di Adelelmo Ruggieri

 

Avete presente come funzionavano le Guide rapide del Touring Club? Questa mia che sto leggendo è dell’Ottantasei. Ma forse anche le nuove di ora funzionano così. C’è una nota d’avvio, poi viene un atlantino, con le località da visitare, le strade da percorrere e i luoghi adatti a pernottare; poi ci sono gli itinerari conchiusi; poi le descrizioni di città e centri minori, le notizie pratiche, un indice (particolarmente utile per reperire notizie su località ricordate sotto altra voce). Insomma, qualcosa di molto coerente e pratico, particolarmente utile. E se lavoravi per esempio dalle parti di Bastia, come mi accadde moltissimi anni fa, e avevi un giorno libero ma vuoto, aprivi la guida, vedevi l’itinerario – il 18: Umbria Centrale: L’itinerario, breve ma del più alto interesse, si svolge ai margini dell’ampia Valle Umbra, che è come il cuore della regione, e sulla quale si affacciano dai colli che le fanno corona, alcune delle più illustri e incantevoli sue cittadine. Km 153. E prendevi illuminazione per passare quella vuota giornata, e partivi alla volta di Spello – ci si soffermi a S. Claudio e ai ruderi dell’Anfiteatro romano e si dia un’occhiata alla bella Porta Venere. Entrati poi dalla Porta Consolare, si salga a S. Maria Maggiore e al Belvedere sull’alto –. Ecco, questa mia serie di testi funzionerà, alla fine, come uno di quegli itinerari conchiusi. Ho scritto, funzionerà, alla fine, perché la mappa delle strade percorse e delle località visitate si compirà soltanto alla fine, ma quelle strade tutte dovranno formare una figura conchiusa, cosa ben diversa da conclusa, e il punto di partenza e quello di arrivo sarà lo stesso: Muccia, nell’Alto Maceratese. In questa mia guida rapida appare al solo indice sotto altra voce, e vengono segnalati il Motel Agip al bivio Maddalena e l’Albergo del Cacciatore in Via Roma. Entrambi ora inagibili, dopo il terremoto del ’16 e del ’17.

 

 

1_ Ancor dal monte

 

La chiamavano, e forse ancora la chiamano, Crocevia degli Appennini, ma non era in verità un crocevia. Una sola croce e via. I nodi sono due, non distanti. Nel primo per chi arriva da est – il bivio Maddalena di cui alla nota d’avvio – a sinistra si stacca la Valnerina per Terni; nel secondo, a destra, nel centro abitato storico, si stacca la Strada Muccese per Camerino e Fabriano. Poi la vecchia 77 a due corsie prosegue e si entra tra le montagne, fino ai meravigliosi altipiani delle patate rosse e delle lenticchie, e del farro e delle cicerchie, di Colfiorito, e di lì, per scendere scoscesissimo, a Foligno, la Valle Umbra, il Clitunno, Odi barbare, Libro Primo – Ancor dal monte, che di foschi ondeggia / frassini al vento mormoranti e lunge / per l’aure odora fresco di silvestri / salvie e di timi. Uno snodo cruciale della viabilità centroitaliana. Ma raggiungere Foligno da Muccia non era semplice, specie d’inverno, con la neve o il ghiaccio, e i mezzi incolonnati ai tornanti aspri. E magari eri lì, ed era proprio inverno, e ti chiamavano da casa, Dovei sei? Sei già a Colfiorito? C’è il ghiaccio? Hai mangiato? Stai attento. Sto attento, sto attento, ho mangiato, non preoccupatevi. Dopo Muccia verso l’Umbria mi prendeva sempre una specie di disagio, quella cosa lì, che fosse bella stagione o gelida, avrei dovuto affrontare quelle forre e quegli strapiombi. Ma su in alto c’era Colfiorito, sollievo, e ancora prima un fontanile cui abbeverarsi, se sera estate torrida, e far tacere quel poco, o meno poco, timore dei luoghi aperti che rimane sempre in chi l’ha sofferto, come il sottoscritto che sta scrivendo a uno scrittoio contro una parete cieca ma consapevole che quel timore tiene in sé un rimpianto dislocato di lontananze e la refrattarietà all’intrappolamento. Stessa cosa quando tornavo in giù, ma questa volta, finito il discesone, sarebbe stato felice fermarsi al bivio della Valnerina per un caffè con il Varnelli, l’anice distillato, niente zucchero a non guastarne il sapore, che arriva proprio da quelle terre, e lì si fermavano tutti, i discendenti e i salenti. Era sempre animato nei locali per la sosta, in un mormorio che metteva contentezza.

 

Ma ora non è più così. La superstrada a quattro corsie che raggiunge Foligno, forando per venti chilometri e più le montagne, è stata portata a compimento. È una infrastruttura portentosa, basta farla una volta per capacitarsene. Mette insieme Marche e Umbria e lo fa in sessanta minuti. Niente più tornanti e salite ripide e mezzi incolonnati e disagi. In un’ora dall’Adriatico alla Valle Umbra. Venne inaugurata a fine luglio del 2016. Ma l’entusiasmo e l’orgoglio, del tutto giustificati in quel caso, poté durare poco. Meno di un mese dopo, il 24 Agosto, prese avvio la Sequenza sismica Amatrice – Norcia – Visso, e anche a Muccia, a 17 km in linea retta da Visso, si fece sentire fortissima, e il terremoto tornò ancora a farsi sentire un anno fa, il 10 aprile scorso, e stavolta l’epicentro fu proprio lì.

