche se dice di accettarla. Uno stato democratico, che quindi tende a esprimere le varie componenti della società, anche quelle più contraddittorie, non ha veramente autorità per lei o lui. Solo il Duce ha autorità. Il sistema di valori dell’homo di destra è tutto in bianco o nero: se c’è un Duce, allora Gli obbedirò e combatterò; se non c’è, allora sono uno qualunque che bada solo agli affari propri. Tra questi due estremi, non c’è spazio per la democrazia, ovvero non c’è spazio per la politica.

 

4.

 

Questa scissione – Freud la chiamava Ichspaltung, divisione dell’io – è molto sottile, fino al punto che molta politologia non la coglie. La scissione è in questa oscillazione tra tutto o niente: o ci si assoggetta a quello che Ernesto Laclau chiamava un significante vuoto (duce, Führer, Patria, Razza…) o si è solo un soggetto anonimo e anomico. Per un certo verso l’homo di destra è ateo, cinicamente egoista; per un altro verso si sottomette, si assoggetta, a un Altro monumentale. Un personaggio del film Salò-Sade di Pasolini (1975), un sadico gerarca fascista, dice a un certo punto “noi fascisti siamo i veri anarchici!” Affermazione paradossale, dato che l’ideale fascista era di trasformare la nazione in una caserma. Perché gratta gratta nel militante fascista troverai un anarchico? E perché molto anarchismo spesso si mostra attratto dal fascismo, come fu il caso di personalità del tutto anticonformiste come Knut Hamsun e Céline, per dirne alcuni?

 

Ci troviamo qui di fronte a uno dei grandi problemi della soggettività politica. Non meno problematica di quella che chiamerei la Singolarità Max Weber: come è potuto accadere che delle sette calviniste, nate sulla base di un rigetto totale della società mercantile, siano divenute, di lì a poco, le religioni ambientalmente più propizie al grande sviluppo finanziario del capitalismo? Quale “logica” regge questi rovesciamenti in realtà così frequenti?

 

Vorrei qui contribuire ad aprire la riflessione, non certo a chiuderla, perché non ho nulla per chiuderla.

Dirò solo che il fascismo mi pare essere un sotto-prodotto politico – paradossale – dell’individualismo borghese, di una società insomma che ha fatto dell’emancipazione individuale, della libertà del singolo, dell’autenticità delle sue scelte, i suoi ideali fondativi. Questo ideale per molti può reggersi solo se un altro lato della soggettività si assoggetta a qualcosa di trascendente, all’Altro. È come se la soggettività moderna potesse reggersi, come un tavolino, su almeno tre piedi: un piede è il menefreghismo individuale, un altro piede è l’abbracciare una Causa, il terzo piede è l’assoggettamento all’Altro, umano o non-umano. Il fascismo è allora un prezzo necessario da pagare, una spada di Damocle costante, della democrazia moderna, che punta all’emancipazione di tutti e di ciascuno. È come se l’ideale emancipativo del soggetto, la “soggettivazione” come la si chiama oggi, avesse molto spesso bisogno, per sostenersi, o della deriva verso un cinismo anarchico, o verso l’obbedienza cieca all’Altro.

9 thoughts on “Fascismo libertario

  1. In realtà, a mio parere, non c’è contraddizione tra Fascimo che nega la libertà individuale e il qualunquismo-individualismo-anarchismo, che invece esalta la libertà individuale. L’affermazione di una libertà assoluta a livello individuale coincide con la negazione della libertà collettiva, perché se i singoli facessero ciò che vogliono la società imploderebbe e quindi si negherebbero di fatto libertà e possibilità a tutti.
    Il Capo, il Duce sono figure in cui si riversa l’ideale di una potenza e di una libertà assoluti, sono figure divine, onnipotenti, frutto della proiezione (come già diceva Freud) da parte dei singoli individualisti-anarchici-qualunquisti del proprio desiderio di potere e libertà assoluti. Ovviamente, una volta che un Duce sale al potere incarnando questi ideali di libertà assoluta proiettati su di lui dai singoli, la sua libertà assoluta coinciderà giocoforza con la perdita di libertà dei singoli che governa e quindi della società.
    La sottomissione al Duce è naturale per i singoli individualisti perché è la sottomissione al proprio ideale di forza e libertà assoluti incarnato dal Duce.

