di Gilda Policastro
Esuli, rubrica a cura di Gilda Policastro
Un amico mi parla di Suor Serena mentre sono sotto attacco gerd (il disturbo gastroenterologico noto volgarmente come “reflusso”). Mi dice che Suor Serena si è curata con le erbe e la medicina cinese, che può sicuramente darmi qualche utile consiglio, se non voglio ricorrere ai farmaci tradizionali. Gli chiedo, scherzando, se la sua amica è anche astrologa, all’occorrenza, ma mi risponde che Suor Serena è una persona colta e raziocinante: si è laureata in Ingegneria elettronica e ora vive in convento, dove posso chiamarla, previo appuntamento. O, se preferisco, mandarle un messaggino su WhatsApp. Non parlo con una suora dall’infanzia (l’asilo l’ho fatto dalle monache perché avevo premura di andarci e alla materna statale ti prendevano solo dai tre anni). La faccenda di relazionarmi a una suora da adulta mi inquieta, mi ricordo ancora i pizzicotti sulle guance di Suor Carla, non sempre bonariamente affettuosi, e la Cinquecento di Suor Concetta lanciata a velocità non proprio monacale: d’altra parte Suor Concetta, antesignana della laicizzazione dei costumi monacali, addirittura fumava. Il tempo passa e nel frattempo gerd si placa. Ma l’amico insiste, chiamala, è comunque interessante parlarci. Suor Serena è in effetti subito cordiale, mi dice di passare al tu e che posso chiamarla o scriverle quando voglio. Giacché mi trovo, parto subito con le domande.
Posso chiederti qualcosa sulla vita in convento? Sono molto curiosa del modo in cui vivete, la scansione delle giornate, le attività che svolgete oltre alla preghiera.
Trovi tutto in un film che abbiamo girato qui in convento. Si svolge per parabole. Mi piacerebbe che lo vedessi e mi dicessi la tua opinione. Ti mando il link (qui: https://www.youtube.com/watch?v=ejNN1NkHZtg&feature=youtu.be).
Lo vedrò senz’altro. Anche perché l’unico documentario che ho visto finora sulla vita in convento è quello di Zavoli, che è in realtà un radiodocumentario ed è sicuramente un po’ datato… ricordo che mi aveva sconvolto il modo in cui parlava della “chiamata”…
Zavoli è molto bravo, ma di sicuro solo le suore possono raccontare, per quel che si riesce, la loro esperienza di “rapimento nel divino”, nessun altro potrebbe. Comunque mandami un link: non abbiamo la televisione, ma posso vederlo su YouTube.
Curioso: avete YouTube e WhatsApp. In effetti non mi era mai capitato di chattare con una suora, meno che mai di clausura. Da fuori ci si immagina questa vita di totale separazione dagli affetti…
Non si rinuncia a nessun affetto: è tutto sublimato. Ma capisco che sia difficile da comprendere e da accettare. Mio fratello non volle parlarmi per tre anni, dopo la mia scelta, e un’amica di università fece lo stesso: erano talmente scioccati e impauriti che non vollero sapere nulla di me per un po’. Ma noi amiamo forse anche di più, in questo modo: amare è soprattutto volere la realizzazione dell’altro.
Tu hai una formazione scientifica: si può conciliare con la fede?
Certo. La Fede non è magia, la Fede è in una Persona, il Creatore di tutte le cose. Non capisco perché ci debba essere questa strana idea che chi crede voglia guarire con le immaginette dei santi. Ma il problema l’hanno creato anche i chierici che hanno sempre fatto vedere Dio come il persecutore, il castigatore: non è così. Dio non è come ce l’hanno raccontato.
Il mio fidanzato, ateo, dice con una citazione famosa che Dio ha una sola scusa: quella di non esistere. D’altra parte come ci spiegheremmo l’esistenza del Male e della morte.
