di Luca Vaglio
La formazione degli eteronimi o, forse più correttamente, degli autori immaginari o di finzione che caratterizzano in modo così peculiare tutta l’opera di Pessoa non è avvenuta all’improvviso, come il poeta lascia intendere nelle sue lettere, scritte nel 1935, ad Adolfo Casais Monteiro, ma è stata l’esito di un percorso ben più lungo e articolato. E gli eteronimi non sono da intendersi come delle entità letterarie monolitiche e perfettamente definibili. Forme, contenuti e stili attribuibili a molti di loro, infatti, variano, e anche in modo vistoso, nel corso degli anni, e di testo in testo. Ancora, molto spesso l’attribuzione dei frammenti è dubbia, oppure plurima o addirittura assente e difficile da definire o ipotizzare. Queste indicazioni sintetiche ci fanno capire, insieme al fatto che gran parte del corpus pessoano è ancora inedito e in attesa di pubblicazione, quanto il lavoro di lettura, analisi critica e divulgazione dell’opera del grande scrittore portoghese sia ben lontano dall’essere compiuto e dall’aver raggiunto una strutturazione, se non definitiva, ragionevolmente completa. Di questi temi e di altri che gravitano attorno all’opera di Pessoa e ne sono in modi diversi richiamati abbiamo parlato con Jeronimo Pizarro, professore di letteratura all’università delle Ande di Bogotà, titolare della cattedra di studi portoghesi presso l’Istituto Camões in Colombia, direttore della rivista Pessoa Plural, nonché uno dei maggiori studiosi contemporanei di Fernando Pessoa. Pizarro ha pubblicato numerosi libri utili a far conoscere aree nuove dell’opera pessoana e, nel caso di Ler Pessoa (Tinta da China, 2018), ad approfondire e a rielaborare criticamente i temi che la attraversano.
I primi eteronimi, o autori immaginari, nell’opera di Pessoa risalgono già ai tempi all’infanzia e alla prima giovinezza, mentre l’apparizione degli eteronimi maggiori, ossia di Alvaro De Campos, Alberto Caeiro e Ricardo Reis, avviene nel 1914. Nelle lettere sulla loro genesi a Casais Monteiro del 1935 Pessoa dice che l’8 del 1914 per lui è stato “un giorno trionfale”, ma gli studi sulle scritture del poeta indicano che gli eteronimi, più verosimilmente, hanno avuto un’origine più elaborata, conseguenza di un percorso lungo e articolato. Come, a suo avviso, trova un fondamento poetico la galassia eteronimica di Pessoa? Quali sono stati i passaggi concettuali e creativi, almeno quelli più facili da individuare, che hanno portato a un’opera così singolare e multiforme?
Oggi sappiamo che nella vita di Pessoa ci sono stati diversi “giorni trionfali”. In quella corrispondenza Pessoa descrive solo uno dei tanti giorni in cui i suoi scritti sono stati “trionfali”, condensando in un giorno ciò è accaduto in più momenti. Del resto, dopo vent’anni di scrittura molti giorni possono sembrare un giorno solo. Inoltre, in quel giorno è apparso Alberto Caeiro, futuro centro della galassia eteronimica Pessoa-Reis-Campos-Mora e presunto maestro dello stesso Pessoa. In quella lettera Pessoa ha detto a Casais Monteiro una “Inverdade”, per usare una parola portoghese, che indica una non verità, una falsificazione, sia pure in forma parziale, se così si può dire, o attenuata? Forse. Ma è anche che qualsiasi narrazione di una rivelazione, di un colpo d’ispirazione può essere raccontata sia come proveniente dal regno dell’istante sia come esito di un percorso lungo, laborioso e faticoso. Ciò, in linea di principio, non è in conflitto con la possibilità dell’esistenza di una genesi poetica e concettuale ben precisa e definita, perché questa genesi non è immediata, ma progressiva, e viene costruita dal poeta (Pessoa) e da noi (lettori). Semplicemente, questo ci costringe a leggere l’opera pessoana attraverso una visione d’insieme – che inizia a essere più chiara ora che conosciamo meglio le opere di Caeiro, Reis, Campos, Mora e degli altri –, e ad ammettere che gli autori creati da Pessoa hanno una loro storia – vale a dire che erano ancora “incompiuti” o in costruzione nel 1935 – e anche ad accettare che questa genesi contiene alcune incongruenze e delle modifiche in itinere. Alberto Caeiro non è lo stesso Caeiro del Guardiano delle greggi quando, nei versi del Pastore amoroso, è innamorato e soffre per amore; anche Campos cambia modo di scrivere, passando da Ode trionfale a Marcia della sconfitta (il primo titolo di Tabaccheria).
