di Emanuela Bandini

 

Consigli di classe. Scuola, democrazia e società, 
rubrica a cura di Mimmo Cangiano

 

Una delle lamentele più frequenti che si possano ascoltare nelle sale insegnanti di tutto lo Stivale è che a scuola, in classe, non si riesca più a fare quello che si riusciva a fare solo cinque o sei anni fa, nonostante ci si senta sempre più carichi di lavoro: c’è chi attribuisce questa difficoltà alle diverse caratteristiche delle nuove generazioni, chi invece alle mutate condizioni dei dispositivo scolastico, che negli ultimi venticinque anni ha attraversato non meno di quattro grandi processi di riforma e revisione (Berlinguer, Moratti, Gelmini, Renzi) e una serie di continui “aggiustamenti interni”, che, pur mantenendone immutata la struttura portante, hanno modificato profondamente quello che si fa (o si riesce a fare) nelle aule.

Vorrei provare a dimostrare che la percezione di un tempo-scuola che sembra sfuggire tra le mani, sempre più ridotto e frammentato, a cui corrisponde, paradossalmente, un aumentato carico di lavoro non retribuito, non è solo una laudatio temporis acti, ma è l’effetto delle politiche che negli ultimi anni si sono abbattute sulla scuola.

Da docente di Lettere, comincerò da ciò che mi è più noto.

 

L’erosione del tempo-scuola dedicato alle materie umanistiche

 

Innanzitutto è possibile osservare, con l’unica eccezione degli istituti tecnici, una diminuzione generalizzata delle ore dedicate alle materie umanistiche, come dimostrano due casi esemplari.

Il primo è quello della scuola secondaria di I grado: dal 1979 (D.M. 9 febbraio del 1979, Ministro Pedini) il quadro orario dell’allora scuola media prevedeva, per ciascun anno del triennio, sette ore di Italiano, due di Storia ed Educazione civica, due di Geografia; con la Legge 75/2005, la cosiddetta “Riforma Moratti”, è rimasto inalterato il monte-ore di Storia e Geografia, mentre le ore di italiano sono state ridotte da sette a sei. Quindi, in un’età cruciale come quella della fascia 11-14 anni, i ragazzi e le ragazze hanno letto, scritto, parlato, riflettuto sulla lingua per quasi cento ore in meno nell’arco del triennio: ciò significa non solo che gli insegnanti hanno, giocoforza, “fatto” meno (meno argomenti, o in modo meno approfondito), ma che gli studenti hanno avuto meno tempo a disposizione per sviluppare competenze di lettoscrittura, lessicali, espressive…

 

Si aggiunga il fatto che, di queste sei ore rimaste, una è stata scorporata e rinominata “Approfondimento di italiano” (buffo che si dedichi un’ora ad approfondire quello che è stato affrontato in maniera più superficiale nelle restanti cinque ore), e può essere affidata ad un docente diverso da quello delle altre cinque ore, aggravando così la dispersione di energie e frammentando ulteriormente la disciplina, che già (e ne è testimone la recentissima discussione sulle Nuove Indicazioni Nazionali) fatica a trovare una ratio tra i due fuochi dell’educazione linguistica e di quella letteraria.

 

Il secondo caso, ancora più lampante, è quello che è accaduto in alcuni indirizzi superiori, ad esempio il liceo scientifico: se nel triennio il monte ore delle materie umanistiche (italiano, latino, storia, filosofia), nel passaggio dalla scansione prevista dal D.M. 24 aprile 1963 (ministro Gui, quello della riforma della scuola media unica, per intenderci) a quella delle Leggi 133 e 169/2008 (Ministri e Gelmini) è stato riorganizzato, ma è rimasto sostanzialmente invariato, così non si può dire per quello del biennio. Infatti, la drastica riduzione delle ore di Latino e l’accorpamento della Storia e della Geografia, anche in questo caso con una riduzione, nella nuova disciplina di Geostoria, ha fatto sì che il monte-ore di materie umanistiche scendesse da 13 a 10 nella classe I e da 11 a 10 nella classe II. Ciò equivale, nell’arco del biennio, a ben 264 ore di lezione in meno. Ora, lungi da chi scrive l’idea che il latino (o qualsiasi altra materia scolastica) abbia capacità taumaturgiche (se n’è scritto qui), ma è innegabile che eliminare quasi duecento ore di lavoro in classe su una disciplina linguistica (più tutto il corrispondente lavoro a casa) non può non avere un impatto sullo sviluppo di competenze linguistiche, espressive e testuali, anche trasversali, che poi risultano necessarie per affrontare il triennio in modo adeguato. Per inciso, le ore di italiano sono diminuite anche nel biennio degli istituti tecnici, da cinque a quattro a settimana (benché compensate, poi, da un corrispondente aumento nel triennio).

