di Sfinge. Introduzione di Jessy Simonini
La casa editrice Fernandel ha da poco ripubblicato, a oltre un secolo di distanza, un romanzo di Eugenia Codronchi Argeli, autrice nota come Sfinge. Pochissimi studiosi hanno approfondito la sua opera e la sua figura, nonostante la presenza di un ricchissimo archivio conservato presso la Biblioteca comunale di Imola. La costola di Adamo di Sfinge, romanzo politico-sentimentale con qualche sfumatura pre-femminista, può tuttavia essere un ulteriore tassello verso la definizione e la ricostruzione di un possibile “canone lesbico” italiano.
Pubblichiamo un estratto del saggio introduttivo a cura di Jessy Simonini.
Dieci anni prima di Stephen: Andrea Norbani
Avvicinandomi per la prima volta a La costola di Adamo e al suo titolo misterioso, mi è tornato alla mente un libro uscito appena qualche anno dopo: Adam’s breed, di Radclyffe Hall. Di recente Valentina Sonzini ha tracciato un’erudita disamina della ricezione italiana di Radclyffe Hall[1]; Adam’s breed appare nel 1932 per il Corbaccio, con il titolo La stirpe di Adamo, nella traduzione di Annie Lami, che aveva già̀ tradotto il romanzo precedente, Il pozzo della solitudine, uscito in Inghilterra nel 1928, romanzo che aveva generato scandalo ed era stato censurato dalle autorità. Al centro della narrazione c’è il personaggio di Stephen, una donna di cui Hall ricostruisce la vicenda esistenziale dall’infanzia sino all’età̀ adulta; una vicenda segnata da amori omosessuali, sin da quando a sette anni Stephen sviluppa una «fiamma»[2] per la cameriera Collins. Il romanzo descrive le relazioni di Stephen con altre donne, l’esigenza di sfuggire alle convenzioni sociali e all’eterosessualità obbligatoria, interrogandosi sui rapporti fra generi e sulla praticabilità sociale del lesbismo, che per Hall assume una connotazione quasi fisiopatologica. Non è un caso che l’edizione italiana (Modernissima, 1930) si apra proprio con la dichiarazione di Havelock Ellis, uno dei più̀ importanti studiosi di sessualità̀ di quell’epoca:
Ho letto Il pozzo della solitudine con grande interesse, perché, a parte le sue finissime qualità̀ narrative, dovute ad un artista eccezionale, è di un grandissimo significato psicologico e sociale. Che io sappia, è il primo romanzo inglese che presenti in forma fedele e senza compromessi un aspetto particolare della nostra vita sessuale. Certi tipi, benché́ differenti dal loro prossimo, sono talvolta dotati del più̀ nobile carattere e dei più̀ elevati sentimenti; e le relazioni con la società̀ nella quale vivono, società̀ spesso ostile, presentano problemi difficili e non ancora risolti. Le tragiche situazioni che ne derivano, sono narrate in questo romanzo in modo così evidente ed onesto, che dobbiamo, volenti o nolenti, porre il libro di Radclyffe Hall al livello dei grandi libri dell’Umanità[3].
Possiamo considerare Il pozzo della solitudine un romanzo lesbico, poiché la soggettività intorno cui si sviluppa la narrazione non cela il proprio desiderio verso altre donne, fornisce legittimità a tali pulsioni, ipotizzando possibilità di relazione, a volte fantasmate e spesso invisibilizzate a livello sociale. Su questo tema, e in particolare sul rapporto fra modernismo letterario e autrici lesbiche, è di recente stato pubblicato un saggio dal titolo No modernism without lesbians, di Diana Souhami[4].