In questo senso potrei rispondere dicendo che gli eteronimi sono alcune delle istanze concettuali e creative dell’opera di Pessoa e che per arrivare a una visione complessiva o panoramica dell’opera bisogna prima conoscere bene alcune “persone” (il plurale di Pessoa, che significa maschera; in latino persona). A questo riguardo per me è stato importante pubblicare, insieme a Patricio Ferrari, il libro Io Sono Una Antologia: 136 autori di finzione (Tinta da China, 2013) perché avevo bisogno di una mappa del territorio, un nuovo censimento della popolazione, se così si può dire. Ora, mi sembra chiaro che con Pessoa si acquisisce una nuova comprensione di cosa sia l’arte letteraria, o almeno un’arte drammatica, contemporanea a quella di Pirandello, in cui il poeta può trasformarsi e “diventare un altro”, spersonalizzarsi, e in questo caso, potremmo dire, spessoalizzare se stesso, fino a diventare il discepolo di un maestro più giovane (Caeiro), per scomparire così sotto il mantello dell’illusione della sua stessa opera, sotto il mantello di fantasia della sua stessa creazione.

A suo avviso, insieme ad autori come Walt Whitman (celebre il suo verso “sono vasto, contengo moltitudini”) e, come sottolinea nel suo libro Ler Pessoa, William Shakeaspeare (sulla cui stessa identità sono stati alimentati dubbi e studi, e la cui persona fisica, in ogni caso, è, quasi ontologicamente, come un passo indietro rispetto all’autore), entrambi molto amati da Pessoa, e Oscar Wilde (con i suoi scritti relativi alla sincerità della maschera e quindi della finzione, – si pensi alla poesia di Pessoa Autopsicografia: “Il poeta è un fingitore” – alla menzogna nell’arte, che influenzarono i grandi scrittori modernisti), al quale pure il poeta portoghese imputava una qualità di scrittura poetica modesta, apprezzando invece gli aforismi e gli scritti brevi di respiro sapienziale e paradossale, quali testi e autori hanno inciso di più sulla formazione dell’opera di Pessoa?
