di Rino Genovese

Un vecchio luogo comune vuole che gli italiani non siano razzisti. Non è vero: però era facile fare finta che lo fosse quando in Italia stranieri non ce n’erano, e il paese era piuttosto terra d’emigrazione. Da quando le cose sono cambiate (ma in realtà già prima, con l’emigrazione interna dal Sud verso il Nord e i famosi cartelli esposti a Torino: “non si affitta ai meridionali”), l’Italia si è scoperta profondamente razzista. C’è il razzismo storico, quello fascista, ma c’è soprattuto il neorazzismo a base pseudoetnica della Lega, che ha costruito le sue fortune elettorali e di governo prima sull’uso politico di un trito insulto come quello di “terrone”, e poi, più orribilmente, su una lotta a fondo all’immigrato straniero. La Lega, per fare solo un esempio, è la principale sostenitrice di quella vera e propria aberrazione medievale che è lo jus sanguinis, secondo cui chi nasce da genitori immigrati sul suolo di una comunità preesistente, non fa parte di quella comunità – o di quella repubblica – ma è posto in una terra di nessuno.

A partire da queste premesse, e dopo anni d’intolleranza crescente – xenofoba, omofoba, contro l’ “altro” solo perché diverso -, era logico, matematico, che qualcosa dovesse accadere. Il pazzo si trova sempre. Il razzismo ordinario o, come preferisco chiamarlo, discreto, quello che può consistere anche in una semplice occhiata di disgusto su un autobus, si è trasformato in follia omicida. La circostanza che sia accaduto proprio a Firenze non sorprende. Firenze è la città, in rapporto alla popolazione, più invasa dal turismo che ci sia. E il grande movimento turistico significa grandi possibilità di vendere. Le strade e le piazze della città si sono tramutate da tempo in un bazar, con i suoi negozi di lusso e il suo commercio minore. Nel bazar ci stanno come perfetti venditori ambulanti gli immigrati africani: i quali, tra l’altro, hanno del mercato una concezione molto diversa da quella occidentale basata sulla concorrenza – tipica degli antichi individualisti mercanti fiorentini -, coltivando piuttosto una pratica mercantile di tipo comunitario, intrecciata con il rafforzamento del legame sociale nel gruppo.

Ciò urta. Il fiorentino diventa razzista dalla testa ai piedi. Razzista discreto, naturalmente: si limita a brontolare e non farebbe male a una mosca. Ma il pazzo si trova sempre. Dopo anni di razzismo discreto, di leghismo di governo e così via, qualcosa doveva accadere. Quella dello sparatore solitario è inoltre una figura dell’immaginario contemporaneo, dagli Stati Uniti alla Norvegia, e adesso da noi… Se a questo si aggiunge la vecchia tradizione fascista, non il fascismo come fenomeno storico ma il fascismo antropologico, quello depositato nella lunga durata, allora gli elementi pronti a precipitare ci sono tutti. Il razzismo varca la soglia: da discreto si fa sanguinario.

[Già pubblicato su “Il ponte”].

22 thoughts on “Il razzismo discreto e quello sanguinario

  1. Mi ha molto colpito la testimonianza di un amico del pazzo, come ormai lo chiamano tutti, fiorentino; pare che questo prendesse a calci coloro che gli pulivano i vetri della macchina e già da quello…Tra l’altro l’amico cosa gli diceva, magari gli dava manforte….ma il razzismo strisciante c’è e va battuto con ogni mezzo a cominciare da casa Pound, questa accolita di fascisti vecchi e nuovi che si spacciano per pensatori e che a Bari volevano addirittura l’aula comunale per una loro iniziativa. Il pazzo si trova sempre, ha ragione Genovese e fa il lavoro che tanti sobillatori vorrebbero fare. Tipo: succede un furto in un appartamento e un gruppo di insegnanti vicine alla pensione danno subito la colpa a una delle tante badanti gerogiane che affollano lo stabile senza pensare al lavoro che queste poverette fanno e che nessuna italiana si sognerebbe mai, accudire anziani malati e invalidi…C’è molto su cui riflettere. Ho notato anch’io poi che le città più turistiche, Roma compresa, sono razziste mentre dovrebbero solo ringraziare di essere beneficiate da tanta attenzione internazionale…anche se immeritata. Se penso a quello che diceva una senegalese al tg: L’Italia culla di civiltà? Ma quale civiltà, ha perfettamente ragione…

  2. credo che si puo’ fare cosi’: nella mia regione ci sono 20.000 mila persone che sono assistenti domiciliari in nero. prendono 600 euro al mese,in qualche circostanza qualcosa di piu. in nero. penso che nel tempo diminueranno,entro pochi mesi. lentamente non verranno piu’. dovranno provvedere, per gli anziani, figli e nipoti. molti non vorranno.

