di Stefano Raimondi

 

Ho sempre amato le mostre di pittura, ho sempre cercato nei quadri un modo differente di guardare le cose, le posture dei corpi, le ambientazioni degli spazi e dei paesaggi. E in tutto questo, scorgere il punto di vista di chi le ha realizzati, cercando di comprenderne le motivazioni, le emozioni e la loro continuità col tempo.

Felice Casorati è sempre stato un osservatore puntuale e capace di un vero capovolto e intimo, in grado di portare alla luce la coerenza di un sentire che poi, per tutto il Novecento, si è riusciti, con lui, a condividere.

La retrospettiva è stata realizzata in collaborazione con l’Archivio Casorati. Una completa rassegna dedicata all’artista, con una selezione ampia e variegata di capolavori raccolte da varie collezioni.

Figura di rilievo del “Realismo magico”, Felice Casorati (1983-1963) ha saputo attraversare con consapevolezza vari movimenti espressivi e artistici, dal verismo al simbolismo, toccando anche le sponde di un inquieto espressionismo, fino ad un ritorno al sintetismo che ha chiuso la sua straordinaria e poetica avventura artistica.

 

Erano trentasei anni che un’importante mostra a Milano non gli rendeva omaggio.

Entro nella prima stanza con un taccuino in mano. Guardo e scrivo, scrivo e vedo. Ogni dipinto mi narra una storia che non sarà mai solo “semplice” e non sarà mai solo “bella”.

“Persone-1910”. Un tavolo cinque donne, un signore e una bambina.
Sette personalità; sette tipologie umane che si alternano nelle loro vicende personali. Sette sguardi che si proiettano oltre il loro orizzonte visivo, ognuno avvolto dalla narrazione della sua storia personalissima. Sguardi impigliati, catturati e costretti a guardare la staticità di identità desideranti, di ascolti cercati a furia di attenzioni, occhi che s’intrufolano negli occhi degli altri (e degli spettatori) in cerca di comprensione e forse anche di eternità.

Come nel dipinto “Bambine sul prato – 1909” che, nella loro inconsapevole giovinezza, si distanziano da tutto ciò che le circonda, diventando combriccola alleata e potente nei riguardi di un mondo, ancora per loro, totalmente sconosciuto.

 

Tutto nell’età sembra già essere accaduto invece e, in modo sorprendente inedito, nel dipinto intitolato “Le vecchie -1909”, solo due anziane signore sono sorridenti e serene, avendo il coraggio di impossessarsi dello sguardo del pittore. Le altre, colmate dalla loro tristezza, lo evitano.

In “Le due figure – 1914” questi due corpi ritratti nell’oscurità di un interno (o di un’interiorità) sopravvivono a sé stesse, isolatamente, nel silenzio: sono ritratti scontornati del mondo e ripetuti su uno sfondo che le ingloba, quasi a risucchiarle in un altrove misterioso e insondabile.

Qui la fase simbolista di Felice Casorati sta per terminare e le allegorie – ” Le signorine 1912″ – fanno da contro altare cromatico a quelle essenzialità emotive. Un richiamo alla “Primavera” di Botticelli è riscontrabile immediatamente, ma in questa tela tutto è differentemente altro. Qui le Grazie sono solo testimoni di una loro storia personale più allegorica che universale. I corpi si assottigliano, scomparendo in magrezze deformanti, asessuate e sconsolate, come nelle tele intitolate “La via lattea – 1914”; “Notturno – 1912/1913″ ; “Adamo ed Eva – 1914” dove “spettralità” arcaiche tentano un incontro tra il grigiore delle pareti, facendo da eco al viso del “Ritratto di Teresa Madinelli – 1918/1919” dove, invece, tutto sembra confluire al centro dello sguardo della nobildonna, per poi sfinirsi nelle appuntite e aprospettiche (e quasi deformi) punte delle scarpe nere, rimbalzando tra le curvature ipnotiche delle cementine grigie e bianche, che si catapultano nell’oscurità dell’unico angolo aperto, sulla destra in fondo, di un corridoio senza luce. Tutti i colori, tutte le sfumature convergono in quel buco nero che le risucchia, che le rimanda a un altro mistero.