  2. Dite a Sergio Benvenuto che quel che ha scritto è un “rigurgito” delle vecchie idee di mezzo secolo fa che i comunisti avevano verso ciò che non era parte del loro pensiero: dalla DC reazionaria al PSI che l’appoggiò negli anni ’60 e al corollario di tutti gli altri partiti che fecero con essa i governi (fin all’ultimo pentapartito e al colore di Centro Sinistra, con il solito Andreotti immanicato nella mafia siciliana a reggere le file dal dopo Fanfani). Leggere ‘fascista’ come lui fa quel che è successo ieri, è paranoia pura, e filo governativismo di maniera che dovrebbe lasciare ad altri. Sproloquiare come ha fatto sulla strada del perbenismo edulcorato (sempre filo governativo) è deleterio e offende la ragione di chiunque, anche quella dei ‘sinistri’ di questo Paese. Si legge la realtà non con i pre-giudizi del Dopoguerra, o con le lenti colorate di rosso… ma con spirito critico e capacità seria di analisi di quanto accade. E se al green pass si risponde con violenza, si rifletta sul fatto stesso della violenza dell’imposizione. State bene, signori.

  3. Non c’è bisogno di conoscenze storiche straordinarie per vedere che l’assalto ai palazzi del potere (Capitol Hill o Palazzo Chigi) non nasce da un immaginario di destra (i fascisti non lo fecero mai, al massimo lo minacciarono: “Di quest’aula sorda e grigia…”): mima piuttosto la presa della Bastiglia, delle Tuileries o del Palazzo d’Inverno.

  4. Non sono d’accordo con quanto scritto, O meglio: è una parte dell’interpretazione dell’essere uomo di destra. Ciò è possibile. Ma non coglie lo spirito generale di ciò che sta accadendo. Rispondo con quanto riporto qui di seguito.
    Ho guardato il programma di Annunziata su RAI3 el 10.10.’21. Una forte delusione dei politici e giornalisti che sono intervenuti, a meno di poche frasi. Qual’è il problema? La Televisione tutta e i giornaloni tutti, hanno interpretato il fenomeno di ieri “esclusivamente” come un fenomeno di estrema destra o fascismo. Questa visione è da ignoranti con i paraocchi. Tutti hanno glissato sul fatto che, anche con la presenza di alcune frange violente, l’insofferenza mostrata nelle piazze di varie città è una insofferenza generalizzata e presente in una buona fetta della popolazione italiana. Se si viaggia in internet si può accedere ad un elevato numero di filmati con il cellulare che mostrano piazze e comportamenti alquanto lontani da quelli mostrati dai media ufficiali in cui hanno ripetuto fino alla noia solo i tafferugli dell’estrema destra. Ma il quadro generale è alquanto differente. Lo percepisco solo io? Dubito. Due punti che questi politicanti e pseudo-intellettuali non hanno considerato (credo per stupidità congenita). 1° – Quando si riferiscono alla nascita del fascismo in Italia, ipotizzando che i fenomeni di oggi potrebbero avere delle similitudini, si dimenticano che la situazione economica e politica in Italia a quel tempo era terribile, degenerata e vicina a possibili fratture sociali gravissime. La nascita del fascismo fu una soluzione che permise di ritrovare un ordine ed una opportunità di sviluppo economico molto rilevante. 2° – Perché questi politicanti del cavolo non si chiedono se non sono stati loro che hanno portato il nostro Paese in uno stato di pre-rivoluzione sudamericana, … senza riflettere quale possano essere stati gli effetti, a lungo termine, di una politica che non ha risolto alcun nodo sociale rilevante, che hanno mostrato un livello di corruzione elevatissimo (roba, ancora, da sudamerica), che hanno permesso una sperequazione economica tra i cittadini troppo grande, ecc… e che, per finire, si presentano con un Governo che viola la Costituzione ed i Diritti dei cittadini all’interno ad uno Stato di Emergenza con la massima indifferenza e come se la popolazione sia ormai diventata insensibile a qualsiasi ingiustizia venga perpetrata a suo svantaggio. Io, una cosa così l’ho vista solo in Africa (Ghana e Nigeria)… in questi Paesi la politica non aiuta la povera gente, e la povera gente cosa fa quando va in chiesa a pregare? Pregano il loro Signore perché aiuti i loro capi (politici e di altro genere) affinche permettano loro di poter vivere un altro giorno.
    Non so se Dio avrà pietà dei nostri politici, io no!

  5. “ Lunedì 14 novembre 2016 – Il « clima »: non è un’opinione, è una fede. Ho appena sentito parlare di « negazionismo del problema climatico ». “.

  6. Trovo la riflessione molto interessante e coerente. Non la condivido in toto però. Affermare che “Gran parte di quello che si riconosce come elettorato di destra ha un solo vero interesse fondamentale: che gli si risparmi di dover pensare politicamente.” è semplicemente insufficiente. Vale benissimo per quella gran parte di cittadini che si astengono, che non si interessano alla politica in modo attivo e copre quindi la maggioranza della popolazione (stima mia, ovviamente). Credo che la società si sia trasformata, in questo ultimo quarto di secolo, e le analisi così “categoriche” non riescano a descrivere correttamente il fenomeno. I manipolatori violenti ci sono sempre stati e sempre ci saranno; usano quella forma perché la ritengono, per i loro fini, l’unica perseguibile. Tutto e subito mi pare sia il mantra.