  3. Probabilmente è sbagliato parlare di “aberrazione medievale” per lo Jus Sanguinis; nel momento di scegliere quale fossero i requisiti per chiamare “italiano” un individuo, nel 1865, proprio lo Jus Solis era stato considerato da Pisanelli un ” principio che lega l’uomo alla terra e alla sua “signoria” nel diritto feudale” ( da La nazione del Risorgimento, Alberto M. Banti, p. 169 ), quindi medievale. Questo va però immesso nel periodo storico che vedeva nella linea di sangue uno dei miti fondativi dello Stato-nazione che si stava formando. Ma era il 1865.

  4. Il fatto che l’omicida non sia nato a Firenze, non sia cresciuto a Firenze, non sia vissuto a Firenze, che non abbia avuto nessun rapporto con istituzioni, centri culturali, circoli di Firenze (frequentava, per esempio CasaPound: sì, la sede di Pistoia) pare non interessare l’estensore dell’articolo.
    Il fatto che il rappresentante della comunità senegalese di Firenze, Pape Diaw, abbia sottolineato come la risposta di vicinanza, solidarietà, rifiuto del razzismo data dalla città sia stata incredibile, sorprendente e meravigliosa pare ugualmente non interessare l’estensore dell’articolo.
    Casseri si è trasferito a Firenze nell’agosto di quest’anno (4 mesi fa). Probabilmente, si può presumere, proprio in vista della strage: il suo gesto, compiuto a Firenze, avrebbe avuto una risonanza ovviamente maggiore, che compiuto nel paesino della montagna pistoiese dove viveva.
    Mi dispiace dirvelo, ma Firenze in questo caso è vittima, non, come sostiene il pezzo, corresponsabile.
    E una frase come “Il fiorentino diventa razzista dalla testa ai piedi” è credo l’accozzaglia di parole meno intelligente che ho letto in vita mia.

  5. “Nel bazar ci stanno come perfetti venditori ambulanti gli immigrati africani: i quali, tra l’altro, hanno del mercato una concezione molto diversa da quella occidentale basata sulla concorrenza – tipica degli antichi individualisti mercanti fiorentini -, coltivando piuttosto una pratica mercantile di tipo comunitario, intrecciata con il rafforzamento del legame sociale nel gruppo.”.
    Questo periodo, mi pare, lascia intendere che una strisciante ostilità tra commercianti “fiorentini” e “venditori ambulanti immigrati africani” sia stato il terreno di coltura in cui è cresciuto il razzismo strisciante che ha originato la strage. Ora, a parte che il razzista assassino non era un ambulante “fiorentino” (mantengo la distinzione di Genovese) ma un ragioniere della provincia pistoiese, come si spiega allora il tentativo di un commerciante “fiorentino” di fermare l’omicida nonostante fosse armato? Come si spiega che gli altri ambulanti “fiorentini” hanno subito soccorso le vittime, chiamato la polizia e preso la targa dell’auto su cui fuggiva Casseri? Come si spiega la manifestazione del giorno dopo? Come si spiega la serrata dei mercati fiorentini del giorno dopo?

  6. La serrata del mercato di San Lorenzo è stata motivata dagli ambulanti “fiorentini” in questo modo: “Il mercato di San Lorenzo aderisce alla giornata di lutto cittadino con la chiusura di tutte le attività ambulanti per solidarietà ai colleghi rimasti vittime dei drammatici fatti di Piazza Dalmazia e di San Lorenzo”.

    Su Facebook, Helena Janeczek, persona che immagino riscuota l’apprezzamento di molti frequentatori di questo blog, ha commentato: “COLLEGHI, li definisce il cartello del mercato a Piazza San Lorenzo. Colleghi: lo scatto in alto che, all’improvviso, riescono a fare le parole…”

    Ecco, solo chi non conosce bene Firenze può stupirsi di questo “cartello”.

  7. In che modo la storia medievale di Firenze (l’accenno di Genovese agli “antichi individualisti mercanti fiorentini”) e la sua attuale configurazione socio-economica (“Firenze è la città, in rapporto alla popolazione, più invasa dal turismo che ci sia. E il grande movimento turistico significa grandi possibilità di vendere”) possano in qualche modo aver influenzato un ragioniere della provincia pistoiese che con Firenze non ha mai avuto nulla a che fare mi sfugge.

