cropped-nanni-balestrini-posizioni.jpgdi Ada Tosatti

[È da poco uscita per gli Oscar Mondadori la raccolta antologica delle poesie di Nanni Balestrini: Antologica. Poesie 1958-2010. Ada Tosatti, che insegna lingua e letteratura italiana presso l’Università di Paris 3 e si occupa di letteratura e impegno oltre che di teoria della traduzione poetica, ha firmato l’Introduzione al volume; ne presentiamo qui un ampio estratto (i.m.)]

Se si volessero identificare le divinità che presiedono alla nascita della pur laicissima e materialistica poesia di Nanni Balestrini – il poeta più radicalmente formalista e più decisamente realista della seconda metà del Novecento, secondo un paradosso solo apparente – esse sarebbero indubbiamente Apollo e Dioniso. Da un lato, lo sguardo, l’arte visiva, il principio d’individuazione, la ragione che ordina; dall’altro la potenza della musica, l’immediatezza e l’irruenza della vita, l’esplosione caotica del reale, il multiforme divenire. Distacco e passione, utopia e sovvertimento.

Costitutivamente d’avanguardia, nel duplice senso che attribuiscono a questo termine la critica artistico-letteraria e il gergo politico, Balestrini è da collocarsi fra quei rarissimi artisti che sono riusciti a far coincidere nella loro pratica impegno artistico e civile, superando la sterile contrapposizione fra autonomia e eteronomia, fra il purismo estetico ed un’arte spuria perché al servizio d’altro che se stessa. Nel corso degli anni e sotto le sue innumerevoli identità – oltre ad essere poeta, è anche narratore, artista visivo, autore teatrale, organizzatore culturale, militante politico – Balestrini ha infatti sempre svolto la sua attività all’insegna di un’esigenza eversiva, non smettendo di battersi, in un andirivieni continuo dal testo al mondo, dall’arte alla vita, per la distruzione delle gabbie culturali, sociali, politiche e l’affrancamento individuale e collettivo. In questa etica rivoluzionaria e nella costante tensione dialettica istituita fra creazione artistica e realtà, risiede l’estrema coerenza del suo fare poetico che continua a rivelare tutta la sua efficacia, dalla prima silloge degli anni Sessanta, Il sasso appeso (1961), fino alla recentissima Caosmogonia (2010), in un percorso ricco e complesso che attraversa più di mezzo secolo della storia contemporanea.

Per addentrarsi nell’opera poetica di Balestrini, chiave utilissima è senza dubbio il testo Linguaggio e opposizione. Fra i suoi pochi scritti teorici, tale dichiarazione di poetica non ha perduto nulla della sua pertinenza e vale sia come strumento per la comprensione dell’operare balestriniano sia come denuncia sempre attuale della comunicazione nella società odierna. In un’epoca caratterizzata dallo «sclerotico e automatico abuso di frasi fatte e di espressioni convenzionali», dal «linguaggio anemizzato e amorfo delle quotidiane conversazioni», scriveva Balestrini, il valore della poesia risiede nella sua «possibilità di opporsi efficacemente alla continua sedimentazione, che ha come complice l’inerzia del linguaggio» al fine di creare uno «spiraglio tra le cupe ragnatele dei conformismi e dei dogmi che senza tregua si avvolgono a ciò che siamo e in mezzo cui viviamo». In tal senso, aggiungeva il poeta, «un atteggiamento fondamentale del fare poesia diviene dunque lo “stuzzicare” le parole, il tendere loro un agguato mentre si allacciano in periodi, l’imporre violenza alle strutture del linguaggio, lo spingere a limiti di rottura tutte le sue proprietà». […]

Ciò avviene in primo luogo attraverso un’estetica del riuso e il détournement degli scarti linguistici della produzione di massa, recuperati e riadoperati secondo la tecnica del ready-made dadaista. I principali procedimenti utilizzati da Balestrini sono in effetti il taglio e la combinazione (il collage e il montaggio, il cut-up e il fold-in) presi in prestito alle avanguardie del Novecento, dal dadaismo al surrealismo alla beat generation. L’attività poetica è concepita come ricombinazione di frammenti linguistici preesistenti, pezzi di realtà prelevati indifferentemente dalla lingua parlata, dai testi letterari, dai media, al fine di ridurre il codice linguistico a una sorta di “grado zero” della significazione. L’oggetto della poesia diviene il linguaggio stesso, «inteso come fatto verbale», scrive ancora Balestrini in Linguaggio e opposizione, dissociato dal suo valore semantico, «impiegato cioè in modo non-strumentale, […] sfuggendo all’accidentalità che lo fa di volta in volta riproduttore di immagini ottiche, narratore di eventi, somministratore di concetti…». […]