 

Questo periodo rappresenta l’inizio del successo delle sue grandi tempere, dove il mondo viene, da Felice Casorati, scelto in un dettaglio e la vita viene raccontata da un’espressione che si trasforma, nei pennelli del pittore, in un’impressione. Vedo “Mattino o colazione –  1919/1920 “; “Una donna e l’attesa – 1914″; “Bambina o interno o ragazza con scodella o mattino – 1919”. Tutte queste opere riunite in una sala si dettagliano per la presenza vuota e bianca delle ciotole che, dipinte e colte nella loro ritualistica e ancestrale ieraticità, traslucidano di una bianchezza irrefutabile. Sembrano dialogare con la sconsolatezza del soggetto femminile, con la fatica degli inizi di ogni mattina, con la malinconia della figura seduta sulle scale, quasi a intrecciare tra loro, una sensazione indomabile di remissione, di sconforto. Qui i colori diventano pastosi, materici, evidenti.

Dal 1914 al 1921 i soggetti delle maschere, delle armature, dei giocattoli entrano quasi fantasticamente nella pittura di Felice Casorati, immettendolo così, definitivamente, tra coloro che termineranno un’epoca, una storia, una cultura: il virtuoso Simbolismo.

 

Qui la carnalità eguagliata tra un corpo di donna “La donna e l’armatura – 1921” e la classica carnalità della statua sistemata alle sue spalle, tra le maschere e un foglio di giornale, (nell’opera omonima intitolata “maschere 1921”), evidenzia un quotidiano storico immediatamente innestato in una coercitività politica chiara a tutti.

Ma come sempre è il corpo, in Casorati, a diventare terreno fertile di tutta la sua fase pittorica, un argomento espressivo che l’artista declinerà in ogni suo elemento sia teorico che visionario.

Ma in questi anni è il bianco e i suoi biancori: sono i corpi, le uova e ancora le ciotole e con queste, lo sgomento e le posture abbandonevoli, ma anche gli sguardi illanguiditi dalle assenze, sembrano impigliarsi in ambienti resi essenziali dalla nudità stessa degli oggetti, colti nella loro epifania come in “La poltrona verde o nudo seduto – 1919”. Qui il corpo asessuato di questa giovane ragazza, viene colto e ritratto in un’estatica luce, che rimanda immediatamente a un’esperienza mistica.

Ma anche la casualità delle posizioni di “Uova sul cassettone – 1920” richiamano la spersonalizzazione delle architettate nature morte rinascimentali, o le mele che Cézanne dipinse nel loro impareggiabile realismo e nel loro equilibrio precario, sempre in bilico sui loro piani prospettici, gettati sempre verso lo spettatore. Ma tutto ciò rimanda anche all’opacità delle bianche e gessate bottiglie, ossessivamente dipinte, dal contemporaneo Giorgio Morandi.

 

In Casorati va a convergere il lento decantare del senso che le immagini proiettano al fruitore, fino a raggiungere la nascosta metaforicità narrativa che, questi oggetti-soggetti narrano e che queste uova “fecondali” ritualizzano, come fossero pronte per l’esecuzione di una cerimonia.

Le posture rinascimentali, prospettiche, simboliche, allegoriche s’incarnano nei dipinti del 1922, diventando argomenti indagati e mossi da un tentativo estremo di raccontare un’ammirazione. Nel grande dipinto dedicato alla comparsa della giovane Silvana Cenni (“Ritratto di Silvana Cenni – 1922”), Casorati è come se la ponesse al centro di un’inquadratura maestosa e glorificante.