    Mi pare più probabile che sia stato influenzato dal suo segno zodiacale, sinceramente.

  8. Faccio anche notare, e poi taccio, che Piazza Dalmazia, dove è avvenuto il duplice omicidio, è in una zona in cui non si è mai vista l’ombra di un turista; si tratta di un mercatino di quartiere: la lotta disperata tra ambulanti che si contendono le masse di turisti e che fomenta il razzismo fascista dei fiorentini… che c’entra?

  9. Forse anche il gesto di Breivik è spiegabile con la mefitica aria fiorentina: magari da adolescente ha fatto l’interrail e si è fermato a visitare gli Uffizi, Indagherei.

  10. osservazioni molto interessanti. magari in futuro si possono esprimere in uno o due post, per non disperdere il contenuto..

  11. “osservazioni molto interessanti. magari in futuro si possono esprimere in uno o due post, per non disperdere il contenuto..”.
    Sì, mi scusi, ha ragione: non sono molto abituato a intervenire in questi contesti, e difetto certo di pratica.

  12. Anch’io, come Alessandro, ho notato che gran parte dell’articolo si basa su un falso assunto. Vivo a Pistoia e so che Casseri era pistoiese, anzi, a dire il vero era di Cireglio, un paesotto sulla strada che va alle Piastre. Anche su questo fatto ho letto un articolo che faceva della poesia: la bella e aspra montagna dell’Appennino Pistoiese… Cireglio è un paese sulla strada, vicino alla città, non particolarmente isolato e selvaggio. Ecco, secondo me bisogna stare bene attenti quando si fanno questi commenti, senza sapere esattamente come stanno le cose, perché si rischia il grottesco…

  13. Porre il fenomeno razzista sempre fuori dal proprio piccolo alveo ( ” non è di Firenze, è di Pistoia. Anzi, di Cireglio”) secondo me non aiuta a focalizzare il problema, ed è un modo, anzi, per autoassolversi. Io sono di Roma, ma penso che quello successo a Firenze sia un problema anche mio. Rimangono sempre le differenze locali; io sono di Roma, e quello che è successo a Firenze sia un problema mio, e che un’omicidio a scopo razziale sia stato fatto da un mio connazionale.

  14. Gentile Severino, potrei anche concordare con lei. Il piccolo problema che sottovaluta è che questo è lo spazio dei commenti a un articolo ben preciso, che associa un evento specifico con una città e il suo contesto sociale, storico e culturale. Allora, delle due l’una: o ha ragione lei, e allora l’articolo di Genovese è senza senso, o ha ragione Genovese, e il fenomeno razzista può essere spiegato ricollegandolo all’ambiente dell’omicida. In questo secondo caso, diventa necessario, filologicamente, ricordare che, appunto, ”non è di Firenze, è di Pistoia. Anzi, di Cireglio”. Anche in questo caso, dunque, l’articolo di Genovese è senza senso.

    Quanto poi alle autoassoluzioni: mi dispiace, ma trovo anche bizzarra la mania di caricarsi sempre addosso delle colpe dell’umanità. Ora, va bene Dostoevskij, va bene anche “Homo sum humani nihil a me alienum puto”, ma, francamente, a me non salterebbe mai per la testa di sparare a 5 persone, e tanto meno con quelle motivazioni. Pertanto sì, mi autoassolvo. E penso che anche lei dovrebbe fare lo stesso.
    Diverso è dire che “penso che quello successo a Firenze sia un problema anche mio”: su questo sono perfettamente d’accordo. Quel che è successo è un problema di tutti. Anzi, se un omicida fascista se ne va in giro per le strade della mia città a sparare, è un problema innanzitutto mio. E infatti tra 30 minuti sarò in Piazza Dalmazia alla manifestazione antirazzista.

  15. Per me, dire “non è di Firenze, ma di Pistoia, anzi di Cireglio” significa esattamente il contrario di ciò che afferma Severino. Tant’è vero che io sono di Pistoia. Se si vuole analizzare un fenomeno bisogna contestualizzarlo nel modo giusto, non dire, “ah, be’, Firenze, dunque il Medioevo, il Rinascimento, i turisti”, e giù coi luoghi comuni, per di più, nel caso specifico, non calzanti. Se, come dice Benigni “se Dio voleva farsi uguale a noi non doveva nascere falegname a Nazareth ma ragioniere a Pistoia”, allora il ragioniere di Pistoia è il prototipo della persona qualsiasi, su cui non abbiamo da fare ragionamenti pretestuosi, ma dobbiamo semmai capire come “uno qualsiasi di noi” può diventare come lui. Usando le categirie dell’analisi sociologica, perché no, ma a ragion veduta, non a casaccio.

