[Dal 25 dicembre 2011 all’8 gennaio 2012 «Le parole e le cose» osserverà una pausa natalizia. La programmazione normale riprenderà il 9 gennaio 2012. Durante la pausa, per non lasciare i nostri lettori privi di letture, pubblicheremo alcune poesie italiane tratte da libri usciti negli anni Zero. In questi quindici giorni non rinnoveremo l’immagine di copertina].

 

….romea, mattina

qui ho appreso la luce sciolta sugli scafi al mattino
….il bordo incandescente e l’anima buia dei rami,

qui ho imparato a dissipare gli occhi, la bocca, il fiato,
….a calarmi all’alba dentro a un vestito di brina,

qui ho vegliato sui fossi le canne inanimate nel bianco
….
la frontalità ignara di pioppi eretti come ceri,

qui ho imparato a distinguere nel manto uniforme del giorno
….
l’intonaco di case insaponate nella nebbia,

qui ho perduto nell’acqua il tuo pegno raschiato dal cuore
….
e in un pomeriggio ignaro ho confuso i corpi e i volti,

qui ho consumato gli occhi sul volto lucente del mondo,
….qui sull’argine alto mi sono inumato nel freddo.

mattinale

I

fincantieri, 3 a.m.

tre del mattino. le pale meccaniche
ritagliano in campi blu la notte:

alle fermate d’autobus lo sterno
s’alza, s’abbassa, segue un suo ritmo

sordo, illuminato dal bagliore
del gas che avvampa sui cantieri.

quelle sugli angoli, cui il passante
ieri ha venduto la sua innocenza

fissano immobilizzate i fari
tra i container nudi sullo spiazzo.

senza appetito potrà cibarsi
l’automobilista insonne al chiosco

dove un ago ti cala sulla lingua
se non attacchi la vita a morsi:

e con la luce che irrompe sui viali
sciama il disgusto, e può avvicinarsi

il tuo fiato a quello degli altri
che affilano i talloni contro i pali

uguali, sempre, sotto queste spoglie
alle poiane in agguato sulle valli,

le utilitarie sfrecciano e ghermiscono,
depositano le ossa tra le foglie:

tre del mattino, le pale meccaniche
fendono ancora la notte, e immobile

l’airone acquattato sugli scogli
sogna la preda tra le salicornie:

II

saipem, 6 a.m.

la luce più di tutto, e le cisterne
bianche, allineate al mattino

come un gregge disperso nell’azzurro

e poi le gru che girano l’ombra
sul muro e lustre emergono dall’acqua

a colmare i vuoti tra le nuvole:

ogni cosa saluta quando imbiancati
sfolgorano i cavi dell’alta tensione

nella polvere sospesa dell’alba

e a fiotti i papaveri tingono
il grano ancora verde e contornano

i pilastri di cemento in costruzione.

ogni cosa si è lasciata vedere
dal traforo dei teli aranciati

di recinzioni ai bordi dei cantieri:

i calcinacci dorati, pozze d’acqua
piovana dietro alle betoniere

inerti e rivestite di luce.

ogni cosa dalla macchina in transito
si mostra incomprensibile e chiara:

la pietraia e i banchi di ghiaia

la tua testa assonnata, la mia vita
guidata oltre il vetro tra le cose

abbandonate sulle dune erbose:

 

[ogni notte, l’ultima]

ogni notte, l’ultima
………….tu ti ritrai in silenzio
io esco dalla stanza, svelto
mi rivesto al buio, penso

che non ci sarà una seconda volta
…………..non riapriremo la porta
di una camera vuota
i nostri corpi al centro:

……………ecco, stiamo uscendo
bastano pochi passi
……………senza sfiorarsi
nella teoria dei corridoi ciechi

……………premere il bottone
quando la porta si apre
andare decisi, senza guardare

…………….ancora pochi passi
fino al parcheggio
…………….sul fianco dell’edificio

c’è una macchina bianca,
……………………è mattino
il cielo è intatto

lei guida, si arresta
…………….alla fermata del quattro
lui scende, cancella tutto.

[I. Testa, La divisione della gioia, Transeuropa, Massa 2010].

5 thoughts on “Italo Testa, da “La divisione della gioia” (2010)

  1. Mi sbaglio o c’è qualcosa di comune tra la poesia di Testa e quella di Mazzoni? Critici, ditemi: mi sbaglio o c’è?

  2. @ Rino Genovese

    Credo che su questo blog sia stata fatta una scelta precisa e netta. La pubblicazione della migliore produzione di una determinata tendenza della poesia italiana contemporanea. Le somiglianze ci sono…ma solo se si parla in termini di “affinità lirico-produttive”. Ma queste affinità, appunto, non inficiano le qualità dei singoli. La Anedda, Mazzoni, Inglese, Gezzi, Testa, Buffoni, sono da iscrivere tutti, a mio parere, in una nuova formula del tutto originale di quello che nel secolo precedente poteva essere chiamato “classicismo moderno” (ora non ha senso parlarne in questi termini, ma è così per semplificare…). Ognuno di certo con le sue rielaborazioni e non solo. Se il genio – e il grande poeta – si forma attraverso il dialogo con le figure istituzionali e “giganti” del canone letterario, filtrato da un ventaglio di “minori”, ognuno di questi autori mi sembra rientrare nei parametri del “genio”, se usiamo questa categoria nei termini di Harold Bloom. C’è uno sfondo lirico in tutti.

    Restano esclusi, a mio avviso alcuni altri grandi. Non voglio fare una critica “negativa”, ma solo propositiva. La scelta è condivisibile. E credo che “fare altri nomi” non può che arricchire, anziché continuare con il patetico dibattito da antologia del tipo “questo non è stato aggiunto, quest’altro non è stato aggiunto, voi siete degli incopetenti.”

    Grande ammirazione per tutti i poeti inclusi – la Anedda, Inglese e Testa in particolare sono tra i miei poeti preferiti del decennio! Io aggiungerei, o personalmetne avrei aggiunto anche altri tre nomi e tre opere.

    Luigi Ballerini, Cefalonia e altre poesie, Mondadori 2005.
    Vincenzo Frungillo, Ogni cinque bracciate, Le Lettere 2008.
    Marco Giovenale, Shelter, Donzelli 2010.

    Detto ciò, a “selezione conclusa”, faccio i miei complimenti per la scelta e per l’opportunità di leggere questi testi.

    Luciano

  3. Non ho letto il libro.
    A quanto pare si tratta soprattutto di vicenda erotico-amorosa.
    Sul sito della casa editrice si parla anche di Hopper, di Antonioni.

    Ma qui c’è la Romea. C’è Mestre, c’è Marghera.
    In poesia (appunto).
    Uno sguardo inusuale, interessante.

  4. Una poesia con molta figuralità, dove elementi appartenenti al mondo industriale o di work in progress (cisterne, betoniere, teli aranciati…) appaiono come scorporati in una specie di lirismo che li assolutizza, li fa diventare epifanie. Questa la mia lettura, giusto una prima impressione. Poesie che mi sono senz’altro piaciute (meno la prima, per via dell’impianto anaforico e di lirismi come “l’anima buia dei rami” che, per gusto personale, non amo). Un libro di cui ho sentito parlare ma che ancora non avevo avuto la possibilità di “saggiare”.

    ps: seguendo il proposito di Mazziotta, e nello stesso spirito di arricchimento anziché di sterile polemica, vorrei suggerire altri due titoli per me assai meritevoli d’attenzione:

    Andrea De Alberti, Basta che io non ci sia (Manni, 2010)
    Vanni Bianconi, Ora prima. Sei poesie lunghe (Casagrande, 2008)

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