[È in uscita per Prufrock il nuovo libro di Andrea Inglese, Ollivud, che si compone di due parti: una serie di 27 prose brevi, e la riedizione di Quando Kubrick inventò la fantascienza: 4 capricci su 2001, pubblicato nel 2011 per La Camera Verde].

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Bistecca

 

Restava il problema di come vedere la bistecca alla luce del giorno, perché anche di domenica, quando si sedeva a tavola sotto il pergolato nella bella stagione, si metteva a soppesare coltello e forchetta in attesa della bistecca messa a disposizione degli affamati. Anche in quel frangente così rassicurante, popolato di bambini, suocere, giardinieri, vicini, cani da slitta, ebbene dentro quel rimestare umano accomodato, la bistecca finalmente in rada nel piatto grazie al lavoro allegro della moglie e della cugina più anziana, ebbene proprio lì, sotto i tiri della forchetta e gli affondi del coltello, la bistecca mostrava un profilo ambiguo, oscurato, nebbioso. Come se un’ombra perpetua – frutto di disagi alimentari dei bovini, o di strategie sbagliate d’allevamento, o di contrattempi radioattivi – avesse guastato irrimediabilmente qualcosa, come se insomma fosse notte sempre fonda e sempre intorno alla bistecca, non da cruda, ma appena cotta, grigliata, persino a bagno maria, una povertà di luce e contorni, uno sfaldarsi dei dettagli, anche spiando da presso, come faceva lui, ormai, munito di una torcia elettrica tascabile: “Queste bistecche maledette hanno mantenuto il gusto e l’odore, ma quasi non si vedono più. È un supplizio insopportabile, mangiare e non sapere esattamente cosa mangi.” Gli altri ci avevano fatto caso, e poi c’avevano fatto il callo, come accade spesso in un dramma alimentare. Ma quello era il minore dei mali, visto il rumore elettrico, gracchiante, che ormai emettevano i fagiolini, le catalogne, le zucchine, i cavolfiori, le lattughe, le mele e addirittura le fragole, insomma quasi tutte le tipologie ortofrutticole una volta che approdavano nel piatto: visibili, ma stonate, rumorose, irritanti durante l’intera masticazione.

Delitti efferati

Certo, i giornali molto parlavano di delitti, e codesti delitti erano non solo in aumento, ma pareva aumentare di giorno in giorno la loro efferatezza, mentre le vittime perduravano vittime, ostinatamente sprovvedute e docili. Quanto alla polizia, quando uno ne ha bisogno davvero per ragioni securitarie, mancano poi gli effettivi per ragioni di bilancio. Quindi non c’era da stare allegri. Chi aveva un bambino o una bambina, se li godeva finché poteva, notte e giorno, tenendoli sempre svegli, per via del delitto incombente, sempre nell’aria, e per via del carnefice, che ogni volta risultava essere una persona educata e puntuale nei pagamenti. Nonostante, quindi, l’ira dei pediatri, i bambini giravano stravolti e imbambolati per le scuole materne, i genitori bloccavano il traffico, addormentandosi in auto ai semafori, e le mamme, che la strada aspra dell’emancipazione aveva portato infine a posti di comando, davano ordini alla cieca, combattendo i colpi di sonno con pastiglie eccitanti, e ritrovandosi a giornata lavorativa conclusa con gli occhi vitrei, colmi di visioni raccapriccianti. I rapitori di bambini, intanto, a fronte dell’enorme imbroglio in cui si era trasformato l’agire sociale, inceppato costantemente dal potere nefasto dei genitori insonni, entravano nelle scuole elementari con maschere di Goebbels ed asce a tracolla, senza minimamente destare sospetto nel clima ovattato che vi regnava, e si servivano con grande cura nelle classi, di fronte a insegnanti con il capo ciondolante o posato sulla cattedra. Non è, poi, che questi rapitori fossero divenuti più crudeli di prima, e fossero riusciti a superare se stessi in efferatezza, semplicemente, a differenza di genitori e bambini, si godevano sonni di dodici ore, ed erano quindi baldanzosi ed efficaci nella realizzazione dei delitti. Di tanto in tanto, però, ai rapitori veniva guastata la festa. Gruppetti di persone, costituiti da coloro che avevano figli ormai grandi o da coppie sterili, libertini indomiti, scapoli e zitelle, si gettavano feroci e prestanti su qualche mostro presunto. Gli bastava vedere qualcuno con la maschera di Goebbels aggirarsi presso i giardinetti, per scatenare un linciaggio in stile sudista. Così i delitti dei giustizieri, legittimati dall’inefficienza globale delle istituzioni, gestite in modo troppo assonnato per ben funzionare, controbilanciavano i delitti dei mostri rapitori. Se dobbiamo, però, mettere nel conto anche i delitti involontari prodotti da automobilisti in sonno REM, farmacisti in trance, chirurghi appisolati in sala operatoria, il numero globale di delitti, volontari o no, legittimati o meno, cresceva smisuratamente. Per questo motivo, dopo un periodo storico alquanto buio, le mamme e i papà rinunciarono a godersi i bambini anche di notte. Sui giornali, si continuava ad annunciare un incremento di delitti sugli innocenti, e un acuirsi della loro efferatezza, ma globalmente l’età dei grandi e diffusi massacri sembrava ormai trascorsa. Le autostrade tornarono ad essere soprattutto luoghi di circolazione delle auto, e non grandi piattaforme per autoscontri mortali, così come negli ospedali si tornava a curare piuttosto che macellare e avvelenare. I rapitori di bambini lasciarono a casa maschere ed asce, e dovevano agire con maggiore sollecitudine e previdenza. I bambini ripresero a gettare per aria i giocattoli a disposizione nelle scuole materne, e la loro motricità ritornò, con grande soddisfazione dei pediatri, ai valori usuali: quelli che rendono sconcertati gli adulti adibiti alla loro cura.