 

È da sottolineare, poi, che il taglio delle ore delle discipline umanistiche è concentrato negli anni dell’obbligo scolastico (secondaria di I grado e primo biennio del II grado): di fatto, uno studente o una studentessa che oggi arriva al terzo anno di un liceo scientifico lo fa con oltre 350 ore di lezione (di italiano, storia e geografia, latino) in meno di un suo coetaneo di quindici anni fa. Non si dimentichi, poi, che nelle ore di italiano si lavora in modo specifico su competenze trasversali di comprensione del testo e produzione orale e scritta, che hanno poi ricadute anche su tutte le altre discipline. Non c’è da stupirsi, dunque, se anche docenti che non sono direttamente investiti da questo processo di contrazione facciano fatica a lavorare con classi che di certo non hanno (non possono avere, e sicuramente non per colpa di studenti e insegnanti) gli stessi prerequisiti di quelle di qualche anno fa, e che invece avrebbero il diritto di raggiungere i medesimi obiettivi di apprendimento, se non più alti.

 

L’erosione del tempo-scuola dedicato alle discipline

 

Alla una diminuzione, negli anni terminali dell’obbligo, delle ore dedicate ad alcune discipline, prima fra tutte l’italiano, si è accompagnata,  a partire almeno dal 2015, una diminuzione delle ore complessive dedicate alle discipline curricolari, che devono essere reindirizzate verso altre attività:

 

    • – Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (PCTO, ex Alternanza Scuola-lavoro, Legge 107/2015 “La Buona scuola”), istituiti dalla Legge 145 del 30 dicembre 2018, che prevedono attività obbligatorie (e requisito d’accesso all’Esame di Stato) nel corso del triennio: 210 ore negli Istituti professionali, 150 ore negli Istituti Tecnici, 90 ore nei Licei.

    • – Educazione civica, insegnamento trasversale pluridisciplinare istituito dalla Legge 92 del 20 agosto 2019 e attivato dall’a.s. 2020-2021, che impone lo svolgimento di almeno 33 ore annue della disciplina, con valutazione periodica e finale, per tutti gli ordini e gradi di scuola.

    • – Orientamento, istituito dal D.M. 328/2022, che prevede almeno 30 ore annue, anche extracurricolari, per la secondaria di I grado e il primo biennio del II grado, e 30 ore curricolari nel triennio della secondaria di II grado (sulle criticità legate alla didattica orientativa e, in particolare, della formazione prevista per i tutor, si veda qui).

Basta un rapido calcolo per rendersi conto che, nel triennio della scuola superiore, non meno di un centinaio di ore l’anno (circa il 10% del monte-ore complessivo, a seconda degli indirizzi) vengono impiegate in attività differenti da quelle normalmente richieste dalla didattica disciplinare in classe, che ovviamente ne soffre e deve continuamente rimodulare contenuti e obiettivi.

A margine, si noti che tutte queste attività hanno bisogno di tempo per essere progettate e rendicontate, ed eccoci dunque al terzo punto, poiché on è solo un tempo-scuola disciplinare progressivamente eroso e frammentato a generare nei docenti la costante sensazione di essere in affanno,  di non avere più tempo per dedicarsi alla didattica.

 

L’erosione del tempo dedicato all’otium dei docenti

 

È in atto infatti, da almeno vent’anni, un processo opposto che concorre a limare via via  l’otium degli insegnanti (ovvero il tempo dedicato allo studio, all’aggiornamento, alla pianificazione e progettazione delle attività in classe), saturando all’infinito quella “funzione docente” i cui limiti non sono mai stati stabiliti in fase di contrattazione del CCNL.