Le opere di Balestrini oscillano fra due poli, l’astrazione modellizzante e una referenzialità da intendersi nel senso di quel «realismo linguistico» definito da Fausto Curi come una concretizzazione degli oggetti sociali che non avviene tramite la mimesi dei referenti ma attraverso una «imitazione linguistica del linguaggio». Rappresentando e simulando il funzionamento del linguaggio, come scrive Niva Lorenzini nel Laboratorio della poesia, Balestrini giunge a un «realismo […] di secondo grado, come conoscenza del linguaggio, esplorazione del linguaggio». Questa rappresentazione del linguaggio, che ridefinisce lo stesso concetto di mimesi, serve a disegnarne i contorni, a mettere in scena i meccanismi che lo regolano e ne fanno una “rection généralisée” (Barthes). La dialettica fra visibilità e invisibilità, fra illustrazione e nascondimento, al centro di tutta la poetica balestriniana – valgano come esempio titoli quali La violenza illustrata (1976), Blackout (1980) o Gli Invisibili (1987) – tocca tanto il piano teoretico quanto quello politico-sociale. […] L’utilizzare procedimenti della scrittura (quali l’iterazione, la variatio, l’elencazione) nelle sue opere plastiche, che sono generalmente delle sperimentazioni verbo-visive costruite con ritagli di stampa, e tecniche dell’arte plastica nella scrittura (il patchwork, la bucatura, la sforbiciatura, la segmentazione), esprime l’intenzione di considerare la parola non solo nella sua materialità iconica e visiva, ma di porla al centro di un’indagine sulla capacità di occultamento da parte del linguaggio mediatico. […] Da questo punto di vista, nonostante il maggior grado di leggibilità dei suoi testi dagli anni Settanta in poi e le svariate regole di composizione cui fa ricorso, non vi è soluzione di continuità fra il primo periodo balestriniano, la fase più apertamente impegnata della stagione dei movimenti, e la produzione successiva. […]

Aspetto centrale della sua poetica è in tal senso il rapporto provocatorio stabilito con «il pubblico del labirinto» – cui il poeta dedica il titolo del Quarto libro della signorina Richmond (1992) –, con quell’«ignaro e pacifico lettore» di baudelairiana memoria al quale si rivolge ironicamente nella prefazione alla riedizione de La violenza illustrata e di cui diceva, già in Linguaggio e opposizione, che «quotidianamente annaspa immerso fino alla fronte nel luogo comune e nella ripetizione». Un lettore costantemente e violentemente sottoposto a ciò che Adorno chiamava l’esperienza dello shock, ostentatamente invitato a compiere un percorso ermeneutico, a partecipare alla costituzione del senso ricombinando e ricomponendo i mille frammenti sparsi di cui sono costituite le opere. Si manifesta, in tal modo, la democraticità del fare poetico balestriniano, in quanto la rivendicazione di una modalità pratica dell’operazione poetica si carica di una evidente dimensione etico-politica. Non smettendo di mostrare “come si agisce” – dalle Tavole di lettura contenute nella sua prima silloge alle ripetute “istruzioni per l’uso” – Balestrini suggerisce ai suoi lettori la via d’un processo di soggettivazione politica orientandoli verso una pratica antagonista. Così, sia le Istruzioni in apertura di Ma noi facciamone un’altra – risultato del montaggio di versi tratti da tutte le poesie della raccolta –, sia le Istruzioni per l’uso pratico della signorina Richmond che indicano come far delirare il linguaggio, sia il diagramma illustrativo del poemetto Blackout, fino alle Istruzioni preliminari della sua ultima raccolta, Caosmogonia, poste provocatoriamente e simbolicamente a chiusura del volume, non si limitano a fornire indicazioni metatestuali, ma suggeriscono un modus operandi che dal testo può sconfinare nello spazio dell’esistenza. L’affermazione della libertà di distruzione e riconfigurazione dei linguaggi attraverso cui si pensa e si “informa” il mondo, si offre come l’indicazione di un possibile sovvertimento dei rapporti di potere che strutturano la società. […]

Nella ricerca di un rapporto, sia pur di sfida, con i suoi lettori, trova origine e si attua la dimensione epica della scrittura balestriniana, unanimemente messa in luce dalla critica. […] Caratteristiche centrali dell’indagine poetica nella seconda metà del decennio, l’oralità e la coralità, corrispondono al tentativo di dar voce alle istanze collettive di trasformazione politica. In tal modo, facendosi portatrice di una parola oppositiva attraverso composizioni corali e polifoniche, la poesia di Balestrini assolve anche a un’evidente funzione mitopoietica. Certo, da un lato, la sua scrittura è tutta tesa a smontare i miti barthesianamente intesi come strutture simboliche dell’ideologia borghese. Dall’altro però, se si considerano i miti, alla stregua di Georges Sorel, come l’espressione delle convinzioni del popolo in linguaggio di movimento (e in tal senso essi si oppongono alle utopie, costruzioni astratte e individuali), la poesia balestriniana trova la sua linfa nell’energia delle masse, affonda le proprie radici nel terreno dei conflitti sociali, diventandone al contempo testimonianza e nutrimento. […]