Nella costellazione di autori che Pessoa ha letto e che hanno lasciato un segno profondo sul suo lavoro ci sono senza dubbio Whitman, Shakespeare e Wilde, tra gli altri, così come gli scrittori più rappresentati nella sua biblioteca privata, che oggi è accessibile online: John Mackinnon Robertson e altri liberi pensatori e razionalisti, come per esempio l’agnostico Herbert George Wells. Dovremmo anche pensare a Luís de Camões, che Pessoa imitò già nel 1910, in un’opera che divenne nota nel giugno 1910, vale a dire Portugal, che di fatto è l’incipit, il nucleo originario, di quello che poi sarà Mensagem (https://doi.org/10.26300/djfd-kf82); a Goethe, poiché Pessoa ha scritto il suo Faust (http://faustodigital.com/); a Maeterlinck, se si considera il Teatro Estático, all’interno del quale si trovano O Marinheiro e altre rappresentazioni drammatiche; al grande poeta latino Orazio, se consideriamo Ricardo Reis; alle avanguardie storiche, per quanto concerne Alvaro De Campos; a Virgilio, ma anche a William Blake, in relazione ad Alberto Caeiro; e agli autori che sono importanti per il Libro dell’inquietudine, come Henri Frédéric Amiel o Paul Verlaine o padre António Vieira. Poi dovremmo ripercorrere gli autori che Pessoa ha tradotto – Shakespeare e Wilde, ma anche José de Espronceda, Edgar Allan Poe, Walter Pater e Nathaniel Hawthorne, per esempio – e quelli che ha letto con una particolare attenzione, come Aleister Crowley. Ciò che ancora oggi mi sembra significativo è che Pessoa, in un testo ampiamente pubblicizzato in cui nomina gli autori che lo hanno influenzato, ne indica alcuni, ma non tutti. Non fa riferimento a Whitman, ad esempio, che aveva letto tra il 1907-1908. In quel testo, del 1914 (cfr. Il facsimile in questo articolo: https://www.jstor.org/stable/10.5699/portstudies.35.1.0077?seq=1), si legge:
[1904–1905 – Influenze di Milton e dei poeti inglesi dell’era romantica – Byron, Shelley, Keats e Tennyson. (Inoltre, poco più tardi, influenzato da Edgar Poe, in primo luogo come scrittore di racconti). Influenze leggere anche da parte della scuola poetica di Pope. In prosa, Carlyle. Influenze residue di sottopoeti portoghesi letti durante l’infanzia. – In questo periodo l’ordine delle influenze era, più o meno: (1) Byron; (2) Milton, Pope e Byron; (3) Byron, Milton, Pope, Keats, Tennyson e leggermente Shelley; (4) Milton, Keats, Tennyson, Wordsworth e Shelley; (5) Shelley, Wordsworth, Keats e Poe.
1905 (fine)–1908 – Edgar Allan Poe (ora lo scrittore di poesia), Baudelaire, Rollinat, Antero, Junqueiro (nella parte anticlericale), Cesário Verde, José Duro, Henrique Rosa.
1908–1909 (fine) – Garrett, António Correia de Oliveira, António Nobre.
1909–1911 – I simbolisti francesi, Camilo Pessanha. 1912-1913: (1) saudosismo; (2) I futuristi.]

Una delle sfide che abbiamo ancora, e che ho descritto in mio un progetto, è conoscere meglio il ruolo di certi scrittori nell’universo Pessoa: “Consultando la Pessoana (2008) di José Blanco, al momento la più vasta bibliografia passiva, selettiva e tematica su Fernando Pessoa, si trova una sezione di 14 pagine dedicata al tema “Pessoa e…”. In questa sezione sono presenti circa 500 nomi correlati o correlabili all’universo Pessoa. I più studiati – o quelli apparentemente più studiati – sono Aleister Crowley, José de Almada Negreiros, Luís de Camões, Edgar Allan Poe, Orazio, Jorge Luis Borges, Mário de Sá-Carneiro, Friedrich Nietzsche, António de Oliveira Salazar, William Shakespeare, Teixeira de Pascoaes e Walt Whitman. Questo scenario risulta problematico, considerata la portata cronologica della ricerca di Blanco (sebbene pubblicata nel 2008, arriva fino al 31 dicembre 2004), poichè alcuni importanti contributi che si riferiscono a “Pessoa e..” sono stati pubblicati dopo il 2004 – ad esempio gli studi di Margarida Vale de Gato su Pessoa e Poe, o quelli di Josè Barreto su Pessoa e Salazar, di Mariana de Castro su Pessoa e Shakespeare, e di Antonio Feijó su Pessoa e Pascoaes – e per il fatto che alcuni autori contemporanei di Pessoa non compaiono nella bibliografia esistente (George Bernard Shaw, ad esempio) o sono stati citati, ma poco studiati in articoli del passato (Luigi Pirandello, ad esempio)”.