  16. Ringrazio tutti gli intervenuti (un grazie particolare a Severino Antonelli, che ha portato nella discussione un’informazione storica molto utile e, per me, da approfondire).
    Il breve articolo si basa su un assunto e su un’ipotesi. L’assunto è che l’Italia sia un paese “profondamente razzista” (su questo possiamo essere d’accordo tutti, credo, se pensiamo soltanto a quanto è accaduto recentemente a Torino, o meno di recente a Rosarno o a Castel Volturno), oltre che al ben noto passato fascista. L’ipotesi è che ci sia un razzismo sottotraccia, implicito e non violento, che finisce con il creare il clima entro cui avvengono le esplosioni di violenza. L’ipotesi ulteriore, in questo quadro, riguarda Firenze (città in cui, tra parentesi, vivo “part time” da più di vent’anni): la possibilità, cioè, che in una città terziarizzata e deindustrializzata, ridotta ormai a un enorme bazar per turisti, emerga un contrasto di tipo culturale-identitario tra modalità di commercio storicamente e antropologicamente diverse. L’uscita sicura da questa situazione starebbe soltanto nel conflitto sociale, democratico e plurale, che rompe le presunte identità e crea solidarietà tra i “deboli”. A Firenze, invece, non si va al di là del buonismo – del resto già importante se avvengono episodi come quello di qualche giorno fa. Bisognerebbe però prendere coscienza del fatto che il razzismo non ha oggi alle spalle un’ideologia fanatica se non depotenziata, che solo nei casi estremi viene riattivata; mentre si nutre di un’idiosincrasia quotidiana di bassa intensità, che nasce dalle condizioni obiettive del mondo attuale e conduce a reciproche chiusure identitarie.
    Devo dire che la prova del “blog” è per me comunque produttiva. Della mia provocazione vorrei salvare l’essenziale, ma concedo volentieri ad Alessandro che sarebbe più corretto – cioè meno provocatorio e più nella direzione della ricerca del vero – scrivere: “Il fiorentino può diventare razzista dalla testa ai piedi”, anziché tout court “diventa”. Le precisazioni sullo svolgimento dei fatti le accolgo, naturalmente: ma la mia non era, com’è chiaro, una lettura degli eventi, quanto un discorso su ciò che sta alle spalle di quanto accaduto. Sul resto, su quanto concerne l’esatta collocazione toscana dello sparatore, per esempio, mi associo a ciò che ha detto Antonelli nel suo secondo intervento.

  17. Non posso fare a meno di notare che la sacrosanta indignazione morale contro questo episodio di razzismo, che porta in modo non arbitrario Genovese a denunciare che “l’Italia sia un paese “profondamente razzista”, contrasti nettamente col silenzio o addirittura l’approvazione della guerra in Libia condotta dall’Italia democratica in nome della Costituzione.
    Risulta amaramente valido il detto evangelico che chi guarda la pagliuzza nell’occhio altrui non vede la trave conficcata nel suo.
    Piazze più o meno piene ora. Nessuno più in piazza per i bombardamenti su Tripoli.
    Dalli al ragionere razzista di Pistoia ora. Silenzio sul neocolonismo di ritorno in Libia.
    Ahi noi!
    Giusto interrogarsi con ardore su come “uno qualsiasi di noi” può diventare come il ragioniere di Pistoia o i razzisti in azione a Opera, Rosarno, Torino, Castelvolturno.
    Ma perché nessuno s’interroga – neppure su questo sito – sulla trave delle guerre a cui l’Italia partecipa coi suoi bravi soldatini democratici?

  18. Sarebbe forse sensato terminare qua la discussione, perché rischia di portarci lontano. E tuttavia, voglio provare a proseguirla, perché mi sembra interessante. Abuserò pertanto ancora della pazienza dei miei interlocutori.