  7. I DUE SERGI

    A.
    Dirò solo che il fascismo mi pare essere un sotto-prodotto politico – paradossale – dell’individualismo borghese, di una società insomma che ha fatto dell’emancipazione individuale, della libertà del singolo, dell’autenticità delle sue scelte, i suoi ideali fondativi.
    (Sergio Benvenuto)
    +
    B.
    Faremmo bene a liberarci dagli stereotipi che abbiamo sempre usato per definire l’estrema destra, in particolare dagli stereotipi del nazismo o del fascismo. Dobbiamo parlare oggi di un “neonazismo senza Hitler”, perché il nazionalsocialismo degli anni 30 come l’abbiamo conosciuto prima e dopo le sue mostruosità, era tutt’altro che un’ideologia individualista, anzi, si fondava sull’idea di Volksgemeinschaft, di comunità di popolo e perdipiù “tedesco”.
    (Sergio Bologna [https://www.officinaprimomaggio.eu/non-regaliamo-allestrema-destra-lidea-di-liberta/?fbclid=IwAR0MbVGTlpqMxAFHXzSbpFaWMdZVDSYU95Ak4E5H7ulYr9BRK6XcL6S2AIA])

  8. Visto che viene ricordato anche il contributo di Bologna, che ho letto anch’io e su cui ho riflettuto a lungo, lascio un pensiero.
    L’uso del termine “fascista” in questo paese è una clava morale che chiude ogni possibilità di riflessione, confronto e dibattito. Viene rivolta non solo ai dichiarati neofascisti, ma spesso a gruppi indeterminati di persone. In Germania, per fare un esempio che conosco da vicino, nessuno si sognerebbe di brandire il termine “nazista” con la stessa facilità, sicumera e con piglio tanto autoassolutorio.
    I contributi dei due Sergi hanno come presupposto l’equazione no vax=estremismo di destra=fascismo, lasciando – a me pare, o forse è una mia limitazione – in un certo grigiore la categoria “no vax” (mi rifiuto di pensare infatti che qualcuno creda che chiunque abbia deciso di non vaccinarsi sia automaticamente sussumibile in questa equazione e quindi un fascista).
    Fino a qualche settimana fa anche buone parti di quella galassia di persone contrarie a vaccino e GP dava con rabbia del “fascista” al governo e a i si-vax (di nuovo: qualsiasi cosa significhi questa categoria, perché di nuovo mi rifiuto di pensare che qualcuno creda che chiunque sia vaccinato sia sussumibile nell’equazione speculare “sì vax”=correo di una dittatura sanitaria=fascimo.)
    E allora, con chi parliamo davvero, quando usiamo la parola “fascista”?
    Perché non siamo in grado di trovare parole nuove, migliori di quelle scivolose e umbratili come “fascista” nel nostro paese, più adatte per descrivere una realtà complessa e un giustificato dissidio, lasciando aperta la possibilità di un confronto con almeno parte della fazione avversa?
    Dare del “fascista” al proprio avversario è una scorciatoia tanto comoda quanto inutile: 1) (auto)pone chi formula il giudizio automaticamente dalla parte dei “buoni/democratici/giusti”, 2) pone chi è accusato di essere un “fascita” in una posizione di totale deligittimazione morale e intelettuale (sia esso il male assoluto oppure il cretino che si lascia manipolare dal male assoluto), e quindi senza diritto di replica e controargomentazione 3) crea infine una narrazione manichea in cui o si vince tutto o si perde tutto in un clima da fine dei tempi.
    Un’impostazione del genere partorisce insomma un discorso che mira solo a rinsaldare le fila (o con me – che sono buono – o contro di me – se sei un fascista), non a creare spazi di comprensione e confronto. Radicalizza insomma l’arcinota dinamica amico-nemico. E radicalizza quindi le relative posizioni. Insomma, è un gioco facile, in cui sostanzialmente si parla a chi è già d’accordo con noi, non si cercano soluzioni, perché impostato così, andata a puttane qualsiasi forma di argomentazione razionale (non possibile se il mio interlocutore è delegittimato dal proferir verbo), l’unica finalità è quella di convertire o costringere il fascista di turno.
    Secondo me non serve a nulla, tanto meno nella situazione disastrata in cui siamo, in cui il tessuto sociale è sfibrato e nessuno – ripeto nessuno – sembra minimamente interessato a raffreddare un po’ i toni e trovare assieme una soluzione. Ma appunto, forse a nessuno interessa confrontarsi, capire e trovare una soluzione per tutti, perché appunto comunque i giochi sono fatti: noi siamo i buoni e gli altri sono fascisti da redimere. Noi siamo la resistenza, gli altri i fascisti.
    Pericoloso. Siamo sicuri che noi siamo i completamente buoni e i nostri avversari i completamente cattivi? Io non lo so.
    Per me, sarebbe bello scegliere meglio le parole, articolare diversamente i pensieri, per descrivere senza livore e risentimento la società e per esercitare – almeno in questi contesti di discussione urbana – una descrizione della realtà che ci consenta di ascoltare, fare sintesi, non solo contrapposizioni inevitabilmente autoassolutorie.