In che senso Leyla Perrone-Moisés nel suo saggio Pessoa Personne, che lei cita nel suo Ler Pessoa, arriva a sostenere che Pessoa sia un nessuno, un uomo che non è esistito, se non nelle sue innumerevoli parole, e che attraverso di queste è diventato un qualcuno? Che opinione ha al riguardo? Una posizione così radicale ha senso? Ovvero si può sostenere che conosciamo Pessoa soltanto a partire dalla sua bibliografia oppure accanto a questa è distinguibile l’uomo?
Giorni fa ho aiutato un’amica a trovare alcuni versi che dicevano: “Così mi sento a mio agio / Con ciò che Dio ha creato, / Dio ha modi diversi / Io sono modi diversi. // Così imito Dio, / Che quando ha fatto quello che è / Ha portato via l’infinito / insieme all’unità». Sono versi di una poesia del 24-8-1930 che, per inciso, ho incluso in Antologia Minima (2018). Il punto è che lo stesso Pessoa, nella sua opera, contesta l’unità di Dio e afferma di non potere avere unità poiché nemmeno Dio ce l’ha. “Personne”, in francese, significa nessuno, e possiamo vedere Pessoa o come una Grande Maschera o come un vuoto dietro quella maschera di maschere. Basta ricordare alcuni versi di Tabaccheria:
Ho fatto di me quanto non ho saputo,
e quanto potevo fare di me non l’ho fatto.
Il domino che ho indossato era sbagliato.
Mi hanno subito riconosciuto per chi non ero, e non l’ho smentito e mi sono perso.
Quando ho voluto togliermi la maschera,
era attaccata al mio viso.
Quando l’ho tolta e mi sono visto allo specchio,
ero già invecchiato.
Ero ubriaco, non sapevo indossare il domino che non mi ero tolto.
Ho buttato via la maschera e ho dormito nel guardaroba
come un cane tollerato dalla gestione
perché inoffensivo,
e voglio scrivere questa storia per provare che sono sublime.
Secondo me, ognuno ha quello che Agostinho da Silva chiamava “Un Fernando Pessoa”, e ritengo che non sia molto ragionevole discutere su quale dei nostri Fernando sia più vero. Ce ne sono tanti, alcuni lettori hanno una visione più globale, altri considerano solo alcuni aspetti. Ora, tutti stiamo creando un Pessoa e tutti cerchiamo di mettere a fuoco il Pessoa che abbiamo creato. Esiste l’uomo Pessoa? Non lo so. Questo dipende dai biografi e dagli storici, ma la maggior parte delle persone semplicemente immagina e ipotizza un suo Pessoa, con elementi più o meno aleatori. Amo molto le interviste che Sabrina Duque, una brillante scrittrice ecuadoregna, ha fatto parlando con le persone per le strade di Lisbona. Si guardi questo passaggio, che potrebbe avere evoluzioni infinite:
Ci sono mille modi per ricordare Pessoa nelle vie di Lisbona. Tutti hanno un loro Pessoa personale. La persona Pessoa non è, per i lisbonesi, un don nessuno. Rosa Monteiro, ricamatrice di coperte: “Era un mistico. Consultava l’oroscopo per prendere decisioni”.
Emanuel Cordeiro, medico di base: “Da Martinho da Arcada, un ristorante che esiste da più di duecento anni, Pessoa ha sempre riservato un tavolo. Non soltanto: c’è una tazzina vuota pronta. Mancano solo le lenti, e in questa città i negozi di ottica abbondano”.
Nuno Madeiras, assistente sociale abbagliato dal testo più poetico della storia portoghese: “Non ho mai letto un libro migliore di Messaggio. Mai”.
Eva Seixas, sarta: “Era un uomo saggio. “Tutto vale se l’anima non è piccola”, non le sembra una frase molto profonda?”.