La persona che non crede pensa alla presenza del dolore come una dimostrazione che Dio non esiste o, se esiste, ci è nemico. La verità è che non si capisce il valore del dolore. Il Figlio di Dio, che è Lui stesso Dio, ha sofferto sulla Croce e proprio questo dolore ha salvato il mondo: un dolore permesso dal Padre, sofferto dal Figlio per la salvezza di tutti gli uomini. È questo il motivo per cui Dio “permette” tanto dolore. D’altra parte, la prova vera dell’amore è saper soffrire e dare la propria vita per l’amato. La morte poi ha senso perché non si muore, ma si entra nella dimensione di Cristo. Lo vuoi chiamare paradiso? Ok. A me piace chiamarla dimensione del divino, di Cristo.
O una dimensione dello spirito, se uno non crede nell’oltretomba tripartito come in Dante.
Io credo a quello che c’è scritto nel Vangelo: Dante ha scritto un’opera straordinaria, ma non c’entra nulla o quasi con Cristo.
La chat si interrompe, suor Serena ha un appuntamento telefonico («con mia cognata e mio nipote Carlo. Quindi i contatti ci sono, non rinunciamo a parlare con i nostri cari»). Riprendiamo l’indomani. Suor Serena è sconvolta.
Hai visto il doc di Zavoli?
Qualche spezzone. Ma sinceramente ho avuto la sensazione di un film di Dario Argento. No, mi dispiace, la clausura è totalmente altro.
Sì, è molto cupo, e poi si appoggia allo stereotipo delle suore un po’ fanatiche… c’è da dire che Zavoli visitò il convento di clausura nel ’58, immagino che le cose siano anche un po’ cambiate da allora.
Più che fanatiche, psicopatiche! In questo monastero non ho mai sentito nulla di simile. Comunque noi siamo Clarisse quindi francescane, le Carmelitane hanno una regola molto strana che andava bene nel 1500. E del nostro film cosa ne pensi? Ti è parso un film o un documentario?
Se è un film, di sicuro non è di quelli che siamo abituati a vedere in sala. L’idea che trasmette è di grande serenità, fermezza e convinzione. Da una parte c’è la dimensione dell’operosità, molto efficacemente resa (sembra non si stia mai con le mani in mano, in convento: altro che pregare e basta!). Dall’altra c’è questa idea della dimensione spirituale che non può non essere astratta, dal momento che, come dice a un certo punto la voce narrante, ”la preghiera non produce effetti immediati”. Da osservatrice esterna ho molto rispetto e anche ammirazione per questa scelta ”antimoderna” se così possiamo dire (pensando al mondo che va in tutt’altra direzione: l’iperconnessione, l’affollarsi dei rapporti, delle identità, delle attività, nelle vite dei singoli e della collettività). Mi è mancato, se devo essere sincera, l’approfondimento dell’aspetto della rinuncia. Davvero questa scelta non pesa?
Una cosa che bisogna capire è che la vita claustrale o religiosa in genere non è una scelta, e non ha in sé ragioni particolari o speciali: è una esigenza che si presenta e pian piano ti inonda fino a farti “soffocare”, finché non la metti in atto. Il “pian piano” è quel “martirio del cuore” descritto nel film: devi lasciare la famiglia, gli affetti, la vita che probabilmente avevi programmato di fare, forse con un “tu”, ma anche in modo autonomo. Questa avventura non te la aspettavi, ma forse in fondo la intuivi e non lo volevi ammettere, perché il mondo circostante purtroppo ti influenza e ti vorrebbe uguale a sé. A me la mentalità del mondo ha sempre procurato delle grandi frustrazioni, perché è stato ed è ancora incomprensibile ai miei occhi. La vera rinuncia è stata l’abbandono delle preoccupazioni rispetto alle sofferenze che avrei procurato alla mia famiglia, che certo non avrebbe capito, visto che non era credente. Ma se Cristo, Dio, mi voleva con Sé, ci avrebbe pensato Lui a lenire la loro sofferenza: e così è stato.
E non ci sono mai ripensamenti? Si smette di avere bisogni e desideri, se si consacra la propria vita a Cristo?