    Intanto, vorrei far notare che alla manifestazione di oggi sono intervenute 20000 persone (sia per il Corriere che per Repubblica). Visto che Firenze non è una megalopoli, si tratta di una delle manifestazioni più imponenti della storia di questa città.
    Per Genovese questo è “buonismo”. Ma che cos’è il “buonismo” (termine e concetto che non ho mai apprezzato)? “Antirazzismo discreto” (per riprendere le categorie di Genovese)? Bene, antirazzismo discreto batte razzismo discreto 20000 a 0.
    Voglio dire, se esiste il razzismo, esisterà anche il suo contrario, no? Se 20000 fiorentini avessero marciato al grido di “via i negri da Firenze”, avremmo tutti urlato alla barbarie razzista. E allora oggi occorre registrare la dimostrazione di civiltà fornita da questa città.
    Altrimenti quella proclamata da Genovese diventa una verità non falsificabile: insomma, “l’Italia (e in particolare Firenze) è un paese profondamente razzista”, dice Genovese. “Ma se oggi in 20000 a Firenze hanno marciato in una manifestazione in nome dell’antifascismo!”, rispondo io. “Ah, no, quello non conta, è solo buonismo”.
    Eh, no: se “quanto è accaduto recentemente a Torino, o meno di recente a Rosarno o a Castel Volturno)” dimostra, secondo Genovese, il suo assunto, allora quanto è accaduto oggi a Firenze dimostra esattamente il suo contrario.
    Altrimenti è impossibile anche solo discuterne.

    Ma d’altra parte, come si misura il razzismo di una comunità? (Ammesso che la cosa abbia un senso: mi parrebbe più logico pensare che siano gli individui a essere razzisti: generalizzare mi pare sempre, come dire… razzista).
    Io non capisco. Da quando c’è l’elezione diretta del sindaco a Firenze sono stati eletti: un professore universitario allievo di La Pira, un funzionario del PCI, un boy scout. Altrove sono stati eletti leghisti o ex picchiatori fascisti.
    La Destra e la Lega raccolgono percentuali da prefisso telefonico, e molti che votano adesso Lega sono semplicemente i nostalgici del MAT (Movimento autonomista toscano, la cui piattaforma ideologica non era razzista: certo grettamente provinciale, volevano tornare al Granducato…). PD, vendoliani e altri movimenti di sinistra sommano circa il 60%.
    Capisco che non siano argomenti dirimenti, ma qualcosa significheranno, no?

    “L’assunto è che l’Italia sia un paese ‘profondamente razzista’ (su questo possiamo essere d’accordo tutti, credo, se pensiamo soltanto a quanto è accaduto recentemente a Torino, o meno di recente a Rosarno o a Castel Volturno), oltre che dal ben noto passato fascista.”
    Ora, mi verrebbe da dire che se tutta l’Italia è profondamente razzista, non ha senso mettere l’accento sul “bazar” fiorentino: Firenze è razzista in quanto città italiana, né più né meno.
    Perché i casi sono due: o il fatto di essere città italiane condanna ogni borgo delle Stivale, da Aosta a Gallipoli, da Trieste a Marsala, ad essere invischiato nella melma razzista, indifferentemente (e allora la divagazione fiorentina di Genovese perde di fondatezza), oppure le differenze locali, in termini di cultura specifica e situazioni socio-economiche peculiari legittimano l’identificazione di gradazioni diverse in questa poco onorevole graduatoria. Esisteranno città italiane più razziste, e città italiane meno razziste. E chissà, magari allora esisteranno anche città italiane non razziste…

    Genovese sembra ricollegare il razzismo italiano al “ben noto passato fascista”. Ora, il regime fascista è finito 66 anni fa. Non è cambiato niente da allora? Possibile che un regime durato venti anni abbia lasciato un’eredità culturale così pesante e vincolante?
    Firenze, sotto i suoi ponti ha visto passare tanta tanta acqua (d’Arno). Perché il fascismo dovrebbe aver lasciato più tracce dell’Umanesimo? O del Codice leopoldino (la Toscana primo stato al mondo ad abolire pena di morte e tortura…)? Perché mai Mario Carità dovrebbe aver pesato sui fiorentini più, che so, di Giovanni Pico della Mirandola? “Che c’entra, ma il fascismo è più recente…”. Bene, dopo il 45 le culture egemoniche a Firenze sono state quella comunista da una parte e quella della sinistra democristiana e del cattolicesimo democratico dall’altra (La Pira, Ernesto Balducci, Don Milani…). Forse meno visibile, ma comunque importante, la cultura laico-democratica (Spadolini, per esempio). Non è che magari Don Milani può aver piantato un piccolo semino in quel campo arido che è la testaccia dura dei fiorentini? Non è che forse sessant’anni di Repubblica democratica hanno prodotto qualcosa?
    L’Italia, e Firenze con essa, è condannata per sempre?
    Francamente, quest’idea di un razzismo “profondo”, spiegabile con l’eredità fascista, non mi convince molto.