Nel suo saggio Ler Pessoa lei sembra voler risolvere il discorso dicendo che la molteplicità di Pessoa starebbe non tanto nei suoi 136 autori immaginari, nelle sue plurime identità letterarie, quanto nella capacità di attenuare la sua identità autoriale per poter assumere quella dei suoi personaggi. Non è quello che ogni scrittore, in fondo, fa? Perché in Pessoa questo processo è peculiare?
Questo fenomeno non era per forza diverso nel periodo post-rinascimentale (di grandi uomini), in quello post-romantico (di grandi geni) né lo è nel contesto mediatico attuale in cui, mancando gli spazi vuoti e le distanze del passato, gli scrittori vogliono avere una loro finestra su Zoom e su altre piattaforme analoghe. La passione di Shakespeare o di Dickens per i loro personaggi, o quella di Cervantes o di Pirandello per i loro, è la stessa che ha Pessoa per i suoi eteronimi. Ma questa caratteristica della sua opera fa sì che Pessoa relativizzi la realtà, relativizza la centralità del suo ruolo nel “drama em gente” e cerca di far in modo che la densità finzionale delle sue creazioni quasi arrivi a eclissare la sua identità personale. Non so se il processo ideato da Pessoa sia peculiare, anche perché non è possibile dimenticare l’esistenza casi affini – León de Greiff, António Machado e tanti altri – ma forse si tratta di un progetto più radicale, con alcune caratteristiche proprie. E non dobbiamo dimenticare che Pessoa reinventa il concetto di “eteronimo”, inventa il rapporto tra “ortonimia” e “eteronimia”, e cerca di definire qualcosa che lui sa bene andare ben oltre l’idea dello pseudonimo. Pertanto, senza voler presentare Pessoa come se fosse un isolato, o un isolazionista, è utile riconoscergli una certa originalità, sia nella pratica eteronimica che nella teoria dell’eteronimia, e rendersi conto che l’autore ortonimo al tempo stesso è e non è Pessoa, poiché se si cerca di svelare Pessoa, non c’è nessun esempio, o modello letterario, di Pessoa più profondo, essenziale o platonico. Ortonimo è il Pessoa dei Quartetti; ortonimo è Pessoa del Canzoniere; ortonimo il Pessoa delle poesie in inglese; e così via; e non so se siamo di fronte allo “stesso” Pessoa, se ha senso pensare in termini di “identità”; e se la sua unità non è, già in origine, diversa. Insisto. Pessoa può ricordare molti scrittori, e lo fa. Ma non so se tutti avrebbero scritto, come Pessoa, in Erostrato, quanto segue:
“La varietà è l’unica scusa per l’abbondanza. Nessun uomo dovrebbe lasciare venti libri diversi a meno che non possa scrivere come venti uomini diversi. Le opere di Victor Hugo riempiono cinquanta grandi volumi, ma ogni volume, quasi ogni pagina, contiene tutto Victor Hugo. Gli altri fogli si sommano ai precedenti come semplici pagine, non come atti di creazione. Non c’era in lui creatività, ma prolissità. Ha sprecato il suo tempo come inventore, per quanto poco possa averlo sprecato come scrittore. Il giudizio di Goethe su di lui rimane magistrale, fin da quando è stato formulato, ed è una grande lezione per tutti gli artisti: “dovrebbe scrivere di meno e lavorare di più”, ha detto. (…)
Se può scrivere come venti uomini diversi, è venti uomini diversi, comunque sia, e i suoi venti libri hanno una ragione d’essere”.
Nelle lettere a Casais Monteiro Pessoa ipotizza che la nascita degli eteronimi, connessa un tratto di isteria, o di istero-nevrastenia, che lo caratterizza, trovi origine nella sua tendenza alla spersonalizzazione e alla simulazione. Possiamo ritenere che in questo passaggio sia stato sincero?