Infatti, a partire gradualmente dal 2002 e poi, obbligatoriamente, dal 2009 (sempre per la famigerata Legge Tremonti-Gelmini), tutti i docenti hanno 18 ore settimanali effettive di lezione in classe: tali provvedimenti hanno eliminato le cosiddette “ore a disposizione” che (soprattutto nella secondaria di I grado) venivano utilizzate non solo per le sostituzioni dei colleghi assenti, ma anche per le sorveglianze nella pausa-mensa, le attività alternative all’IRC, le compresenze, il supporto linguistico agli studenti non italofoni, ma hanno avuto un impatto notevole sulla composizione delle cattedre stesse, intaccando anche l’aureo principio della continuità didattica per “incastrare”, come a tetris, il monte orario delle singole discipline nelle 18 ore (caso esemplare, quello dell’insegnamento di storia e filosofia nei licei che non siano il classico, in cui, spesso, non si riesce a garantire che lo stesso docente porti le classi dalla terza alla quinta). Il 2009, inoltre, è anche l’anno in cui viene stabilito l’innalzamento a 27 del numero minimo di alunni per le classi prime, sia nel I che nel II grado.

 

Il “combinato disposto” di questi provvedimenti ha fatto sì che, rispetto a quindici anni fa, i docenti abbiano più classi (almeno una, se non due, in più) e più numerose. Ciò comporta, ovviamente, un aumento del numero dei consigli di classe (pur sempre all’interno del tetto delle 40 ore annue, ma esclusi gli scrutini), un aumento delle ore per i colloqui con le famiglie (attività funzionale all’insegnamento non quantificata nel CCNL), e spessissimo, per ovvi motivi pratici, un maggiore ricorso alle prove scritte rispetto alle prove orali, con un conseguente maggiore dispendio di tempo ed energie per la preparazione e la correzione delle verifiche.

 

Si aggiunga, negli ultimi anni, un crescente processo di burocratizzazione della funzione docente: non solo la progettazione e la rendicontazione di attività come quelle già elencate (PCTO, Educazione Civica, Orientamento), ma anche di uscite didattiche e viaggi di istruzione (che richiedono modulistica e preventivi che scoraggerebbero viaggiatori del calibro di Marco Polo e Magellano) o di attività progettuali curricolari ed extracurricolari finanziate con fondi PON o PNRR; tute queste attività e progetti necessitano di referenti e responsabili, con una moltiplicazione e sovrapposizione di incarichi (coordinatore di classe, tutor PCTO, referente di Educazione Civica…) a cui spesso vengono riconosciuti compensi nettamente inferiori all’impegno e al tempo profuso – non dimentichiamo, anche, che la diminuzione degli organici ATA ha fatto sì che spesso i docenti debbano farsi carico di compiti che prima erano svolti dalle segreterie didattiche (modulistica, compilazione piattaforme online, controllo dei pagamenti…).

 

Inoltre, è sotto gli occhi di tutti la mole abnorme di rendicontazione burocratica richiesta soprattutto quando si tratta di procedure valutative (griglie di valutazione delle prove scritte e orali, recuperi trimestrali e quadrimestrali, relazioni, debiti estivi), finalizzata, perlopiù, non ad una valutazione efficace degli apprendimenti, quanto alla tutela di istituti scolastici, dirigenti e docenti da eventuali ricorsi delle famiglie. Negli ultimi anni, poi, l’aumento di diagnosi e certificazioni per BES e DSA (dati Associazione Italiana Dislessia qui) ha comportato, per moltissimi insegnanti, la compilazione di un numero sempre crescente di Piani Didattici Personalizzati (spesso più di uno per classe) e la predisposizione di adeguati strumenti didattici compensativi.

 

Dunque, appare chiaro come, rispetto agli anni Novanta e ai primi anni Zero, non solo siano diminuite le ore che i docenti riescono a dedicare al lavoro in classe, ma siano aumentate quelle impegnate in attività di progettazione, documentazione e rendicontazione delle più svariate attività. Ad aggravare tale situazione è anche la diffusione del registro elettronico e delle comunicazioni via mail o chat, che spostano l’adempimento di una serie di compiti inerenti la funzione docente dallo spazio e dal tempo trascorso a scuola (come accadeva quando circolari e registri, cartacei, non potevano essere portati all’esterno) a quello personale e domestico, ponendo il problema del diritto alla disconnessione, non ancora adeguatamente regolamentato.

