di Fabrizio Bajec
Ore tredici e quarantacinque, Parigi, giovedì 31 marzo. A Place d’Italie una folla aspetta sotto una pioggia dura e persistente il segnale di partenza per la quarta manifestazione nazionale contro il progetto di riforma del codice del lavoro annunciato dal governo a inizio mese.
Sotto gli ombrelli centinaia di studenti, lavoratori e sindacalisti raggruppati secondo la loro scuola o organizzazione di appartenenza. I camion dei sindacati con i loro palloni aerostatici variopinti diffondono musica a tutto volume.
Il maltempo è certo un inconveniente per tutti coloro che avevano scommesso su un’affluenza superiore al numero di manifestanti scesi in strada per lo stesso motivo il 9 marzo. Ma già qualcuno fatica a trovare spazio per uscire dalla stazione della metro. E i participanti saranno il doppio del previsto.
Il corteo si mette in moto un’ora più tardi.
La pioggia continua a scrosciare, gelida, infiltrandosi nelle maniche delle giacche e nelle scarpe, senza scoraggiare le diverse migliaia di persone che avanzano verso Place de la Nation.
Ai lati delle strade, i partiti di estrema sinistra distribuiscono giornali, volantini e adesivi presto ridotti in poltiglia dall’acqua.
Arrivato a destinazione, dopo due ore di marcia, il corteo rompe le righe e non rimane che un furgone con alcuni dee-jay decisi a trattenere i più giovani con la musica elettronica.
Alle 18 dello stesso giorno, dall’altro lato della città, verso Place de la République – da un anno una specie di santuario alle vittime degli attentati terroristici – iniziano a confluire i curiosi, ma stavolta lontano dalla statua centrale, sotto un telone verde, montato per l’occasione, straziato dal vento.
Lì dei moderatori si rivolgono a una trentina di cittadini. Una libera espressione di parola, a cui si reagisce con altrettanta libertà: assentendo, dissentendo, votando, bloccando la discussione.
Sembra un gioco per intrattenere il pubblico, nell’attesa di una proiezione cinematografica prevista a seguire, in piazza; il gioco della democrazia. Molti si prestano, sfogano le loro delusioni politiche e dicono quello che cambierebbero, se ne avessero il potere. Strane idee si mettono circolare : come vivere a Parigi con pochi soldi e senza lavoro, l’invenzione di una moneta interna, la proposta di porre fine al sistema elettivo; come rovesciare il governo, come ridurre le disuguaglianze, come lottare contro il razzismo, accogliere i migranti, liberarsi del capitalismo.
Altri giovani montano tendoni: una zona per mangiare, un’infermeria; uno spazio per passare la notte ottenuto con una o due tende e alcune casse di legno.
Il furgone di prima fa la sua comparsa teatrale spuntando da una via, con le bandiere sindacali e la musica al massimo. La folla radunata applaude l’incursione imprevista. Il veicolo sosta sulla piazza e diventa un palco per i gruppi musicali che si daranno il cambio per tutta la serata.
Nel frattempo, una fanfara gira in tondo suonando il tema del film documentario più acclamato del momento, Merci patron! di François Ruffin, un’opera alla Michael Moore, in cui l’autore-giornalista riesce con una grande beffa a risarcire una coppia di operai disoccupati da anni a seguito di un licenziamento massiccio in una delle fabbriche possedute da un magnate dell’industria. All’uscita del film, a inizio marzo, una riunione aveva avuto luogo; c’è chi aveva pensato di usare la pellicola come uno strumento politico. « Cosa accadrebbe, per esempio, se il 31 decidessimo di non tornare a casa, dopo la manifestazione, e occupassimo una piazza per proiettare il film e passare lì la notte ? »
Ma nessuno poteva immaginare, un mese prima, che quella piazza si sarebbe riempita così tanto, e non grazie all’evento cinematografico en plein air, bensì per quegli esercizi di democrazia virale che avrebbero attratto i passanti e spinto i più audaci a prendere la parola davanti a un megafono.