Casais Monteiro ha descritto Pessoa come l’“insincero che dice la verità”. Non è semplice parlare della sincerità degli altri o distinguere chi è sincero da chi non lo è. Quello che ricordo è che Pessoa, lettore di Charles Féré e Joseph Grasset, aveva già incontrato i termini isteria e nevrastenia nelle sue letture di psicopatologia tra il 1907-1908, e che nel 1935, un po’ fuori tempo, e dopo aver letto Freud, riutilizza concetti che forse aveva già in qualche misura messo da parte. Inoltre, Pessoa non limita la sua spiegazione alla dimensione medica e ritengo che per comprendere meglio questa idea di istero-nevrastenia sia necessario leggere ciò che Pessoa ha letto, studiato e scritto. Lo dice Giulia Lanciani, nell’introduzione di Il libro del genio e della follia (Mondadori, 2012), a proposito dei testi di questa edizione: sono “scritti importanti all’interno del corpus pessoano, sia perché conferiscono una nuova dimensione al “Caso Pessoa”, ovvero all’aspetto clinico che lo caratterizza, sia perché si configurano come una nuova via per rivisitare tutta la sua produzione: in definitiva, per tentare di cogliere il complesso disegno poetico-esistenziale che soggiace alla costruzione testuale”. E prima che Pessoa dicesse di essere istero-nevrastenico, aveva detto la stessa cosa di altri autori, e in particolare di Shakespeare. Allora era stato sincero? Forse, ma alla maniera di Pessoa.
Forse una risposta su questo punto la dà lo stesso Pessoa in una lettera dell’11 dicembre del 1931 diretta a João Gaspar Simões: “il critico deve focalizzarsi su questi tre punti: studiare l’artista esclusivamente come un artista senza portare nello studio nulla dell’uomo che in ogni caso è strettamente necessario per spiegare l’artista”. E il discorso è, se possibile, ampliato in Autopsicografia, includendo anche il punto di vista del lettore:
Il poeta è un fingitore
finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.
E quanti leggono ciò che scrive,
nel dolore letto sentono proprio
non i due che egli ha provato,
ma solo i due che essi non hanno.
E così sui binari in tondo
gira, illudendo la ragione
questo trenino a molla
che si chiama cuore.
Che cosa ne pensa?
È una famosa lettera in cui Pessoa parla di Freud e anch’essa è all’interno di Il libro del genio e della follia. Pessoa non ha sempre sostenuto le posizioni che emergono in questa lettera, ma quello che ha scritto nel 1931 è stata una meravigliosa anticipazione, perché Gaspar Simões, autore della prima biografia di Pessoa – stampata nel 1950 – non ha mai rinunciato a certe chiavi interpretazioni “freudiane” da cui Pessoa lo aveva messo in guardia vent’anni prima. La lettera è un invito ad abbandonare il biografismo e a non dare un’importanza eccessiva all’identità, alla dimensione materiale, e in senso lato erotica, di un autore. Pessoa aveva letto in francese un libro debole e poco riuscito di Freud, Un souvenir d’infanzia di Leonardo da Vinci (1927), e si era reso conto dei rischi di una simile modalità interpretativa, in assenza di basi e riferimenti molto solidi. La poesia Autopsicografia è molto più di un suggerimento su come leggere un testo e una critica a una modalità interpretazione verosimilmente delirante. È una poesia raffinata, una dichiarazione di principio, e una manifestazione di libertà – che Pessoa ripeterà nella poesia Questo –, ed è un documento al cui interno un freudiano potrebbe vedere una specie di “souvenir”: quello del trenino a molla, a partire da cui potrei parlare, ad esempio, del rapporto tra l’idea del piacere e quella della realtà. Ma quello che vedo in Autopsicografia è una descrizione dei diversi possibili livelli di lettura di un testo e un modo molto lucido di non accettare la dicotomia tra la componente reale, o viva, e quella propriamente libresca o letteraria della poesia che avrebbe segnato la generazione della rivista Presença, dove avrebbero trovato spazio i testi della seconda fase del modernismo portoghese. Un buon lettore di Pessoa, Ruy Belo, avrebbe affermato che la letteratura più viva è in realtà la più libresca. “Sentire? Senta chi legge!”, esclamò Pessoa.