Solo un lettore ingenuo o settario potrebbe ritenere che l’omosessualità, o meglio il lesbismo, di Eugenia Codronchi Argeli sia un fatto secondario oppure irrilevante, così come irrilevante sia la relazione di lunga data che l’ha unita a Bianca Belinzaghi. Di questo rapporto, possibile soltanto per l’alta condizione sociale di entrambe, restano tracce inequivocabili nei fondi archivistici: carte, lettere, fotografie. Se non esiste modernismo senza lesbiche, come ci dice un po’ provocatoriamente Sohuami, non esiste nemmeno un discorso critico che eluda o celi il lesbismo di Sfinge, definendo quella con Bianca Belinzaghi una «amicizia»[5], magari indugiando con una certa pruderie sulla sua vita intima, come fa all’inizio del secolo questo anonimo critico letterario:
Chi sa quanti avranno sospirato e sospirano per i dolci occhi di pervinca e per l’aurea chioma e per la delicata bellezza di Eugenia Codronchi! E chi sa perché Eugenia Codronchi preferisca la sua condizione di nubile? Se nell’avvenire qualcuno studierà l’anima sua ne’ suoi scritti, e nell’indagine non trascurerà alcuna sfumatura di essi, forse avrà̀ il segreto di questo mistero di freddezza che ora ci sfugge[6].
Non trascuriamo alcuna sfumatura, distilliamo: Andrea Norbani, personaggio al centro de La costola di Adamo, fin dalle prime pagine corrisponde alla descrizione di una virago-amazzone. Mascolina nei tratti, virile di carattere, con un nome che – proprio come quello di Stephen – contiene una ambiguità di genere (Andrea), è dedita ad attività nient’affatto donnesche: esercita la professione medica ch’era stata quella del padre adorato, si butta senza tema nella mischia politica guidando – sola donna fra tanti uomini – il potente gruppo dei repubblicani ravennati, in un tempo segnato da odi di parte e da scontri con il leader dei socialisti locali, Filippo Spada. Tutto in questo personaggio pare contravvenire alle norme di genere: il nome, che il padre non ha voluto «femminilizzare»; l’aspetto fisico, che si distingue per una bellezza «un po’ mascolinizzata»; il carattere «maschio», accompagnato naturalmente da un temperamento «inclinato alla lotta» e ben avvezzo alla pugna politica. Andrea Norbani è, come scrive Sfinge in una formula molto nitida, «dissimile dalle altre donne». E questa differenza – parafrasando un’autrice ben più nota di Eugenia Codronchi – forse «era il suo bel mistero»[7]. Ma sarebbe ingenuo immaginare che Codronchi, un’autrice lesbica, abbia pensato di trasfigurare un aspetto della propria identità nella figura di Andrea Norbani, che non è certo un personaggio omosessuale tout court, ma piuttosto un personaggio che per una parte significativa del romanzo non risponde alle attese di genere e, al contrario, contravviene ad esse: non solamente è mascolina, disinteressata agli affari «donneschi», quasi un ermafrodito[8], ma è anche incapace di provare attrazione per l’altro sesso, «se non quella dello spirito». Le categorie di amazzone, di omosessuale, di lesbica o di continuum lesbico[9] in questo caso non ci servono più̀ perché Andrea Norbani non desidera altre donne[10]: siamo piuttosto nel campo dell’indifferenza sessuale, nell’assenza totale di desiderio, cui fa da contraltare la scelta di dedicarsi agli altri attraverso la professione e la militanza politica, chiusa fieramente nella propria misteriosa differenza. L’evolversi della narrazione potrà deludere alcuni lettori. La Stephen di Hall segue il proprio desiderio e afferma la propria identità lesbica, nonostante il dolore e la sofferenza che ciò le provocherà. Un evento, invece, modifica radicalmente il destino di Andrea Norbani, quasi una inversion de conscience simile a quella de L’immoralista di André Gide: l’incontro con il suo avversario politico, il leader socialista Filippo Spada, di cui si innamora. Questo avvenimento modifica del tutto l’orizzonte di Andrea Norbani, che di fronte all’amore è costretta a cedere, vi- vendo una metamorfosi profondissima: all’improvviso assume un atteggiamento più̀ femminile, tratti materni e docili, sottraendosi alla battaglia politica perché́ stanca della violenza e degli scontri tra fazioni rivali e aprendosi, al contrario, ai valori universali della fraternità e della tolleranza. L’antica inimicizia quasi ferina e primordiale per il capo dei socialisti evolve in un altro sentimento radicale e insopprimibile; questa metamorfosi conduce Andrea al definitivo idillio d’amore (normativo, eterosessuale, anche procreativo, come lascia intendere il finale) con Spada:
Ripeté vilmente, donnescamente, nell’abiura della sua personalità e della sua superba coscienza di ieri: «Amare, amare, amare, oh, sola dolcezza, felicità unica, ragione prima e ultima della vita!…».
