di Marco Corsi
[Pronomi personali di Marco Corsi ha inaugurato, insieme con L’ultima volta in Italia di Maddalena Bergamin, la collana Lyra Giovani di Interlinea. Questi sono alcuni testi].
congelato, freddo, esausto
come luce in corpo morto
di materia celeste o delicata,
mi dici: «davvero non ti accorgi
di quanto sono diverse le persone
delle sette da quelle delle otto?
dimostrano scarsa ragionevolezza
sono ombre più deboli ogni giorno
hanno il fuso in assetto di guerra
si ostinano nelle permute
sono la nostra specie finita…»
***
oggetto delle tue perlustrazioni
tutto si allontana, diminuisce,
perde valore.
ora come sempre
il cielo concede a tratti l’azzurro
illimpidisce, arriva dentro le cose:
per quanto possiamo reggere
di fronte all’evidenza
per quanta ingenuità si dilati
nello spettro discreto dei colori,
le tue mani sono ancora nere
non c’è più nessuna remissione
abbiamo un freddo lungo di anni
e di anni una debole stagione.
***
un sintomo, un ecosistema
sminuzzato, ogni soluzione contraddetta
in erba verde, in chiara compostezza
di terra e radici, e tu che dormi gelido
e spandi e resti un piede scoperto
senza scarpa, un piede che spunta
dal cemento e non c’è l’ora
non c’è constatazione di decesso
sul pollice pallido in blu virato
e tu sei piede e mano appena
e quindi carezza del mai dato.
***
ripeto: lavoriamo per giorni sopra le parole; da giorni lavoriamo silenziosi intorno al nero. componiamo saggiamente le immagini; disegniamo immagini nere e silenziose. lavoriamo di silenzio e di nero. un nero che sembra la notte. la notte di tutti i bambini neri e di noi dentro come una prigione: ossessiva prigione di parole. intanto, fuori da questo mattino, fuori dalle dita e dalla gola, lievemente, nei giorni di lavoro e di parole, la neve, da sola, trascolora.
***
un diagramma così, fra boschi e mari, non sarà facilmente ripetibile. mentre il caro corpo cade. e poi si rapprende in luce. nella catena di molecole. in una sequenza da film dell’orrore. nella più tranquilla ipotesi del male. per questo non giungo, ma dico. per questo in un solo momento. nella gravità della vita, nella più incessante scrittura.
eredità io ti ho generato.
***
sul concetto di nitore bisogna ancora
riflettere perché we know what to do
but we do not do, amico mio, perché
la proposta di una vita più gentile
non è modesta, né passibile di lodi:
bisogna almeno che una neve spezzi
la corteccia dura del cardo,
che svuoti di dentro l’amarezza, la cruda
presunzione di reato…
***
nell’elemento k del tuo affetto
io sono la variabile maggiore:
di noi siamo stati le termopili, la termoclisi,
cortese stato di abbandono, pieno inverno,
mentre goccia a goccia il catetere splendeva
di lucciole chiare in formalina:
e la brina dura sopra gli occhi…
[Immagine: Foto di Tugo Cheng].