Da quanto detto, emerge con chiarezza che l’impressione di avere sempre qualcosa da fare ma di non fare mai abbastanza; la percezione di non avere più tempo da dedicare alle proprie discipline, alla didattica in classe, allo studio e alla formazione; la crescente sensazione di stanchezza e sovraccarico mentale, che colpisce sempre più il corpo docente non sono una sterile lamentela dei “fannulloni statali”, ma un grido d’allarme purtroppo trascurato di una categoria ad altissimo rischio di burnout, il cui benessere dovrebbe essere invece uno degli elementi chiave per il benessere di chi la scuola la frequenta, ovvero gli studenti.

 

14 thoughts on “Il tempo-scuola fugge… et non s’arresta una hora

  1. Questo articolo è di Emanuela Bandini? Non mi risulta chiaro.
    Tutte le osservazioni sono quanto mai giuste e i risultati si vedono (o meglio si sentono) nella generale diminuita capacitá di esprimere riflessioni, idee, opinioni, critiche, disaccordi, sentimenti. Il panorama desolante di una societá in cui il principale linguaggio delle relazioni umane si è drammaticamente impoverito rendendoci tutti più soli e confusi.

  2. Gentile Ida Cappetti,
    Confermo che il pezzo è mio.
    La rubrica è Consigli di classe, a cura di Mimmo Cangiano.

  3. Sulla deriva burocratica ho sentito lamentazioni simili da bibliotecari e medici, e credo sia legata all’introduzione e uso intensivo dei mezzi informatici anche nell’attività intellettuale, con parziale riduzione della divisione del lavoro ed estensione pervasivo di questo nella vita privata (pensiamo al rapporto difficile con whatsapp di molti medici e veterinari).
    Circa il ridimensionamento delle materie umanistiche, questo è in atto
    dai tempi del fascismo insofferente alla riforma Gentile (De Vecchi, Bottai) più sensibile del vecchio mondo liberale alle esigenze dell’industria. Il processo è stato favorito dalla sinistra ideologica che vedevanl nel Latino uno strumento di differenziazione classista, dal ’68 e dall’americanizzazione della società. Anche la sostituzione nello studio di una lingua del ceppo germanico come l’Inglese a una lingua neolatina alla nostra affine come il Francese ha in parte deturpato fonetica, morfologia, lessico e sintassi dell’Italiano (anche se prima ci si lamentava dell’infraciosamento!).
    Verrebbe da imputare l’imbarbarimento linguistico dei giovani a TV e internet, se non si fosse obbligati a registrare da decenni l’eclisse degli ideali, della grande politica, dei grandi scrittori, degli intellettuali, della grande editoria di cultura, della critica letteraria mitante sostituita dalle autopromozioni di libri farlocchi, del prestigio dell’Università in cui non insegnano più a contatto di gomito Muscetta, Binni, Pedullà, Scotti, Quondam, Asor Rosa, Ferroni, Tartaro, Borsellino.
    Per ridare nerbo alla preparazione dei nostri giovani occorre ripristinare la selezione separando presto i destini dei meritevoli da quelli delle capre. Inutile pretendere dalla scuola di forgiare tutti letterati: meglio far studiare il latino sin dalla prima media inferiore a pochi che toglierlo a tutti. Ridurre il numero delle classi colle bocciature, far arrivare alla maturità classica e scientifica la crema, favorendo in essa autostima e sodalizi fruttuosi per l’avvenire.
    Sovente odo pronunciare per strada da studentesse delle superiori
    espressioni irriferibili simili a quelle di cui sono ricchi i dialoghi di “Ragazzi di vita” : ecco, si è passati dalle borgate alla scuola. E magari alla foratura delle gomme!
    Per ridare dignità all’insegnamento e a chi lo dispensa vi è una sola stretta strada, quella del rigore e serietà dello studio, cui è indissolubilmente legato il rispetto della tradizione che rifulge in tutta la nostra grande letteratura.
    Il giovane deve considerare un onore e non un diritto acquisito il conseguimento del diploma, e all’insegnante va restituito il potere sanzionatorio.
    Sperare però, anche dopo aver aumentato le ore di italiano e latino, di poter interessare un’intera classe a Foscolo e Pindemonte è illusorio: l’amore per lo studio disinteressato, per le lettere, per la scrittura, per la lettura silenziosa senza distrazioni puerili è dono dato a poche anime elette. Se vogliamo incoraggiarle non permettiamo che per cinque anni subiscano l’influenza deleteria dei mediocri.