    E ancora: “una città terziarizzata e deindustrializzata, ridotta ormai a un enorme bazar per turisti”. Ecco, questo è un luogo comune trito e ritrito, e falso, che troppo spesso riecheggia quando i non fiorentini parlano di Firenze. Va bene, via Tornabuoni è colonizzata da negozi di vestiti di marca. San Lorenzo e via Calzaioli sono piene di negozi e bancarelle che vendono paccottiglia ai turisti, i ristoranti di piazza della Signoria fanno schifo e rifilano ai tedeschi ribollita riscaldata. Ma Firenze non inizia da Piazza Santa Maria Novella e non finisce a Santa Croce. Non siamo ai tempi di Cacciaguida.
    Firenze abbraccia in realtà un’area metropolitana che comprende anche Sesto fiorentino, Calenzano, Scandicci, Campi Bisenzio, Settignano, Fiesole, ecc. ecc. Firenze ha 350000 residenti, ma ogni giorno su Firenze insistono circa 800000 mila persone. Quei 450000 sono turisti? No, per l’80% sono cittadini che vivono fuori del Comune ma che lavorano in città. Tutti a vendere cartoline illustrate? Ci crediate o no, il turismo è solo una voce, importante certo, ma molto minoritaria, dell’economia della città. Per esempio, Firenze è ancora un polo industriale (Officine Galileo, Nuova Pignone, Ely Lilly, Targetti, Neutro Roberts, ecc. ecc.: magari adesso di proprietà di multinazionali, ma sempre presenti sul territorio) e un centro importante per la produzione della moda (Ferragamo, Gucci, Cavalli, ecc.).
    Rifredi non è “un enorme bazar per turisti”, e non lo sono Novoli, Le Piagge, l’Isolotto, Le Cure, Campo di Marte, Castello, Quaracchi, le Tre Pietre, San Bartolo a Cintoia, Firenze Nova. Non lo sono poi certo i centri urbani che circondano la città.
    Mi ripasso e ripasso in mente la lista dei miei concittadini che conosco: non ci avevo mai fatto caso, ma io non conosco nessuno, davvero nessuno, che abbia un lavoro legato anche indirettamente al turismo.
    Perché vi annoio con queste banalità?
    Perché l’ipotesi di Genovese è che “in una città terziarizzata e deindustrializzata, ridotta ormai a un enorme bazar per turisti, emerga un contrasto di tipo culturale-identitario tra modalità di commercio storicamente e antropologicamente diverse”. Ora, a parte che credo che l’ipotesi sia falsa, ma se anche fosse vera, riguarderebbe soltanto poche migliaia di persone, e non potrebbe certo in nessun modo essere considerata rappresentativa. Al limite, spiegherebbe quel 2% che prende la Lega alle elezioni.

    Poiché questa discussione è nata da un fatto preciso, drammaticamente reale, fatemi per favore riportare, e poi concludo, l’attenzione su di esso.
    Ecco quel che è successo.
    Un razzista ha impugnato un’arma e ha sparato a 5 FIORENTINI, uccidendone 2 e ferendo gravemente gli altri. Fiorentini perché a Firenze vivevano e lavoravano da anni, alcuni anche da decenni. Firenze è stata ferita e stuprata. E colpita nei suoi valori più profondi.
    Nei giorni successivi, Firenze ha reagito, dando un’altissima dimostrazione di civiltà e democrazia. Come all’indomani dell’Alluvione del 66, come all’indomani della strage di via dei Georgofili.
    In altre occasioni magari no, ma in questi giorni è stato davvero molto facile essere orgogliosi di essere fiorentini. E nel dolore e nello sgomento per la follia cui abbiamo assistito, è stata certo una consolazione.
    Ogni altra considerazione è semplicemente falsa. E insultante.