I ripensamenti si hanno quando non sei nel posto giusto e vorresti trovare il tuo vero posto. Spesso penso che se non avessi avuto la libertà di seguire Cristo la mia vita sarebbe stata un tristissimo fallimento. Quanto ai desideri, faccio degli esempi banali: se desidero una pizza, che non è un vero bisogno, è facile ottenerla – tra l’altro qui la facciamo in modo eccelso e poi la mangiamo insieme con le Sorelle (faccina). Se dovessi avere bisogno di farmi la doccia, è sempre possibile, così come andare in bicicletta, giocare a palla a volo o a calcio, fare ginnastica. E anche incontrare parenti e amici, o prendersi cura dei genitori nel caso in cui non avessero nessuno che li possa assistere quando non possono più farcela da soli: questo è avvenuto per me con mia zia, mio papà e mia mamma. La persona anziana in ospedale che hai visto nel film è mia mamma.
Amor vincit omnia anche in convento?
Chi entra in monastero perché ha una vera vocazione – e in clausura se non hai la vocazione impazzisci, visto che è un luogo chiuso – il bisogno impellente che ha è quello di farsi inondare dalla costante e impalpabile presenza di Cristo e farsi trasformare dal Suo Amore. Questo sì che diventa ogni giorno che passa un bisogno ossessivo e una necessità di vita. Se, probabilmente tu, Gilda, e molti con te, pensi al bisogno e al desiderio di un affetto umano, ecco in questo caso bisogna farsi un bell’esame di coscienza, essere sinceri con sé stessi, farsi le valigie e, se del caso, andare incontro a un essere umano. La strada intrapresa è chiaramente sbagliata: impazziresti tu e renderesti la vita difficile anche agli altri perché saresti sempre triste. Una saggia e intelligente Madre Badessa aiuterebbe la ragazza incerta a imboccare la strada giusta. Spero di aver esaudito la tua curiositas, ti ricorderò nelle nostre preghiere.
E così sia.
Buongiorno sono una signora praticante cattolica volevo un informazione volevo chiedere se è possibile per cortesia avere email o un contatto whatsapp di
suor serena grazie buona giornata
” La verità è che non si capisce il valore del dolore. Il Figlio di Dio, che è Lui stesso Dio, ha sofferto sulla Croce e proprio questo dolore ha salvato il mondo: un dolore permesso dal Padre, sofferto dal Figlio per la salvezza di tutti gli uomini. È questo il motivo per cui Dio “permette” tanto dolore.”
Il fatto che il Figlio dovesse soffrire e morire per riscattare l’umanità sarà chiaro alla suora ma non a me (non l’ho mai capito nemmeno quando ci credevo); ma a parte questo, il nesso causale (“È questo il motivo…”) non sta proprio in piedi.
Hanno urtato anche me quelle frasi, il dolorismo come pratica esistenziale, di mia nonna per esempio (che di disgrazie in effetti ne aveva dovute subire non poche, essendo senza alcuna padronanza sulla propria vita), il dolorismo lo abbiamo rifiutato noi baby boomers. A meno che -dovendoci riflettere perchè suor Serena non pare una sprovveduta- il dolore non sia la faccia passiva del male, il dolore si subisce dal male attivo. Male attivo di persone, come il male della materia, imperfetta e non beata. Il male, quindi il dolore, è costitutivo della finitudine e della imperfezione. Ed è rifiuto dello gnosticismo, del dualismo e del perfettismo umano, dall’umanesimo al Moderno dei nostri giorni.
Ma anche oggi il dolore si respinge, con la Cura della nuda vita dei corpi, quello che ci propone il grande Reset del WEF. https://www.weforum.org/great-reset/
Cari commentatori, ho segnalato a Suor Serena (che è un nome di fantasia, a tutela della sua privacy) i vostri commenti: non so se abbia o meno possibilità di rispondere ed entrare nella discussione. Credo che il senso del confronto con lei sia proprio l’emersione di questo tipo di differenza che segnalate, nella visione del dolore che si dà entro una scelta e in una forma di vita che ovviamente da esterni (e laici) possiamo comprendere fino ad un certo punto. Apprezzo i toni rispettosi, ma non so se sia il caso di insistere su questo aspetto, su cui si è già pronunciata nell’intervista.
“ma non so se sia il caso di insistere su questo aspetto, su cui si è già pronunciata nell’intervista.”
Sì, si è già pronunciata nell’intervista liquidando in quattro righe uno scandalo – quello del dolore degli essere senzienti (non solo umani) – che nessun Dio potrà mai cancellare. D’altra parte cosa vogliamo pretendere da una chat.