 

Centro di accoglienza

Fin dalla prima scena, si vede che è Giuseppe quello più capace. Ha la capigliatura grigia, ma lunga e spessa come una criniera e tutti ne sono soggiogati, anche se il sindaco e le associazioni di quartiere gli mettono i bastoni tra le ruote. Lui non alza la voce, ma da cattolico intraprendente riesce a imporre una nuova sede per il Centro di Accoglienza dei Ragazzi Sbandati, proprio accanto al palazzone di vetro della Banca Agricola. Quando la situazione immobiliare finisce sotto controllo, è tempo di mostrare le partite di pallone nel cortile interno, le zuffe notturne in camerata e i pomeriggi domenicali, dove Giuseppe cerca di farsi stropicciare il sesso da qualche ragazzino nel refettorio deserto. A poco a poco non si capisce più se si tratta di un film sulla pedofilia o di un film pedofilo. Vi è allora un cambiamento di rotta, con l’arrivo di un educatore che non ha mai smesso con le anfetamine. Tutto si sposta dal piano erotico a quello affettivo: i ragazzi sono trascinati dal nuovo educatore, vedono possibilità inedite di fronte a loro, cominciano a credere nell’esistenza del tetano, mangiano enormi quantità di osso buco, mentre Giuseppe se ne sta chiuso in camera a leggere la storia universale dei vegani. L’uso della droga cambia la morfologia del sistema nervoso centrale dell’educatore, e di questo i ragazzini sbandati se ne rendono conto, soprattutto quando lui li accusa, durante le passeggiate fuori porta, di avergli introdotto spilli invisibili dentro al petto e di disseminare altoparlanti malevoli nelle siepi di bosso. Le fantasticherie dell’educatore permettono al regista piani-sequenza arditissimi e grandiosi, con movimenti di massa nei condomini, danze di pellicani, dialoghi in esperanto tra spacciatori. Una vecchia bisbetica compare sempre all’alba con un mantello vermiglio di seta e inghiotte un pugno di farina. Il film sulla droga rischia di divenire un film drogato, quando finalmente un tipo della narcotici, ormai in pensione da anni, sequestra l’educatore per studiarne in modo amatoriale le reti neurali al collasso.

 

[Immagine: Hollywood]

 

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