  19. @ Alessandro

    Non sono d’accordo che una discussione « nata da un fatto preciso, drammaticamente reale» debba restare al fatto. Troppo comodo! I fatti s’interrogano e si contestualizzano. ( Io addirittura ho tentato di metterci dentro anche il neocolonialismo di ritorno in Libia e tutti zitti…).
    Su, facciamoci portare lontano ogni tanto!
    E, per favore, usciamo dal campanilismo fiorentino. O dal giochetto città “più razzista/meno razzista”. O da quello che ridimensiona la questione POLITICA parlando di “poche mele marce”. O da quello che agita il fantasma del fascismo storico ( e si assolve: « a Firenze sono stati eletti: un professore universitario allievo di La Pira, un funzionario del PCI, un boy scout. Altrove sono stati eletti leghisti o ex picchiatori fascisti») senza interrogarsi su come « PD, vendoliani e altri movimenti di sinistra» si sono comportati sulla questione dei nuovi immigrati (delegandola, ad es., ai preti della Caritas, o alla polizia). Per non dire dell’appoggio a una guerra per me neocolonialista (ancora la Libia!) al servizio di Usa-Francia-Gran Bretagna.
    La «dimostrazione di civiltà» – 20mila antirazzisti che sfilano a Firenze (senza bandiere ma con a capo dirigenti della sinistra che hanno dato una mano ad aprire i CTP e difenderne “la necessità” anche quando erano al governo) – lascerà il tempo che trova.
    Non sarà tutto “buonismo” quello sceso in piazza. Non ci sputo sopra. Ma domani e dopodomani? Dove sono le scelte politiche che affrontano i problemi irrisolti della nuova immigrazione e della possibile “guerra tra poveri” nelle periferie delle città, al di là della protesta simbolica di ieri?
    Se ci fossero state in tanti anni in cui anche il centro sinistra ha governato, allora, sì, potresti esclamare « antirazzismo discreto batte razzismo discreto 20000 a 0». Non ci sono state né qualcuno s’è preso qualche impegno in merito, e ti consiglierei di essere meno ottimista e più prudente e anche di non banalizzare le cose scritte da Genovese.
    Ragioniamo.
    Il razzismo non è un fatto individuale. Negli individui ci sono pulsioni contraddittorie, anche razziste, ma a dargli veste ideologia, a incoraggiarle e legittimarle sono sempre poteri più o meno forti: dagli estremisti di Casa Pound, alla Lega con una sua campagna capillare e metodica anti-immigrati, al Maroni al governo che invitava ad essere “cattivi” contro le “invasioni” dal Maghreb.
    Un fanatico – mettiamo Hitler – avrebbe scritto *Mein Kampft” e basta. Se è arrivato allo sterminio di milioni di ebrei non l’ha fatto da solo (atto individuale), ma ricevendo l’appoggio di poteri forti economici e politici e anche sociali (anche operai!). E vedi che tra i tanti votanti di sinistra i pensierini e i comportamenti razzisti non mancano affatto. E condizionano anche i dirigenti, che seguendo logiche elettoralistiche alzano appena di più la voce solo quando ci scappa il morto. Altrimenti, come ho detto, avremmo – come minimo – delle buone leggi antirazziste. L’antirazzismo è solo l’altra faccia del razzismo. Non la soluzione. Ma qui il discorso «rischia di portarci lontano», anzi ancora più lontano e su un blog questo non si fa. Sono costretto a chiedere.

  20. Segnalo questo link (http://www.aldogiannuli.it/2011/12/breivik-e-gli-altri/#more-1863) che rimanda a un interessante post di Aldo Giannuli e ne stralcio un brano:

    “Ed allora, possiamo concludere che si tratti solo di pazzi che hanno agito individualmente?

    Ma, folli questi lo sarebbero stati già da prima, come mai si svegliano tutti insieme (due nella stessa giornata!) per fare gesti così estremi?
    Adrano Sofri, su Repubblica di oggi (14 dicembre) ha scritto un pezzo molto bello per dimostrare quale infernale miscela si possa innescare fra paure xenofobe e crisi finanziaria e quanta colpevole tolleranza ci sia stata nel far dilagare una cultura razzistica contro gli immigrati. A proposito, il “Corriere” di lunedì scorso dava notizia di una professoressa che ha dato due voti in meno ad una sua allieva -che aveva fatto il compito in modo identico agli altri- “perchè tu non sei come gli altri, sei nera”: possiamo sapere se le autorità scolastiche hanno disposto un immediato provvedimento disciplinare? Questa signora va licenziata in tronco ed immediatamente, non può svolgere compiti educativi.