La magnificenza senza tempo di “Silvia Cenni – 1920 ” abita la sala come una padrona di casa, un’indifferente regina. Il suo sguardo abbassato spaesa: tutto viene polarizzato dal suo non-sguardo, dal suo essere immobile e in procinto di giungere da una lontananza silenziosa. Nella sua indifferente postura, gli oggetti intorno, diventano anch’essi narranti. I paesaggi che penetrano da angolature esterne, si posizionano come centralità inventate dalla limatura della luce irradiata dalla finestra, come fossero singolari e solitari scenografie alla De Chirico. Questa figura centrale blocca, colpisce per perplessità; ferisce anche l’apertura delle sue braccia, le posture delle sue mani che rimangono ciondolanti nel vuoto, esattamente come fossero degli stati d’animo empaticamente colti dallo spettatore. In tutta questa inquadratura le posizioni prospettiche dei libri, delle mappe, abbandonate sul pavimento, sembrano impigliarsi nella fioritura del manto damascato che, come da un panneggio rinascimentale, sa come raccogliere interamente la figura, incastonandola in un trascendentale dialogo di intimità sognata.

 

I volti, in questa fase pittorica incominciano a dettagliarsi in ciò che, forse più di ogni altra cosa, ci farà ricordare, nel tempo questo artista: i ritratti di teste. Donne estremamente disincarnate dal mondo, dall’epoca, dal reale. Donne immaginarie con dei nomi e cognomi inventati (che le renderanno esistenti), sono prive di sensualità/erotismo, ma tracimanti di intellettuali passioni. “Raja 1924/ 1925 ” o il “Ritratto di Cesarina Gurgo o ritratto di signora 1922”.

Anche i volti amicali tracciano un percorso che rivela la sua inapparente socialità. Ma Casorati sapeva come circondarsi di persone amiche con le quali scambiare idee e fiducie, progetti e sogni. Ne è prova “Lo studio per il ritratto di Renato Gualino 1922/1923”, suo sodale e mecenatesco amico.

Gli oggetti che Felice Casorati anima, diventano qui, portatori di ingiunzioni emotive. Nature morte immobilizzate in emblematici e simbolici rimandi culturali e storici, dicono il loro perdurare, in una postura che, dalla loro classicità, sanno come sporgersi in un tentativo di esasperante contemporaneità, tanto da renderle quasi neutrali, ma coloristicamente innescate di vita.

 

Dal 1927 al 1932 la primavera della pittura e il suo rinnovamento, sono il suo azzardo. Qui Felice Casorati è come se si posizionasse tra le cose, più che tra le identità. Gli oggetti entreranno nelle sue grandi tele come se si presenziassero da una loro privata malinconia, capace di rivelare l’esasperato desiderio che, dalle mancanze, denunciano la loro voglia di essere vissute: corpi anch’essi abbandonati a uno struggimento solitario: “Ragazza che dorme o bambina dormiente 1931”. Qui è la calma, il sonno, la quiete dello sconforto i soli appigli per comprendere la gestazione esistenziale della giovanissima ritratta, che sa come scardinare qualsivoglia accenno di seduttività. Il gesto del braccio che si allunga in un abbandonevole segno di raccolta, sembra depotenziare interamente la sua nudità. Come nella figura di “Clelia – 1937”. Anche qui si può notare come la patina di colore verde assenzio, che il pittore traslucida sull’intero quadro, sembra appiattisca l’intera scena, facendosi conduttrice di una trascendenza.

Tutto sembra essere dunque tolto dal vero e tutto sembra prepotentemente imbevuto di malinconia che ci riporta più all’interiorità del patire, che alle esteriorità del sostenere. Il tema della sorellanza in questo pittore è gestito già dagli anni trenta alla XIX Biennale di Venezia. La sorella Elvira è una delle figure femminili più indagata dal pittore (fino a trasformarla in un uomo nel dipinto “L’uomo della botte”). La coglie nelle varietà della sua vita, segnando, già dal suo esordio, la sua continua attenzione al simbolo della nascita e della maternità.