Un intellettuale, l’economista e filosofo Frédéric Lordon, viene quasi spinto sul palco per prendere la parola. Dopo qualche convenevole inizia un breve ma memorabile discorso nel quale ringrazia il governo che andando così in là con l’offensiva antisociale ci ha permesso di svegliarci e organizzare la catastrofe (‘rovesciamento’, secondo l’etimologia greca).
Potrebbe sembrare l’ennesima omelia populista, ma le parole fendono l’aria e rispondono alle aspettative delle persone radunate nella piazza. Si tratta di ricostruire tutto. Senza attendere troppo, la piccola assemblea generale si allarga, si compongono altre assemblee minori, poi dei comitati. La gente si siede per terra, sul bagnato, sui cartoni o sui teloni di fortuna. La faccenda si fa più seria. Cominciano ad arrivare discretamente i giornalisti. « Cosa sta succedendo ? ». In un clima benevole e tollerante le risposte sono laconiche : « Vediamo come procede, come va a finire. E’ possibile che stia accadendo qualcosa ».
Nel frattempo la proiezione di Merci Patron ha effettivamente luogo, su un telo pericolante, a causa del forte vento.
Viene distribuito un giornale satirico, parodia di un giornalino gratuito distribuito nelle stazione della metro. Si arriva così alla scelta del nome dell’evento: Nuit debout – una notte trascorsa in piedi, in piedi a pensare, non a riposarsi; il segno di un risveglio.
Si distribuiscono volantini coi nomi di avvocati da contattare in caso di arresto, programmi da scaricare per non essere rintracciati sul web. Una cinquantina di persone rimangono effettivamente a dormire, le altre centinaia si dileguano.
La polizia sgombrerà civilmente gli ultimi rimasti alle 5 del mattino.
Tutto dovrà essere smontato.
Il giorno seguente, ribattezzato il 32 marzo, i giovani organizzatori (studenti, sindacalisti, attori) rimontano i teloni e i banchi. Nel pomeriggio ha inizio la prima assemblea. Gli orari rimarranno sempre quelli: ore 15 per le riunioni dei comitati (logistica, comunicazione, ristorazione, economia, azione), ore 18 per l’assemblea generale.
Con i soldi racimolati la sera prima ci si procura microfoni, casse, quaderni, penne; compare un bar improvvisato; si parla di rimontare gli accampamenti, di portare qualche pianta.
La folla si riforma una seconda volta. Gente di ogni orizzonte, di diversa origine etnica; la media è sempre sulla trentina, ma arrivano anche dei pensionati e degli adolescenti, per finire con gli studenti delle università in lotta.
Nel bel mezzo dell’assemblea, uno spagnolo prende la parola e ricorda come si organizzavano e si rispettavano gli interventi altrui in Spagna; ha fatto parte degli Indignados e prova a indicare ai suoi coetanei francesi alcune regole per la gestione dei dibattiti.
Su alcune testate nazionali sono usciti nel frattempo i primi articoli che parlano dell’evento come di una specie di Occupy francese. Un tentativo del genere fallì qualche anno prima, nel quartiere finanziario: un centinaio di persone furono allontanate dalla polizia in pieno giorno. Ora la musica cambia. I permessi in comune sono stati accettati; la gente radunata formula proposte, sembra volersi sfogare dopo la paura degli attentati, i controlli, e dopo una lunga e forse obbligata distanza dalla politica.
Nulla di concreto ancora. I giornalisti tornano a chiedere legittimamente : « Chi siete ? Cosa volete ? Perché vi fermate in questo luogo ? »
Eppure la presenza di migliaia di persone che continua a sfidare il maltempo è una vittoria in sé. Non ha bisogno di giustificarsi.
Anche la seconda notte i più irriducibili saranno cacciati all’alba dalle forze dell’ordine. La polizia interviene sempre tardi; la piazza è accerchiata in modo strategico ma discreto.
Il terzo giorno, 33 marzo, è caratterizzato dai dibattiti – e da qualche scontro : il movimento è accusato di essere borghese e prevalentemente bianco. Arriva anche un gruppo di estrema destra a fine serata, deciso a mandare tutto all’aria. Ma la polizia neutralizzerà facilmente gli ospiti indesiderati.