In Ler Pessoa afferma anche che gli stessi eteronimi maggiori, così come l’opera ortonima, non hanno una struttura monolitica e che al loro interno ci sono fasi, tendenze e stili diversi. Può evidenziare alcune tra le più significative soluzioni di continuità o variazioni sotto questo punto di vista?
Caeiro, Campos e Reis non sono apparsi in un dato giorno già formati e configurati in via definitiva. Sono stati una specie di work in progress per tutta la vita di Pessoa ed erano ancora in via di elaborazione quando Pessoa morì. Leggere le opere degli eteronimi, seguendo un percorso cronologico, permette di verificare sia i mutamenti più noti – Campos passa da poeta decadente ad avanguardista, da figura trionfante a sconfitta, per esempio – sia alcune altre variazioni ancora da discutere e studiare. Il mio invito è leggere queste opere, seguire il loro processo di creazione, leggere la discussione che si sviluppa all’interno della famiglia degli eteronimi e quindi provare a scrivere dei testi che contengano chiavi di lettura nuove su autori (Caeiro, Campos e Reis) che non possono essere descritti con biografie fittizie e sintetizzate in poche righe. Abbiamo a che fare con una complessità maggiore.
Si parla molto della struttura dell’opera pessoana, a partire dagli eteronimi. Passa, invece, forse un po’ sottotraccia la novità nel panorama letterario del tempo del suo lavoro e la sua capacità di intercettare meglio di altri le tendenze culturali che in quegli anni andavano consolidandosi, a partire dalla psicanalisi, e di anticipare, in modo assai originale, la letteratura dell’io plurimo e in particolare opere che usciranno dopo l’8 marzo del 1914, il cosiddetto “giorno trionfale”. E tra queste penso a Finnegans Wake di James Joyce (1939), Uno nessuno e centomila di luigi Pirandello (1925) e a La Coscienza di Zeno (1923) di Italo Svevo, come, del resto, aveva evidenziato Antonio Tabucchi.
Sono d’accordo. E credo che la risposta, o la via migliore per affrontare questo aspetto, sia già stata indicata da Antonio Tabucchi. Tendo a relativizzare questo elemento di originalità in Pessoa – l’avanguardia spagnola in quegli anni era in ritardo, ma quella russa o quella italiana, invece, non lo erano – quasi per sottolineare meglio il suo valore. Non so se, in Europa, nel 1915, ci fosse un parallelo letterario all’Ode marittima, ad esempio. Mi capita ancora di ritenerlo un testo impensabile in quel tempo in Portogallo e in altri paesi.
Molti, anzi la maggioranza, dei testi usciti dai bauli di Pessoa erano anonimi, come lo sono gran parte degli scritti ancora inediti, in altri casi l’attribuzione nel corso degli anni è stata modificata dal poeta stesso. Tra le altre cose, lei evidenzia che non c’è un’edizione del Libro dell’inquietudine uguale all’altra. Quindi, non è soltanto un problema di eteronimia e di comprensione della natura-forma dell’opera. C’è anche un problema di organizzazione e di attribuzione dei frammenti. Considerato che il poeta non ha dato sempre un’indicazione chiara e univoca in merito, quali sono i criteri che segue e che le paiono più efficaci quando si trova a dover decidere a quale “autore” del corpus pessoano attribuire un frammento? Se può richiami qualche caso particolare.