Non sarebbe sbagliato osservare come lo sviluppo diegetico de La costola di Adamo tenda a una progressiva normalizzazione del personaggio di Andrea Norbani, dall’anomia alla norma, dal maschile al femminile, dall’eccentricità a un orizzonte d’attesa che corrisponde a quello delle lettrici (perché a leggere le opere di Sfinge sono in prevalenza le donne), per le quali l’idillio amoroso cui si giunge nella seconda parte è forse la soluzione narrativa più̀ auspicabile. Non lo è per molti di noi contemporanei, che dal personaggio di Andrea Norbani ci aspetteremmo faville, un destino simile a quello di Maria Rygier o di qualche altra rivoluzionaria di inizio Novecento, magari lo sviluppo di una sessualità divergente e il manifestarsi di un desiderio eccentrico e fuori dalla norma. Nella Costola di Adamo nulla di tutto questo accade. Ma non dovremo aspettare tanto tempo: proprio l’anno successivo (nel 1919) esce Perfidie di Mura, libro in cui – forse per la prima volta[11] – il desiderio fra donne osa pronunciare il suo nome.
Note
[1] V. Sonzini, Orsa Maggiore, editrice di Radclyffe Hall, in Bibliothecae.it, 10, 2021, I, pp. 329-351.
[2] Mi rifaccio alla definizione adottata, fra gli altri, da due scienziati di inizio Novecento – Obici e Marchesini – che alle relazioni fiammesche fra donne nello spazio circoscritto del collegio hanno dedicato un’intera monografia.
[3] R. Hall, Il pozzo della solitudine, Milano, Modernissima, 1930, p. XI.
[4] D. Souhami, No modernism without lesbians, London, Head of Zeus, 2020.
[5] Si tratta di una tendenza generalizzata e ben radicata, anche nel territorio all’apparenza libero della critica letteraria. Identificare un rapporto affettivo o amoroso come “amicizia” è spesso la consuetudine quando si parla di coppie lesbiche: ciò rientra in un meccanismo di invisibilizzazione e depotenziamento della componente desiderante di tali relazioni, più̀ simili a una “fiamma” di collegio che a un rapporto dotato di legittimità̀, con una dimensione erotica o coniugale che viene sistematicamente sterilizzata.
[6] «Natura ed arte», rivista illustrata quindicinale italiana e straniera di scienze, lettere ed arti, 1902, p. 14.
[7] E. Morante, L’isola di Arturo, Torino, Einaudi, 1957. Il «bel mistero» è l’omosessualità̀ di Wilhelm, il padre del protagonista Arturo.
[8] Tale definizione sarà̀ oggetto dello scherno di Pitigrilli, che scrive: «Sfinge, che è più̀ sintetica di me, direbbe un silenzio rumoroso, con una di quelle espressioni che scintillano nella Costola di Adamo, romanzo pubblicato dalla “Gazzetta del Popolo” in appendice, ove si legge anche, per esempio: un ermafrodito senza sesso, a smentita di coloro che credo- no che di sessi gli ermafroditi ne hanno due».
[9] Mi riferisco al saggio di A. Rich, Compulsory Heterosexuality and Lesbian Existence, in «Signs: Journal of Women in Culture and Society», 5(4), 1980, pp. 631-660. Nel saggio viene formulata la cruciale espressione di continuum lesbico, che si rivela particolarmente operativa per il discorso letterario.
[10] Gli unici passaggi in cui appare un fantasma di lesbismo sono marginali rispetto allo sviluppo del romanzo. In una scena Andrea Norbani viene chiamata per curare una paziente straniera, che mostra un certo interesse nei riguardi del medico: «E la piccola bionda si era levata sui cubiti, quasi guarita, piena di vero interessamento, ardente di simpatia per quello spirito così diverso dal suo, dagli altri, nel quale intuiva una vera forza, qualche cosa di bello e di nuovo che singolarmente le piaceva».
[11] Per la prima volta per un’autrice. Già Alfredo Oriani, qualche decennio prima, aveva pubblicato sotto pseudonimo un romanzo che metteva in scena un amore omosessuale fra donne: A. Oriani (O. di Banzole), Al di là, Milano, Galli e Omodei, 1877.