I networks impazziscono: ottantamila osservatori spiano poche migliaia di partecipanti. Nella piazza le proposte restano astratte. Cosa c’è di politico, eccetto la forma delle concertazioni? Giustizia sociale, uguaglianza, ritiro della famosa riforma, mobilitazione dei colleghi negli uffici; portare lì altra gente, diversificare le competenze. Occupare la zona e farne una fattoria a cielo aperto. Insomma resistere.
Le assemblee si moltiplicano in piccoli gruppi che daranno conto delle decisioni votate. Ne derivano degli eventi in città, azioni mirate per sensibilizzare la popolazione. Ridipingere le banche, attaccare la pubblicità. C’è chi appunta sui quaderni le lamentele dei viaggiatori dei trasporti pubblici.
In un altro quartiere, una delegazione della piazza interviene per interrompere un colloquio sulla democrazia tra un famoso giornalista, Edwy Plénel, e il sindaco della capitale, Anne Hidalgo.
« Voi non sapete cos’è la democrazia ! Venite a vedere a Place de la République ! Ma perché lasciate che la polizia ci faccia evacuare, quando abbiamo ottenuto un permesso di 4 giorni ? ». Il sindaco parlerà di «privatizzazione di una piazza».
L’informazione – ma non i telegiornali nazionali, tranne qualche eccezione – torna alla carica con le telecamere. Alcuni giornalisti vengono respinti o fatti pazientare; i media non sono una priorità per Nuit debout. Si parla di ribellione, di disobbedienza civile, di una nuova primavera francese, nel contesto di una ondata di occupazione dei licei e università in ogni regione, accompagnate da dure repressioni poliziesche.
Ma è la replica in altre città di movimenti simili, con lo stesso nome, a preoccupare il governo. Questi raduni pacifici non vengono infatti minimamente commentati dall’Eliseo. Nessuno di Nuit debout è invitato ad intervenire in uno studio televisivo – perché non si riesce a trovare un leader o un rappresentante degno di questo nome, oppure perché nessuno si azzarda a prendersene la responsabilità. I filosofi tacciono. I partecipanti stessi non sembrano avere intenzione di gettare le basi di un programma o di dare una direzione precisa ai dibattiti.
Il quarto giorno, il trentaquattresimo del mese di marzo, nel primo pomeriggio piovono le prime dichiarazioni pubbliche davanti a una folla di circa duemila persone sedute a gambe incrociate.
Ora i microfoni sono di ottima qualità, l’amplificazione ineccepibile, un nuovo podio – e sotto, una donna traduce per i sordo-muti. Le donazioni sono state abbondanti da parte di chi non poteva recarsi fisicamente sul posto. Arrivano i resoconti delle varie commissioni : cultura, comunicazione, azione, logistica. C’è anche spazio per i laboratori (sociologia, scrittura, difesa personale in caso di attacchi della polizia).
Si tratta di far cadere la riforma di legge sul lavoro, naturalmente, suscitando uno sciopero generale; aggregare sulla piazza lavoratori di diversi ambiti (agricoltori, tassisti, personale dei treni). Ma anche di andare oltre, rompere con l’economia capitalista, riscrivendo la costituzione di una Repubblica davvero sociale. Gli applausi scrosciano dopo ogni presa di parola dei rappresentanti di comissione. « Il sindaco è un cittadino comune un altro. Nessuno deve darci il permesso di riunirci da qualche parte ».
[Immagine: Nuit debout].
https://lundi.am/
http://www.tdg.ch/monde/europe/Nuit-debout-reste-controverse/story/17474757
“La maggioranza dell’opinione pubblica francese non condivide affatto quanto succede a Parigi, Place de la République. L’informazione è pubblicata in francese dalla Tribune de Genève, mentre la stragrande maggioranza della popolazione francese fa il ponte dell’Ascensione ed è in vacanza al mare. In Italia c’è chi mitizza il movimento ‘Nuit debout’. Non è il caso.” (Norberto Bottani, commento su fb a questo articolo)