Scrive Agamben che «il tentativo di prendere il Questo, di cogliere, cioè, negativamente, nell’esperienza indicibile della Voce, lo stesso aver-luogo del linguaggio, costituisce […] l’esperienza fondamentale di quella parola che, nella cultura occidentale, si presenta col nome di “filosofia”». Se tradizionalmente la relazione fra filosofia e poesia è di opposizione, di confronto, preme evidenziare come tutta la produzione balestriniana, in quanto interrogazione sull’aver-luogo della parola, tenda a configurarsi come “pensiero poetante”, poesia di pensiero. Forse è questa una delle ragioni per cui Balestrini, a differenza di un gran numero di poeti e prosatori suoi contemporanei, non si è mai dedicato al “terzo genere” che è la critica, perché il suo fare coincide interamente con la sua poetica, è poetica in atto, si delinea come momento di riflessione pragmatica sull’operare estetico e come modalità di riconfigurazione dell’esistente.

Ed è proprio nell’estrema esperienza dell’indicibilità e dell’inafferrabilità che si coglie la base ontologica del fare balestriniano il quale prende le mosse dall’idea di una realtà complessa, ambigua, molteplice, in continuo movimento. Già in Linguaggio e opposizione, d’altronde, Balestrini scriveva: «la poesia dovrà più che mai essere vigile e profonda, dimessa e in movimento. Non dovrà tentare di imprigionare, ma di seguire le cose […] ed essere […] ambigua e assurda, aperta a una pluralità di significati e aliena dalle conclusioni per rivelare mediante un’estrema aderenza l’inafferrabile e il mutevole della vita». Per tale motivo, fin dalle prime sillogi, la frammentarietà e la sconnessione, che rinviano alla disgregazione dell’io e alla parzialità fenomenologica dell’esperienza, vanno di pari passo con la costruzione di strutture mobili, di combinazioni “macchiniche”. Se tensione e moto sono concetti-chiave delle sillogi Il sasso appeso e Corpi in moto e corpi in equilibrio, in epoca più recente la serie di “sonetti” della raccolta Sfinimondo (L’occhio blu, Il volo infinito) associa la fenomenologia del frammento alla dinamicità della disposizione grafica. Sempre in Sfinimondo, il testo Il corpo della poesia contemporanea, composto dalle citazioni di critici letterari sulle forme dell’odierna poesia, auspica che la scrittura poetica possa farsi esperienza del coinvolgimento, da parte del lettore, di un processo in corso, evento in fieri del pensiero: «il linguaggio e il corpo rappresentano/ le due frontiere ultime / il tentativo di elaborare un sistema di scrittura / che riproduca il medesimo cortocircuito / che avviene tra dinamicità esterna / corpo in movimento e pensiero in movimento».

Questo tentativo si esplica a tutti i livelli del testo, dalle figure dell’allitterazione e dell’assonanza che provocano concatenazioni sul piano dei significanti e dei significati o trasformazioni in serie, alle tecniche del montaggio e del collage, all’ideazione di congegni combinatori, di “macchine” seriali. Lo stesso meccanismo poetico, lo aveva già rilevato Sanguineti descrivendo «Come agisce Balestrini», è «estensibile all’infinito», generatore di un flusso potenzialmente ininterrotto («continua», «non smettere» «non si può farne a meno», «per continuare», «smettere impossibile» sono fra i sintagmi che punteggiano le raccolte balestriniane) in una duplice critica della fissità e della limitatezza. Questo proiettarsi delle opere verso la loro infinità si attua nei vari piani che le compongono. Così, ad esempio, se attraverso l’uso del calcolatore elettronico in Tape Mark, Balestrini mira a generare un inesauribile meccanismo combinatorio dei significati, lo sviluppo della stampa digitale gli ha permesso di concretizzare il progetto del suo primo romanzo Tristano, cioè dare luogo alla pubblicazione di una pluralità di versioni differenti a partire dallo stesso materiale ricombinato per creare innumerevoli narrazioni. Tale ricerca, riscontrabile sul piano della spazialità nelle opere visive (come nella serie intitolata Crash), è sperimentata infine anche nella dimensione temporale con il “film più lungo della storia”, Tristanoil (presentato nel 2012 a dOCUMENTA13), risultato del montaggio interminabile di spezzoni video attraverso un software che regola la generazione continua dei contenuti. L’atto creativo è dunque concepito come sconfinamento, superamento dei limiti: nel caso specifico della poesia, limite del verso che resiste per essere decostruito dall’interno, limite fra i vari livelli e tipologie di discorso che si mescolano indifferentemente nel corpo del testo, limite fra produttore e destinatario dell’opera, limite fra vita e arte.

[Immagine: Nanni Balestrini, Posizioni].

 

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