  4. Abolire il valore legale del titolo di studio: ecco un modo per allontanare dalla scuola tutti coloro che aspirano al “pezzo di carta” e rimotivare i motivati all’apprendimento o i veri bisognosi di sapere. La scuola deve essere un’istituzione aperta a tutti, ma che punta alla creazione di un’élite. Oggi una persona rozza e abile può diventare milionaria inventando un’applicazione informatica. A quella persona la scuola serve poco: ma dovrà essere sempre lì, pronta ad accoglierla anche a 40 anni, quando quella persona avrà compreso che le manca un orizzonte, una cittadinanza, una relazione. In generale, ciò che Emanuela Bandini lamenta è qualcosa non proprio della scuola, ma del mondo intero: burocratizzazione che sostituisce i contenuti, superfetazione delle certificazioni (e loro inflazione), medicalizzazione, servilismo idolatrico nei confronti della tecnica. L’informatica avrebbe dovuto liberare del tempo, invece lo ha asservito a sé. Lo sappiamo molto bene. Non è la scuola, il problema: è il mondo. Quanto agli alunni, l’informatica 24 ore su 24 ha ridotto la loro mente a cosa radicalmente diversa da quella di un cinquantenne. Un sedicenne ascolta una cinquantenne che parla: prova rispetto, ammirazione e un po’ di noia, come per una statua di Prassitele, che è bella, ma per lui non è la vita.

  5. Già a fine Ottocento il Marzocco ospitò un dibattito sullo stesso tema, segno che i problemi sono più che annosi. In quella sede si constatò con ribrezzo l’assalto al titolo di studio da parte dei parvenu; Pascoli dal canto suo lamentava in un’intervista la scomparsa nella prassi scolastica dei validi metodi di studio in uso nei collegi cattolici, come l’esercizio della versificazione. Da quegli istituti si usciva con solide basi, dopo aver assunto robuste dosi di grammatica, retorica, lettura e imitazione dei classici. Muratori, Fantoni, Cesarotti, Pindemonte, Parini, Manzoni, Carducci, Pascoli, D’Annunzio (al regio Cicognini) ricevettero da gesuiti, somaschi e Barnabiti un’abito mentale e culturale che non smisero più. Persino coloro che nel dopoguerra intesero voltare pagina ebbero la loro buona formazione umanistica, se Togliatti nelle pause congressuali era solito leggere il suo Orazio.
    Non esistevano distrazioni, e la cultura rappresentava un ottimo ascensore sociale.
    Altri tempi? tutto dipende dalla volontà del Principe, che oggi è il Parlamento. Tocca alla politica restituire autorevolezza alla scuola.
    Mi pare che questo governo abbia individuato alcuni problemi reali e proposto delle soluzioni che provano ad opporsi all’irresponsabità imperante.
    Vedremo.

  6. Scusi, Fiocchi Nicolai, ma dove ravvede le soluzioni che il presente governo avrebbe proposto per opporsi alla “irresponsabilità imperante”?? Lo sa che il governo attuale è il primo nella storia repubblicana ad aver proposto come prove scritte al concorso ordinario per l’insegnamento dei test a scelta multipla (pardon, “multiple choice”…) vertenti peraltro esclusivamente su argomenti di pedagogia, psicologia e inglese, uguali per tutte le classi di concorso (dalla fisica all’enogastronomia..)? Altro che Togliatti con il suo Orazio, tra un po’ avremo insegnanti di latino che non sanno neanche tradurre una favoletta di Fedro .
    Un governo che continua a sostenere la “personalizzazione” degli apprendimenti, che altro non è se non la variante “pedagogically correct” del più prosaico “todos caballeros”…. Un governo che promuove una generazione di Dirigenti scolastici che assomigliano più a baldanzosi direttori di supermercato (all’insegna del “Venghino, signori, venghino…”) che a seri presidi di scuola…. Un governo che minaccia di introdurre un’ora settimanale nelle scuole di “Intelligenza artificiale” … Un governo che ingrassa le università telematiche e tutto lo squallido sottobosco clientelare ad esso connesso….
    Ci vuole coraggio per avere fiducia in governanti del genere.