 

La registica composizione di “Donne in barca – 1933-37”, parla delle allegorie della vita. Le tre donne raffigurate (che rappresentano allegoricamente le tre età), si concentrano sulla figura centrale della giovane che allatta, divenendo il fulcro di un’intera interpretazione. Sono le circolarità, gli anelli narrativi a diventare i soggetti emotivi e modernisti di Felice Casorati, come nello splendido “Le sorelle Pontorno – 1937”, che imbastiscono ciò che era già accaduto nel 1910 con il quadro intitolato “Persone”, dove la nudità della bambina di allora, giunge fino a qui, nella sua pubertà identicamente spogliata e colta ancora una volta di spalle. È questa una postura che il pittore adotta in molte sue pitture.

Le nudità per Felice Casorati sembrano sempre volersi nascondere, lanciandosi guardare solo dalle spalle, dalle schiene, come a difendere ciò che forse, in lui, risulta sempre essere più indifeso: lo sguardo diretto.

Negli anni i nudi si fanno più evidenti: più coraggiosi. Essi incominciano a voltarsi timidamente verso lo spettatore, mantenendo comunque e sempre gli occhi bassi, quasi a voler evitare il contatto visivo, come nell’opera “Studio per Narciso – 1921 “. Nel 1938 “Nudo di schiena” è ancora di spalle ma qui è evidente una differente fisicità, più carnale e più mossa, rendendo questa figura portatrice di un gesto efficace e vitale.

 

Felice Casorati ci ha lasciato una visione e una serie di silenzi che, quietamente, ci ospitano dentro il suo atelier aperto sulle urgenze e le sofferenze di un tempo che, ancora oggi, possiamo comprendere. La sua discreta e caledoscopica immaginazione ci ha accompagnato, dandoci l’occasione di attraversare un’epoca.

Anche gli spazi ritratti sono dipinti come personaggi, con i loro caratteri, le loro posture, le loro emozioni. Aveva una predisposizione alla scenografia come parte e controcanto di una spazialità da vivere cromaticamente con il corpo. Importanti infatti saranno i disegni degli abiti che egli creò nei suoi otto allestimenti per il Teatro scaligero della Scala, dal 1940 fino ai primi anni Cinquanta.

Felice Casorati fu un artista capace di riportare al silenzio e alla dolcezza le anime e le cose, ma non per tacitarle, ma per renderle ancora più intimamente presenti e ospitali a sé stesse e noi con loro:

 

 “Quanta poesia nelle cose immobili! I futuristi […] proclamano la necessità di dipingere il movimento affannoso e vorticoso della vita moderna… io invece vorrei sapere proclamare la dolcezza di fissare sulla tela le anime estatiche e ferme, le cose mute e immobili, gli sguardi lunghi, i pensieri profondi e limpidi…”

 

Chiudo il mio taccuino. Esco da Palazzo Reale. Milano è vorticosa, è dinamica. Lo sguardo mi resta impigliato al silenzio dell’ultimo corridoi, dell’ultima figura intravista in uno specchio.

 

MOSTRA PALAZZO REALE 2025

CASORATI A MILANO

Dal 15 febbraio al 29 giugno

Retrospettiva a cura di Giorgina Bertolino, Fernando Mazzocca e Francesco Poli

 

[Immagine: Felice Casorati, Uova sul cassettone].

3 thoughts on “Una passeggiata con Felice Casorati

  1. È proprio così. Grazie Raimondi . Leggendola è come essere ritornata alla mostra. L’ho rivissuta con le sue parole. Un rimpianto personale: manca un dipinto che amo, Lo straniero (Palazzo Pitti) . Sono certa che se ci fosse stato, lei, con la sua descrizione, avrebbe fatto vivere quell’immobilità e ci avrebbe fatto percepire il movimento delle vele

  2. Mi ha colpito l’articolo, davvero. L’Autore secondo me ha colto benissimo la parabola artistica, riflesso di quella interiore, di Casorati. Per inciso artista che adoro!

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