Questa è una domanda affascinante che ci permette di tornare a discutere della questione dell’attribuzione letteraria. Pessoa ha firmato solo una piccola porzione di testi e inoltre alcune firme sono state cancellate dai curatori delle edizioni postume. Charles Robert Anon era come all’ombra di Alexander Search, ovvero il suo erede, il che significa che ci sono poesie che possiamo leggere come se fossero provenienti da Search, anche se sono firmate da Anon. In seguito, non tutti i segni grafici e non tutte le firme sono stati letti sempre nel modo giusto e ci sono ancora acronimi che sono stati interpretati male. Naturalmente, ci sono migliaia di testi non firmati – la maggior parte – i quali, come dire, potrebbero essere o meno in cerca di un autore. Editare Pessoa implica non solo identificare la paternità di una serie di manoscritti (già i testi di Raul Leal sono stati erroneamente attribuiti a Pessoa, per esempio), ma anche chiedersi se il testo di Pessoa sia di Pessoa-se stesso, per così dire, o di un Pessoa-altro, e cercare di capire di quale altro. In Ler Pessoa evidenzio che esistono testi che risultano essere di due o tre diversi autori finzionali, perché diversi editori hanno stabilito attribuzioni differenti per questi testi. Ricordo che qualche giorno fa ho stabilito che deve essere stato scritto attorno al 1911 un testo presente nel saggio Pessoa por Conhecer che Teresa Rita Lopes pensava fosse di Alberto Caeiro. Ma Caeiro è apparso solo nel 1914!

Possiamo attenderci novità o rivelazioni significative dai testi di Pessoa ancora inediti? E se sì, può dirci qualcosa sulla forma (poesia, prosa, testi saggistici), sul contenuto o sull’ambito di queste novità?
A tal proposito preferisco non fare grossi annunci e continuare a rispondere con il lavoro. Sensacionismo e Outros Ismos (2009) è un libro che contiene centinaia di testi inediti. E lo stesso vale per Escritos sobre Génio e Loucura (2006). E l’ultimo numero della rivista Pessoa Plural rivela un bellissimo progetto intitolato Portugal.
Ci può dire qualcosa di Portugal? Di che cosa si tratta?
L’articolo pubblicato su Pessoa Plural, “Portugal, o primeiro aviso da Mensagem”, offre la trascrizione e un facsimile di 106 documenti inediti, conservati nella busta 11 EN dello spoglio 3, lo spoglio di Pessoa, custodita dalla Biblioteca Nazionale del Portogallo (BNP). Nei 106 manoscritti presentati è possibile ritrovare la genesi di alcune poesie di Mensagem, come D. Tareja o D. Filipa de Lencastre, e, come argomenta Carlos Pittella, coautore insieme a me dell’articolo, “momenti di grande bellezza lirica” e altri che non lo sono, riferendosi a “passaggi di duro disprezzo e calunnia che ci ricordano il controverso sonetto Alma de Côrno” (inedito fino al 2013), che ha suscitato molte polemiche quando è stato pubblicato sul primo numero della rivista Granta portoghese. Oggi sappiamo che prima di Mensagem c’era Portugal, e che Portugal era un tentativo di imitare Le Lusiadi di Camões, nonché un testo influenzato dallo scrittore, dagli ideali liberali e rivoluzionari, Guerra Junqueiro. Si tratta di una critica alla nazione, agli antieroi di un Portogallo che aspetta ancora di realizzarsi pienamente.
[Immagini: Pessoa a Lisbona].
“Pur essendo stato un lettore vorace e appassionato, non mi ricordo un libro di quelli che ho letto, a tal punto le mie letture erano state del mio spirito, sogni miei, anzi, provocazioni di sogni. Persino il ricordo di fatti, di cose esterne è vago, più che incoerente. Rabbrividisco al pensiero di quanto poco rimane nel mio spirito di ciò che è stata la mia vita passata. Io, un uomo convinto che l’oggi è un sogno, sono meno di una cosa di oggi.”
Fernando Pessoa, Una sola moltitudine. Volume primo, a cura di Antonio Tabucchi con la collaborazione di Maria José de Lancastre, Adelphi, Milano, 1979 pp. 66-7