  7. Mi sono chiesto: quante ore trascorreranno prima che si materializzi lo sdegno per la linea di credito da me data al governo ? meno di tre ore in effetti…
    non so nulla delle “proposte” di test anti-Fedro, nulla circa “i todos caballeros” , nulla sul “venghino”, nulla delle “minacce” di IA, nulla sull”ingrasso”delle Università Telematiche. Del resto perché questa sfiducia preconcetta venata di snobistica sufficienza verso l’introduzione di dirigenti dallo stile manageriale? perché prevedere per forza insegnanti ignoranti? perché temere a priori l’IA? perché infine esibire quasi un disprezzo per le Università telematiche? non sarà, gentile Quadrelli, stizzita per un governo che vuole arginare l’uso di cellulari in classe, rimettere al centro lo studio della grammatica, ripristinare la disciplina, far capire insomma, bene o male, che l’andazzo deve terminare?
    anche i provvedimenti simbolici contano, anzi sono più importanti di quanto crede. Perché se non altro costringono la sinistra a fare autocritica per quello che non ha fatto. E per quello che ha fatto.
    Non credo, cara Quadrelli, che certi processi di aziendalizzazione del mondo culturale, ispirati all’efficientismo, che non piacciono nemmeno a me, siano nati col governo di centrodestra; da quest’ultimo posso aspettarmeli, meno da un PD a guida renziana.
    Io desidero solo una scuola seria, educatrice e anticipatrice della vita che non fa sconti. Promuovere gli ignorantoni non è di sinistra e non fa bene né a chi studiando deve trovarseli tra i piedi, né agli ignorantoni stessi, cui si dà il messaggio ingannatore che la faciloneria paga.
    Esigere che un diplomato che si rispetti sappia padroneggiare la lingua del suo paese, sappia esprimersi con proprietà e vigore, non è di destra.
    Qualunque segnale di resipiscenza provenisse dalle istituzioni dovrebbe trovare concordi tutti coloro a cui sta a cuore l’avvenire della gioventù studiosa.

  8. Aggiungo che la bontà di una politica si vede dai risultati: Lei, Quadrelli, mi parla di proposte, di intenzioni; vedremo. Forse avrà ragione Lei.
    Di sicuro i risultati della scolarizzazione di massa, della democratizzazione dell’accesso all’università, si vedono tutti. Così finalmente i privilegi di classe sono stati abbattuti e un indotto può sventolare la sua laurea senza conoscere una parola di latino!
    Sono proprio gli eccessi a favorire la vittoria dei Trump: non è più possibile sfogliare un libro di testo di letteratura italiana, colle copertine colorate per bambini e i box, le lagne sull’inclusione e le scrittrici ingiustamente sottovalutate, con testi elementari e anodini, senza bibliografia…
    Gran parte delle tonnellate di carta che inondano le librerie sono pagine di romanzi di scarso valore scritti da giallisti e donne, pieni di immagini crude e spudorate, dallo stile cinematografico e anticlassico.
    A ben leggerli, non troveresti quasi riferimenti ai nostri autori, ideati come sono per lettori a digiuno di letteratura italiana. ma grandi divoratori di fiction.
    Non sarà responsabile, oltre ai telefilm e filmacci americani, anche la scuola del suicidio delle nostre lettere?

  9. “romanzi di scarso valore scritti da giallisti e donne” (Luca Fiocchi Nicolai)
    La formazione umanistica è una questione delicata. Se non ci si sta attenti passa velocissimamente da solida a stolida.