“ ‘Un mattino (era domenica) aspettavamo il principe de Conti per andare a messa; eravamo nel salone, sedute attorno ad un tavolo su cui avevamo posato tutti i nostri libri di preghiera, che la marescialla (la marescialla di Luxembourg) si divertiva a sfogliare. Di colpo si soffermò su due o tre preghiere in particolare che gli erano sembrate di un gusto pessimo al massimo grado e di cui le espressioni erano in effetti bizzarre.’ (Madame de Genlis, Mémoires)
[…]
Il parere della marescialla la rende prossima a quel cardinale del Rinascimento, il quale dichiarava di essere troppo innamorato del latino di Virgilio e di Sallustio per sopportare quello così grossolano dei Vangeli. Certe finezze sono incompatibili con la fede: il gusto e l’assoluto si escludono a vicenda.”
Emil Cioran, Écartèlement [1979] in Oeuvres, Gallimard, Paris, 2011, p. 914
cfr supra “…le erano sembrate…”
Certo che la riflessione sul dolore non è una cosa da liquidare in poche frasi. Non mi stupisce che la posizione della suora sia quella che dice, così come non mi stupirei se un buddista riassumesse la propria, e uno scintoista pure e così via, laici, gnostici, agnostici e atei compresi, non mi stupirei a causa della stringatezza in poche righe. La stupefazione è tutta nel fatto che il dolore ci sia, e su questo forse converrebbe unire le forze (concettuali, culturali, come dir si voglia) tra tutti. Cosa molto difficile da fare.
Grande rispetto per la persona qui letta ed identificata come Suor Serena e, da agnostico, la considerazione che una vita dedicata (qui, consacrata) insegna anzitutto la disciplina, che favorisce un focus interiore di lucidita’, chiarezza o clarita’ oggi forse indispensabile per vivere appoggiandosi ad una pretesa di senso (non mi avventuro negli stati propri dell’esperienza religiosa, tantomeno sulla mistica). Dopo di che, l’esperienza del dolore degli esseri senzienti posta dai gentili commentatori mi pare una molto marginale questione rispetto ai grandi numeri dei miliardi di miliardi di esseri vivi, nati, vissuti e deceduti nel miliardo o due di anni in cui la Terra e’ stata finora abitabile, senza poi voler considerare i miliardi e miliardi di altri pianeti stimati nell’ Universo congetturato, statisticamente probabilmente con vita qualcuno o forse anche tutti senza, in qualche finestra temporale passata, coeva o magari futura. Teorie su anima, animismi, entita’ uniche di cui saremmo emanazione, a qualunque latitudine ed istante, mirano ad una comprensione non per via di Fede (di nuovo, non mi avventuro nelle maniere e negli accadimenti anche eccezionali indotti dalla Fede). Voglio qui suggerire, da piccolo scientista o Diogene nel buio: il mistero lo fa il non ancora compreso? A livello di singoli esseri alle prese col proprio piccolo orizzonte di vita, pochi anni e pochi altri esseri con cui si interagisce, l’umanita’ ha straordinariamente immaginato, teorizzato ed implementato maniere di convivenza con se stessa e col proprio ecosistema che ancora non l’hanno portata all’estinzione… tutto questo con, senza e tante tante volte nonostante la religione. Questo e’ il vero miracolo che stupisce i non credenti, atei o agnostici che siano. Grazie di nuovo e cordialita’.
Da ateo sono sorpreso dalle tante reazioni di ostilità. Si tratta di un ‘esperienza personale. Non mi pare che la qui nominata Suor Serena voglia convincere chicchessia e tantomeno che si faccia tramite di una sorniona ideologia dominante. Anzi.
L’andazzo è un po’ questo: laureati in lettere più scientisti degli scienziati. Ricordo lo sgomento in diretta di Paolo Severgnini e Lilli Gruber (color che sanno…) quando Fabiola Gianotti, direttrice del CERN, confessò di essere credente.