  9. L’eterno fascismo? No, l’eterna italianità deteriore
    Da sempre, ma soprattutto in questi ultimi tempi, tenta un’arzigogolata e faziosa (ma al posto di “faziosa” andrebbe usato l’aggettivo “fascista”, dato il linguaggio ormai invalso) operazione di definizione del fascismo, ignorando l’ideologia fascista, i fascisti e le loro idee e le loro opere (beninteso opere fasciste, quindi da esecrare ma non prima di averne ricordata qualcuna).
    Uno degli ultimi ex fascisti, ancora in vita, è Eugenio Scalfari. E lui ci ha parlato del fascismo, con l’intento di giustificare l’inganno subito. Si potrebbe quindi citare almeno lui, e dare una lista, sia pur parziale, dei fascisti del ventennio, e, avendo spazio, sommariamente esporre le azioni, le frasi e le idee di qualcuno di loro.
    Oppure si potrebbe esporre le succinte definizioni della voce “Fascismo” che ci danno, nelle varie lingue, i dizionari piu’ diffusi del globo. Almeno sapremmo cosa gli altri nei vari paesi intendano per “Fascismo”.
    Noi invece preferiamo porre al centro delle nostre auto-nobilitanti crociate politico-moralistiche un per noi comodo e utile fascismo disincarnato, astorico, sinonimo di male assoluto. Ricreiamo quindi, usando parole in grande libertà, una nebulosa fascista dai contorni indiscernibili che tutto è e quindi niente è.
    Sono convinto che questo fantasmagorico fascismo, assurto a categoria di male assoluto e oggetto delle nostre continue analisi, spesso non sia altro che “italianità”, un’italianità deteriore che noi gabelliamo comodamente per fascismo. È questa italianità che meriterebbe un’analisi approfondita, separandola dal fascismo reale che è stato semplicemente un suo prodotto.
    Tutto qui: al posto di arzigogolare sul presunto fascismo (degli altri), cerchiamo di studiare l’italianità (degli altri e anche nostra). Un’italianità fatta di opportunismi, di retorica, di trasformismo, di ideologismo, di mancanza di senso del bene collettivo, di odi civili, e di una certa vigliaccheria; ingredienti tutti sia del fascismo (fenomeno storico limitato) sia dell’antifascismo (fenomeno molto piu’ durevole). All’opportunismo sia il fascismo sia l’antifascismo, dopo tutto, tanto devono. E del resto moltissimi campioni di fascismo si trasformarono, subito dopo la guerra, in campioni di antifascismo. Il trasformismo è una caratteristica, appunto, di questa nostra italianità deteriore.
    Dicevo: cerchiamo di parlare dell’italianità, ossia cerchiamo di parlare di noi italiani e non solo degli altri: i cosiddetti “fascisti”. Dobbiamo capire che è il fascismo, categoria specifica, a far parte dell’italianità, categoria generale. E non il contrario. Un esempio per chiarire il mio assunto è l’assurdità di quell’espressione pur suggestiva creata da Pasolini: il fascismo degli antifascisti. Attraverso di essa Pierpaolo considerava il fascismo a lui estraneo, perché i fascisti, anche se travestiti da antifascisti, sono sempre e solo gli altri. Invece lo stesso Pasolini, allora molto giovane, subi’ il fascino del fascismo tanto che in un articolo nel giornale Architrave dei Gruppi universitari fascisti (GUF) di Bologna, inneggiò al ponte Firenze-Weimar del 1942. E tornato in Italia, Pierpaolo ricorderà nel settimanale del GUF di Bologna, tra le altre cose, di aver passeggiato “con ansia quasi tremante […] lungo le favolose vie insieme con i giovani camerati spagnoli ”. Il concetto di italianità rende invece molto piu’ logico e comprensibile il concetto racchiuso nella frase “il fascismo degli antifascisti”, perché l’italianità deteriore non è limitata solo ai fascisti…
    Riprendo il tutto: il cosiddetto “eterno fascismo” – l’ideologia fascista, almeno in Italia, è in realtà morta e sepolta da tre quarti di secolo – è un semplice ectoplasma. Esiste l’eterna “deteriore italianità” di cui diedero prova molti fascisti ma non tutti, e di cui danno prova invece tutti coloro che ricorrono all’eterna accusa di fascismo semplicemente per innalzarsi sugli altri.

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