    La prospettiva suggerita da Sofri è corretta e condivisibile, ma forse non esaustiva. Togliamo di mezzo le cose ovvie: il mondo è pieno di matti e tutto fa pensare che i tre di cui ci occupiamo lo fossero. Così come è plausibile che in tutto questo abbia giocato un ruolo il particolare momento che viviamo e le cupe nubi che si affacciano al nostro orizzonte. Ma questo potrebbe essere solo il quadro di insieme, su cui si innestano altri fenomeni: il fatto che possa trattarsi di psicopatici turbati dal clima sociale, non esclude che essi possano essere stati “usati”: la storia è piena di “strumenti ciechi di occhiuta rapina”, spostati che sono stati usati da gente lucidissima.

    Riflettiamoci meglio: i casi presentano strane analogie.
    In primo luogo,in tutti tre i casi la dinamica dei fatti non è per nulla chiara e la spiegazione ufficiale presenta non pochi punti deboli. Per limitarci ad un esempio, Amrani, già tempo prima, era stato trovato in possesso di un arsenale di armi (oltre che di 28.000 dico ventottomila piantine di marijuana) ed era “tenuto d’occhio” dalla polizia. E meno male! Infatti questo non gli ha impedito di uccidere una donna ed occultarne il cadavere in casa (come si è scoperto all’indomani della strage) e di farsi un nuovo arsenale completo di granate e kalashinikov.

    Poi, due attentatori su tre sono morti alla fine dell’azione e non si capisce come (suicidio? Spari della polizia? Uccisi da un complice?).
    In secondo luogo, tutte tre le azioni sembrano state condotte come da manuale di “guerra tra la folla”: questo film lo abbiamo già visto.

    Ancora: in tutti tre i casi lo sfondo è dato dalla questione dell’immigrazione: Breivik ha sparato a suoi concittadini che giudicava troppo arrendevoli verso gli immigrati, Casseri direttamente agli immigrati, invece Amrani sarebbe un immigrato che spara ai cittadini del paese ospitante. In tutti i casi, si evidenziano delle frizioni estreme fra la comunità ospitante e gli immigrati, a sottolineare l’impossibile convivenza dell’una e degli altri.
    Beninteso: non abbiamo prove che ci sia un legame fra i tre fatti, ed è solo un sospetto, tutto da approfondire, ma come si fa ad escludere così precipitosamente che non si tratti di episodi terroristici?

    Insomma, varrebbe la pena di investigare vi pare?
    Anche qui, però, andiamoci con i piedi di piombo prima di saltare frettolosamente alle conclusioni: non ho simpatia per quelli di casa Pound, ma non è detto che chi sta dietro a Casseri sia il gruppo che bazzicava. Casseri era perfetto per un dirty job sia perchè squilibrato sia perchè frequentatore di certi gruppi, ma non è affatto detto che chi lo abbia usato debba per forza essere di quell’area. Anzi, il sospetto è che possa trattarsi di persone anche di ben altra latitudine ideologia.

    Che si scateni un clima di guerra civile latente fra immigrati ed autoctoni in Europa, in questo momento, è cosa che farebbe comodo a troppi. Ciò non di meno, è utile studiare meglio cosa sta diventando l’estrema destra europea in questo scorcio di tempo. Ad esempio, al posto della polizia studierei molto meglio il convegno delle destre xenofobe a Colonia nell’estate 2009 e magari studierei meglio il web: non solo –scontatamente- i siti di destra, ma anche certi post che si leggono nei siti dei quotidiani (andate a leggere i commenti nel sito della “Nazione” del 13 dicembre, quando non si sapeva bene chi fosse l’autore della strage).

    In ogni caso non corriamo troppo e stiamo ai fatti: ci sono coincidenze che meritano di essere indagate e non è il caso di chiudere troppo un fretta l’ipotesi di un rinascente terrorismo di questa marca.
    Per quel che mi riguarda, posso solo dichiararmi a disposizione della difesa delle parti lese (come i senegalesi di Firenze) per un eventuale supporto, sulla base delle mie conoscenze del tema e delle precedenti esperienze giudiziarie. Beninteso, a titolo perfettamente gratuito e come forma di militanza democratica.

    Aldo Giannuli”

  21. Anche la stupidità.
    C’è quella discreta, innocua,
    e quella che porta all’autodistruzione.
    Scambiare l’amore di sè, l’istinto di sopravvivenza, il difendersi da un’invasione straniera,
    con il razzismo, è espressione di stupidità.
    E chi chiama razzista solo chi difende la propria patria invasa da stranieri
    oltre ad essere un traditore, è anche un vigliacco.

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