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di Federico da Bastia

Nome?
Federico, 215 anni a giugno.

Cosa ci dici della riforma della Buona Scuola? In poche parole?
Citando il mitico Ginettaccio «l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare!».

Perché?
La Buona Scuola si fa migliorando e innovando la didattica in classe e in Italia questa è una battaglia persa. Non a caso, su questo punto, la legge 107 parla molto ma incide ben poco. Pensa poi a quella che è considerata da molti insegnanti la vera alternativa alla legge Renzi, la LIP, Legge di Iniziativa Popolare, che propone addirittura di tornare a programmi centralizzati elaborati da un’équipe del Ministero. Altro che Flipped Classroom, Dada e didattica 3.0!

Quindi questi 4 miliardi in più di risorse sono buttati via, secondo te?
Dal momento che in larga parte sono dedicati all’assunzione degli insegnanti di musica e di diritto che affollavano le Graduatorie ad esaurimento, direi di sì. Sia chiaro, spero che qualcosa di buono venga fuori per il miglioramento della scuola, ma se il governo cercava il consenso tra gli insegnanti, sono proprio stati soldi buttati.
C’è una teoria economica, la public choice di James Buchanan e Gordon Tullock, che lo spiega molto bene. I governi, per rimanere in carica, devono vincere le elezioni e quindi devono mantenere alto il consenso, non fare buone riforme. Tutti i governi si comportano in questo modo e chi non lo fa è destinato a cadere. Pensa a Schröder in Germania che per fare le riforme Hartz sul lavoro e farla ridiventare la locomotiva d’Europa, ha condannato se stesso e il suo partito all’oblio elettorale.

Ma la Germania è ridiventata la locomotiva d’Europa grazie alla Merkel, no?
No. La Merkel è arrivata dopo, a godersi i risultati e prendersi i meriti. Mantenere il consenso è importante, ricordiamolo sempre. Buchanan e Tullock ci dicono che un buon modo per crearlo è distribuire benefici che siano concentrati e facilmente.

Come gli 80 euro…
O l’abolizione dell’Ici o della Tasi, il bonus di 500 euro per i maggiorenni e così via. L’abolizione della Tasi costa circa 4 miliardi e rotti e interessa l’80% delle famiglie, gli 80 euro costano 10 miliardi l’anno per 10 milioni di lavoratori, etc.

E la riforma della scuola?
Con la legge 107 il governo in pratica si è impegnato a spendere 4 miliardi l’anno in più per inimicarsi un milione tra insegnanti e assistenti tecnici e amministrativi. A livello di consenso non è stato certo un buon affare! Oggi si lamentano tutti! Insorgono gli ATA che non sono stati considerati dalla riforma, protestano i docenti di ruolo perché il bonus allo stipendio non verrà distribuito a pioggia, si indignano i vecchi docenti di ruolo “in trasferta” perché non potranno scegliersi la scuola di destinazione ma verranno inseriti in un ambito territoriale, insorgono gli assunti delle fasi “0” e “A” perché non parteciperanno alla mobilità interprovinciale e fanno lo stesso gli altri neoassunti perché temono non ci saranno posti vicino a casa. Questo senza contare i precari lasciati fuori dalle assunzioni!

Una insurrezione popolare, insomma.
Pensa che in tanti si lamentano pure del bonus di 500 euro per l’ autoformazione! Ma ragioniamo insieme: perché una protesta così compatta e massiccia è venuta fuori proprio oggi che un governo fa assunzioni straordinarie e mette sul piatto 4 miliardi di risorse in più? Non ci sono state proteste così forti ai tempi della Gelmini che tra l’altro, a sentire qualche insegnante, oggi viene anzi rivalutata!

Beh, le proteste ci sono state anche nel 2008?
Sì, ma erano proteste rassegnate, assopite. Il grande errore del governo Renzi è stato quello di voler declinare in legge quella che era un’ottima promessa elettorale: riformeremo la scuola e ridaremo autorevolezza agli insegnanti.

Perché? Spiegati meglio.
Così si sono delusi gli insegnanti. Era inevitabile. Finché il progetto di riforma della scuola rimaneva nel suo stato embrionale, come qualcosa di molto vago da realizzare in futuro, “una volta vinte le elezioni” andava benissimo. In mancanza di dettagli precisi, ognuno era libero di dare alle parole il significato che preferiva e accendersi di speranza. Ma non appena si è andati nei dettagli…

Sono spuntate le proteste.
Esatto. Facciamo un esempio: da tempo immemore i precari della scuola chiedevano un piano pluriennale di assunzioni, che assegnasse con contratto a tempo indeterminato tutte quelle cattedre che ogni anno sono date a supplenti da settembre a giugno.
Il governo cosa fa? Assegna tutti i posti vacanti agli insegnanti presenti nelle graduatorie ad esaurimento, creandone 50 mila in più “di potenziamento” e bandisce un concorso che assumerà tra le 60 mila e le 80 mila persone, in tre anni. Più piano pluriennale di così… Ovviamente i precari sono sul piede di guerra!

Perché non vogliono il concorso. Ma quale piano pluriennale vorrebbero?
Ognuno chiede (e pretende) quello che lo assume, ovviamente. Chi si è abilitato con il Tfa vuole un piano che dia la priorità agli abilitati con percorsi ordinari rispetto agli altri, chi ha servizio pretende che sia privilegiato il criterio di anzianità e così via. I precari sono tutti uniti solo finché protestano contro il concorso, ma non appena si dovesse passare alla fase propositiva ecco che si scatenerebbe la bellum omnium contra omnes.