  10. Scusi, Fiocchi Nicolai, ma come si permette di insinuare che io sia “stizzita per un governo che vuole arginare l’uso di cellulari in classe, rimettere al centro lo studio della grammatica, ripristinare la disciplina”?
    Per parlare il latino di Togliatti (anzi di Guicciardini), “expertus loquor”: insegno nella scuola da 25 anni e ho sempre combattuto le promozioni facili, lo scardinamento dell’insegnamento tradizionale e l’uso smodato di cellulari e dispositivi elettronici. Vedo invece che lei ignora tutti i provvedimenti del governo che io ho menzionato (a proposito: ho parlato di “test- antiFedro”? Ho parlato dell’utilizzo, a mio parere scellerato, dei test a scelta multipla nei concorsi ordinari per l’insegnamento), attribuendomi a priori un odio antigovernativo. Sono d’accordo che il degrado della scuola sia imputabile a politiche già promosse dai governi precedenti, ma ciò non toglie che i provvedimenti di quest’ultimo governo lascino ben poco a sperare. Quanto ai provvedimenti simbolici, certo che sono importanti: ma se non sono accompagnati da robuste e serie misure concrete, sono trovatine ipocrite che possono illudere solo gli elettori ingenui.

  11. Provo (di nuovo ) a replicare:
    Dott.ssa Quadrelli, non sapevo chi lei fosse fino a pochi minuti fa, quando costretto dalla polemica ho consultato internet. Bene, ma in ogni caso nessuna insinuazione da parte mia, lieto di leggere le sue parole. Mai le ho attribuito odio verso il governo. Solo, sono per forma mentis incline a valutare le novità non a priori ma dagli effetti che producono. Non sono informato sulle iniziative di cui parla, di cui non vi è particolare eco sulla stampa, che per altro leggo poco, ma, questo sì , ho scorto gli inequivocabili segnali dati dal Ministro Valditara al mondo della scuola. Non credo siano propagandistici risultando per di più invisi a gran parte degli studenti. Si vedrà .
    Quanto a Lei, Grammann, in attesa del colpo di stato meloniano, sono pronto a riconoscere la mia presunzione di illetterato quale, irrimediabilmente, sono, anche grazie al clima di lassismo in cui mi toccò , già pigro per natura, studiare. Le donne di cui parlo, se non avesse afferrato, sono, provocatoriamente, una categoria merceologica,come i giallisti, foriera di vendite.

  12. Mi sembra che la Bandini lamenti e una compressione del tempo dedicato al lavoro in classe e una riduzione delle ore riservate alle materie umanistiche.
    Ma l’insoddisfazione può riguardare anche docenti di Scienze Naturali quando il voto negativo da loro assegnato a compiti copiati viene contestato dagli studenti che ricorrono al preside che, a sua volta, sconfessa il professore cattivo.
    La diminuzione di ore di italiano e latino è poi compensata dallo snellimento dei programmi, che si riverbera su quelli dei corsi universitari (da confrontare con quelli di trent’anni fa) come si deve dedurre dalla semplificazione degli striminziti libri di testo. Sembra cioè che agli studenti di oggi si chieda di sapere meno che decenni fa. Del resto delle due l’una: o sbagliano i professori (e i presidi) a promuovere tutti o sono tutti bravi, il che è impossibile per una legge di natura, e allora si deve concludere che alla fin fine il liceo di oggi è, rispetto a quello in cui studiò mia madre, una passeggiata (lei portava alla maturità tutte le materie, in classe mancava il riscaldamento ma si studiava e al quinto anno in tutto il Cavour erano rimasti in otto a dare l’esame finale).
    Si è parlato (Raicich) di declino della vecchia scuola classica, scuola pensata per pochi, ispirata in parte all’adagio “non multa sed multum” e da cui si usciva con un bagaglio di cultura umanistica che oggi nemmeno un laureato in Lettere si sogna, declino cui ha corrisposto l’aumentato appeal e prestigio della scienza e dell’economia.
    E sin nella titolazione delle materie (lingua e cultura latina) si nota lo spostamento di accento dalla letteratura all’antropologia e agli usi e costumi che dovrebbero offrire al discente quei riferimenti contestuali che una volta offriva il mito.
    Insomma, meno ore per programmi più facili.
    Ecco a cosa ha portato la scuola media unica. Niente latino, fondamentale, checché ne opinassero Arturo Graf e Antonio Banfi, a immergere subito il giovane nella logica grammaticale, e programmi all’acqua di rose o solo sulla carta sia per chi intende proseguire gli studi sia per chi mira solo al pezzo di carta.
    Non sarà forse il caso di tornare a una precoce differenziazione dei percorsi di studio ? o la proposta è classista ?

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