 

Ho rivisto Muccia, del tutto involontariamente, all’inizio di questo febbraio. Sono un anziano in pensione, e ho preso l’abitudine, per spezzare la freccia del tempo, che tanto non si spezzerà, di stare mezza giornata fuori di casa almeno una volta ogni sette giorni, o dieci, o quelli che sono, o quando capita. E questa volta me ne andai verso le montagne. Non avevo una destinazione. Ero sulla nuova 77, decisi, Fabriano, la Città della Carta. Poi prese a piovere forte. Meglio tornare indietro. E ora ero sulla Muccese, fin giù, dove inizia, all’incrocio con la vecchia 77. C’era un gran silenzio. I muri rotti dal sisma lo ampliavano. Quelli già messi in sicurezza lo lenivano, e così l’odore buono di un forno in attività, gli operai fermi ai furgoni in attesa che terminasse la pioggia. Di lì a cinque minuti terminò. Riconobbi le soluzioni abitative emergenziali – le Sae – di Pian di Giove, consegnate da non molto e già alcune con le muffe e le infiltrazioni. Vidi la splendida Santa Maria da Varano del Sedicesimo secolo, ferita gravemente e per intero imbracata.

 

Ecco il secondo bivio, ecco il vasto spiazzo per il rifornimento e la sosta. Gli edifici di allora inagibili. I container di ora. Parcheggiai. Presi a fare un po’ di Valnerina al suo inizio. Non tanto distante, passate le strette gole, ci sono Le Marmore. Mi venne una specie di nodo in gola. Quella cosa lì. Mi stavo dicendo qualcosa. Ero anche un poco seccato, per quel troppo d’interiorità che c’era in quella mia breve uscita. Non avevo parlato con nessuno. Non avevo visto né riconosciuto che poco. C’era quel nodo in gola, non si scioglieva. A un tratto mi parve come arrivasse da lontano. Da una gita scolastica che si fece nel Settanta o Settantuno in Umbria, e facemmo sosta qui, tutti facevano sosta qui. Ci dovrebbe essere una foto da qualche parte: una schiera di ventuno studenti fermi a un grande spiazzo di motel, con l’insegnante di Italiano, innamorata di Bergson, di spalle, a dirigere l’orchestra degli slanci vitali, o di quelle loro parole che si dicevano all’epoca – non tutti, certo –, tipo assimilazione, autenticità, presenza, relazione. Il linguaggio della giovinezza pervade per intero la vita. Le correlazioni ti attraversano nel tempo. Almeno a me è accaduto così. Partiva da lì quel filo? Chissà. Oppure da quella stessa mattinata, perché non avevo parlato né ascoltato nessuno, perché non avevo riconosciuto che pochissimo. Diedi un ultimo sguardo alle segnalazioni stradali: l’Alto Maceratese quando incontra la Valnerina e intanto sta per abbracciare la Valle Umbra. C’erano dei monti in lontananza. Erano tutti bianchi. Mi feci l’idea che fosse il Terminillo, nel Reatino, la direzione poteva essere, e così la distanza.

 

2_ Il tempo della riflessione

 

Tornai allo spiazzo per andarmene, dubbioso, col nodo in gola. C’era un operaio che stava entrando nel bar container, forse per un caffè con l’anice. Aveva circa la mia età. Gli chiesi del bivio per la superstrada 77. È lì – mi disse, indicandomi la direzione –, saranno trecento metri. Grazie. Di cosa, buon viaggio. “Buon viaggio”, non era esattamente tale. Era mezza giornata fuori di casa. Perché sono qui? Mi chiesi a bassa voce. Per distrarmi mezza giornata dal rutinario. Certo, sì, anche. Anche, che altro ancora? Sono qui perché amo questi luoghi. Nient’altro? È già moltissimo, ma dell’altro c’è. Sono qui per scrivere di essi, alla fin fine sto prendendo appunti. Di essi o di te? Di loro e di me, come potrei diversamente. Non è una equazione. Di lì a qualche istante decisi che sarei tornato a breve, e sarei tornato più di una volta. E tutte queste volte insieme sarebbero state il mio viaggio di quest’anno. E questo sì che poteva dirsi tale, viaggio, ma un po’ dovevo dimenticarlo, per evitare il macchinoso di una equazione, e doveva essere una figura aperta, a stella, con Muccia al centro e per direttrice la 77, quella antica e quella nuova. C’era un che di realistico in quella decisione, mi convinceva. E c’era qualcosa di bello in quella figura a stella, mi diede sollievo. Si opponeva a quel groviglio d’intimismo e di anni che avanzano veloci nell’incredulità e negli acciacchi ad libitum dell’età anziana che erano state quelle ore. Lo accettava senza subirlo.

 

16 Febbraio

1 thought on “Figura a stella

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