E’ certo un’esperienza personale, ma è anche testimonianza circa la nostra cultura ebraico-greco-cristiana. La creazione, il dio personale, la congiunzione di materia e storia, la condivisione del logos, non sono idee universali. Quindi le reazioni di ostilità (ma quali?) andranno lette come ateismo consapevole e divinizzazione della storia sotto vari concetti: progresso, evoluzione, nichilismo… Il moderno.
@Filippo Bruschi
Non si tratta di un’esperienza personale, si tratta di un’affermazione (a proposito del dolore) che come tale può essere criticata.
Suor Serena (o chi per lei) dà una spiegazione/giustificazione del dolore che semplicemente non sta in piedi: Suor Serena dice che il dolore del Figlio, che è Dio, permesso dal Padre, ha salvato il mondo. E che è per questo (perché il dolore del Figlio ha salvato il mondo) che Dio permette il dolore. Cioè Dio ha permesso e continua a permettere dolori indicibili all’umanità (e, insisto, agli altri esseri senzienti che non c’entrano niente), perché il Figlio doveva soffrire e morire per salvare l’umanità. Cioè: soffriamo tutti come cani perché il Figlio doveva soffrire per salvarci.
Non è solo contorto, è proprio assurdo. Senza nessuna ostilità per Suor Serena.
Aggiungo che la mia preoccupazione per il dolore di tutti gli esseri senzienti non è un vezzo da animalista: quando Descartes stabilì, nella sua filosofia, che gli animali sono macchine, che hanno reazioni meccaniche ma non provano veramente sensazioni (quindi dolore), per i teologi questo fu cacio sui maccheroni, perché li liberava dal fastidioso problema della sofferenza degli animali, che soffrono senza avere avuto parte al peccato originale (il quale peccato originale, non dimentichiamolo, è il motivo ufficiale accampato per giustificare la sofferenza e la morte. Quindi, Suor Serena, in confidenza, mi dica, di cosa stiamo parlando?)
Cari commentatori, sebbene disponga di un telefono e di una mail (del convento), “Suor Serena” ha le giornate scandite da ritmi e obblighi assai contingentati: non può seguire commento per commento il dibattito, né replicare direttamente ai singoli interventi (avendo peraltro chiesto dall’inizio che venisse tutelata la sua privacy). D’altra parte chi volesse mettersi in contatto con la sua o con altre comunità monastiche (come aveva chiesto, mi pare, la prima commentatrice) può facilmente ricavare delle indicazioni logistiche dal documentario cui l’intervista rinvia con apposito link. L’incontro qui riportato vuol essere la testimonianza di una scelta distante in ogni aspetto dall’orizzonte di senso di un laico, e anche se la mia interlocutrice è una persona colta, incaricarla dell’obbligo di difendere il pensiero cristiano sulla spinosa questione (già agostiniana) del Male e della sua inconciliabilità con Dio-Amore, più di quanto non abbia già fatto nell’intervista, mi pare un tantino insistente. Possiamo certamente dibattere su questo punto, se il commentario lo ritiene di interesse comune, ma sarebbe meglio evitare di continuare a interpellare direttamente Suor Serena. Il pezzo, dopotutto, lo firmo io. E la differenza tra ”noi” e ”loro” (come ha ben chiosato il comune amico cui faccio riferimento nell’incipit) ”sta proprio in questo: altrimenti sarebbero arresti domiciliari”. Con questo vi ringrazio tutti della passione e dell’attenzione, gp
Mi dispiace aver tirato in ballo Suor Serena alla fine del mio precedente commento e chiedo scusa. Lungi da me l’intenzione di interferire con le occupazioni delle suore.
Per il resto io rispondevo a Filippo Bruschi che accusava i commentatori (?) di eccesso di ateismo. La mia era stata, fin dall’inizio, un’osservazione su un nesso logico non corretto. E quando si parla di correttezza logica “noi” e “loro” non c’entra niente, direi.
Salve, sono felice di essere capitata in questa pagina, frequento la vita claustrale in un convento in Veneto.
Mi piacerebbe poter parlare con suor Serena , vi lascio il mio recapito telefonico per WhatsApp? O se mo date la possibilità lo darei in privato.
Grazie e saluto tutti
Ciao mi chiamo isabella biagini ho bisogno di sostegno cattolica praticante vorrei per via aimil whatt up di suor serena per poterci parlare