Secondo te, cosa avrebbe dovuto fare il governo?
Se vogliamo essere cinici dobbiamo partire da due presupposti: questo paese è irriformabile e la scuola è un campo minato. Tutte le evidenze ci portano a pensarla così. Quindi probabilmente il governo avrebbe dovuto, semplicemente, ignorarla e preoccuparsi d’altro. Ogni anno si facevano le solite assunzioni, 50% da Gae e 50% dalla graduatoria del concorso, si conferivano supplenze annuali per le classi di concorso esaurite, senza fare nessuna assunzione straordinaria. In pratica, si dovevano lasciare le cose come stavano, magari evitando di esaurire le Gae.

E perché?
Perché le Gae sono un obbrobrio giuridico, “hai diritto al ruolo, ma non ti dico quando”, ma sono anche un’ottima scusa per non fare niente. Come contentino ai precari di II fascia si poteva fare in modo di far entrare anche loro, tutti belli in fila. Dopotutto ai professori italiani piace stare in coda, ad aspettare decenni per entrare in ruolo.

Come al padiglione del Giappone a Expo.
Precisamente. L’importante è che ci sia la (falsa) “sicurezza” che, prima o poi, l’agognato ruolo arrivi, magari alla soglia della pensione.

E a non voler essere cinici?
Siamo sicuri che si potesse fare meglio di così? Nel momento stesso in cui si è deciso di cercare una mediazione con gli insegnanti, rinunciando ad abolire gli scatti di anzianità e limitando molto il perimetro della valutazione dei docenti, era chiaro che non potesse arrivare nessuna rivoluzione nella scuola.

E rinunciando alla mediazione?
Bisognava mettere in conto di avere contro tutti i professori, gli assistenti tecnici ausiliari e le organizzazioni sindacali, come poi, in parte, è stato. Ma c’era l’opportunità di guadagnarsi il favore degli altri stakeholder della scuola: i genitori degli studenti. Ecco, quello era il serbatoio di voti da cui il Governo poteva attingere per compensare l’emorragia. Ma per accedervi, Renzi avrebbe dovuto menare duro, parlare di licenziamento dei docenti inadeguati, di orari di servizio, di vera valutazione e di carriera. Significava scatenare la terza guerra mondiale.

Ma il governo, così, avrebbe perso ancora più voti, no?
Il governo avrebbe avuto contro gli insegnanti, così come la Thatcher ha avuto contro i minatori e Reagan i controllori di volo. A livello di consensi, nel lungo periodo, non mi pare sia finita male, no?

Sì, ma Reagan e la Thatcher erano di destra. E inoltre in Italia chi ha provato a mettersi contro le lobby ha fatto una brutta fine: pensa a Bersani con i tassisti.
Destra e sinistra, in questo discorso, c’entrano poco. Qui si parla di conservatori e riformisti: non credo esista nessuno più conservatore degli insegnanti, salvo forse i magistrati.

E quindi?
E quindi niente! Io sono cinico e quindi penso che questo paese sia irriformabile. Non siamo capaci di guardare al nostro futuro nemmeno quando parliamo di pensioni, figuriamoci se riusciamo a farlo per la scuola!

[Immagine: Matteo Renzi spiega La Buona Scuola in televisione  (gm].

7 thoughts on “Soldi buttati e insegnanti arrabbiati. Divertissement sulla “Buona scuola”

  1. Un solo commento: complimenti per i 215 anni di Federico e per la sua lucidità!

  2. Ho capito solo che gli insegannti sono conservatori e che ci vorrebbe una Tatcher in Italia.

    Ma non è questo che volevo dire. Volevo dire che ho aperto internet in questo momento durante una (inspiegabile, di solito arrivano a macchinetta) pausa di ormai mezzora durante uno di quei colloqui-fiume pomeridiani coi genitori che si fanno due volte l’anno.

    I colloqui stanno andando bene: ci si confronta coi genitori, siamo tutti sereni, ci diciamo le cose che non vanno e poi ci compiacciamo di quelle che vanno. I genitori dei ragazzi di prima, nuovi, a parte una sola eccezione, dicono tutti la stessa cosa a tre mesi dall’inizio della scuola: mio figlio viene molto volentieri, si è integrato bene, i professori gli piacciono, studia con piacere.

    Davanti a tutto ciò, solido, tangibile, raccolto dagli sguardi e dalle strette di mano, questo astio represso è un pallido, pallidissimo fantasma.

  3. Questa analisi non è cinica ma molto superficiale e inficiata dal punto di vista secondo cui
    “riformare comunque è bene”, e “il profitto innanzitutto”. L’autore evidentemente non conosce la situazione reale. Non sa che da vent’anni a questa parte il livello culturale si è tragicamente abbassato, che la didattica disciplinare è stata falcidiata dall’autonomia scolastica, che gli studenti sono diventati clienti, che gli insegnanti sono avviliti dalle scelte della dirigenza e perdono tantissime ore perché i ragazzi vengono sballottati di qua e di là. Quando riesco (capita di rado) a fare lezione per una settimana di continuo lo ritengo un miracolo. Ma per lo più mi tocca ricucire brandelli, affannarmi a riannodare il filo di Arianna per recuperare un senso vitale nei percorsi cognitivi. La trama della mia narrazione è rada e sfilacciata. Mi sento come un artigiano a cui hanno tolto la materia per fare il suo bel lavoro cesellato e che hanno costretto ad osservare la serialità uniforme del grande magazzino.

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